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Progetto Giada e analisi dei suoli. I risultati

pubblicato il 16/07/2012, ultima modifica 16/07/2012

 

L'acqua, l'aria ed ora il terreno. Il Progetto Giada colma l'ultima lacuna e mette a punto una ulteriore strategia per conoscere fino in fondo anche la situazione dei suoli del territorio di riferimento. “Avevamo la carenza e la necessità – spiega Andrea Baldisseri, responsabile della parte tecnica dell'Agenzia – di conoscere la composizione dei suoli e la loro eventuale contaminazione di origine industriale. Tante volte, infatti, non mancano le sorprese in un terreno perfettamente naturale, distante da qualsiasi fonte di contaminazione tanto che non sai darti risposte riguardo alla loro provenienza. A maggior ragione per un'area sensibile come la nostra era necessario prevedere una indagine, così abbiamo commissionato ad Arpav uno studio che tenesse in conto l'aspetto geologico e quello legato all'intervento dell'uomo, ad esempio riguardo ai rifiuti”. Avviato e voluto dall'allora assessore provinciale all'ambiente Antonio Mondardo, questo nuovo progetto ha visto una prima fase, affidata ad Arpav appunto, in cui si sono realizzati una serie di campionamenti all'interno della griglia in cui è stato suddiviso il territorio. In particolare nei punti dove teoricamente avrebbe potuto esserci contaminazione del terreno. “Intendiamoci, non legate a discariche abusive di cui non avevamo informazioni e non c'è stata comunque traccia, ma per la ricaduta legata all'inquinamento dovuto soprattutto ai camini delle fabbriche ed al traffico veicolare”. Due i filoni seguiti: il campionamento a livello superficiale e lo scavo di un metro e mezzo per capire se vi sia stata penetrazione nel terreno o se l'eventuale inquinamento fosse rimasto in superficie.

 

Durata dal 2010 all'inizio dell'estate e costata 50mila euro, questa prima indagine ha evidenziato uno stato generale buono nel senso che non sono state evidenziate contaminazioni a livello superficiale. In qualche scavo sono state trovate invece concentrazioni di cobalto, nichel e vanadio elevate, apparentemente inspiegabili trattandosi di siti lontani dalle realtà industriali. La spiegazione più plausibile visto il tipo di metalli è che si tratti di un fondo naturale legato all'origine vulcanica dei terreni. Per essere sicuri scatta ora dunque la seconda fase, ovvero un ulteriore approfondimento che mapperà completamente il territorio e chiarirà tutti i dubbi aperti. Il progetto, triennale, costerà 120mila euro di cui metà a carico della Provincia e metà suddiviso fra i 17 Comuni di Giada. Firmata la convenzione con Arpav, si partirà dopo l'estate per una radiografia che fornirà tutti i dettagli e magari qualche notizia in più sulla storia dell'Ovest Vicentino.