Linee Guida Gestione Area lago Fimon

PROVINCIA DI VICENZA         Linee guida a cura di:

Dipartimento Territorio e Ambiente  Coordinatore
C.trà S. Marco 30          Dr. for. Giustino Mezzalira
36100 Vicenza            Paulownia Italia srl
tel. 0444/908.111
www.provincia.vicenza.it       Gruppo di lavoro
                   Dr. for. Giustino Mezzalira
Presidente              Dr. Mirco De Stefani
Manuela Dal Lago           Dr. Thomas Busatto
                   Dr. Andrea Bertolo
Assessore ai Beni Ambientali
Valter Gasparotto          Con la collaborazione di
                   Dr. Stefano Salviati
Dipartimento Territorio e Ambiente  Dr. for. Alessia Cogato
Dirigente              Dr. ssa Paola Bressan
Roberto Josè Bavaresco        Dr. ssa for. Cristina Dalla Valle
                   Geom. Gaetano Ruocco Guadagno
Coordinamento tecnico
Maria Gabriella Schiavoni      Si ringraziano per le immagini:
Renato Gasparotto          F. Mezzalira, A. Dal Lago, F. Nassi, F. Nori,
Davide Salerno            F. Zanotto, Aquaprogram, S. Salviati, P. Bressan,
                   I. Farronato D. Salerno.
Progetto Grafico
Paolo Pasetto

Foto di Copertina
Davide Salerno

Impaginazione e stampa
Cooperativa Tipografica Operai
Via Corbetta, 9
36100 Vicenza
INDICE



 Introduzione del Presidente della Provincia di Vicenza, Manuela Dal Lago    VI
 Introduzione dell’ Assessore ai Beni Ambientali della Provincia di Vicenza,   VII
 Valter Gasparotto.


1. Inquadramento generale dell'area e del progetto                1
     1.1 Inquadramento geografico e morfologico                2
     1.2 Origine ed evoluzione delle valli di Fimon              3
     1.3 Il clima                               4
     1.4 L'
       idrografia delle valli di Fimon                   6
     1.5 Le sorgenti                             7
     1.6 Il Lago di Fimon                           8


2. Approfondimento di alcuni aspetti dell'ecologia del lago
  e delle sue rive essenziali per definire le linee guida per la sua gestione  13
     2.1 Qualità delle acque                         13
     2.2 Vegetazione palustre                         29
     2.3 Vegetazione della banda boscata ripariale              37
     2.4 Ittiofauna                              42
     2.5 Organismi plantonici                         44


3. Interesse archeologico delle Valli di Fimon                  46


4. Lo stato di protezione del Lago di Fimon                    50


5. Analisi storica dei progetti che hanno caraterizzato il Lago e la sua valle  53
                       III
6. Flora e fauna notevole                              61
    6.1 Descrizione delle principali idrofite presenti nel Lago di Fimon     61
    6.2 Descrizione delle principali specie ittiche presenti nel Lago di Fimon  67
    6.3 Descrizione delle principali specie arboree ed arbustive
    presenti attorno al Lago di Fimon                      75
    6.4 Descrizione delle principali specie di vertebrati
    presenti nel Lago di Fimon e nella sua valle                 95


7. Linee guida per la gestione ordinaria                       111
    7.1 Gestione delle strutture che favoriscono l'
                           accesso al lago        113
    7.2 Azioni di gestione e di controllo della fauna nelle aree ripariali    116
    7.3 Gestione della vegetazione forestale della banda boscata perilacustre  118
    7.4 Gestione della strada perilacustre                    120
    7.5 Gestione della fauna ittica                       122
    7.6 Azioni di controllo delle specie ittiche alloctone            125
    7.7 Realizzazione di opere annuali atte a favorire la riproduzione
    ed il rifugio di determinate specie ittiche autoctone            127
    7.8 Manutenzione del Passaggio artificiale per i pesci            129
    7.9 Monitoraggio del popolamento del lago e della sua valle         130
    7.10 Monitoraggio della qualità chimico-fisica, microbiologica
    e biologica delle acque del lago di Fimon                  132
    7.11 Monitoraggio del popolamento ittico del lago              136
    7.12 Regolamento dell'
               accesso al lago per turismo da diporto         138
    7.13 Adeguamento del regolamento di accesso al lago per la pesca       142
    7.14 Adeguamento delle tecniche di pesca                   145




                         IV
8. Linee guida per la gestione straordinaria                          148
    8.1 Aree filtro forestali                               151
    8.2 Fasce tampone boscate                               154
    8.3 Azioni di miglioramento della strada perilacustre                 158
    8.4 Azioni di miglioramento della riva del lago e delle zone umide perilacustri    160
    8.5 Realizzazione di alcuni nuovi tratti di banda boscata perilacustre e di bosco
    planiziale                                    163
    8.6 Azioni di miglioramento della vegetazione forestale perilacustre          167
    8.7 Azioni per migliorare la fruizione turistica e didattica              169
    8.8 Azioni di miglioramento della qualità delle acque attraverso la biomanipolazione  173
    8.9 Interventi di gestione e di miglioramento della vegetazione palustre        177
    8.10 Proposte per una corretta utilizzazione delle Valli
    (nel rispetto delle evidenze archeologiche)                      182
    8.11 Mappatura del rischio archeologico                        184
    8.12 Realizzazione di un itinerario archeologico legato alle frquentazioni
    preistoriche del lago di Fimon                             186
    8.13 Indagine sulla stratigrafia del fondo del lago di Fimon e della sua Valle
    per completare la conoscenza della sua storia geologica e biologica          191
    8.14 Messa a punto del modello idrologico a flussi e deflussi del lago         203
    8.15 Indagine sulla batimetria del lago                        205


Planimetrie                                          206
Bibliografia                                          215


Allegato: Regolamento per la gestione del Lago di Fimon




                          V
          Per i vicentini il Lago di Fimon è natura, ambiente, storia, oltre che
          meta di passeggiate.

          Nonostante la ripetute manomissioni e alcuni infelici interventi nel
          secolo scorso, un’ampia parte della vegetazione dell’intero bacino è
          di sicuro interesse, visto che rappresenta una testimonianza unica
          dell’ambiente che un tempo caratterizzava l’intera Pianura Padana.

           Gli appassionati di archeologia poi conoscono bene le stazioni
neolitiche indagate sin dall’Ottocento con risultati eccezionali.

Che dire quindi dello splendido scenario ambientale, con l’anfiteatro verde dei colli a
chiudere un paesaggio per molti aspetti affascinante? Che dire della fauna locale o
delle stesse specie ittiche che popolano questo specchio d’acqua, unico superstite di
una rete un tempo ben più estesa?

Questi, e altri temi, vengono approfonditi in questo manuale steso da un gruppo di
studiosi specializzati e altamente qualificati.

Lo studio è stato voluto dalla Provincia per dettare e dare sostanza a delle linee guida
per la gestione di uno spazio tanto delicato quanto particolare, nella coscienza che una
gestione moderna deve essere dinamica, attenta alle valenze conservative-ambientali,
e avere solide basi scientifiche.

Questo volume è il risultato di lunghi e approfonditi studi, ma è anche la premessa per
una forte valorizzazione di questo patrimonio ambientale e culturale per molti aspetti
unico.

Il ringraziamento a quanti si sono profusi per giungere a questo obiettivo non è di
prassi, ma è sincero e sentito, innanzitutto verso gli studiosi coinvolti e la Fondazione
Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, che per prima ha voluto
credere in questo progetto per il quale abbiamo interessato anche la Comunità
Europea.

Un ringraziamento, non solo per i consigli ma anche per l’attento e paziente sostegno,
al professor Alberto Broglio, nonché al dr. Giustino Mezzalira, a tutto il personale della
Provincia nonché ai pescatori vicentini che con il loro volontariato hanno svolto, e
svolgono, un’opera preziosa.

                               Manuela Dal Lago
                              Presidente della Provincia

                     VI
           Il Lago di Fimon, situato a circa 7 Km dalla città di Vicenza, è l’ultimo
           bacino naturale dei Colli Berici e rappresenta un bene di rilevante
           interesse sia sotto il profilo paesaggistico e ambientale sia sotto quello
           archeologico e naturalistico, tanto da essere inserito come Sito
           d’Interesse Comunitario (S.I.C.) nella rete Natura 2000 e, dal 2002,
           inglobato nel più ampio S.I.C. denominato “Colli Berici”.
           L’impegno profuso dall’Assessorato ai Beni Ambientali è pertanto rivolto
alla riqualificazione e preservazione di tale bene attraverso la realizzazione di interventi che
migliorino lo stato dell’ambiente naturale e ne favoriscano un uso compatibile con le
esigenze di tutela e salvaguardia del sito.
In questa logica di riqualificazione ambientale, le linee guida, frutto di un anno di lavoro da
parte degli estensori e che hanno visto il coinvolgimento anche dei principali attori che hanno
interesse sul lago, oltre a contenere una serie di azioni ed indagini rivolte al significativo
miglioramento dell’ambiente faunistico e floristico, al recupero della vegetazione perilacustre,
e della fruibilità ai fini turistici e didattici, forniscono delle indicazioni per la navigazione e
l’accesso al lago per il turismo da diporto.
Una parte degli interventi in esse indicati verranno a breve realizzati con il contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, a cui porgo un
sentito ringraziamento, i restanti, saranno sviluppati nell’ambito di specifici progetti per i quali
è stata coinvolta la Comunità Europea.
Con questo qualificato progetto la Provincia ritiene di avere dato un segnale importante di
attenzione all’ambiente, alla sua tutela e valorizzazione, proponendo una serie di interventi di
politica territoriale che recuperano un elemento naturale di pregio del territorio vicentino che
negli anni aveva perso la sua capacità di attrazione turistico/culturale inserendolo, nel circuito
delle tante bellezze naturali presenti nel nostro territorio che ora i vicentini potranno godere a
seguito di questo importante intervento di riqualificazione.
In appendice al volume è incluso il regolamento sull’utilizzo del Lago di Fimon con cui
l’Amministrazione Provinciale ha voluto stabilire delle regole per il corretto uso di tale bene in
coerenza e sintonia con le indicazioni contenute nelle linee guida.


                                   Valter Gasparotto
                                 Assessore Ai Beni Ambientali

                          VII
1. Inquadramento generale dell’area e del progetto
Il Lago di Fimon è situato nel comune di Arcugnano, a 7 km di distanza da Vicenza. Si tratta
dell'ultimo bacino naturale dei Berici, dato che nel recente passato ambienti similari circostanti
sono stati bonificati per far posto all’agricoltura. Da decenni il Lago di Fimon e la sua valle sono
oggetto di interesse da parte di persi soggetti, visto di volta in volta come area di laminazione
delle piene, bacino per scopi irrigui, sito di interesse naturalistico, area da valorizzare per scopi
turistico-ricreativi. Le perse “visioni” del lago hanno dato origine a numerosi progetti, alcuni dei
quali si sono trasformati in opere.
La Provincia di Vicenza ha la diretta gestione del lago e delle sue pertinenze (appartenenti al
demanio idrico statale) dal 3 dicembre 2002.
                            Visto  l’interesse  dell’area   e  la
                            contradditorietà delle proposte che la
                            riguardano la Provincia ha sentito
                            l’esigenza di definire delle linee guida che
                            ne permettano una gestione attenta alla
                            conservazione dei suoi valori e nel
                            contempo in grado di rispondere alle
                            multiformi esigenze di perse categorie di
                            utenti.
                            Il presente studio, frutto di un anno di
                            lavoro e derivante dalla profonda
                            conoscenza del lago da parte degli
                            estensori, raccoglie ed organizza le
                            indicazioni emerse da numerosi incontri
                            con tutti i principali attori che hanno
                            competenza o interesse sul lago. Esse
                            sono esposte sotto forma di linee guida e
                            sono distinte in due grandi aree tematiche:
                              linee guida per la gestione ordinaria
                              del lago;
  Carta topografica del lago 1:25.000
                              linee guida per      la  gestione
                              straordinaria del lago.
 Le prime potranno essere utilizzate per la gestione annuale di “ciò che esiste o che potrebbe
essere facilmente realizzato”; le seconde invece sono state pensate come “idea progetto” da
sviluppare successivamente nell’ambito di specifici progetti volti a migliorare il lago e la sua
valle, in una logica di “riqualificazione ambientale”.

                         1
  Caratteristiche morfologiche ed idrologiche salienti del lago di Fimon

       Quota: 23 m s.l.m.
       Superficie 0,67 Km²
       Lunghezza attuale 1.708 m
       Larghezza media 392 m
       Larghezza massima 402 m
       Perimetro 3.940 m
       Profondità massima 3,90 m
       Profondità media 2 m
       Tempo teorico di ricambio: 0.13 anni
       Alimentazione idrica del lago: diretta per precipitazioni meteoriche; corsi d’acqua
       alimentati da sorgenti irregolari; alcune sorgenti sul fondo del lago
       Immissari principali: Rio delle Arcuneghe e della Val del Sole; Fosso Grande; Torrente
       della Val de’ Carrari
       Emissario: Canale Debba
       Portata media dell’emissario: 0.24 m³/s (1921-1960)
       Caratteristiche del fondale: pianeggiante, ricoperto da uno strato fangoso fine dello
       spessore di 20-80 cm




1.1 Inquadramento geografico e morfologico
I Colli Berici rappresentano un sistema collinare indipendente collocato nell’area centrale del
Veneto e nella porzione meridionale della provincia di Vicenza. L’origine del Lago di Fimon
risale al Pleistocene ed è dovuta ad un fenomeno di “bradisismo”, ossia un lento movimento
tellurico di origine vulcanica che ha provocato uno sbarramento verso nord della soglia di
Longara, generata dai detriti alluvionali portati dal sistema fluviale Astico-Brenta, prima, e
Bacchiglione, poi. La formazione, a partire dal fondo di un antico mare, è avvenuta nel corso di
un periodo durato decine di milioni di anni. Nell'Olocene il lago ha iniziato a ritirarsi nelle zone
più depresse delle valli, originando nell’area circostante un ambiente paludoso.
I Colli Berici costituiscono un complesso di altipiani carsici: la natura prevalentemente calcarea
ha favorito l’instaurarsi di fenomeni erosivi. A causa di tale fenomeno i Berici risentono di una
costante scarsità d’acqua, in particolare sui rilievi più elevati e sul versante meridionale.
Scendendo di quota si trovano terreni meno permeabili, e questo dà origine a fenomeni di
risalita e alla comparsa sui versanti di orizzonti sorgentiferi. Prendono quindi forma alcuni brevi
corsi d’acqua caratterizzati da una portata generalmente scarsa e comunque sempre
condizionata dal regime delle precipitazioni.


                          2
Nel suo complesso il rilievo collinare appare compatto, dai contorni netti e di forma vagamente
quadrata, interrotta sui lati nord e sud da due profonde incisioni vallive (Val Liona e le Valli di
Fimon) le cui testate arrivano quasi a congiungersi presso S. Gottardo, facendo apparire i Berici
pisi in due parti, una occidentale ed una orientale.
L’aspetto dei colli Berici appare dolce e levigato, con una morfologia morbida, caratterizzata da
pendenze omogeneamente degradanti, con l’unica eccezione del versante orientale, dove
alcuni tratti si presentano verticali, a parete rocciosa. L’altopiano sommitale ha un andamento
lievemente ondulato, con altezza media intorno ai 300 m, con alcuni rilievi leggermente
sopraelevati, che trovano la massima culminazione nel Monte Lungo, che raggiunge i 445 m.
Tutti i versanti che si affacciano dalle dorsali collinari presentano una pendenza omogenea
piuttosto accentuata, spesso solcata da incisioni che saltuariamente convogliano verso il
fondovalle le acque delle precipitazioni e delle sorgenti temporanee.
Il fondovalle presenta un’altimetria compresa tra 23 e i 30 m s.l.m., che degrada
impercettibilmente verso l’interno della valle, dove si trovano le aree più depresse, compresi la
Valle Ferrara e il Lago di Fimon.



1.2 Origine ed evoluzione delle Valli di Fimon
I Colli Berici emersero completamente nel corso del Villafranchiano superiore (da 1.5 a 1
milione di anni fa), in coincidenza con le prime fasi glaciali del Quaternario.
Le prime incisioni vallive presero forma a causa dei fenomeni erosivi che si svilupparono a
partire dalle aree più depresse e che determinarono un processo di graduale distruzione di tutte
le grotte e le cavità di origine carsica che si erano generate precedentemente.
Verso la fine della terza grande fase glaciale quaternaria, i corsi d’acqua, che traevano origine
dalle lingue delle calotte glaciali che ricoprivano la catena alpina e prealpina, iniziarono
velocemente a deporre nella Pianura Padana spesse coltri detritiche che innalzarono il livello
del materiale alluvionale.
Tale processo continuò durante il secondo pleniglaciale würmiano, un’epoca caratterizzata da
un clima freddo e secco. In tale periodo i fiumi Brenta e Astico-Tesina deposero molto materiale
alluvionale all’imbocco delle Valli di Fimon, che assunsero in tal modo una posizione depressa
rispetto al livello della pianura aperta.
In tale situazione prese origine il bacino lacustre di Fimon. Le acque provenienti dalle sorgenti e
dai torrenti scendendo dai versanti non riuscivano più a trovare uno sbocco fuori dal complesso
collinare.


                        3
Il Lago di Fimon in questo periodo si estendeva ben oltre il bacino attuale, giungendo a
comprendere gran parte della Valle Ferrara e assunse una forma bilobata. In tale estensione il
Monticello, e con grande probabilità anche il Monte Bisortole ed il Monticello della Coga, si
innalzavano all’interno del lago come isole rocciose. L’originaria estensione del bacino del Lago
di Fimon e la successiva ritirata del lago, con conseguente formazione di aree paludose, sono
ancora testimoniate dalla presenza, in tutto il territorio delle valli, del limo lacustre che in alcune
aree è presente in strati anche superiori ai 20 m, e che negli anni passati ha dato avvio a
numerose operazioni di estrazione della torba. Questo conferma che la fase lacustre durò per
un lungo periodo, durante il quale si alternarono fasi di ritiro e di nuova espansione delle acque,
in coincidenza con variazioni climatiche da calde e secche (Boreale: 6.800-5.500 a.C.) a
fresche e umide (Atlantico: 5.500-2.500 a.C.).
Successivamente si assistette ad un progressivo ridimensionamento dell’estensione del lago,
che si trovò sempre più isolato all’interno della Val di Sole. In tal modo andarono ad espandersi
le aree paludose, che si ricoprirono presto di vegetazione. L’accumulo nel suolo dei residui
vegetali e la loro lenta decomposizione originò depositi torbosi, di colore bruno scuro fino a
nero, profondi anche alcuni metri.
Durante questa fase, compresa tra il 4.000 ed il 1.000 a.C., nell’area delle Valli di Fimon si
insediarono le prime popolazioni, che formarono nuclei abitativi sparsi, lungo le rive del lago.
Un’altra epoca di fondamentale importanza per il consolidamento dell’attuale morfologia del
bacino lacustre si ebbe verso il 1.000 a.C., quando il clima si fece di tipo continentale,
caratterizzato da periodi piovosi intensi e concentrati. Ciò provocò una forte pressione erosiva a
carico dei suoli, facilitata anche dall’attività di sfruttamento intensivo (disboscamento, debbio,
pascolo), cui l’uomo primitivo aveva sottoposto la sommità ed i fianchi dei rilievi. Sul fondo valle
iniziarono a deporsi spesse coltri colluviali di terre argillose bruno-rossastre, che seppellirono i
sedimenti torbosi. Il livello del piano si alzò e, di conseguenza, si ritirarono molte aree
acquitrinose. Anche il Lago di Fimon subì un ulteriore ritiro, andando ad occupare l’area in cui si
trova adesso e raggiungendo le attuali dimensioni.
Le ultime trasformazioni del paesaggio delle valli avvennero in tempi recenti e furono
determinate dall’attività antropica: le grandi bonifiche e la messa a coltura di molti terreni
condizionarono la morfologia del bacino lacustre. Tuttora, come conseguenza a forti
precipitazioni primaverili ed autunnali, il Lago di Fimon torna a ricoprire vaste aree della
campagna circostante.



1.3 Il clima
La pianura padana e, più in particolare quella vicentina, sono caratterizzate da un clima che
risente contemporaneamente di influenze di tipo marittimo e continentale.

                         4
Questa peculiarità si rispecchia anche nei Colli Berici i quali, però, sono contraddistinti da una
maggiore variabilità, determinata dal succedersi di svariati microclimi locali, legati ora alle
particolari esposizioni topografiche, ora alla densità della copertura vegetale, ora alla maggiore
incisione di alcune valli.
Per quanto riguarda il regime termico, si può affermare che i Colli Berici manifestano tendenze
di tipo continentale. Ciò è dimostrato dalla forte escursione termica tra il mese più caldo e
quello più freddo dell’anno.
Le temperature minime toccano spesso valori negativi, nei mesi di dicembre, gennaio e
febbraio e capita talvolta che nell’arco di alcune intere giornate non vengano toccate
temperature positive. Queste condizioni, se prolungate per alcuni giorni, determinano la
formazione di una densa lastra di ghiaccio che ricopre il lago.
Un particolare fenomeno che si verifica frequentemente nei mesi invernali è quello
dell’inversione termica. In questi momenti l’aria fredda, più densa e pesante, accede ad
occupare il fondo delle valli nei momenti di maggiore calma di vento. In tal modo, la valle si
trova ad essere più fredda delle alture circostanti. Durante il periodo invernale l’inversione
termica può determinare una differenza anche di dieci gradi tra la valle e le zone collinari
limitrofe.
Passando a descrivere il regime pluviometrico, esso risulta direttamente influenzato dalla
presenza dei colli stessi, che determinano una quantità di precipitazioni maggiore rispetto alla
pianura circostante. L’effetto orografico dei Berici costringe le grandi masse d’aria cariche di
umidità provenienti dal Mare Adriatico ad innalzarsi ed a condensare. Per tale motivo la
stazione del Lago di Fimon è caratterizzata da una precipitazione media annua superiore a
quella di Vicenza, situata più a Nord. Le precipitazioni presentano due picchi stagionali, uno
primaverile ed uno autunnale, di cui quello primaverile è l’assoluto. Generalmente gli eventi di
pioggia si presentano come continui, spesso prolungati per più giorni, con eccezione dei periodi
tardo primaverile ed estivo, durante i quali si manifestano parecchi episodi temporaleschi.
Le precipitazioni a carattere nevoso sono più rare e concentrate soprattutto nelle zone
sommitali dei colli, dove l’altitudine e l’esposizione a venti freddi provenienti da NE creano
condizioni più propizie a perturbazioni a carattere nevoso. Generalmente, la persistenza al
suolo della neve nella porzione valliva è insignificante se non nelle aree esposte a Nord.
Un terzo fattore da analizzare, parlando del clima, è l’umidità relativa. Questa è particolarmente
influenzata dalla conformazione delle Valli di Fimon, aperte a Nord e profondamente incise nel
rilievo berico. Inoltre, anche la presenza del corpo idrico, che contiene una vasta massa
d’acqua, concorre a determinare il regime di umidità relativa. I valori più elevati si verificano
durante i mesi invernali, i minimi nei mesi primaverili ed estivi.
Tuttavia, la presenza del lago non influisce sul fenomeno nebbioso che nelle Valli di Fimon ha
lo stesso andamento della pianura circostante. Si tratta per lo più di nebbie di irraggiamento, più
                        5
frequenti durante i mesi più freddi dell’anno. Sulle colline circostanti si verificano con maggiore
frequenza nelle stazioni intermedie e sono legate al passaggio di perturbazioni.



1.4 L’idrografia delle valli di Fimon
Il bacino idrografico di Fimon racchiude al suo interno alcune ampie valli dal fondo
pianeggiante, che si saldano tra loro con lo sbocco a N-NE verso la pianura alluvionale.
I vari drenaggi determinati dalle sorgenti carsiche sono più abbondanti sui versanti con
esposizione meridionale, mentre sono praticamente assenti nella parte settentrionale. La
ragione di questa persa distribuzione è da ricercarsi nelle perse condizioni di giacitura delle
rocce.
Tutti i piccoli corsi d’acqua che scendono dai versanti sono caraterizzati da una scarsa portata.
Questi confluiscono a fondovalle in un unico torrente, il Canale Ferrara, che scende lungo la
Valle dei Molini fino all’altezza del paese di Fimon, dove riceve da sinistra altri apporti
provenienti dalle Valli Scarante e Preare. Il Canale Ferrara scorre ai piedi del versante
nordoccidentale della valle omonima e riceve gli apporti del torrente Scaranton e del corso
d’acqua che incide l’asse della Valdemarca.
Successivamente, la Valle Ferrara si allarga e si va a saldare con la Val di Sole; a questo punto
il Canale Ferrara va ad immettersi nello Scolo Marza, il quale prende origine dalla confluenza di
persi canali di irrigazione e bonifica.
Lo Scolo Marza con il tempo si è trasformato nel principale corso d’acqua delle Valli di Fimon e
riceve anche gli apporti provenienti da Nord e, da destra, a Ovest di Pianezze del Lago, quelli
del Rio Mario e Mojere e del Rio Alta Fonte, oltre agli apporti di altre sorgenti pedecollinari e dei
canali che attraversano la campagna a Est del Monte Bisortole.
L’emissario principale del Lago di Fimon è il Canale Debba, le cui acque scorrono incassate nel
piano di campagna e, dopo un tratto di circa un chilometro verso NE, confluiscono nello Scolo
Marza, poco ad Est della collinetta di Monticello. A partire da questo punto di confluenza si
assiste ad uno slargamento in direzione Est delle Valli di Fimon.
Il Canale Debba ha rappresentato per anni l’unico emissario di tutte le Valli di Fimon. Negli anni
compresi tra il 1928 e il 1934 fu costruito il Canale Nuovo, in occasione dei lavori per la bonifica
in galleria: oggi questo canale contribuisce all’allontanamento delle acque di Fimon,
indirizzandole verso il Canale Bisatto a Longare.
Il Lago di Fimon si colloca nella Val di Sole, la seconda valle principale di Fimon, che termina in
una profonda depressione dove sorge il lago. Il lago presenta un asse orientato
prevalentemente in direzione N-S, la cui testata appare sudpisa in due vallette separate dal

                         6
rilievo del Monte Zattolo. Tali valli prendono il nome di Valle delle Arcugneghe, percorsa dal
torrente della Val di Sole (o delle Arcugneghe) e più sviluppata, e di Valle dei Carrari, percorsa
da un modesto ruscello a cui si congiunge, nella porzione inferiore, il Rio detto Fosso Grande.
Questi torrenti sono i principali immissari del Lago di Fimon. Altri apporti giungono da Sud a
Nord dallo Scaranto della Casara (detto anche della Capura o della Capara) e dallo Scaranto
del Corio, poco a Sud della località Chiesa Vecchia.
Si devono poi ricordare le varie alimentazioni sotterranee che pervengono al lago dalle sorgenti
che emergono sul fondovalle ai piedi dei versanti collinari e dai modesti ruscelli temporanei che
scendono dal promontorio di Lapio.
Infine, è facile intuire la presenza di molte sorgenti situate sul fondo del lago stesso (i boj), in
particolare nei pressi della frazione Lago. Durante il periodo invernale è facile notarne l’attività
quando, a seguito di gelide temperature atmosferiche, la superficie del lago ghiaccia, lasciando
scoperte alcune piccole chiazze in corrispondenza delle polle. Qui il ghiaccio non si forma o,
comunque, raggiunge uno spessore più limitato che rende facilmente inpiduabili tali punti; è
inoltre facile notare macchie circolari scure che risaltano bene sul bianco della superficie gelata.



1.5 Le sorgenti
Nei substrati calcarei, il fenomeno della risorgenza è determinato da un forte accumulo di acqua
in cavità sotterranee, che poi trova un modo per risalire in superficie. L’acqua viene assorbita
nel suolo attraverso voragini, grotte e piccole fessure quasi impenetrabili, accompagnate da
cavità accessorie. Nella sua discesa sotterranea, ad un certo punto incontra degli strati rocciosi
che, seppur fratturati, sono sufficientemente impermeabili da determinare uno sbarramento e
un accumulo dell’acqua. Al raggiungimento del “troppo pieno”, tale strato idrico immagazzinato
nel terreno torna in superficie dando luogo a fenomeni di risorgenza.
Le sorgenti si originano sui Colli Berici in corrispondenza di alcuni orizzonti stratigrafici
principali, in stretta connessione con le condizioni di giacitura e con la natura più o meno
permeabile delle rocce. Nel complesso le Valli di Fimon sono molto ricche di sorgenti che si
trovano distribuite piuttosto omogeneamente nel territorio, concentrandosi, naturalmente, nei siti
in cui le condizioni stratigrafiche ed idrografiche sono più favorevoli.
Tuttavia, a causa della loro modesta temperatura, meno di 30°C, queste acque non hanno mai
trovato alcuna utilizzazione termale.
Scarse sono le sorgenti ubicate nella parte sommitale dei Berici, mentre sono abbondanti quelle
collocate sull’unghia pedecollinare e quelle poste sul fondo del Lago di Fimon.



                         7
Queste ultime sono tipiche sorgenti di fessura, fornite di apparato sorgentifero artesiano e
inserite in un complesso erogatore, in cui appare evidente come la pressione dell’acqua sorgiva
nel punto di emergenza risulti superiore alla pressione dello strato d’acqua lacustre.
Molte piccole sorgenti si trovano attorno al Lago di Fimon, ai piedi dell’anfiteatro formato dai
colli di Lapio, Soghe, Villabalzana e Pianezze, e le loro modeste portate contribuiscono
all’alimentazione del lago.
Prima che i lavori di bonifica portassero alla distruzione pressoché totale dell’ambiente lacustre,
in corrispondenza di ogni sorgente si apriva un largo fossato, fiancheggiato da pioppi e salici,
che, attraversando il canneto, sfociava nel lago. Questi fossati erano ricchi di pesce e spesso
assumevano lo stesso toponimo della sorgente che li alimentava.
Andando ad esaminare la portata delle sorgenti presenti nelle Valli di Fimon, si osserva che il
sistema idrico sotterraneo ha un andamento alquanto limitato, tanto che i fenomeni carsici in
esso prodottisi non presentano sviluppi eccezionali.
Questo è dovuto allo spessore relativamente ridotto del complesso permeabile oligocenico, che
raggiunge al più qualche decina di metri.



1.6 Il Lago di Fimon
Il Lago di Fimon presenta una morfologia allungata in direzione NS e si colloca al centro della
Val di Sole, limitata ad O dal promontorio collinare di Lapio, a S dal modesto rilievo del Monte
Zattolo, a E da una successione di alture profondamente incise da alcuni scaranti e culminanti
nel Monte S. Fise (293m).
I versanti presentano pendenze piuttosto accentuate e regolari, tranne che per alcuni tratti in
cui la presenza di alcuni salti di roccia verticali, la cui origine è da ricercarsi nell’azione erosiva
delle acque in corrispondenza di strati particolarmente compatti, determina una maggiore
ripidità.
La giacitura degli strati che si sviluppano verso NE determina un’erosione di tipo perso sui
due versanti più allungati. L’erosione è, infatti, più accentuata nel versante orientale, con una
conseguente larga fascia detritica ad andamento pianeggiante in corrispondenza della base dei
colli, mentre è più modesta in quello occidentale, dove tra il lago e il piede della collina è situata
solo una stretta striscia detritica.
La presenza di questi depositi detritici e alluvionali nell’area subito circostante al lago,
determina un andamento sinuoso delle sue rive. La riva meridionale era un tempo molto più
mossa, con una breve punta che si insinuava all’interno del lago, formata dagli apporti solidi


                         8
provenienti dai versanti del lato S. Oggi, a seguito della costruzione della strada perilacustre, la
riva appare molto più rettilinea.
Il bacino lacustre soffre di un progressivo e ormai avanzato stato di interramento. La causa
principale di questo problema è da ricercarsi nell’azione dei molti piccoli immissari, perenni o
temporanei, che scendendo da ogni versante contribuiscono all’alimentazione del lago ma,
contemporaneamente, apportano anche sostanze solide sospese che riversano sul bacino.
Il fenomeno è particolarmente accentuato sul lato meridionale, dove le profondità sono più
ridotte (1-1,5 m in media) e dove lo spessore dello strato fangoso sul fondo raggiunge,
soprattutto all’interno della fascia a canneto, i maggiori spessori (60-80 cm).
Le profondità maggiori sono raggiunte lungo l’asse centrale del lago e si aggirano attorno ai
valori massimi di 3,40-3,90 m, per poi degradare progressivamente verso le rive.
La conca su cui sorge il lago ha un andamento al centro pressoché pianeggiante sul fondo,
mentre assume profili assiali e trasversali molto arcuati. I bordi marginali si elevano dolcemente
in corrispondenza della fascia a canneto che, seppure interrotta in più punti ed in fase
regressiva negli ultimi anni, borda gran parte del perimetro del lago.
Per quanto riguarda la qualità delle acque, esse non si presentano limpide ed assumono una
colorazione superficiale di tonalità grigio-verdi piuttosto uniformi. La trasparenza non è mai
costante ed è legata alla presenza in sospensione di alghe e fango finissimo. A causa di queste
sostanze sospese, la visibilità durante i mesi estivi è notevolmente ridotta, mentre è massima in
inverno, data la naturale riduzione del popolamento algale.
Dal punto di vista termico, il lago raggiunge temperature medie di 9.5°C ed è stato classificato
come lago di tipo temperato. Un fatto rilevante è la quasi totale mancanza di stratificazione
termica che determina una temperatura pressochè costante, non essendovi un’inversione tra il
gradiente termico estivo e quello invernale, e un’assenza della stagnazione invernale. Il motivo
di questa assenza di stratificazione termica è legato soprattutto dalla ridotta profondità media
dell’acqua.
Il pH ha subito un notevole incremento dopo i lavori di ampliamento del bacino, che hanno
determinato l’asportazione di vaste porzioni del canneto e un notevole apporto di materiali che
hanno favorito la messa in circolo di sostanze organiche e di carbonati presenti nei sedimenti e
nel terreno. Si è pertanto notata una variazione dei valori di pH da una discreta acidità (5,5-6,5)
a basico (7,5-7,9).




                         9
Una veduta sulle acque del lago (foto D.Salerno)



Anche il contenuto di ossigeno è praticamente costante alle perse profondità del lago, anche
se a –1 m si riscontra un certo aumento dovuto ai processi fotosintetici della vegetazione del
fondo. Nei mesi estivi, tuttavia, nei livelli più profondi si registrano quantità di ossigeno inferiori
rispetto alla superficie, in particolare durante le ore diurne. Ciò è generato dai fenomeni
putrefattivi che si innescano sul fondo a causa della decomposizione delle sostanze organiche,
fenomeno che genera un notevole sviluppo di idrogeno solforato.
Durante questi processi si formano alcuni gas che, pur in concentrazioni minori rispetto a quelle
del fondo, possono essere visibili in superficie, creando effetti suggestivi quando il lago gela e
forando in alcuni punti il ghiaccio è possibile provocare la fuoriuscita dei gas e la loro
accensione nell’atmosfera: la loro presenza è allora rivelata da tenui ed ondeggianti fiammelle.
Il deflusso delle acque nel bacino di Fimon è sempre stato lento e difficile, principalmente a
causa dell’impermeabilità del suolo, dovuta alla presenza di limo biancastro. Questo è sempre
stato causa di frequenti inondazioni delle aree circostanti.
Tali problematiche hanno caratterizzato le varie epoche che si sono susseguite nel corso della
storia del Lago di Fimon. Appare, infatti, probabile che già i primi abitanti del Neolitico (3.800 –
3.700 a.C.) abbiano abbandonato ripetutamente questi siti a causa dell’instabilità dei terreni
paludosi e delle conseguenti condizioni precarie e malsane.
Non si hanno testimonianze attendibili circa l’eventualità che le valli fossero abitate in epoca
romana, mentre durante il Medioevo sono sorti senz’altro alcuni villaggi ed è sicuro che gli

                          10
abitanti del sito in questo periodo tentarono di avviare una prima bonifica delle valli anche
attraverso la regolamentazione delle acque.
Questa venne realizzata sotto il dominio della Serenissima, mediante lo scavo di persi canali,
tra i quali l’emissario Debba, che attraversava tutte le valli verso N (ricevendo l’apporto di altri
corsi d’acqua) fino a sboccare nel Bacchiglione presso Longara.
Ciononostante, le valli rimasero comunque suscettibili di allagamento nei secoli successivi.
Infatti, non appena il Bacchiglione superava la quota di piena ordinaria non era in grado di
accogliere le acque del Debba e ciò era causa di frequenti fenomeni di esondazione che
interessavano i territori circostanti anche per molti giorni di seguito.
Nel corso dei secoli i tentativi per porre rimedio a questa situazione furono innumerevoli. Nel
1930-34, il Consorzio di Bonifica delle Valli di Fimon realizzò un nuovo canale, che rappresenta
in pratica il prolungamento dello Scolo Marza, che da allora rappresentò l’emissario del Lago di
Fimon mentre il Debba veniva ad assolvere funzioni di scolmatore di troppo pieno.
Recentemente però è stato chiuso definitivamente anche lo sbocco a Longara e il corso
inferiore del Debba avviene in senso contrario, raccogliendo le acque di gran parte dei canali
più a N per immettersi poi nello Scolo Marza, che quindi resta l’unico collettore delle acque
delle Valli di Fimon.
Un’altra causa che ha sicuramente contribuito ai frequenti fenomi di allagamento, anche in
tempi recenti, sono le coltivazioni delle torbiere.
In un periodo che va dal 1884 al 1947, infatti, furono avviate in perse località delle valli attività
di questo tipo. L’attività di estrazione della torba ebbe un notevole impatto sull’ambiente
circostante e provocò una decisa variazione dell’altimetria del fondovalle, accentuando le
depressioni del terreno e favorendo il conseguente ristagno delle acque. Inoltre, durante questo
periodo il nuovo canale fu inpiduato come unico scaricatore della zona di Fimon.
Nel 1968 il Genio Civile progettò e realizzò un ampliamento verso N del Lago di Fimon,
costruendo nell’occasione un nuovo canale alla base della collina di Lapio, con funzione di
immettere parte delle acque del Canale Ferrara nel bacino lacustre, diminuendo così
l’allagamento delle campagne vicine.
Purtroppo, gli innumerevoli interventi che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno sempre
agito più da palliativo che da vera soluzione dei problemi, dato che ancora oggi in caso di
piogge persistenti, gran parte delle Valli di Fimon vengono sommerse dall’acqua e occorrono
persi giorni perché la situazione ritorni alla normalità. Il Lago di Fimon allora, estendendosi
fino al Monte Bisortole e occupando la Valle Ferrara, sembra assumere le dimensioni della sua
massima espansione pleistocenica.
Da un punto di vista ambientale i lavori di regimazione idraulica hanno prodotto seri danni
all’ecosistema lacustre. Con i lavori effettuati negli anni ’60 si distrusse completamente la fascia
                         11
arborea di salici e pioppi che circondava il lago, venne eliminata buona parte del canneto,
furono alzati gli argini costruendo su questi una strada che interrompeva la continuità tra lo
specchio d’acqua con i campi ed i boschi circostanti.
Visto che verso N il fondo stradale continuava a sprofondare nel suolo paludoso, dopo reiterati
ed inutili apporti di materiale consolidante, verso la fine degli anni ’60 si decise di ampliare la
superficie del lago di circa 200 m, con una profondità media del nuovo bacino artificiale
aggiunto di 1,10-1,20 m. Anche la strada fu di conseguenza allungata e l’emissario fu costretto
ad uscire lateralmente verso E.
Una paratia azionabile nel punto di emissione regola da allora la fuoriuscita dell’acqua dal
bacino, a seconda delle esigenze di irrigazione delle campagne situate nelle valli a N del lago.
A partire dalla fine degli anni ’70 si è potuto assistere ad un lento ripristino spontaneo della
vegetazione anche se è indubbio che i danni inferti ed i processi degenerativi innescati
stenteranno a rimarginarsi se verrà a mancare il contributo antropico, attuato attraverso
interventi che contribuiscano a sanare una situazione fortemente degradata e compromessa.




                        12
2. Approfondimento di alcuni aspetti dell’ecologia del lago e delle sue rive
essenziali per definire le linee guida per la sua gestione


2.1 Qualità delle acque
La caratterizzazione della qualità delle acque del Lago di Fimon si inserisce in una importante
fase di cambiamento nell’ambito della gestione integrata del ciclo delle acque. Essa è rivolta
alla sostenibilità dell’uso delle risorse, al buono stato di salute ed alla funzionalità ecologica
delle acque delineata dal nuovo quadro normativo di riferimento(Decreto Legislativo n.152 del
1999 e s.m.). Esso sostituisce, dopo 23 anni, la ormai inadeguata Legge Merli (L.319/76), in
risposta alla necessità di recepire ed attuare le Direttive Europee (91/271/CEE e 91/676/CEE),
che non erano state attuate in precedenza. Si sono messi a punto nuovi metodi per la
valutazione dello stato ecologico delle acque superficiali e sotterranee. Le attuali metodiche
relativamente alle acque superficiali si basano sul fatto che ogni tratto omogeneo di un corpo
idrico (sia esso lago o fiume) possiede una propria capacità portante; ad essa corrisponde
un’efficace attività autoregolativa e autodepurante, in grado di riportare il sistema alle condizioni
ottimali per quella tipologia di ambiente. Se si supera questa capacità portante, il sistema tende
ad assestarsi su di un nuovo equilibrio definito da caratteristiche qualitative e di efficacia
depurativa inferiori. Tale sistema dinamico è regolato da complesse interazioni fra i comparti
chimico-fisici e biologici. Ci si prefigge così di definire un quadro globale e sempre più realistico
della situazione dell’ambiente acquatico e della sua funzionalità, intesa come interrelazione tra
fattori biotici ed abiotici presenti nell’ecosistema acquatico ed in quello terrestre ad esso
collegato.
È decisamente difficile delineare un quadro preciso dell’evoluzione della qualità delle acque del
Lago di Fimon in quanto sono disponibili solo dati frammentari. I riferimenti bibliografici
consultati riportano dati chimico fisici raccolti in campagne di rilievo effettuate nel 1962-66
(Braioni et al 1978), nel 1970-76 (Gaggino et al.), nel 1978-79 (Brisinello S. 1980) e nel 2003-04
(Miotti et al. 2004). Come primo approccio è possibile fare riferimento ai dati riportati da
Gaggino et al. 1985.Tali dati non tengono conto della differente concezione della gestione della
qualità delle acque che si è sviluppata nel corso degli anni. Tuttavia, sulla base dei parametri
chimico fisici presentati nel suddetto lavoro (in particolare la quantità di fosforo totale e la
trasparenza dell’acqua), é almeno possibile classificare il Lago di Fimon come uno specchio
d’acqua eutrofo, sia applicando le metodiche proposte dall’IRSA che quelle proposte dall’OCDE
(Tabella 1).
La concentrazione di fosforo totale misurata nello studio di Gaggino et al. (1985) è di 50 mg/m3
ed indica chiaramente una condizione di eutrofia. Il fosforo risulta essere il fattore limitante (i.e.
di controllo) della trofia del Lago di Fimon in quanto il rapporto N/P è pari a 93 (secondo i
                         13
parametro proposti dall’OCDE, in un lago il fosforo è il fattore limitante se il rapporto N/P è
superiore a 15; l’azoto piene il fattore limitante se tale rapporto è inferiore a 7).
Anche il valore della trasparenza riportato da Gaggino et al. (1985) posiziona il Lago di Fimon
tra gli specchi d’acqua eutrofi, in quanto la trasparenza delle acque del lago riportata è di 1,4 m.
I valori di trasparenza indicati da Braioni e Gelmini (1978) suggeriscono che già tra il 1962 ed il
1966 la trasparenza del Lago di Fimon era ridotta, con dei valori medi di 1.1 m tra maggio e
settembre (0.5 m-2.5 m; min-max) e di 1.5 m tra ottobre e dicembre (1.1 m-2.5 m; min-max). I
rilevamenti eseguiti nel 1978-79 mostrano dei valori stagionali oscillanti tra 2.1 e 2.4 m
(Brisinello S. 1980). Delle misure sporadiche di trasparenza rilevate tra aprile ed agosto 1999
confermano un ritorno a valori di trasparenza più ridotti (trasparenza media circa 0.85 m, A.
Bertolo, obs. pers.). La mancanza di standardizzazione (e.g. localizzazione delle stazioni e dei
periodi di misura) e la scarsità di dati non permettono una valutazione obbiettiva dell’andamento
di quest’importante variabile ambientale, ma le informazioni disponibili sono concordanti rispetto
alla natura eutrofica del Lago di Fimon.


                        Fosforo totale Clorofilla Trasparenza
          Categorie della trofia
                         (mg P/m3)   (mg/m3)    (m)

           Ultraoligotrofico        4,0        2,5       6,0
             Oligotrofico        10->4,0     8,0->2,5   <6,0- 3,0
             Mesotrofico        >10-<35       25->8    <3,0- 1,5
             Eutrofico         35-<100      75->25    <1,5- 0,7
            Ipereutrofico         100       >75       <0,7
        Tabella 2.1.1: Criteri adottati dall’OCDE per la classificazione della trofia dei laghi


Sebbene tali condizioni siano probabilmente il frutto dell’accumulazione di nutrienti causata
dalle attività umane (eutrofizzazione colturale), é tuttavia difficile stabilire quali siano le cause
esatte di tale arricchimento (e.g. agricoltura o reflui domestici non trattati), né a quale epoca
risalga l’inizio di tale fenomeno. Rari sono infatti i laghi eutrofici naturali (Anderson, 1995) e non
é da escludersi che l’accumulazione di nutrienti nei sedimenti lacustri sia cominciata in epoche
lontane dalla nostra. Il bacino del Lago di Fimon é stato infatti sede di insediamenti umani fin
dalla preistoria e pratiche come l’allevamento del bestiame, per esempio, erano già presenti nel
Neolitico (Malone, 2003). É difficile dire se attualmente il suo stato trofico si sia stabilizzato o sia
ancora in evoluzione; se si considera la testimonianza dell’ultimo pescatore professionista del
Lago di Fimon, la trasparenza del lago prima degli anni ’60 era ben superiore a quella odierna,


                            14
ed era possibile a quell’epoca osservare il fondo lacustre (A. Bertolo, comm. pers.), suggerendo
così un’evoluzione recente del suo stato trofico.
Se ancora in tempi recenti gli scarichi urbani hanno probabilmente continuato ad arricchire il
lago, questi non dovrebbero più andare ad influire sulla qualità delle sue acque in quanto tali
scarichi sono stati interamente convogliati verso degli impianti di trattamento dei reflui.
Infatti i reflui del piccolo depuratore che scaricava direttamente nel lago sono stati collettati
completamente verso altro impianto di trattamento e a partire dal 2004 i sistemi di depurazione
inadeguati o di capacità insufficiente ancora presenti nel bacino imbrifero del Lago di Fimon
sono stati sostituiti da impianti di fitodepurazione nell’ambito del progetto “ECOFIMON” (Life
Natura 2000, finanziato dall’UE), promosso dal Comune di Arcugnano (VI). Secondo i primi dati
disponibili, la capacità depurativa di tali impianti sarebbe in grado di trattare efficacemente i
liquami prodotti dai 1900 abitanti equivalenti presenti complessivamente nel bacino imbrifero
(fonte: convegno LIFE-ECOFIMON, 5 giugno 2004, Hotel Michelangelo, Arcugnano, VI). I dati
preliminari sull’efficienza di abbattimento dei nutrienti del nuovo sistema di fitodepurazione
suggeriscono che la totalità dei reflui di origine domestica originate nel bacino del lago sono
oramai trattati in modo soddisfacente, garantendo dei carichi minimi di nutrienti ed inquinanti nel
Lago di Fimon. Per garantire un basso impatto ambientale nel corso degli anni a venire,
l’efficienza di tali impianti ed i loro effetti sul lago dovranno essere costantemente verificati.
Nonostante la fase di abbattimento dei carichi organici provenienti da fonti puntiformi (e.g.
depuratori) sia primordiale per una gestione sostenibile delle acque del bacino del Lago di
Fimon, il problema delle fonti diffuse, esterne ed interne, non é da considerarsi secondario. Gli
apporti diffusi di nutrienti causati dall’agricoltura, ancora presente nella zona circumlacuale, o
quelli dovuti ai carichi interni immagazzinati nei sedimenti lacustri, potrebbero influenzare il
funzionamento ecologico del lago ancora per lungo tempo (Anderson, 1995). L’accumulazione
nei sedimenti di materia organica ricca di nutrienti dovuta, per esempio, a una gestione
inefficace dei reflui nei decenni passati, potrebbe stabilizzare il Lago di Fimon in una situazione
di eutrofia nei decenni a venire. Una valutazione di tali carichi sarebbe dunque auspicabile al
fine di delineare un piano di gestione e successivi interventi di risanamento. (e.g. controllo
dell’uso dei fertilizzanti, dragaggio dei sedimenti lacustri).
Nel semestre che va dal giugno al novembre 2004 sono state svolte dal Laboratorio chimico
dell' AIM, presso il depuratore di Casale, alcune analisi per la caratterizzazione chimico- fisica
delle acque del Lago di Fimon.
Le analisi si sono svolte con cadenza mensile e hanno riguardato 8 punti di campionamento
disposti lungo il perimetro del lago. Le analisi effettuate hanno dunque riguardato solo la zona
littorale ed i parametri misurati permettono di avere solo una immagine parziale dello stato del
lago. In particolare non sono stati misurati macrodescrittori indispensabili per la
caratterizzazione dello stato trofico (trasparenza, fosforo totale) che sono necessari per la
caratterizzazione ecologica del bacino.
                        15
Figura 2.1.1: Punti di prelievo di acque e sedimenti per le analisi chimiche effettuate
     nel semestre giugno/novembre 2004 dal Laboratorio chimico AIM




                     16
Conducibilità
I valori di conducibilità delle acque del Lago di Fimon risultano ricadere in un intervallo che va
dai 0.12 mS/cm, valore minimo riscontrato nella stazione H, e 0.37 mS/cm, valore massimo
riscontrato nella stazione D. Questo intervallo corrisponde a valori riscontrabili anche in bacini
lacustri del Nord Italia .
Le medie dei valori per le stazioni di campionamento D e H differiscono in modo abbastanza
significativo con 0.35 mS/cm e 0.17 mS/cm rispettivamente, pur rimanendo entrambi in
condizioni di normalità.
Nelle varie stagioni, per tutto il lago, si hanno valori medi uguali sia in estate che in autunno con
0.24 mS/cm. La stazione H risulta, in tutto il semestre, avere conducibilità sempre inferiore agli
altri punti di campionamento. Tale condizione può essere spiegata con la particolare condizione
morfologica del bacino che determina un maggiore idrodinamismo nella porzione compresa tra
l’immissario e l’emissario rispetto alla porzione Nord del lago, dove è posizionata la stazione H,
che rimarrebbe parzialmente isolata ed alimentata prevalentemente da apporti meteorici ed
esclusa da ruscellamenti laterali. Al contrario nella stazione D, che è posizionata sull’immissario
del lago e recapita i ruscellamenti di terreni coltivati, il valore medio della conducibilità è più
elevato.


                      media del semestre
              stazione       (mS/cm)         dev. standard

              staz. A          0,24          0,037
              staz. B          0,24          0,037
              staz. C          0,24          0,038
              staz. D          0,35          0,015
              staz. E          0,24          0,021
              staz. F          0,23          0,022
              staz. G          0,23          0,018
              staz. H          0,17          0,045
         Tabella 2.1.2: media di conducibilità elettrica tra tutti i dati di conducibilità
         per il semestre giugno/novembre 2004 per ogni stazione di campionamento.




                            17
          media mensile      dev. standard     media stagionale      dev. standard
           (mS/cm)                     (mS/cm)

 giu-04         0,26          0,036          0,24           0,05
 lug-04         0,23          0,045
 ago-04         0,22          0,063
  set-04         0,23          0,062          0,24           0,06
  ott-04         0,23          0,043
 nov-04         0,28          0,064
        Tabella 2.1.3: medie e deviazioni standard mensili e stagionali della conducibilità
            nel semestre di campionamento tra i dati raccolti in tutto il lago.




                     CONDUCIBILITA'

    0,40
    0,35                                              staz. A
                                                    staz. B
    0,30
                                                    staz. C
    0,25
mS/cm




                                                    staz. D
    0,20
                                                    staz. E
    0,15
                                                    staz. F
    0,10
                                                    staz. G
    0,05
                                                    staz. H
    0,00
        giu-04   lug-04   ago-04    set-04    ott-04   nov-04


      Grafico 2.1.1: andamento dei valori di conducibilità nel semestre giugno/novembre 2004
                   per le 8 stazioni di campionamento




                           18
Nitrati
La concentrazione di nitrati risulta complessivamente bassa all’interno del bacino con valori
compresi tra 0.05 mg/l e 0.5 mg/l nella maggioranza delle stazioni; fa eccezione la stazione D in
cui si osservano sempre valori più elevati in dipendenza della vicinanza di terreni coltivati.
L‘andamento dei valori è decisamente stabile da giugno a ottobre mentre si osserva un
generalizzato aumento dei valori per la probabile ossidazione degli elementi vegetali in
putrefazione nelle acque del lago. Le concentrazioni maggiori si sono riscontrate nel mese di
novembre con una media di 0.69 mg/l, tripla rispetto alle altre medie mensili.
Appare evidente l' allontanamento dei valori di concentrazione nel punto D, sempre ≥ 1.5 mg/l,
da tutti gli altri. Tali valori confermano comunque un arricchimento alloctono proveniente dal
territorio circostante e una attività denitrificante all’interno del bacino lacustre determinata dalla
vegetazione e dai meccanismi metabolici della componente biologica (flora batterica,
fitoplancton, etc)




                          media del
                stazione     semestre (mg/l) dev. standard

                 staz. A         0,13         0,184
                 staz. B         0,13         0,184
                 staz. C         0,13         0,184
                 staz. D         1,83         0,408
                 staz. E        0,05         0,000
                 staz. F        0,20         0,232
                 staz. G         0,13         0,184
                 staz. H         0,13         0,184
     Tabella 2.1.4: media e deviazione standard di concentrazione dei nitrati tra tutti i valori raccolti
          nel semestre giugno/novembre 2004 per ogni stazione di campionamento




                             19
                media mensile                media stagionale
                           dev. standard                  dev. standard
                 (mg/l)                     (mg/l)

giu-04               0,29         0,689
lug-04               0,23         0,513          0,25          0,55
ago-04               0,23         0,513
set-04               0,35         0,685
ott-04               0,23         0,513          0,43          0,66
nov-04               0,69         0,747
         Tabella 2.1.5: medie e deviazioni standard mensili e stagionali di concentrazione dei nitrati
                nel semestre di campionamento tra i dati raccolti in tutto il lago.




                            NITRATI

      3
                                                         staz. A
      2,5                                                  staz. B
      2                                                  staz. C
                                                         staz. D
  mg/l




      1,5
                                                         staz. E
      1                                                  staz. F
      0,5                                                  staz. G
                                                         staz. H
      0
           giu-04    lug-04   ago-04    set-04    ott-04   nov-04


       Grafico 2.1.2: andamento delle concentrazioni dei nitrati nel semestre giugno/novembre 2004
                     per le 8 stazioni di campionamento


Dal confronto con i dati del 1965 e 1966 (Braioni et al. 1978) si evince comunque un notevole
ridimensionamento dei valori da imputare al fatto che negli anni indicati erano attivi cantieri di
ricondizionamento morfologico del lago che hanno interessato anche il fondo e la vegetazione
acquatica. Qualora si intraprendessero azioni di rimodellamento e sbancamento è pertanto
possibile attendersi reazioni simili che comporteranno aumenti significativi dei nitrati e
dell’ammoniaca.
                               20
COD (Domanda Chimica di Ossigeno)
Risulta sempre molto elevato il carico di sostanze ossidabili anche in rapporto ai valori che
normalmente si possono trovare in laghi naturali.
In particolare i campioni prelevati nel punto C, in corrispondenza dell’imbarcadero, in tutti i mesi
hanno mostrato una richiesta chimica di ossigeno (C.O.D.) alta con una media di 44.50 mg/l e
una punta a ottobre di 91 mg/l. È possibile che vi siano in zona degli scarichi civili che non sono
adeguatamente trattati. Comunque in tutto il bacino i valori non sono bassi e ciò può essere
messo in relazione con gli apporti derivanti dagli scarichi civili parzialmente depurati e con una
generalizzata torbidità delle acque determinata dal particellato colloidale in sospensione
derivante dalla bioturbazione dei fondali.
Una situazione accettabile è stata riscontrata solamente nella stazione D con una media per il
semestre considerato di 13.67 mg/l che, essendo esterna al lago, non è interessata dall’azione
di risospensione dei sedimenti.
Significativa è risultata per tutte le stazioni la situazione nel mese di ottobre (media 46.38 mg/l)
mentre le medie stagionali non evidenziano differenze di particolare rilevanza.




                       media del semestre
              stazione              dev. standard
                         (mg O2/l)

              staz. A          33,80         11,777
              staz. B          34,40         12,178
              staz. C          44,50         25,618
              staz. D          13,67         12,061
              staz. E          33,00         8,124
              staz. F          28,83         8,010
              staz. G          26,17         6,882
              staz. H          30,20         7,530
     Tabella 2.1.6: media e deviazione standard delle concentrazioni di COD tra tutti i valori raccolti
          nel semestre giugno/novembre 2004 per ogni stazione di campionamento




                            21
            Media mensile                 media stagionale
                        dev. standard                  dev. standard
             (mg O2/l)                   (mg O2/l)

  giu-04         27,00          16,99
  lug-04         31,50          8,80          29,62          10,47
  ago-04         29,38          7,85
  set-04         31,63          10,17
  ott-04         46,38          19,03          31,13          17,73
  nov-04         15,38          4,17
       Tabella 2.1.7: medie e deviazioni standard mensili e stagionali delle concentrazioni di COD
              nel semestre di campionamento tra i dati raccolti in tutto il lago.



                           C.O.D.

       100
       90                                            staz. A
       80                                            staz. B
       70                                            staz. C
       60
                                                    staz. D
   mg/l




       50
       40                                            staz. E
       30                                            staz. F
       20                                            staz. G
       10                                            staz. H
        0
          giu-04   lug-04   ago-04   set-04   ott-04   nov-04


Grafico 2.1.3: andamento dei valori di COD nel semestre giugno/novembre 2004 per le 8 stazioni di campionamento.


Solfati
Molto bassa la concentrazione di solfati con un intervallo che va dai 5 ai 12 mg/l. Leggermente
sopra le altre concentrazioni medie appare quella riferita ai campioni d'acqua raccolti nel punto
di campionamento G, che corrisponde a 8.2 mg/l.

                             22
Si sono ottenuti valori di concentrazione maggiori nel mese di novembre con una media di 7.9
mg/l e un valore massimo di 12 mg/l per la stazione D.
Non di particolare rilevanza il confronto tra le medie stagionali che corrispondono a 7 e 7.7 mg/l
rispettivamente.


                       media del semestre
              stazione        (mg /l)        dev. standard

              staz. A          6,8           1,2
              staz. B          7,5           0,5
              staz. C          7,2           1,2
              staz. D          7,5           2,3
              staz. E          7,0           0,9
              staz. F          7,7           1,0
              staz. G          8,2           0,8
              staz. H          6,8           2,0
     Tabella 2.1.8: media e deviazione standard delle concentrazioni di solfati tra tutti i valori raccolti
          nel semestre giugno/novembre 2004 per ogni stazione di campionamento




           media mensile                 media stagionale
                       dev. standard                  dev. standard
             (mg /l)                    (mg /l)

   giu-04         7,3           0,9
   lug-04         7,5           1,1           7,0           1,2
   ago-04         6,1           1,1
   set-04         7,6           1,2
   ott-04         7,6           0,7           7,7           1,4
   nov-04         7,9           2,2
     Tabella 2.1.9: medie e deviazioni standard mensili e stagionali delle concentrazioni di solfati
             nel semestre di campionamento tra i dati raccolti in tutto il lago.




                              23
                          SOLFATI

        14
                                                  staz. A
        12                                          staz. B
                                                  staz. C
        10
                                                  staz. D
    mg/l



         8                                         staz. E
                                                  staz. F
         6                                         staz. G
                                                  staz. H
         4
           giu-04   lug-04 ago-04 set-04       ott-04  nov-04


       Grafico 2.1.4: andamento delle concentrazioni dei solfati nel semestre giugno/novembre 2004
                     per ogni stazione di campionamento


Escherichia coli
Un indicatore di contaminazione fecale è Escherichia coli, specie facente parte della famiglia
delle Enterobatteriacee e parametro di riferimento anche nel D.lgs. 152/99.
Le analisi microbiologiche hanno evidenziato una generalizzata contaminazione in tutto il
bacino e pure nell’affluente che non trovano un’adeguata spiegazione se non in una persistente
affluenza di reflui di origine civile che pervengono al lago senza essere adeguatamente
igienizzati. Sono state accertate situazioni molto variabili nell'arco del semestre con valori più
contenuti nel mese di giugno (media di 867 UFC/100 ml) e valori elevati (media 14875
UFC/100 ml) nel mese di novembre.
Le acque raccolte nel punto "E" mostrano per tutte le campagne di campionamento maggiori
valori di contaminazione rispetto agli altri punti di prelievo con una media di 10780 UFC/100ml
probabilmente per la presenza degli scarichi di alcune abitazioni e di un impianto di
depurazione.Situazione opposta si rileva nella stazione H in cui, per le particolarità
idrodinamiche del sito, gli apporti esterni sono limitati e la contaminazione fecale decisamente
più contenuta. Calcolato il 75°percentile per ogni stazione di prelievo, si evince che il punto di
maggior inquinamento fecale è la stazione E, mentre condizioni più accettabili si ritrovano nei
punti D ed H.



                             24
                  STAZIONE       75°percentile UFC/100 ml
                    staz. A            2160
                    staz. B            4100
                    staz. C            3600
                    staz. D             980
                    staz. E            6400
                    staz. F            1920
                    staz. G            2040
                    staz. H             100

                      Tabella 2.1.10: dati stazionali


È possibile inoltre evidenziare come i valori siano mediamente contenuti nel periodo estivo e
autunnale, limitatamente alla prima parte, mentre nel mese di novembre si registra un
significativo aumento. Tale andamento, anche per altri parametri, può essere correlato con la
diminuzione delle attività metaboliche del lago dipendenti da fattori climatico-ambientali nonché
da maggiori apporti che possono verificarsi in occasione dell’aumento delle precipitazioni
atmosferiche autunnali con intensificazione dei fenomeni di ruscellamento e dilavamento.
Nel complesso comunque le condizioni igienico sanitarie del lago ne precludono l’uso per la
balneazione.
                        media del semestre
          stazione             (UFC /100 ml)       dev. standard

          staz. A               1804            1948
          staz. B               3447            4240
          staz. C               3437            4431
          staz. D               2880            5104
          staz. E               10780            13617
          staz. F               3128            4473
          staz. G               7298            14950
          staz. H               153             198
 Tabella 2.1.11: media e deviazione standard delle concentrazioni di Escherihcia coli tra tutti i valori raccolti nel
           semestre giugno/novembre 2004 per ogni stazione di campionamento


                             25
               Media mensile  dev. standard    media stagionale     dev. standard
               (UFC /100 ml)              (UFC /100 ml)

   giu-04            867       2240
   lug-04                                1371         2104
   ago-04           1875       1971
   set-04           1770       1603
   ott-04           1193        833          5946         9586
   nov-04           14875       12719
   Tabella 2.1.12: medie e deviazioni standard mensili e stagionali delle concentrazioni di Escherihcia coli
            nel semestre di campionamento tra i dati raccolti in tutto il lago.



                       Escherichia coli

          100000
                                                  staz. A
          10000                                      staz. B
    UFC/100 ml




                                                  staz. C
           1000
                                                  staz. D
           100                                      staz. E
                                                  staz. F
            10                                      staz. G
                                                  staz. H
            1
               giu-04 lug-04 ago-04 set-04     ott-04 nov-04



   Grafico 2.1.5: andamento delle concentrazioni di Escherichia coli nel semestre giugno/novembre 2004
                   per ogni stazione di campionamento


Metalli nei sedimenti
Oltre che sulla matrice acquosa, sono state effettuate analisi per la ricerca di metalli sul
sedimento del Lago di Fimon. E' stata svolta un'unica campagna di campionamento; il materiale
è stato prelevato nelle 8 stazioni in cui si sono effettuati i prelievi delle acque.



                            26
          Cadmio Cobalto Cromo Manganese Nichel Piombo Rame Zinco
  stazione     (ppm) (ppm) (ppm)   (ppm)  (ppm) (ppm) (ppm) (ppm)

  staz. A        3    18     105      635     46     62     41     121
  staz. B        4    22     69       176     41     60     25      52
  staz. C        4    20     112      345     46     67     37      83
  staz. D        2    26     178      438     69     41     30      68
  staz. E        3    20     94       194     45     52     22      45
  staz. F       14    19     126      254     52     64     43     116
  staz. G        4    20     84       314     44     59     24      73
  staz. H        4    21     76       134     44     73     26      64
Tabella 2.1.13: concentrazioni dei metalli nei sedimenti, unico campionamento per ognuna delle 8 stazioni




                 media                              range
    elemento                  dev. standard    mediana (ppm)
                 (ppm)                             (min-max)

Cadmio (Cd)            4,8         3,8          4           2-14
Cobalto (Co)           20,8         2,4          20           18-26
Cromo (Cr)           105,5         34,9          99.5        69-178
Manganese(Mn)          311,3        164,2          284        134-635
Nichel (Ni)           48,4         8,9          45.5          41-69
Piombo (Pb)           59,8         9,7          61           41-73
Rame (Cu)            31,0         8,2          28           22-43
Zinco (Zn)            77,8         27,8          70.5        45-121
Tabella 2.1.14: medie e deviazioni standard delle concentrazioni dei metalli tra i dati raccolti in tutto il lago.




                            27
                   METALLI nei SEDIMENTI


         600
                                                Cd
         500
                                                Co
         400                                      Cr
      ppm
         300                                      Mn
         200                                      Ni
         100                                      Pb

          0                                      Cu
            staz. staz. staz. staz. staz. staz. staz. staz.             Zn
             A   B  C   D   E   F  G   H



  Grafico 2.1.6: andamento delle concentrazioni dei metalli nei sedimenti nel semestre giugno/novembre 2004
                   per ogni stazione di campionamento


Risulta interessante confrontare questi dati con i valori riferiti agli stessi elementi ottenuti da 87
campioni della frazione pelitica (< 2 µm) di sedimenti lacustri provenienti da laghi del O-
Australia, S-America, E-Africa, centro Europa, E- Europa e del O- Asia (Forstner e Wittman,
1981) che si possono considerare i valori di riferimento per sedimenti lacustri fini e che sono
riportati nella seguente tabella.


                         media (ppm)      range

               Cadmio (Cd)       0.40       0.1-1.5
               Cobalto (Co)       16        4-40
               Cromo (Cr)        62        20-180
               Nichel (Ni)        66        30-250
               Piombo (Pb)        34        10-100
               Rame (Cu)         45        20-90
               Zinco (Zn)        118       50-250
                      (Forstner e Wittman, 1981)

                            28
I dati riferiti al Lago di Fimon sono una concentrazione totale di un elemento in ogni campione
di sedimento mentre i dati riportati in letteratura sono una concentrazione per la sola frazione
pelitica.
Nonostante ciò è possibile fare delle considerazioni significative dal momento che sono valori
confrontabili, che le concentrazioni di Co, Cr, Ni, Pb, Cu, Zn ricadono tutte all'interno del range
di riferimento e che le concentrazioni di Ni, Cu, Zn sono addirittura inferiori ai valori di
riferimento.
Si può evidenziare che non ci sono accumuli di questi elementi tossici oltre i valori naturali.
L'unico elemento le cui concentrazioni eccedono l'intervallo che consideriamo di "naturalità" è il
cadmio, i cui valori non scendono mai sotto i 2 ppm in tutte le stazioni.
Tutti i valori di concentrazione del cadmio sono di un ordine di grandezza superiori a quelli di
riferimento. Il Cadmio é un elemento estremamente tossico, liberato nell'ambiente sopratutto
dalle attività umane (e.g. utilizzo di fertilizzanti, combustione dei carburanti fossili,
incenerimento RSU). La sua accumulazione in seno alla catena alimentare é nota (fenomeni di
bioaccumulazione e di bioamplificazione) e può risultare in forti concentrazioni nella fauna ittica,
soprattutto nelle specie ittiofaghe. È interessante notare che il sito di maggiore accumulo si
trova in corrispondenza dell’immissione degli scarichi di un impianto di depurazione civile.


2.2 Vegetazione palustre
Sebbene non esistano ad oggi degli studi quantitativi sulla composizione delle comunità
vegetali del Lago di Fimon e che le informazioni sulle idrofite sommerse siano particolarmente
scarse, grazie alla documentazione (Cobau, 1928; Lorenzoni e Chiesura 1964, 1965, 1974; Dal
Lago, 1979; Girardi e Mezzalira 1991; Cariolato e Tasinazzo, 1994) si possono almeno
riconoscere alcune delle situazioni, dal punto di vista vegetazionale, che si sono succedute nei
decenni nel Lago di Fimon.
Fino al 1962 il lago era circondato da una fascia di carici (Carex sp.) e di alberi (in particolare
salici e pioppi), che continuava lungo i fossati che convogliano l'acqua delle colline al bacino
lacustre.
Nel 1962-63 fu attuato un piano mirante a trasformare il Lago di Fimon da ambiente naturale di
tipo palustre in un laghetto privo di vegetazione circumlacuale a vocazione principalmente
turistica. Gli interventi hanno previsto, oltre al dragaggio del fondo del lago, la modifica della
scarpata di riva e la creazione della strada circumlacuale, l'eliminazione totale della cintura
arborea perilacustre, la distruzione di ampie superfici di cariceto spondale, la soppressione
della fascia più esterna del fragmiteto.
Inoltre, nel 1964, il lago è stato ampliato nella porzione settentrionale.
                         29
Negli anni successivi la vegetazione acquatica littorale propriamente detta ricostituì in parte il
suo aspetto originario, mentre la fascia perilacustre arborea e cariceto non hanno potuto
ricostituirsi. Braioni e Gelmini (1984) riportano che, dopo i lavori del 1962, il lamineto ricoprì
quasi interamente lo specchio lacustre.
Un’immagine particolarmente eloquente della situazione delle comunità vegetali negli ultimi
decenni é quella fornita da Cariolato e Tasinazzo (1994), a cui facciamo ampiamente
riferimento qui di seguito.
La vegetazione del bacino naturale risulta nettamente distribuita in fasce concentriche legate
alla persa batimetria. Lo stesso invece non può dirsi per la parte settentrionale del lago, di
origine artificiale in cui la distribuzione della vegetazione non risponde chiaramente alla
variazione di qualche fattore ecologico. Dall'esterno verso l'interno si possono inpiduare le
seguenti cinture vegetazionali:
- lembi di cariceto
- canneto a Phragmites australis e Typha angustifolia
- lamineto a Nymphaea alba
- vegetazione sommersa delle acque interne (potameto).


Prato a carici (cariceto)
Questa delicata cintura risulta molto frammentata e limitata ad alcune piccole superfici con forte
dominanza di alcune carici dalle esigenze particolarmente modeste.
Questo tipo vegetazionale è rappresentato nei punti in cui il terreno sotto la strada è intriso
d’acqua anche durante il periodo estivo. Vi compaiono numerose specie appartenenti al genere
Carex ed in particolare dominano largamente C. acutiformis e C. hirta. A queste si
accompagnano in modo subordinato elementi igrofili quali Carex otrubae, Juncus articulatus,
Juncus inflexus, Juncus bufonius, Lysimachia vulgaris Lysimachia nummularia, Glium palustre
s.p., Lythrum salicaria, Lycopus europaeus, Thalictrum flavum, Lychnis flos-cuculi, Festuca
arundinacea, e delle specie a più ampia amplitudine ecologica quali Poa pratensis, Poa trivialis,
Arrhenatherum elatior, Ranunculus acer, Cruciata laevipes, ecc.
Nella fascia compresa tra il perimetro del lago e la strada perilacustre: ben più diffuse risultano
piccole aree incolte coperte da una vegetazione erbacea di scarso valore che si è sostituita ai
pregiati cariceti climacici. Accanto a queste si rinvengono più limitate superfici sottoposte a
sfalcio regolare e ridotti tratti di vegetazione arborea ed arbustiva. Il corredo arboreo, eliminato
in occasione dei già citati lavori idraulici, è attualmente limitato a singoli esemplari di Salix alba,
ad alcuni filari ripariali di Salix babylonica e a piccoli nuclei di Populus nigra var. italica. Ridotti
tratti di vegetazione arbustiva naturale sono dislocati in più punti della sponda e sono composti
                         30
essenzialmente da: Salix cinerea, Salix viminalis, Frangula alnus, Prunus spinosa, Cornus
sanguinea.


Canneto a Phragmites australis
Costituisce la componente vegetazionale che caratterizza fisionomicamente le aree palustri.
Nel lago di Fimon é ancora presente con una fascia ampia, ma irregolare e frammentata, la cui
diffusione verso il centro lacustre si arresta all'incirca intorno al metro-metro e mezzo, dove
viene sostituita da Typha angustifolia. Unitamente alla dominante Phragmites australis si
rinvengono verso riva alcune grandi carici di maggior significato che non le precedenti (Carex
riparia, Carex vesicaria e Carex elata), nonché Cyperus fuscus, Juncus filiformis, Gyceria
maxima, Iris pseudacorus, Lysimachia vulgaris, Rorippa amphibia, Galium palustre, Lythrum
salicaria e altre erbacee provenienti dai prati umidi circostanti. Questa facies d'interrimento è
caratterizzata perciò da un ricco corteggio floristico.
Dove invece l'acqua si fa più profonda si assiste alla diffusione della facies tipica, pressoché
monofitica cui si accompagnano solo alcune elofite: Schoenoplectus lacustris, Sparganium
erectum.
Come già accennato l'aggruppamento a Typha angustitolia subentra al fragmiteto in senso
stretto dove la profondità dell'acqua tocca circa 1,5 m e non oltrepassa 2 m.
Si tratta di una fascia discontinua molto frammentata, anch’essa in forte contrazione negli ultimi
4-5 anni. La specie caratterizzante è accompagnata dalle elofite già presenti nella contermine
cintura a Phragmites australis.


Lamineto a Nymphaea alba
Molto estesa e continua è la vegetazione che compone questa fascia che, verso l'interno,
delimita un margine con profilo regolare che segna il limite di profondità massimo (2,70 m circa)
della sua estensione. La specie largamente dominante è Nymphaea alba, cui nell'ultimo
decennio si è aggiunta Nuphar lutea che ha manifestato un progressivo e rapido incremento.
Invece Trapa natans, fino ad ancora una decina d'anni orsono abbondante, tanto da costituire
una facies del lamineto, ora si rinviene solo in piccoli gruppi. Negli ultimi anni ha infatti
manifestato una forte diminuzione, fino a scomparire quasi del tutto dalla fascia a Nymphaea,
anche se da tre anni a questa parte sembra denotare un'inversione di tendenza. E' ancora ben
rappresentata nella superficie di origine artificiale: vi si possono rinvenire piccole aree di 10-15
mq in cui si presenta con copertura tapezzante. Trapa natans è una idrofita un tempo piuttosto
comune in tutta la Pianura Padana, ma oggi penuta assai rara. La stazione di Fimon è l'unica
superstite in territorio provinciale, ancor più rilevante in quanto unica stazione veneto-friulana in

                         31
cui sembra presente nella forma tipica. Le cause di queste variazioni non sono note e
meriterebbero di essere indagate. Paradossalmente, mentre tale specie é in rarefazione nel
territorio veneto, dove é endemica, é invece in espansione in altri territori (e.g. in Nord
America), dove é considerata come specie fortemente invasiva.
In questa cintura si rinvengono poche altre specie: Myriophyllum spicatum, Potamogeton lucens
e la rarissima Utricularia vulgaris.


Potameto
Oltre il limite massimo di sviluppo della Nymphaea, nella parte centrale del bacino, è presente
una rada vegetazione sommersa improntata a Najas marina, Myriophyllum spicatum e
Ranunculus tricophyllus. Caratterizzata nel passato dalla presenza di Potamogeton lucens, tale
fascia é oggi invece composta da altre idrofite sommerse. Il termine potameto é quindi utilizzato
qui al fine di mantenere un’omogeneità terminologica con il rapporto di Cariolato e Tasinazzo
(1994).
Cariolato e Tasinazzo (1994) riportano che tale fascia copriva in “modo uniforme e abbondante
... tutta la superficie centrale del lago”. La copertura di questa fascia risulta praticamente
inesistente data la scomparsa di Potamogeton lucens e la rarefazione delle specie di cui sopra
ad eccezione di Najas marina, unica tuttora abbondante” (Cariolato e Tasinazzo 1994).


Stato attuale
Lo studio della comunità vegetale acquatica attualmente insediata nel Lago di Fimon ha
previsto alcune osservazioni dirette. Durante le indagini, si è utilizzato il GPS al fine di definire
nella maniera più esatta possibile le posizioni delle perse fasce di vegetazione all'interno del
bacino lacustre. I dati raccolti durante l'osservazione sono stati istantaneamente riportati in un
foglio che, con l'ausilio di foto aeree, riproduce in maniera semplice e schematica il lago. Una
successiva rielaborazione dei dati raccolti attraverso il GPS ha completato e reso più precise le
osservazioni dirette.
Si sono incontrate perse difficoltà nello studio di alcune zone del lago a causa
dell'impenetrabilità di queste con l'imbarcazione. Per la stessa motivazione non è stato
possibile raccogliere con il GPS le posizioni geografiche del limite interno del canneto che
avrebbero consentito la definizione precisa dell'area occupata da questa fascia.
Per le idrofite sommerse, presenti soprattutto nella zona centrale del bacino, l'elevata torbidità
dell'acqua non ha permesso una semplice osservazione visiva ma ha reso necessari dei
campionamenti della vegetazione. I campionamenti sono stati di tipo casuale e hanno previsto
l'estirpazione di parte della vegetazione in alcune aree molto limitate; Allo scopo si è utilizzato

                         32
un rastrello metallico imanicato.Tra i campioni raccolti quelli di incerta determinazione sono stati
portati in laboratorio dove è stata possibile la determinazione grazie all'uso di testi specifici e
chiavi di determinazione tassonomica.Utilizzando i programmi Arcview® ed Excel® si è
ottenuta una rielaborazione grafica della distribuzione delle perse comunità vegetali presenti
nel Lago di Fimon. Sono state inpiduate 8 associazioni vegetazionali più la categoria che
corrisponde alle aree in cui non è presente vegetazione. Per ognuna di queste è stato possibile
calcolare la superficie che ricoprono nello specchio lacustre. Con la stessa tecnica è stato
inoltre trasformato il disegno tratto da Lorenzoni-Chiesura 1964 sulla distribuzione delle
comunità vegetali del Lago di Fimon prima dei lavori del 1962; è stato inoltre effettuato il
confronto comparativo con la situazione osservata nel 2004 (Fig. 2.1.1) per verificare
l’evoluzione della situazione floristica delle idrofite del lago (Tab. 2.1.1).


                                Copertura (%)        Copertura (%)
 Associazioni vegetazionali
                                   1962            2004
 Zona priva di vegetazione                     43,1             4,6
 Phragmites australis                        30,0             1,0
 Trapa natans                            14,8             0,2
 Nuphar luteum, Nymphaea alba                    8,1             33,7
 Ranunculus tricophyllus                       3,9             0
 Najas marina, Myriophyllum spicatum, Trapa
                                    0             0,8
 natans
 Nuphar luteum, Nymphaea alba, Phragmites
                                    0             3,6
 australis
 Potamogeton natans                          0             <0,1
 Najas marina                             0              46

  Tabella 2.2.1: confronto tra le associazioni vegetali riconoscibili nel Lago di Fimon negli anni 1962 e 2004.




                            33
Fig. 2.2.1: Distribuzione delle 9 tipologie GIS nel Lago di Fimon nel 1962 (tratto da Lorenzoni-Chiesura, 1964). Le
                   tipologie GIS sono indicate nella Tab. 2.1.2

                            34
Fig. 2.2.2: distribuzione delle 9 tipologie GIS nel Lago di Fimon nel 2003 (lavoro attuale).
                      35
Nei sopralluoghi del 2004 la vegetazione acquatica risulta abbondante ma il numero di specie é
ridotto.
Si distinguono fasce di vegetazione concentriche con elofite nella zona di riva (canneto),
seguite da idrofite galleggianti (lamineto) e, nella zona più interna, idrofite sommerse.
Il lago è circondato da canneto costituito in forte dominanza dalla cannuccia di palude
(Phragmites australis). La fascia risulta continua lungo il perimetro del lago anche se con
spessore notevolmente vario che si aggira tra i 2 e i 7 m. Questa continuità si interrompe
brevemente più volte lungo la sponda ovest dove sono presenti scivoli e imbarcaderi per
l'approdo delle barche e piazzole di osservazione. In alcune aree del lago, nella zona est ed in
particolare nella parte settentrionale nella porzione di bacino di origine artificiale, sono presenti
"isole" vegetazionali costituite da canneto. Rispetto a quanto riportato da Chiesura-Lorenzoni
(1964) , tale zona mostra una riduzione del 19 %.
Al limite interno del canneto, ma senza interruzione di continuità, dove cambia la profondità
inizia il lamineto e si porta per alcuni metri (anche per decine di metri in alcune zone) verso il
centro alveo. La fascia è costituita da Ninfea gialla (Nuphar luteum) e Ninfea bianca (Nymphaea
alba) come specie dominanti e Lingua d'acqua (Potamogeton natans) e Castagna d'acqua
(Trapa natans), quali specie secondarie. Il lamineto presenta alcune variazioni lungo il
perimetro del bacino per omogeneità e specie dominante. La sponda est e nord-est del bacino
si caratterizza per una più completa copertura vegetale della superficie dell'acqua e per la
dominanza di Ninfea bianca sulla Ninfea gialla. Per il lato ovest si osserva invece una copertura
meno omogenea e con dominanza di Ninfea gialla su Ninfea bianca. Appena oltre questa
fascia, andando verso il centro del bacino, sono state osservate piccole macchie di Castagna
d'acqua. Sempre in questo versante, nelle vicinanze dell'imbarcadero e dello scivolo, sono
presenti alcune aree poco estese con copertura a Potamogeton natans. L'area occupata da
idrofite galleggianti si fa particolarmente spessa (arrivando anche a 20-30 metri di larghezza)
nella porzione sud del bacino ma è costituita da "isole" di vegetazione e non da una vera e
propria fascia continua di copertura.
Rispetto a quanto riportato da Chiesura-Lorenzoni (1964), l’estensione del lamineto é
aumentata (ca. 38%) e la sua composizione specifica mostra una chiara diminuzione della
castagna d’acqua ed un parallelo aumento della Ninfea bianca e della Ninfea gialla. Braioni e
Gelmini (1984) notano che, dopo i lavori del 1962, il lamineto invase quasi interamente la
superficie centrale del Lago di Fimon, suggerendo che anche la dimensione di tale zona possa
variare drasticamente nei decenni.
Nell'area centrale del bacino il fondale appare quasi completamente coperto da un tappeto di
idrofite sommerse. Tuttavia, a causa della scarsa visibilità e del sistema di raccolta utilizzato,
non é possibile stabilire la densità di tali coperture. Questo tappeto é composto quasi
interamente da Najas marina, accompagnata talora da Myriophyllum spicatum. La copertura
complessiva da parte delle idrofite risulta più importante rispetto al 1962 (incremento del 42.1
                         36
%), con la scomparsa di Ranunculus trycophyllum e l’apparizione di due nuove specie. Tale
situazione sembra esser cominciata negli anni ’90. Negli anni ’80, invece, la copertura della
fascia a Potamogeton, Najas, Myriophyllum e Ranunculus era “uniforme e abbondante su tutta
la superficie centrale del lago, mentre nel 1994 tale fascia era rada e “praticamente inesistente,
data la scomparsa di Potamogeton” e la rarefazione delle altre specie, ad esclusione di “Najas
marina, l’unica tuttora abbondante” (Cariolato e Tasinazzo 1994).
Solamente poche e poco estese zone nel centro lago risultano libere da vegetazione acquatica.
É difficile mettere in relazione tale situazione dinamica all’evoluzione della qualità delle acque
(e.g. trasparenza) e alla struttura della comunità ittica del Lago di Fimon (e.g. evoluzione della
biomassa delle specie ittiche fitofaghe). Tuttavia, i cambiamenti osservati in seno alla comunita
ittica potrebbero spiegare l’apparizione dei tappeti di Najas marina e la riduzione del potameto
propriamente detto (i.e dominato da Potamogeton lucens). L’aumento delle specie ittiche
parzialmente erbivore (e.g. carpa, carassio, abramide) potrebbe infatti essere legato alla
riduzione delle idrofite sommerse meno coriacee (e.g. Potamogeton, Ranunculus,
Myriophyllum) presenti nel Lago di Fimon. Questa situazione avrebbe potuto favorire Najas
marina specie provvista di spine e quindi probabilmente meglio protetta contro le specie ittiche
erbivore. Tale ipotesi resta comunque da verificare.
La comunità vegetale del Lago di Fimon sembra essere in costante evoluzione, con la
rarefazione di specie un tempo abbondanti (e.g. Trapa. natans, Potamogeton lucens) e,
viceversa, l’aumento della copertura relativa di altre specie prima più contenute (e.g. Najas.
marina). Data l’importanza delle idrofite sommerse nel funzionamento ecologico dei sistemi
lacustri (Scheffer, 1998), é importante prendere in considerazione questa componente
dell’ecosistema del Lago di Fimon nei piani di gestione futuri.



2.3 Vegetazione della banda boscata ripariale
La vegetazione arborea nelle Valli di Fimon si sviluppa secondo una distribuzione che è in
dissonanza con quanto avviene generalmente in natura. Infatti le specie più termofile si
collocano nelle zone più sommitali, dove possono godere di un maggiore irraggiamento, mentre
le più microterme occupano il fondovalle.
La vegetazione del Lago di Fimon costutisce un popolamento di grande interesse naturalistico,
dato il suo carattere relitto, rappresentativo di un tipo di ambiente che caratterizzava, prima
delle bonifiche, ampie porzioni della Pianura Padana.
Negli ambienti lacustri la vegetazione è di norma distribuita secondo fasce concentriche in base
ai persi gradi di igrofilia delle specie che vanno a comporle. Per cui a partire dall’esterno del
lago verso il centro, in una situazione ideale troveremo sulla riva una fascia di alberi, seguita da

                        37
una fascia di erbe igrofile, quindi dal canneto, da un lamineto acquatico ed infine da una zona
caratterizzata da vegetazione completamente sommersa.
Analizzando in dettaglio la vegetazione legnosa, la sua distribuzione in ambienti simili al Lago di
Fimon e inseriti nello stesso contesto climatico è generalmente riassumibile come segue. Le
associazioni arboree si distribuiscono secondo seriazioni in base ai persi gradi di adattamento
alla sommersione temporanea del tronco e delle radici. Sul ciglio della riva si colloca, in genere,
il Frangulo-Salicetum cinereae o, nelle stazioni più termofile, il Salicetum triandrae, composti da
consociazioni di forme cespugliose di salici arbustivi (Salix cinerea, Salix triandra, Salix
purpurea) e Frangula alnus e/o Alnus glutinosa. Seguono il Populo-Salicetum albae (formato da
Salix alba, Populus nigra, P. alba, Viburnum opalus, Crataegus monogyna, Frangula alnus,
Rubus caesius e altri) e l’Alnetum (in cui è sempre presente l’Alnus glutinosa). Infine, nella
fascia più esterna, si insediano le formazioni boschive appartenenti alle associazioni dell’Ulmo-
Fraxinetum o del Querco-Carpinetum. Prima del grande sconvolgimento apportato dai lavori
svolti negli anni ’60, in particolare per la realizzazione del progetto “Bonifica delle valli,
trasformazione del lago in invaso per fini irrigui, attrezzare il lago per usi turistici e sportivi” (che
prevedeva, tra le altre cose, il dragaggio della fascia perimetrale del lago), la vegetazione
arborea perilacustre era molto fitta e ricca. Le specie più abbondanti erano ontani, salici, olmi e
pioppi. La folta fascia boscata risultava addirittura impenetrabile in alcuni suoi punti, come
risulta da molte foto dell’epoca. Pertanto, malgrado le forti operazioni di bonifica e messa
coltura dei terreni, veniva ancora parzialmente conservato l’antico equilibrio ambientale.
Durante i lavori eseguiti nel 1962-63 la vegetazione della banda boscata ripariale venne quasi
completamente distrutta. Il profilo della scarpata della riva del lago fu modificato, creando un
netto scalino che separava nettamente l’ambiente di riva dallo specchio lacustre.
Negli anni successivi la vegetazione arborea si presentava molto rarefatta, con alcuni inpidui
che erano riusciti a nascere spontaneamente e altri piantati artificialmente al fine di ripristinare
un equilibrio sconvolto dai lavori precedenti. Nel complesso la fascia boscata stava andando
incontro ad una lenta ricomposizione. In particolare, erano riusciti ad affermarsi alcuni salici
(Salix alba, Salix purpurea, Salix caprea e Salix triandra) e alcune specie arbustive tipiche di
ambienti umidi (Frangula alnus, Cornus sanguinea, Sambucus nigra, Prunus spinosa e Rosa
canina). Le specie che, invece, erano state introdotte artificialmente erano per lo più pioppi
cipressini (Populus nigra var. italica) e salici piangenti (Salix babylonica). Questi elementi
arborei ed arbustivi si alternavano, in alcune aree, ad una abbondante macchia di arbusti
infestanti (Rubus sp.).
I lavori eseguiti dai Servizi Forestali negli anni tra il 1996 e il 1999, ad esecuzione del progetto
del 1994 dell’allora Azienda Regionale Foreste (oggi Veneto Agricoltura) smantellarono in parte
lo scalino creato artificialmente durante i lavori degli anni ‘60, rimodellando la sponda secondo
una pendenza più dolce e più adatta alla vita vegetale. Scopo dell’intervento era quello di
ricreare l’assetto naturale della sponda e di ricomporre le fasce vegetali periferiche, in

                          38
particolare quelle arboreo – arbustive. Sono state, a tal proposito, eseguite azioni pilota di
rimboschimento applicate ad aree campione volte a ripristinare l’antico equilibrio e a rinfoltire la
vegetazione forestale drasticamente ridotta in precedenza. In particolare, l’operazione di
rimboschimento ha interessato quelle aree della fascia perilacustre chiuse al traffico
automobilistico, rispettando l’equilibrio naturale che si stava ricreando dopo lo smantellamento
degli anni ’60, per uno sviluppo complessivo di 2,47 ha e di 1.850 m lineari discontinui.
L’intervento si è basato su un approfondito studio sulle associazione arboree anticamente
presenti nella fascia perilacustre del Lago di Fimon e, in generale, in ambienti simili per clima,
terreno e altitudine.
Sulla base di questi studi si è optato per un rimboschimento organizzato su tre fasce
concentriche partendo dal limite di contatto tra acqua e terreno e procedendo verso l’esterno.
La prima fascia è stata rimboschita per una larghezza di 1 – 1,5 m, avendo cura di impiegare
specie caratterizzate da un alto grado di igrofilia. Le piante inserite e la loro percentuale di
impiego sono riportate in tabella 2.3.1.


                 Specie          Percentuale (%)
                 Salix cinerea          50
                 Salix triandra          5
                 Alnus glutinosa         5
                 Viburnum opalus         5
                 Cornus sanguinea         10
                 Rhamnus frangula         25

      Tabella 2.3.1: Caratteristiche del rimboschimento del 1996 – 1999 nella fascia più interna.


La seconda fascia rimboschita aveva dimensioni maggiori, di larghezza variabile, a seconda
delle zone da 5 a 19 m, in modo da costituire la banda boscata principale. Qui le piante, alberi e
arbusti riportati in tabella 2.3.2, sono state poste con sesto irregolare, sinusoidale. Un impianto
di tale tipo ha mirato a mascherare l’artificialità dell’intervento, cercando di ricreare un ambiente
il più naturale possibile, provando a mediare tra esigenze gestionali e esigenze ambientali.
Infine, nella terza fascia, quella più esterna, è stato riproposto un rimboschimento di larghezza
pari a 1 – 1,5 m, che è andato ad occupare la scarpata stradale. In questa fascia sono state
introdotti solo elementi arbustivi, dato che le condizioni di questa zona sono più simili alla realtà
collinare che non a quella ripariale. Sono, pertanto, stati utilizzati inpidui a carattere eliofilo
che rappresentano una sorta di transizione verso le condizioni più continentali del colle. Le
specie inserite nel rimboschimento sono riportate in tabella 2.3.3.
                         39
          Specie           Percentuale (%)
          Specie arboree
          Alnus glutinosa           40
          Salix alba             50
          Salix triandra           10
          Specie arbustive
          Rhamnus frangula          20
          Cornus sanguinea          15
          Crategus monogyna          15
          Sambucus nigra           15
          Prunus spinosa            5
          Ligustrum vulgare          5
          Viburnum opalus           5
          Rhamnus cathartica          5
          Rosa canina             5
          Corylus avellana           5
          Euonymus europaeus          5
Tabella 2.3.2: Caratteristiche del rimboschimento del 1996 – 1999 nella fascia centrale.




           Specie          Percentuale (%)
           Cornus sanguinea     10
           Crategus monogyna     15
           Prunus spinosa      15
           Rhamnus cathartica    15
           Rosa canina        5
           Corylus avellana     10
           Ligustrum vulgare     10
           Cornus mas        10
           Viburnum lantana     10

Tabella 2.3.3: Caratteristiche del rimboschimento del 1996 – 1999 nella fascia esterna.



                     40
In generale, il rimboschimento è stato organizzato in modo da creare una situazione che fosse
al contempo il più naturaliforme possibile ma anche adatta all’accessibilità umana, dato che
negli ultimi anni il Lago di Fimon si è affermato come una realtà capace di attirare un discreto
turismo domenicale. Si sono perciò adottati dei sesti d’impianto piuttosto radi e non omogenei,
ricreando ora macchie di vegetazione fitta, di particolare utilità per la fauna locale, ora aree più
rade dove la gente possa facilmente accedere e sostare.
A distanza di una decina d’anni dall’intervento dei Servizi Forestali, l’operazione può essere
valutata positivamente grazie al suo effetto incrementante della biopersità e all’aumento della
capacità autodepurante delle acque, dato che è stata data possibilità di affermazione di alcune
piante con capacità depurative.
Il rimboschimento si è rivelato fondamentale per l’arricchimento del corredo vegetazionale delle
rive del lago. Sono state, infatti, inserite nuove specie arboree ed arbustive tenendo in alta
considerazione le caratteristiche fitoclimatiche della zona e la natura del suolo, in modo da
ricreare un ambiente il più naturale possibile.
Uno studio sull’efficacia del rimboschimento degli anni ’90 è stato eseguito appena dopo
l’esecuzione dei lavori da Chiesura Lorenzoni e Dal Lago. Scopo del lavoro era quello di fornire
un’indagine floristica e confrontare i dati con quelli relativi alla vegetazione prima dell’intervento
degli anni ’60. A tal fine è stata svolta un’accurata indagine, basata su rilievi eseguiti in 7 aree
di saggio a persa fisionomia floristica(prati, incolti, sponde e bosco) nelle aree sud-ovest e
sud-est del lago.
Nel corso di queste indagini sono state rilevate 19 nuove specie (Juglans regia, Barbarea
vulgaris (R), Cardamine bulbifera, Thlaspi perfoliatum, Lathyrus pratensis, Trifolium hibridum,
Trifolium campestre, Acalypha virginica, Centarium erythraea, Lamium purpureum, Calamintha
sylvatica, Thymus pulegioides (R), Solanum luteum, Veronica serpylifolia (R), Aster lanceolatus
(R), Juncus tenuis, bromus sterilis, Trisetum flavescens, Carex contigua). Queste specie, per la
maggior parte tipiche dei prati, sono rappresentative di un’evoluzione della vegetazione della
parte superiore delle rive, non più soggetta alle oscillazioni della lama d’acqua. In particolare,
nell’area oggeto di rimboschimento sono state censite 10 specie nemorali, definite tipiche del
sottobosco da Chiesura nel 1964 e non più segnalate nelle indagini successive. Questo evento
può indicare l’avvio di un ritorno a condizioni forestali più simili a quelle originarie.
Successivamente, sulla base di dati rilevati nel 2000, Brunello ha fornito anche un’analisi
dendro – auxometrica del nuovo popolamento. Le sue considerazioni sono che l’ecosistema ha
dimistrato una grande ripresa sia dal punto di vista della biomassa, che da quello della
biopersità. Un altro dato incoraggiante è l’ottima integrazione che si è dimostrata tra la
vegetazione di neo - impianto e quella presente precedentemente.




                         41
2.4 Ittiofauna
Il numero di specie ittiche presenti all’interno del territorio italiano ha continuato ad aumentare
negli ultimi anni a causa di immissioni di materiale ittico proveniente dai paesi stranieri. Tale
fenomeno non ha risparmiato il Lago di Fimon la cui comunità ittica é attualmente composta al
60 % circa da specie alloctone. Sebbene non sia possibile stabilire quale fosse la composizione
della comunità ittica originaria del Lago di Fimon, le testimonianze storiche ci permettono di
sapere quali fossero le specie presenti almeno alla fine del XIX secolo. Torossi (1887) riporta
che nel Lago di Fimon risultavano presenti 12 specie ittiche nel 1887; tra queste, le più
“frequenti” erano la carpa (Cyprinus carpio carpio), la tinca (Tinca tinca), l’anguilla (Anguilla
anguilla), la scardola (Scardinius erythrophthalmus), il luccio (Esox lucius), il triotto (Rutilus
aula), la savetta (Chondrostoma soetta) e la lasca (Chondrostoma genei); occasionali erano
rinvenimenti di cavedano (Leuciscus cephalus), di alborella (Alburnus alburnus), di cobite
comune (Cobitis taenia) e di ghiozzi (in questo caso non si ha nessuna informazione se si tratta
di panzaroli o di ghiozzi padani). Tale lista ci permette di constatare che la carpa, specie di
origine asiatica, era già presenti nel secolo scorso. Confrontando le specie citate da Torossi
con quelle rinvenute durante i lavori eseguiti nel 1986 (Marconato et al., 1986a; 1986b) si può
notare un aumento di 7 nuove specie che passavano da 12 a 19.
Indagini più recenti (Salviati et al., 1994) hanno confermato la presenza di 18 specie rispetto al
1986. Oltre ai centrarchidi ed al pesce gatto, frequenti nel lago, é da notare la presenza di
specie perticolamente invasive, tali il carassio (Carassius sp.), l’abramide (Abramis brama) ed il
siluro (Silurus glanis). Negli ultimi anni (2002-2003), in occasione di campagne di cattura per il
contenimento del siluro, è stata evidenziata la presenza di altre tre specie alloctone, quali il
rodeo amaro (Rhodeus amarus), la pseudorasbora (Pseusorasbora parva) e il lucioperca
(Sander lucioperca). Pertanto, il totale delle specie ittiche residenti è salito a 21 (Tabella 2.4.1).
Nei campionamenti eseguiti nel 1986 non sono stati catturati esemplari di savetta e di lasca,
probabilmente a causa della presenza della soglia di sbarramento idraulico all’imboccatura
dell’emissario, che ne impepano la risalita durante il periodo della riproduzione. Una sempre
più crescente visione ecologica e naturalistica dell’ambiente ha motivato la federazione Italiana
Pesca Sportiva (FIPAS) sezione di Vicenza in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale
di Vicenza a realizzare un passaggio artificiale per pesci in corrispondenza del manufatto al fine
di ripristinare i flussi migratori delle specie ittiche. Il passaggio artificiale per pesci, costruito nel
1999, è stato tarato in base alle necessità delle specie ittiche (i ciprinidi in particolare) presenti
nel lago e nel suo emissario.




                          42
ITTIOFAGI                        ZOOPLANCTOFAGI/BENTOFAGI
 ANGUILLIDI                        CIPRINIDI
   Anguilla (Anguilla anguilla)                Lasca (Chondrostoma genei) **
 ESOCIDI                            Savetta (Chondrostoma soetta) **
   Luccio (Esox lucius)                    Triotto (Rutilus aula)
 PERCIDI                            Cavedano (Leuciscus cephalus)
   Persico reale (Perca fluviatilis)              Tinca (Tinca tinca)
   Lucioperca (Sander lucioperca) *              Scardola (Scardinius erythrophthalmus)
 SILURIDI                            Alborella (Alburnus alburnus)
   Siluro d’Europa (Silurus glanis) *             Carassio dorato (Carassius sp.) *
 CENTRARCHIDI                          Carpa (Cyprinus carpio carpio) *
   Persico sole (Lepomis gibbosus) *              Carpa erbivora o Amur (Ctenopharyngodon
   Persico trota (Micropterus salmoides) *          idella) *
                                 Abramide (Abramis brama) *
                                 Rodeo amaro (Rhodeus amarus) *
                                 Pseudorasbora (Pseudorasbora parva) *
                              COBITIDI
                                 Cobite comune (Cobitis taenia taenia) **
                              GOBIDII
                                 una o più specie **
                              ICTALURIDI
                                 Pesce gatto (Ameiurus melas) *
                              PECILIDI
                                 Gambusia (Gambusia affinis) *


  Tabella 2.4.1: Specie ittiche presenti nel Lago di Fimon. Le specie alloctone sono indicate da un asterisco.
                 Le specie estinte sono indicate da due asterischi.


Nei campionamenti eseguiti nel 1994 le specie più abbondanti in biomassa sono l’abramide ed
il siluro, entrambe alloctone. La presenza di queste due specie, assieme a quella di altri ciprinidi
alloctoni, ha probabilemente un’influenza importante sulla struttura di popolazione delle altre
specie ittiche; infatti la quantità di scardole, triotti ed alborelle si mantiene a livelli ridotti. La
concorrenza trofica delle specie alloctone nonché la predazione esercitata dai grossi predatori
(e.g. il siluro) sono tra le più probabili cause di un tale fenomeno.
Le recenti iniziative di controllo esercitate sulle specie alloctone (in particolare sul siluro) da
parte dell’Amministrazione Provinciale stanno ottenendo dei risultati incoraggianti: nel 2002
sono stati catturati complessivamente 115 esemplari con lunghezza totale media di 684 mm ed
un massimo di 1500 mm (per una biomassa complessiva che assomma a 380 kg); nel 2003 la
quantità di siluri catturati è aumentata a 802 inpidui, con una lunghezza media di 660 mm ed
                         43
un massimo di 2050 mm; la biomassa complessiva era di 3800 Kg. Resta tuttavia da verificare
se la popolazione di siluro sia in declino oppure si sia stabilizzata nonostante le operazioni di
contenimento.
Per ottenere risultati positivi, l’iniziativa dovrà essere protratta a lungo nel tempo in quanto il
siluro presenta una popolazione ben strutturata che si riproduce all’interno del lago (sono stati
catturati numerosi inpidui nati in sito); sebbene non si riuscirà ad estirpare il siluro dal Lago di
Fimon, riuscire a mantenere la sua popolazione a livelli ridotti potrà essere considerato come
un successo. Fino ad ora le operazioni di contenimento hanno riguardato esclusivamente la
zona litorale (S. Salviati, comm. pers.), dove gli inpidui venivano catturati tramite
elettrostorditore. Tale tecnica é particolarmente adatta per i siluri di piccola e media taglia, altre
tecniche (e.g. tramagli) potranno essere utilizzate ad integrazione per rendere più incisiva
l’azione.
Oltre ad azioni di contenimento della fauna ittica alloctona, delle immissioni controllate di lucci e
persici reali, promosse sperimentalmente dalla Amministrazione Provinciale nell’ambito dei
programmi di gestione della Carta Ittica, hanno dato buoni risultati; la presenza di lucci, anche
di taglia considerevole, non è infrequente ed il persico reale ha colonizzato stabilmente ampie
fasce lacustri dove le condizioni ambientali sono migliori.
Sarebbe ora necessario fare un bilancio quantitativo dello stato della comunità ittica presente
nel Lago di Fimon, essendo questa evidentemente, almeno da un punto di vista della
composizione specifica, in costante evoluzione. Una caratterizzazione dei parametri specifici e
demografici delle popolazioni ittiche dovrebbe essere ripetuta . Tali informazioni dovrebbero
essere accompagnate da una precisa stima dei prelievi da parte dei pescatori sportivi (per il
contenimento delle specie alloctone). L’analisi degli accrescimenti e dei contenuti stomacali
permetterà di completare il quadro relativo alla caratterizzazione della struttura della rete trofica
del lago, elemento indispensabile per poter aggiornare il piano di gestione.



2.5 Organismi planctonici
A nostra conoscenza, il solo lavoro sugli organismi planctonici del Lago di Fimon é quello
eseguito da Braioni e Gelmini (1978) sulla comunità dei rotiferi (“microzooplancton”). Lo scopo
del lavoro era la valutazione degli effetti su tale comunità di invertebrati a seguito della
rimodellazione delle sponde (e della conseguente riduzione del canneto) effettuata nel 1962. I
risultati indicano che delle specie tipicamente litorali avevano colonizzato il centro del lago dopo
l’intervento del 1962. Braioni e Gelmini (1978) attribuiscono tale fenomeno alla quasi completa
copertura della parte centrale del lago da parte del lamineto avvenuta in seguito alla riduzione
del canneto. Inoltre, il rinvenimento di specie di rotiferi legate ad ambienti eutrofi, conferma
quanto detto sullo stato trofico del Lago di Fimon.

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Nessun lavoro ha analizzato le comunita di microcrostacei (“macrozooplancton”) del lago. Solo
dei campionamenti qualitativi e sporadici effettuati nel 1999 permettono una valutazione
sommaria dello stato delle comunità del macrozooplancton (A. Bertolo, obs. pers.).
L’osservazione al microscopio ottico binoculare di tali campioni (prelevati con un retino per
zooplancton a maglie di 200 µm nella zona centrale del lago) ha rivelato delle comunità
dominate da copepodi calanoidi di taglia media (600-800 µm ca.) e cladoceri (sopratutto
Ceriodaphnia spp. e Bosmina spp.) di taglia piccolo-media (300-400 µm ca.). L’assenza di
cladoceri di taglia grande (e.g. Daphnia spp.; 1000-1800 µm), particolarmente vulnerabili ai
predatori vertebrati (Brooks e Dodson, 1965), suggerisce dei forti tassi di predazione da parte
dei pesci zooplanctofagi sullo zooplancton (Bertolo, 1998). I copepodi (in particolare i calanoidi)
e i cladoceri di piccola taglia sono invece meno vulnerabili alla predazione da parte dei pesci
zooplanctofagi ed in genere dominano nelle acque con forti biomasse di tali specie ittiche.
A parte le indicazioni sommarie di fioriture algali riportate da Braioni e Gelmini (1978) negli anni
’60, nessuna informazione é disponibile sulle comunità fitoplanctoniche del Lago di Fimon. Vista
la natura eutrofica del Lago di Fimon, non sono da escludersi dei rischi di esplosioni algali da
parte di gruppi potenzialmente pericolosi come le alghe azzurre (cianobatteri), capaci di
provocare delle intossicazioni severe alla fauna che frequenta il lago. Gli effetti delle alghe
azzurre sul piano estetico (formazione di ammassi maleodoranti alla superficie dell’acqua)
possono essere altrettanto nefasti e comportare un problema per il turismo locale. Un piano di
monitoraggio della composizione e dell’evoluzione di tale comunità é quindi auspicabile.


Macroinvertebrati bentonici


Nessuna informazione sembra essere disponibile per quanto riguarda gli invertebrati bentonici.




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3. Interesse archeologico delle Valli di Fimon
L’origine e l’evoluzione morfologica e ambientale delle Valli di Fimon sono state oggetto di vari
studi. G. Bartolomei (contributo in Barfield e Broglio, 1986) ha affrontato i problemi da un
punto di vista generale, mentre D. Magaldi (1973 e contributo in Barfield e Broglio, 1986) ha
studiato sedimenti e suoli di due carote profonde 5 m e di una sezione artificiale messa in luce
nel sito neolitico di Molino Casarotto (settore 4, riquadro 30U). M.V. Durante Pasa (1972 e
contributo in Barfield e Broglio, 1986) ha analizzato il contenuto pollinico dei sedimenti limosi e
torbosi delle stesse carote, mentre in precedenza F. Lona (1960) aveva esaminato una serie
pollinica prelevata in prossimità del lago, fino alla profondità di 5.4 m. Tutte queste serie si
riferiscono alla parte superiore del deposito limoso e al deposito torboso soprastante; dal punto
di vista cronologico non si spingono oltre il Tardiglaciale würmiano. Non vi sono dunque dati
relativi all’andamento del Talweg e allo spessore dei limi, se non un cenno di G.Bartolomei,
sulla constatazione fatta in un sondaggio, dove i limi superano 20 m di spessore. È probabile
che la serie limosa e torbosa di Fimon costituisca un archivio privilegiato della storia climatica
dell’area berica nel corso del Quaternario (secondo l’ipotesi di G.Bartolomei, limitatamente alla
parte recente del Pleistocene medio, al Pleistocene superiore e all’Olocene).
Nelle Valli di Fimon sono venuti in luce, sia sulla superficie dei terreni coltivati, a seguito delle
arature, sia nelle cave di torba (attive sopprattutto nel corso delle due guerre mondiali), sia
infine nei pochi scavi archeologici organizzati nel XIX e nel XX secolo, vari siti preistorici o
reperti isolati. Nessuno di questi siti può essere riferito al Paleolitico o al Mesolitico: i dati
cronostratigrafici e la tipologia dei reperti indicano concordemente l’appartenenza a vari
momenti del Neolitico, dell’Età del Rame e dell’Età del Bronzo. Le attuali conoscenze sono
buone soltanto per quelle età, alle quali si riferiscono siti scavati sistematicamente con criteri
interdisciplinari.


Cronologia e paleoecologia dei siti preistorici


Neolitico antico (prima metà del V millennio a.C.). Alcuni manufatti litici e ceramici trovati
all’infuori di contesti stratigrafici suggeriscono l’esistenza di alcuni siti della Cultura di Fiorano,
che rappresenta l’aspetto del primo Neolitico nell’area berico-euganea, romagnola ed emiliana
orientale. Essa si colloca cronologicamente nell’Atlantico, attorno a 5000 anni a.C. (in termini di
cronologia calendariale). Sono stati segnalati ritrovamenti nello scasso per la costruzione della
canaletta sulla destra della Valle di Fimon, sotto il versante di Lapio; nello scavo Perin a
Capitello, a nord-ovest del Lago; nel terreno a nord del Lago, sotto il versante della collina di
Pianezze (Barfield e Broglio, 1966; contributo di A.Pedrotti in Barfield e Broglio eds., 1986).


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Neolitico medio (seconda metà del V millennio a.C.- inizio IV millennio). Il pieno Neolitico è
rappresentato dalla Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, che ha una eccellente documentazione
archeologica nel sito di Molino Casarotto, scavato sistematicamente su 474 mq tra il 1970 e il
1972 (Bagolini, Barfield e Broglio, 1973; Magaldi, 1973; Durante Pasa, 1972; Jarman, 1971;
Corona, D’Alessandro e Follieri, 1974; Jarman, Bayley e Jarman, 1982). Lo scavo ha messo in
luce tre aree di abitazione, allineate parallelamente alla mediana della valle, ad un centinaio di
metri dal versante della collina di Lapio. Le strutture poggiano sul limo, che mostra ampie
fenditure da disseccamento, dovuto probabilmente ad intervento antropico, e sono costituite da
bonifiche formate da pali orizzontali che sostengono focolari centrali, sostenuti da pietre di
riporto e rinnovati ripetutamente con straterelli di argilla o di limo. Le pareti delle capanne,
intonacate con argilla, erano sostenute da pali (prevalentemente di ontano e di frassino) infissi
verticalmente nel limo fino a 100-150 cm; lo studio dendrocronologico ha messo in evidenza
varie fasi costruttive. L’economia del sito era basata prevalentemente sullo sfruttamento dei
prodotti del lago (raccolta delle castagne d’acqua e dei molluschi, pesca, piccola caccia alle
tartarughe) e dalla caccia (cervo, cinghiale, capriolo). Le attività produttive avevano un ruolo
secondario (rari semi di frumento e resti di ovicaprini e di bue). Numerose datazioni
radiometriche collocano il sito nella seconda metà del V millennio a.C.. Alle strutture di queste
abitazioni neolitiche si sovrappongono un deposito torboso, privo di tracce di frequentazione
antropica formatosi in acque prevalentemente stagnanti, e quindi il suolo dovuto all’accumulo di
materiali provenienti dalle colline circostanti.
Altre segnalazioni di reperti neolitici della stessa età riguardano la Fontega e Capitello di
Fimon (contributo di A. Pedrotti in Barfield e Broglio, 1986).


Neolitico recente (seconda metà del IV millennio a.C.). Pochi reperti ceramici e litici
attestano un sito del Neolitico recente all’imboccatura della Valle del Lago, alla base della
collina di Lapio. La ceramica è caratteristica della fase recente della Cultura dei Vasi a bocca
quadrata, e più precisamente dell’aspetto berico-euganeo (contributo di A.Pedrotti in Barfield e
Broglio, 1986).


Età del Rame (III millennio a.C.). Dalle Valli di Fimon provengono alcuni manufatti che
potrebbero appartenere all’Età del Rame; non si può tuttavia escludere la loro appartenenza ad
un momento tardo del Neolitico o alla prima Età del Bronzo. La Fontega ha dato un pugnale di
selce tipo Remedello ed un’ascia di rame (Broglio e Fasani, 1975).


Antica Età del Bronzo (attorno al 2000 a.C.). La revisione dei reperti degli scavi di Paolo Lioy
nell’area a nord del lago nelle località chiamate dall’Autore “Pascolone” e Ponte della Debba
(1865; 1876) ”, di incerta identificazione, e lo scavo del Fondo Tomellero, realizzato nel 1970
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pure a nord del lago (Aspes e Fasani, 1972; Broglio e Fasani, 1975) hanno consentito un
inquadramento cronostratigrafico e culturale dei siti dell’Età del Bronzo.
Gli scavi condotti da P.Lioy nell’area a nord del Lago nel 1864 e nel 1871 misero in luce due
abitati interpretati come palafitte con impalcati costruiti sopra il pelo dell’acqua. Di essi P. Lioy
presentò anche una ricostruzione (Lioy 1865, tav. I fig. 2). Alla luce delle ricerche degli ultimi
decenni, che nell’area alpino-padana hanno drasticamente ridimensionato l’interpretazione
“palafitticola” in favore di un’interpretazione “tipo bonifica”, la sezione del Pascolone rilevata da
P. Lioy (1876, pag. 186) sembrerebbe effettivamente appartenere ad un insediamento
palafitticolo, data la presenza di due strati antropizzati separati da limo lacustre ed attraversati
da pali infissi verticalmente nel limo sottostante allo strato inferiore.
L’insieme dei reperti del Pascolone appare eterogeneo, nel senso che comprende manufatti
litici e ceramici riferibili ad un intervallo cronologico che va dalla fine dell’Età del Rame alla
Media Età del Bronzo. Viceversa i reperti dello “strato superiore” del sito di Ponte della Debba
rappresentano bene l’aspetto berico-euganeo della Cultura di Polada, riferita all’Antica Età del
Bronzo.
All’Età del Bronzo appartengono alcuni reperti di grande interesse e rarità venuti in luce
casualmente nelle torbiere, come le piroghe monossili (da Schio, Trevisiol e Perin, 1947;
Cornaggia Castiglioni, 1967) e cinque trappole a battenti della Fontega (Meschinelli, 1889;
1890; Lioy, 1895; 1896; 1897; Cornaggia Castiglioni, 1967). Purtroppo questi reperti, recuperati
a fatica e nel caso delle piroghe con grande sforzo, furono distrutte dal bombardamento che
interessò il Museo Civico di Vicenza nel 1944.


Media e Recente Età del Bronzo (seconda metà del II millennio a.C.). Un nuovo scavo
fatto nel 1970 nell’area a nord del Lago, lungo il canale Debba, ha messo in luce un
insediamento dell’Età del Bronzo medio-recente (Broglio e Fasani, 1975). Oltre a numerosi pali
infissi verticalmente nel limo lacustre, sono venuti in luce uno strato antropico inferiore, a
contatto col limo lacustre e formato soprattutto da strutture di legno carbonizzate, ed uno strato
superiore poggiante su un assito ligneo orizzontale, anch’esso con vistose tracce di incendio.
L’abbondante ceramica dei due strati è uniforme e viene riferita al XV-XIV sec. a.C.. Alla
medesima età, con una persistenza fino ad un momento più tardo, è un abitato su altura ai
margini delle Valli di Fimon (Monte Crocetta), indagato nel 1969 (Broglio e Fasani, 1975).


Età del Bronzo finale (attorno al 1000 a.C.). A questa età, che segna la transizione dal
Bronzo al Ferro, appartiene soltanto il sito scavato nel 1947 da G.Perin a Capitello di Fimon, a
nord-ovest del lago (da Schio, Trevisiol e Perin, 1947; Broglio e Fasani, 1975). Venne in luce
una struttura di bonifica, costituita da pali infissi verticalmente nel limo, sormontati da grossi pali
orizzontali e da un assito.
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Dopo la fine dell’Età del Bronzo un importante cambiamento climatico in senso continentale
modifica sensibilmente il paesaggio delle Valli. L’erosione dei suoli formatisi sulle colline
circostanti determina la formazione di coperture terrose colluviali sopra le torbe e la riduzione
delle aree palustri, che persistono nella Valle del Lago e alla Fontega. Il nuovo paesaggio ed il
nuovo assetto territoriale corrispondono ad un abbandono della pratica degli insediamenti
perilacustri, legati allo sfruttamento delle risorse del lago.
Gli interventi antropici successivi, diretti a regolare il deflusso delle acque per recuperare terreni
agricoli, ad estrarre la torba, a rendere accessibile il lago ad un gran numero di persone e
addirittura ad utilizzare la Fontega come discarica, hanno infine portato alla situazione attuale.




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4. Lo stato di protezione del lago di Fimon
Il territorio comprendente il Lago di Fimon è tutelato da:
 Vincolo ambientale paesaggistico - P.C.R. n. 577 16/10/1987 in applicazione della legge n.
 1497 del 29/6/1939, “Legge nazionale di tutela delle bellezze naturali”;
 Vincolo archeologico - legge n. 1089 del 01/6/1939, legge nazionale di tutela delle cose di
 interesse storico e artistico;
 Legge Galasso – n. 431 del 08/8/1985, legge nazionale “Tutela delle zone di particolare
 interesse ambientale”;
 Divieto di caccia – legge regionale n. 31 del 11/8/1989 – zona di ripopolamento, rifugio e
 produzione di selvaggina;
 Divieto di uso di natanti a motore – legge regionale n. 49 del 06/5/1985;
 Piano d’Area dei Monti Berici, adottato con D.G.R.V. del 10/03/2000 n.710, inpidua tra
 l’altro le zone a rischio di esondazione, l’ambito per l’istituzione del Parco Regionale
 naturalistico-archeologico dei Monti Berici da istituire ai sensi della L.R. 40/84 e le aree di
 rilevante interesse paesistico-ambientale. L’art. 68 delle Norme di Attuazione del Piano
 d’Area stabilisce che il Lago di Fimon è area con corredo di progetto norma. Le misure di
 salvaguardia del Piano d’Area dei Monti Berici sono oggi decadute, essendo trascorsi i 5 anni
 dalla data di adozione;
 Variante al P.R.G., adottata con D.C.C. n. 48 del 20/06/2002, che recepisce i vincoli del
 Piano d’area dei Monti Berici relativamente alle zone, ambito, aree di cui sopra;
 Istituzione della Riserva Naturale di interesse locale (ex art. 27 della L.R. 40/84) “Ambito
 Naturalistico del Lago di Fimon”;
 Inserimento come SIC nella rete Natura 2000 (ex SICp Lago di Fimon IT3220006, ora SICp
 Colli Berici IT3220037).


Il concetto di SIC (Siti di interesse comunitario) è stato introdotto dalla direttiva comunitaria
92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, comunemente definita “direttiva
Habitat”. Lo scopo della direttiva comunitaria è quello di salvaguardare la biopersità. Si tratta
di uno strumento moderno, volto ad una gestione del territorio e ad uno sfruttamento delle
risorse in una logica di sviluppo sostenibile per il mantenimento vitale degli ecosistemi. La
direttiva fornisce indirizzi circa l’inpiduazione di una rete europea di biotopi, detta “Natura
2000”, al cui interno sono stimolate politiche di conservazione del patrimonio naturale,

                        50
attraverso regolamenti finanziari che promuovono misure di sostegno ad azioni per la
conservazione di habitat e specie.
I SIC sono siti caratterizzati da un rilevante valore scientifico e/o naturale “tipico o biotipico”. Si
tratta di siti particolari, caratterizzati da ambienti, specie o ecosistemi tipici di determinate aree
europee che si vogliono salvaguardare per la loro peculiarità. Non devono essere confusi con le
aree protette (parchi e riserve naturali), in quanto la loro importanza esula dalle dimensioni del
sito e dipende esclusivamente dalla presenza di tipicità o rarità relative ad aspetti floristici e
faunistici. In tal senso essi possono coincidere con aree protette, così come comprenderle al
loro interno oppure essere collocati in altri siti.
Gli habitat di interesse comunitario sono inpiduati nella direttiva come quelli che stanno
scomparendo dalla loro area di ripartizione, quelli che hanno un’area di ripartizione ristretta a
causa della loro regressione e quelli che hanno un’area di ripartizione ridotta. Inoltre, sono di
importanza comunitaria anche gli habitat giudicati notevoli in quanto a caratteristiche che
permettano di inquadrarle all’interno di una o più delle cinque zone biogeografiche interessate
dalla direttiva (alpina, atlantica, continentale, mediterranea, macaronesica).
A giugno 1995 gli Stati membri hanno trasmesso all’Unione Europea l’elenco dei siti nazionali
proposti per entrare a far parte dell’elenco “Natura 2000”, fornendo le caratteristiche salienti
dell’area attraverso la compilazione del formulario standard Natura 2000.
Entro i 6 anni successivi all’entrata in vigore della direttiva “Habitat”, la Commissione Europea
ha elaborato l’elenco definitivo dei siti di importanza comunitaria.
Il recepimento della direttiva Habitat in Italia è avvenuto particolarmente tardi con il decreto del
Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n.357, contenente il regolamento di attuazione
della menzionata direttiva.
Quando un sito viene definitivamente inserito nell'elenco dei siti di importanza comunitaria, lo
Stato membro, entro al massimo 6 anni, definisce tale area zona speciale di conservazione
(ZSC). Nella definizione di ZSC devono essere evidenziate le priorità per il mantenimento o il
ripristino degli habitat e delle specie in essi rilevati, anche considerando i rischi di degrado o di
distruzione che incombono su questi siti.
La classificazione di un sito come ZSC implica all'occorrenza la stesura di appropriati piani di
gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e l’assunzione di precise misure
regolamentari, amministrative o contrattuali consone alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat
naturali e delle specie presenti nel sito.
L'insieme delle zone speciali di conservazione vanno a costuituire la rete ecologica continentale
“Natura 2000”, della quale fanno parte anche le zone di protezione speciale (ZPS) designate ai
sensi della direttiva 79/409/CEE “Uccelli”.


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Il Lago di Fimon costituiva fino a luglio 2002 un SIC a sé stante, ma da questa data è stato
inglobato nel più ampio SIC denominato “Colli Berici”.
L’importanza riscontrata nel Lago di Fimon ai fini della conservazione è nella vegetazione
ripariale e idrofitica (cod.3150) che costituisce un habitat favorevole alla vita e alla riproduzione
di molte specie animali, in particolare appartenenti all’avifauna, di interesse comunitario e
prioritario.
Le specie ornitiche di interesse comunitario segnalate nella zona del Lago di Fimon sono 25, la
maggior parte delle quali sono legate al canneto o ad altra vegetazione fitta del margine dello
specchio d’acqua, mentre altre sono legate alla vegetazione idrofitica che popola le aree più
interne del lago.
Le specie di carattere prioritario sono 2: Tarabuso (Botaurus stellaris) ed il Pagliarolo
(Acrocephalus paludicola).
Esistono poi altre specie animali giudicate di interesse comunitario quali la Testuggine d’acqua
(Emys orbicularis) e la Rana di Lataste (Rana latastei).




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5. Analisi storica dei progetti che hanno caratterizzato il lago e la sua valle
Nei secoli scorsi ed in modo particolare negli ultimi 100 anni il Lago di Fimon e le sue valli sono
stati oggetto di progetti che nel tempo ne hanno modificato la funzionalità idraulica e l’ambiente.
Per comprendere il contenuto delle linee guida di seguito illustrate è utile passarli in rapida
successione, analizzandone il contenuto. Si possono così distinguere sostanzialmente tre fasi
del “pensiero” sulla gestione del lago e delle valli circostanti:
  1. fine ‘700 – anni ’30: bonifica e sicurezza idraulica
  2. anni ’60 -’70: aumento risorse irrigue e valorizzazione turistica
  3. anni ’80 – oggi: riqualificazione ecologica ed ambientale


L’analisi critica di questa ampia mole di progetti è stata di grande aiuto nell’inpiduare le linee
guida per la gestione ordinaria e straordinaria del lago.


Prolungamento della Debba da Longara a Debba (1773) - realizzato
Nel 1773, il Consorzio delle Valli di Fimon, preso atto dell’innalzamento dell’alveo del
Bacchiglione, decise di far sboccare la Debba, principale fiume scolatore delle Valli di Fimon,
non più a Longara, ma più a valle, in località Debba ove l’alveo del Bacchiglione risulta
naturalmente a quota più bassa.
Questo lavoro, eseguito lungo la strada della Riviera, comportò l’indebolimento della scarpata
della strada, aggravato in seguito dal suo allargamento, e la conseguente lunga diatriba con la
Provincia di Vicenza sulla responsabilità dello smottamento dell’argine.


Rifacimento dell’alveo della Debba (1832) - realizzato
Si tratta dello scavo straordinario della Debba dalla bocca del lago all’immissione nel
Bacchiglione “al punto dei molini di Debba”, per complessivi 6 km circa, resosi necessario a
causa delle numerose erosioni delle sponde che ne avevano alzato il letto.
Il progetto, di cui si conservano il disegno tecnico e la relazione descrittiva delle singole opere
da eseguirsi, è dell’Ing. Civile A. Durlo e risale al 10 luglio 1831. I lavori principali sono consistiti
nel costruire un argine (definito allora cavedone), assai elevato per difendere i campi dalle
inondazioni, “in bocca al Lago”. Cavedoni simili sono stati approntati sul fosso nuovo di scarico
del lago nello scolo Debba, sullo scolo Ferrara e sullo scolo della Fontega.


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Lo scavo è stato eseguito “gettando la terra metà per parte sulle rive alla distanza non minore di
due metri dalle sponde” trattandosi di materiale limaccioso. La larghezza del letto variava dai 4
ai 6 m; l’altezza delle scarpate dipendeva dalla conformazione del terreno.
I lavori furono eseguiti nel 1832.
Un altro scavo straordinario della Debba fu fatto nel 1919.


Grande chiusa con paratoie in ferro e cremagliera a Longara (1839) - realizzato
Si tratta del rifacimento delle vecchie porte del lago di Longara, ora “declassate” a chiusa del
secondo argine di difesa dalle acque del Bacchiglione, costruite con tecniche nuove e con
materiali per la prima volta in ferro. Anche in questo caso, il progetto fu eseguito dall’Ing. Civile
A. Durlo. Il manufatto fu completamente rifatto nel 1876.


Riordino degli argini di difesa del Bacchiglione (1883) - realizzato
È una serie di 10 lavori straordinari resisi necessari dopo l’inondazione del Bacchiglione del 18
Ottobre 1882. La piena del fiume infatti, aveva fatto cedere i fondamenti dei manufatti lungo la
strada di Debba, per infiltrazione delle acque, travolto con sé il muro e l’argine sovrastante e
ostruito di sassi il canale, lasciando esposto il comprensorio consorziale.Si provvide
immediatamente allo sgombero del canale per lo scolo delle acque ed alla sostituzione del
vecchio argine squarciato con un altro di maggiori dimensioni.
Approntate queste prime opere di pronto intervento, rimaneva l’assoluta necessità di eseguire
nuovi lavori per riordinare le opere consorziali danneggiate e per salvarsi dalle future piene, di
seguito principalmente indicati, e cioè:
 costruire le porte di rinforzo a Debba con legno di larice;
 costruire le porte di Longara con legno di larice e con l’abbassamento della soglia;
 eseguire i lavori di deviazione dell’alveo della Debba concertati con la Provincia;
 eseguire il rinfianco ed il rialzo dell’argine;
 eseguire un nuovo argine lungo la strada della Riviera, partendo dall’argine di Longara fino
 alla lunghezza di metri 400, parallelamente alla strada, concordandosi con la Provincia e con
 l’espropriando;
 eseguire un ulteriore sgombero dello scolo Debba, specialmente superiormente alle porte di
 Longara e riparazione ai guasti delle rive.



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Scavo di nuovo canale con tratto in galleria (1928 – 1934)
Progettisti: Ing. Antonio Matteazzi, Thom Cevese - realizzato
Per una cinquantina d’anni, a partire dal 1882, nelle Valli di Fimon non furono fatte grandi opere
straordinarie. Progetti si, tanti, ma mai realizzati.
Il progetto in esame, che fu ideato alla fine degli anni ’20 e realizzato negli anni ’30, avrebbe
dovuto risolvere una volta per tutte il problema della bonifica e invece lasciò praticamente le
cose com’erano prima, a parte il prosciugamento del laghetto della Fontega, attuato con un
sistema di idrovore che ne alzasse l’acqua fino ad immetterlo nella Debetta, canale già
esistente che confluiva nella Debba.
Con il progetto fu realizzato un canale che prendeva le acque delle Valli di Fimon e le portava a
sfociare nel Bisatto a Longare, percorrendo un tragitto breve e lineare che passasse sotto i
monti.


L’invaso irriguo del Lago di Fimon (anni ’60)
Progettista: Ing. Eugenio Matteazzi – mai realizzato
Il progetto, che non fu approvato, prevedeva di realizzare un invaso di acque nel Lago di
Fimon, onde avere (se possibile) una sufficiente quantità d’acqua che potesse servire durante i
periodi di siccità per l’irrigazione di una vasta zona di terreni consorziati.


Bonifica delle valli, trasformazione del lago in invaso per fini irrigui, trasformazione del
lago per usi turistici e sportivi (1961) - realizzato solo in parte
Il progetto, approvato dal Genio Civile e finanziato dal Ministero dell’Agricoltura, prevedeva:
 costruzione di un argine-strada attorno al lago;
 dragaggio della fascia perimetrale del lago;
 costruzione di un nuovo ponte sul canale Debba;
 costruzione di un manufatto sfioratore per la regolazione del livello del lago con paratoie
 meccaniche;
 costruzione di una galleria per scaricare nel lago le acque del collettore Ferrara;
 costruzione, a fini irrigui, di una rete di adduzione in pressione.
I lavori proseguirono regolarmente, per qualche anno, ma durante la realizzazione del tratto N
dell’argine-strada il terreno torboso non sosteneva il terreno di riporto: “puntualmente, ogni
notte, scompariva nel terreno limaccioso il materiale che si portava di giorno”.
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Lago di Fimon poco prima dei lavori realizzati nel 1963 (Aerofotografia del 7 luglio 1962; IGM conc. 63 del 06.12.84)




Lago di Fimon negli anni ’80 – si noti la presenza di un’ampia fascia a Phragmites (Aerofotografia del 27 giugno
1984; IGM conc. 31 del 26.05.85)



Raddoppio del lago verso Nord (1967)
Progettista: Ing. Eugenio Matteazzi – non realizzato
Il progetto prevedeva di raddoppiare il lago occupando la zona a N verso il Monticello ed il
Canale Nuovo, per una lunghezza di 750 m, una larghezza media di 200 m e con un’altezza di

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invaso effettivo di 3 m. Detto ampliamento avrebbe dovuto essere delimitato da una nuova
strada-argine che, congiungendosi con la strada di periplo del lago recentemente costruita,
avrebbe sostituito la strada per Lapio e Pianezze.


Progetto di rivalorizzazione dell'
                 ambiente del Lago di Fimon (1987)
Progettista: WWF, Sezione Vicenza – non realizzato
A partire dalla fine dagli anni ’70 anche a Vicenza e provincia si inizia a porre attenzione alla
“questione ambientale”. Fimon e le sue valli pengono uno dei siti di maggiore interesse per le
giovani associazioni ambientaliste vicentine. Le perse idee su Fimon prendono forma in una
proposta di progetto elaborata dalla Sezione WWF di Vicenza.
PROPOSTE CONTENUTE NEL PROGETTO
 chiusura al traffico e progressivo smantellamento di buona parte della strada circumlacustre,
 con istituzione immediata del pieto di accesso mezzi motorizzati;
 ripristino della scarpata naturale, almeno in alcuni tratti;
 ricostituzione del cariceto;
 rimboschimento delle rive;
 inpiduazione di un percorso pedonale in terra battuta attorno al lago;
 realizzazione di osservatori per la fauna, pontili, cestini rifiuti, cartelli illustrativi;
 demolizione della baracca ex-canottieri;
 riuso del fabbricato da destinare ad ufficio, sala proiezione, piccolo museo;
 contenimento delle variazioni del livello dell'acqua.




Estratto dal progetto del WWF (F. Mezzalira)
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Riqualificazione delle rive del Lago di Fimon (1994)
Progettista: Giustino Mezzalira, Azienda Regionale Foreste della Regione Veneto (ARF) –
realizzzato in parte
Su richiesta del Comune di Arcugnano, l’Azienda Regionale Foreste del Veneto (Ente
Strumentale della Regione), mise a punto un progetto organico per la riqualificazione
ambientale del lago e delle sue rive. Esso prese largamente spunto dalle proposte del WWF di
Vicenza del 1987.
Il progetto venne parzialmente realizzato negli anni 1996-1999 dai Servizi Forestali Regionali di
Vicenza.
PROPOSTE CONTENUTE NEL PROGETTO
 ripristino del profilo naturale di alcuni tratti della riva del Lago di Fimon lungo due tratti pilota
 di circa 40 e 60 m: riduzione della pendenza della riva, impianto artificiale del canneto e del
 cariceto (seguiti da monitoraggio su biopersità e qualità delle acque);
 ricostruzione della fascia boscata perilacustre: introduzione “casuale” di specie arboree ed
 arbustive;
 realizzazione ed arredo verde di alcune aree attrezzate e di sosta.


Progetto Zone Umide della Provincia di Vicenza (1994)
Progettisti: Cesare Cariolato e Stefano Tasinazzo – non realizzato
In seguito allo studio sullo “Stato dell’Ambiente della Provincia di Vicenza” realizzato dal
Collegio degli ingegneri della provincia di Vicenza, la Provincia di Vicenza commissionò uno
studio sulle zone umide del vicentino che fornisse le linee essenziali per la loro conservazione.
Il Lago di Fimon fu preso in considerazione come la più importante zona umida e per la sua
conservazione vennero fornite alcune dettagliate indicazioni.


Progetto LIFE ECOFIMON: Disinquinamento ecologico e promozione turistica del bacino
del Lago di Fimon (1999)
Proponente: Comune di Arcugnano – realizzato in parte.
Su iniziativa del Comune di Arcugnano, nel 1999 venne presentato alla Commissione Europea
un progetto LIFE Ambiente finalizzato a completare le opere di risanamento delle acque
immesse nel lago ed a valorizzare da un punto di vista turistico lo specchio lacustre. Gran parte
delle iniziative proposte ha trovato attuazione, salvo la proposta di realizzare una biopiscina.


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PROPOSTE CONTENUTE NEL PROGETTO
 progettazione paesaggistica ed ambientale generale;
 realizzazione di alcune strutture atte a favorire la fruizione turistica (parcheggioi, percorso
 pedonale, etc.);
 fidepurazione delle acque reflue di alcuni nuclei abitati che finiscono nel lago;
 informazione del pubblico e pulgazione;
 monitoraggio ambientale.


Progetto LIFE di restauro ambientale e gestione integrata del Lago di Fimon (2003)
Proponente: Provincia di Vicenza – non approvato.
Visto che, nonostante i numerosi progetti e proposte di progetto presentati l’ecosistema del lago
e delle sue rive continuava a presentare gravi femomeni di degrado e di cattivo funzionamento,
la Provincia di Vicenza, in collaborazione con il WWF Italia, predispose un progetto LIFE Natura
finalizzato alla riqualificazione ambientale. Pur giudicato positivamente il progetto non fu
finanziato.
Visto il suo interesse e la sua attualità ai fini del presente studio, se ne riportano in dettaglio le
principali iniziative descritte:
PROPOSTE CONTENUTE NEL PROGETTO
1. espansione del canneto ripario:
 ripristino della morfologia originale delle sponde: risagomatura delle sponde lato E,
 delimitazione con pali sommersi lato S e davanti a zone di canneto esistente, impianto specie
 palustri;
 raccolta dati aggiornati su dimensioni e dinamica popolazioni ittiche con conseguenti misure
 gestionali per mantenere-ripristinare uno stato soddisfacente di conservazione: monitoraggio
 e censimento avifauna e flora ripariale.
2. controllo delle immissioni illegali di specie ittiche esotiche:
 recupero del popolamento zooplanctonico e contrazione del fitoplanctonico con elaborazione
 di un piano di controllo delle specie ittiche esotiche; messa in atto di azioni di cattura selettiva
 delle specie alloctone dannose;
 realizzazione di un incubatoio per specie ittiche autoctone;
 costruzione di un prefabbricato in legno affiancato al Centro didattico culturale su lato N per lo
 sviluppo degli aspetti didattico – ambientali.
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3. razionalizzazione della fruizione turistica:
 creazione di sentieri – natura;
 allestimento di 3 aree polifunzionali per birdwatching e pesca lungo riva O;
 posizionamento di tre piattaforme galleggianti;
 organizzazione eventi di sensibilizzazione e promozione;
 svolgimento di attività didattiche allo scopo di contenere il turismo incontrollato;
 produzione ed installazione di pannelli illustrativi;
 creazione sito web.
4. controllo dell'inquinamento delle acque del lago:
 realizzazione di fasce tampone lungo immissari lato N e sponda E;
 monitoraggio delle acque e dei sedimenti; analisi microbiologiche delle acque; indagini
 limnologiche;
5. controllo e razionalizzazione delle attività di pesca:
 sorveglianza del territorio.


In allegato è riportata una tabella sinottica di riepilogo di tutti i progetti realizzati sul Lago di
Fimon.




                         60
6. Flora e fauna notevole
Il Lago di Fimon e la sua valle sono caratterizzate dalla presenza di una ricca biocenosi.
Numerosi studi l’hanno analizzata e caratterizzata. Di seguito viene fornita una breve
descrizione della flora e della fauna “notevoli”, vale a dire che caratterizzano con la loro
presenza l’ecosistema o che sono più facilmente osservabili. L’elencazione non è
assolutamente esaustiva ma serve solo a dare un’idea della ricchezza di questo ambiente unico
nel vicentino.



6.1 Descrizione delle principali idrofite presenti nel Lago di Fimon
Cannuccia di palude (Phragmites australis)

                        La Cannuccia di palude è praticamente diffusa in
                        tutto il mondo, in ambiti ecologici molto variabili:
                        dalle montagne (in Italia raggiunge una quota di
                        circa 2.000 m) al livello del mare (cresce anche
                        nelle acque salmastre).
                    Molto vigorosa, non appare mai solitaria ma
                    sempre in popolamenti più o meno estesi e
                    rigogliosi. Presenta un lungo rizoma, con stoloni
                    ramificati, di diametro maggiore dei fusti eretti.
                    Questi hanno sezione circolare, sono cavi negli
                    internodi, robusti e consistenti. Gli steli possono
                    anche raggiungere un’altezza di 6 m, il che fa
della Cannuccia di palude la maggiore tra le piante che
consideriamo.
Le foglie sono lineari, ristrette verso la base, e attenuate in una
lunga punta verso l’apice. La lamina è piana e ha colore verde
glauco; spesso la base è schiarita intorno alla ligula, che è
formata da una corona di brevi peli. I margini sono ruvidi e
taglienti per la presenza di piccoli aculei.
L’infiorescenza, posta alla sommità del fusto, è costituita da
una pannocchia di color verde violaceo che spesso assume
una configurazione a bandiera. La fioritura avviene tra giugno e
ottobre, ma la pannocchia resiste sulla pianta sino alla
primavera successiva, assumendo una colorazione argentea
                        61
molto caratteristica. Le spighette che compongono la pannocchia sono costituite da 3-7 fiori.
Vive lungo i margini di laghi, fiumi, in ambienti paludosi e acquitrinosi preferibilmente ricchi di
sostanze nutritive; si spinge dalla riva fino a circa 1,5 metri di profondità formando densi
popolamenti caratteristici, i "canneti".


Castagna d’acqua (Trapa natans)

                 In ambienti nettamente eutrofici, la Castagna d’acqua può
                 svilupparsi in quantità abbastanza rilevante originando così
                 coperture estese che tendono a colorarsi di rosso con
                 l’avanzare della stagione.
                 I fusti radicano sul fondo e portano in posizione subacquea
                 solo foglie ridotte a piccole scaglie con disposizione opposta.
                 Risultano invece assai più evidenti organi fogliacei di aspetto
                 piumoso che, pur avendo una colorazione verde, in realtà
                 sono radici avventizie acquatiche. Queste acquistano una
                 particolare importanza se si considera che, all’epoca della
                 fioritura, i fusti si staccano dal fondo per cui la pianta risulta
                 liberamente natante nell’acqua e, pertanto, solo da questa
                 può trarre le sostanze nutritizie.
La caratteristica distintiva di questa pianta è
costituita dalla rosetta di foglie che appare al
termine del fusto: quelle inferiori hanno picciolo e
lembo di dimensioni maggiori rispetto alle
superiori che si trovano quindi in posizione più
interna. Il picciolo è rigonfiato e spugnoso,
contiene quindi gas: ciò garantisce il
galleggiamento della rosetta soprattutto quando
essa risulta gravata dal peso del frutto in via di
maturazione. La lamina delle foglie è grossomodo
romboidale, più larga che lunga: i suoi margini
rivolti verso l’esterno sono marcatamente dentati.
I fiori, che sono presenti tra giugno e luglio, sono
piccoli e compaiono all’ascella delle foglie della rosetta terminale. Hanno una corolla con 4
petali e un calice che persiste durante la maturazione e va a costituire delle robuste appendici
spinose che rimangono aderenti al frutto.


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Millefoglie d’acqua comune (Myriophyllum spicatum)

                  I Millefoglie d'
                          acqua sono abbastanza comuni in molti corsi
                  d'acqua, ben sopportando sia ambienti eutrofici sia acque
                  torbide.
                  Con le loro foglie piumate, costituiscono il supporto su cui
                  possono vegetare alghe e molti altri microrganismi; perciò
                  costituiscono in genere, un ricco pascolo per i pesci, ma
                  anche gli uccelli trovano di che cibarsi su questa pianta,
                  preferendone i semi.
                  I fusti sono sommersi e possono essere lunghi anche persi
                  metri. Su di essi sono inserite le foglie in verticilli di quattro.
                  Le foglie, completamente sommerse, sono disposte in
                  verticilli di quattro sui fusti. Hanno lembo ridotto a una serie
                  di lacinie capillari, con una disposizione pennata che dà loro
                  l'
                   aspetto di piume, di colore verde scuro.
                  I fiori sono rosei e relativamente piccoli; sono raccolti in
                  verticilli inseriti sull'
                              asse che continua il fusto, all'
                                              ascella di
                  squamette anch'   esse piccole e a margine intero. Questa
                  infiorescenza, lunga sino a 7 cm, è presente da giugno a
                  settembre ed è l'  unica porzione emersa della pianta.
                  I fiori superiori sono maschili, quelli inferiori femminili, mentre
                  gli intermedi hanno sia stami che pistilli.


Ninfea bianca (Nymphaea alba)

Pianta acquatica perenne, con foglie e fiori galleggianti sull’acqua.
Il grosso rizoma rimane sepolto tra i sedimenti del fondo e può raggiungere i 3 m di profondità.
Il fusto si ramifica più volte; se tali ramificazioni si staccano danno origine a inpidui distinti.
Le foglie, che si sviluppano da gemme poste sul fondo, sono tutte galleggianti e sorrette da
lunghi piccioli, grandi (diametro di 10-30 cm), rotondeggianti e profondamente incise alla base.
Si presentano cerose e coriacee. Le nervature sono aperte a ventaglio, ramificate e collegate
fra loro. Il picciolo possiede canali aeriferi per il trasporto dell'
                                  ossigeno dalle foglie al fusto
sepolto nei sedimenti anossici.


                         63
I fiori sono molto grandi, raggiungendo anche i 14 cm di diametro. Hanno 4 sepali corti, verdi
all’esterno, e fino a 30 petali bianchi che, via via che si avvicinano al centro del fiore, si
trasformano in stami gialli. Fiorisce da maggio ad agosto. Il frutto ha una forma globosa e
matura sul fondo.
Si trova in acque stagnanti, ferme o a debole corrente, fino ad un massimo di circa 3 m di
profondità. Vive fino a circa 800 m di altitudine.




Ninfea gialla o Nannufaro (Nuphar luteum)

                 Questa ninfea è molto comune, probabilmente a causa della
                 elevata valenza ecologica che le consente di colonizzare
                 con successo una grande varietà di ambienti.
                 Il fusto giace sepolto tra i sedimenti del fondo, dove si
                 ramifica più volte.
                 La Ninfea gialla presenta grandi foglie galleggianti il cui
                 lembo, di forma ovale, è solcato da una incisione profonda
                 limitata da due lobi ottusi; il picciolo ha sezione
                 quadrangolare.

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Oltre alle foglie galleggianti, di frequente sono presenti anche foglie sommerse: in questo caso
il loro lembo è privo di rivestimenti cerosi e ha quindi consistenza molto più delicata. Nelle
acque molto profonde e in quelle correnti si sviluppa solo questo tipo di foglie; quando la pianta
si sviluppa a piccolissima profondità, le foglie galleggianti possono addirittura rimanere drizzate
verticalmente sopra la superficie dell’acqua.
Il fiore, che compare da maggio ad agosto, ha un diametro di 4-5 cm ed è costituito da 5 sepali
(più raramente 6) un po’ verdi all’esterno e,
per il resto, di un brillante color giallo.
Internamente ai sepali vi sono circa 13
petali gialli, molto più piccoli, ognuno dei
quali porta alla base una fossetta
nettarifera, sicuro richiamo per gli insetti. Il
fiore viene mantenuto sollevato di qualche
centimetro sopra il pelo dell’acqua dal
peduncolo.
La riproduzione è entomogama. Può
capitare che alcune ramificazioni si
stacchino dal fusto principale, dando così
origine a inpidui distinti.
Presente in laghi, stagni, in acque ferme o
a debole corrente; si trova fino a profondità
di 2-3 m.


Brasca comune o Lingua d’acqua (Potamogeton natans)

             Le foglie galleggianti di questa pianta costituiscono sovente ampie
             coperture di colore verde scuro alla superficie delle acque.
             Questa brasca predilige le acque profonde, I lunghi fusti si dipartono
             da un rizoma strisciante, sepolto nel fondo e molto ramificato, e
             risalgono nell’acqua.
             Dai fusti prendono origine le foglie galleggianti, tutte munite di un
             picciolo che, in corrispondenza della faccia superiore della foglia, è
             appiattito o appena incavato. Il lembo è poco coriaceo, ovale, ottuso
             all’apice e arrotondato alla base. Sul picciolo, a poca distanza dal
             lembo fogliare, esiste una breve zona chiara che costituisce un
             carattere assai preciso per la distinzione della pianta.

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Ci sono pure foglie sommerse, sottili, allungate e ad apice ottuso, che però compaiono solo
precocemente nello sviluppo della pianta. Tra le foglie sommerse e quelle galleggianti esistono
poi termini di passaggio caratterizzati da lunghi piccioli nastriformi, portanti all’apice un piccolo
lembo ovale ristretto che può più tardi
scomparire, lasciando la sola nervatura
mediana.
Alla fioritura, che avviene tra maggio e
settembre, la Brasca comune produce spighe
il cui peduncolo ha la grandezza del fusto; i
fiori vengono mantenuti sopra il livello
dell’acqua dalle foglie immediatamente
inferiori che costituiscono una efficiente base
galleggiante. Vive in acque ferme (fossi,
stagni, ecc.), generalmente profonde meno di
un metro.


Ranocchia maggiore (Najas marina)

                Il fusto è piuttosto sottile, fragile, molto ramificato, con nodi
                ingrossati; cresce fino a 20-30 cm di lunghezza, formando ciuffi
                abbastanza fitti.
                Le foglie sono assai caratteristiche: spesse, prive di picciolo,
                molto consistenti, sono inserite sul ramo in gruppi di 3, oppure
                sono opposte. Piuttosto strette, misurano circa 2-4 cm di
                lunghezza e 0,5-0,6 cm di larghezza. Lungo i margini sono munite
                di tipici denti, simili a quelli degli agrifogli, che terminano con una
                spina bruna, formata da un pelo robusto, con pareti ispessite e
                con punta decisamente acuminata, pungente.
                Le radici primarie solitamente sono assenti e sostituite da radici
                avventizie semplici e filiformi, che prendono origine nei nodi.
                I fiori sono piccoli, sommersi, inseriti senza picciolo alla base delle
                foglie, in gruppi di 1-3. I fiori maschili hanno un solo stame e due
                involucri a coppa; i fiori femminili hanno un involucro a coppa, un
                ovario e un ovulo basale eretto; non hanno sepali, né petali. La
                fioritura avviene tra agosto e settembre: i fiori si aprono in acqua e
                liberano pesanti granuli di polline, che cadono sul fondo.


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I frutti, anch' pesanti, restano sul fondo; a maturazione si aprono liberando il seme, che
       essi
invece è leggero e tende a galleggiare. In acquario, tuttavia, la propagazione solitamente
avviene per frammentazione dei fusti.
Le najadi non sono molto esigenti, in quanto tollerano una durezza anche elevata e un pH
leggermente alcalino (fino a 8). Hanno bisogno di illuminazione intensa per poter crescere
rigogliose.




6.2 Descrizione delle principali specie ittiche presenti nel Lago di Fimon
Anguilla (Anguilla anguilla)

Di taglia media, questa specie è l' unico rappresentante per le nostre acque della famiglia degli
Anguillidi. La lunghezza massima raggiungibile dalle femmine è di circa 1 m per un peso di 2
kg, mentre i maschi non superano i 50 cm (200 g di peso). Il corpo è serpentiforme, cilindrico ed
appiattito in senso laterale verso la coda. Il capo è appuntito e gli occhi piccoli ma evidenti. Le
pinne dorsale e anale sono lunghe e confluiscono nella codale, mentre le ventrali sono assenti
e le pettorali ben sviluppate. Il corpo è cosparso di piccole scaglie irregolarmente disposte e
infossate nel derma.
E'una specie catadroma, cioè trascorre la parte della vita relativa alla fase di accrescimento
nelle acque dolci e salmastre, mentre la riproduzione si svolge in acque marine.
L'
alimentazione è carnivora e varia. Le anguille di dimensioni ridotte sono bentofaghe e si
nutrono di piccoli invertebrati, mentre quelle più grandi aggiungono alla loro dieta pesci e
decapodi.

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L'anguilla è una delle specie di maggior valore ed interesse commerciale per la pesca in Italia,
soprattutto per quella professionistica. Fino alla prima metà del XX secolo, la pesca all’anguilla
é stata un’attività economica molto importante per l’economia locale del Lago di Fimon (Girardi
e Mezzalira, 1991).




Tinca (Tinca tinca)

Specie con corpo tozzo e robusto, la sua bocca è terminale e provvista di due barbigli. Il colore
è verde oliva sul dorso a sfumare verso il giallo nella zona ventrale; le labbra sono giallo-
aranciate, mentre le pinne sono brune.
Il suo habitat preferito è quello dei canali a corso lento o stagnanti con fondo fangoso e ricchi di
vegetazione, ma la si può ritrovare anche nei corsi d’acqua con velocità di corrente moderata.
La riproduzione avviene tra maggio e luglio e le uova sono deposte in numero elevato. Le
dimensioni raggiunte normalmente per le nostre acque sono di 40-50 cm per 1-2 Kg di peso,
ma si conoscono catture di esemplari anche di persi chilogrammi.




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Carpa (Cyprinus carpio)

Specie che può raggiungere grosse dimensioni, ha il corpo tozzo e la bocca in posizione
mediana che presenta 2 paia di piccoli barbigli. Esistono di questa specie perse razze di cui le
più note sono la "carpa comune" (o regina), la "carpa a specchi" e la "carpa cuoio", riconoscibili
dalla variazione nel numero e nella disposizione delle scaglie. Specie originaria dell'   Europa
centrale e dell'
        Asia, la carpa è stata importata in Italia durante l’Impero Romano ed allevata fino
al giorno d’oggi. É oramai ampiamente diffusa e acclimatata in gran parte del territorio italiano.
Ciprinide tipicamente fitofilo, ama le acque lente e stagnanti della bassa pianura dove il fondo è
fangoso e vi è una ricca vegetazione acquatica. La riproduzione avviene tra maggio e giugno in
acque poco profonde tra la vegetazione sommersa. E'specie gregaria soprattutto da giovane e
riesce a raggiungere nelle acque di bassa pianura anche i 130 cm di lunghezza e i 30 kg di
peso. Tale specie é onnivora e può consumare invertebrati acquatici, zooplancton e macrofite
acquatiche. La carpa può avere degli effetti negativi sulle comunità vegetali acquatiche a causa
del loro consumo diretto e dell’effetto di disturbo che provoca nei sedimenti (bioturbazione)
durante la ricerca del cibo (Scheffer, 1998; Zambrano et al. 2001). La bioturbazione causata
dalla carpa può contribuire alla destabilizzazione dell’apparato radicale delle macrofite e,
causando una riduzione della trasparenza, rendere le condizioni luminose sub-ottimali per la
crescita delle piante stesse, come dimostrato da numerosi lavori sperimentali condotti negli
ultimi decenni (Breukelar et al. 1994; Scheffer, 1998; Zambrano, 1999; Zambrano et al. 1999).




                        69
Luccio (Esox lucius)

Il luccio presenta corpo fusiforme e allungato, con la testa relativamente grande e dotata di
bocca ampia e mandibola prominente. La pinna dorsale è inserita posteriormente, all'    altezza
dell'anale. Le scaglie sono di tipo cicloide e la linea laterale decorre in posizione mediana lungo
i fianchi. Il colore di fondo è verde-giallastro con tendenza al bruno-rossastro su cui si
evidenziano delle vermicolature più scure; il ventre è bianco.
L'habitat preferito del luccio è costituito dai grossi corpi idrici a lento decorso e dai bacini
lacustri ricchi di vegetazione, ma lo si ritrova comunemente anche nei piccoli corsi d'    acqua e
nelle risorgive, zone in cui si sposta per la riproduzione. La maturità sessuale viene raggiunta
tra il secondo ed il quarto anno d' prima nei maschi che nelle femmine. La riproduzione
                    età,
cade tra febbraio e aprile e le uova adesive (20.000-30.000/Kg di peso corporeo) vengono
deposte sulla vegetazione del fondo. Specie tipicamente ittiofaga, il luccio é capace di nutrirsi di
pesci fin dai primi stadi giovanili. Gli effetti della predazione di tale specie sulle specie foraggio
sono ben conosciuti (Scheffer, 1998). Carenze di tale specie sono spesso correlate con una
diminuzione delle specie zooplanctofaghe e benthofaghe di piccola taglia (e.g. triotto, alborella,
scardola). Tra i ciprinidi, solo le specie che possono raggiungere delle taglie considerevoli,
come la carpa, il carassio e l’abramide, sono relativamente protette contro questo predatore,
che può tuttavia infrire negativamente sulle fasi giovanili di tali ciprinidi. La riduzione dei tappeti
di idrofite sommerse é spesso associata alla scomparsa di tale specie a deposizione fitofila.
In Italia il luccio é particolarmente ricercato dai pescatori sportivi.




                          70
Persico reale (Perca fluviatilis)

Il persico reale è una specie di media taglia, potendo raggiungere la lunghezza massima di 50
cm per un peso di 3 kg.
Questa specie presenta una gibbosità dorsale che aumenta proporzionalmente con l'    aumentare
delle dimensioni; il capo è affusolato, la bocca terminale, ampia e dotata di numerosi dentelli;
ha due pinne dorsali di cui la prima, più grande, presenta una evidente macchia scura. Il colore
è grigio-verde scuro sul dorso con bande verticali scure lungo i fianchi, su un fondo chiaro. Il
ventre è bianco e le pinne pettorali, ventrali, anale e caudale sono giallastre-rossastre.
Il persico reale si riproduce da marzo a giugno in dipendenza dell'  ambiente dove si trova e le
femmine depongono un numero elevato di uova, normalmente perse migliaia per inpiduo.
Queste vengono emesse in forma di "nastri", tenute insieme da una matrice gelatinosa
provvista anche di fori che permettono il passaggio dell' acqua e la diffusione dell’ossigeno. E’
carnivoro e si ciba sia di invertebrati acquatici che di pesci; questi ultimi, con l'
                                          aumentare della
taglia, rappresentano una parte sempre più consistente dell'  alimentazione.
L’eutrofizzazione, riducendo la trasparenza delle acque e quindi l’efficienza di predazione,
sembra essere un fattore selettivo particolarmente importante per il persico reale. Con la
riduzione della trasparenza si assiste tipicamente alla diminuzione della biomassa del persico
reale e ad un parallelo aumento della biomassa dei ciprinidi (Persson et al. 1991).




                        71
Persico trota (Micropterus salmoides)

Specie alloctona, originaria del Nord-America, il persico trota è stato introdotto alla fine del XIX
secolo. Il persico trota presenta il corpo allungato in cui la testa occupa circa un terzo della
lunghezza; la bocca è molto ampia e dotata di numerosi dentelli disposti in più serie. Il dorso è
di color grigio-verdastro con una serie di macchie scure disposte irregolarmente; è presente
una fascia longitudinale mediana scura sempre ben visibile sui fianchi chiari.
La riproduzione avviene tra maggio e luglio. Una femmina può compiere più deposizioni nel
corso della stagione riproduttiva. Le uova, adesive, sono deposte in un nido preparato dal
maschio, solitamente in acque poco profonde presso la riva. Più femmine possono deporre le
uova nello stesso nido. Il maschio effettua le cure parentali, difendendo le uova da eventuali
predatori e mantenendo un buon ricambio d' acqua nel nido mediante il movimento delle pinne.
Come il luccio, é un predatore prevalentemente ittiofago; la sua dieta comprende anche anfibi,
invertebrati bentonici, insetti terrestri e zooplancton che rappresentano in gran parte l'
                                             alimento
dei giovani persici. La presenza abbondante del persico trota può ridurre sensibilmente la
biomassa ed il numero delle specie foraggio di piccole dimensioni (Chapleau et al., 1997).
Inoltre, entrando in competizione con il luccio e predando sugli inpidui di taglia ridotta
(Szedrey e Wahl, 1995), il persico trota può avere degli effetti negativi sulle popolazioni di
luccio.




                        72
Siluro d’Europa (Silurus glanis)

Il siluro è un pesce dal corpo robusto, allungato, con la testa massiccia ed appiattita in senso
dorso-ventrale, mentre dall’orifizio anale fino alla punta della pinna caudale è compresso
lateralmente. Il ventre è grande e morbido, dall’aspetto gonfio. La colorazione varia da un nero-
bluastro sul capo e sul dorso ad una marmoreggiatura sui fianchi di colore nero, grigio, bianco e
verde oliva, per arrivare ad un bianco-giallastro sul ventre. La bocca è ampia, con la mascella
inferiore prominente rispetto alla superiore. La pinna dorsale è piccola e priva di parti dure, che
sono invece presenti nelle pinne pettorali con il primo raggio spinoso che presenta elevata
ossificazione e dentelli più o meno accentuati nella parte distale.
Non esiste uno spiccato dimorfismo sessuale, a parte alcuni particolari come la papilla genitale
che è più grande e a forma di cono nella femmina e più piccola ed allungata nel maschio.
Il siluro vive sia in acque correnti che in acque lotiche, con una netta predilezione per le ultime.
Preferisce le zone a corrente moderata, discreta profondità e abbondanza di anfratti e rifugi dai
quali può tendere agguati alle prede.
Questo pesce può essere considerato tra i maggiori predatori delle acque dolci europee, è un
onnivoro opportunista e si può adattare a molteplici fonti alimentari. Si nutre abitualmente delle
specie maggiormente disponibili nell’ambiente in cui vive. La dieta varia in relazione alle
dimensioni; infatti nei primi stadi vitali, appena riassorbito il sacco vitellino, gli avannotti si
nutrono di zooplancton e piccoli invertebrati bentonici. Con l’aumentare della taglia il regime
alimentare cambia, e negli adulti sopra i 35 cm la dieta è quasi esclusivamente ittiofaga, anche
se a volte è possibile che il siluro si cibi di uccelli, anfibi, rettili e piccoli mammiferi.




                        73
Abramide (Abramis brama)

Specie originaria dell' Europa d’oltralpe e dell'Asia, l’abramide è stata probabilmente introdotta
per la prima volta in Italia proprio nel Lago di Fimon, negli anni ’80 (Marconato et al. 1985) ed é
oramai distribuita in un gran numero di corpi idrici dell’Italia del nord. Di taglia media (30-40
cm), ha un corpo che si sviluppa in altezza ed é compresso lateralmente. La colorazione é
grigio bruna sul dorso e grigio-argentea sui fianchi e sul ventre. Frequenta le acque a lento
corso, con fondo fangoso. La riproduzione avviene tra maggio e giugno e la deposizione ha
luogo sulla vegetazione sommersa.
Si ciba si zooplancton, di organismi bentonici e di idrofite. L’abramide può avere degli effetti
negativi sulla trasparenza dell’acqua a causa della bioturbazione che provoca durate la ricerca
del cibo (Moss et al., 1997). Sebbene l’abramide non raggiunga nel Lago di Fimon delle taglie
comparabili a quelle della carpa, l’effetto relativo sulla trasparenza dell’acqua (i.e. a taglia
uguale) sarebbe ben superiore a quello di quest’ultima (Breukelaar et al., 1994). La presenza
massiccia di abramidi di piccola o media taglia potrebbero rappresentare quindi una concausa
della ridotta trasparenza del Lago di Fimon.
E’ di scarso o nullo interresse per la pesca nel Lago di Fimon a causa probabilmente
dell’assenza di inpidui di grosse dimensioni che sono ricercati talora dai pescatori sportivi.




                        74
6.3 Descrizione delle principali specie arboree ed arbustive presenti attorno al
Lago di Fimon


                       ROSA CANINA L.
Nome comune: Rosa selvatica
Famiglia: Rosaceae
Distribuzione: in tutte le regioni, soprattutto nella fascia basale e fino a 1500 m di altitudine.
Habitat: in boscaglie di latifoglie da invasione di campi o pascoli abbandonati, macchie di vegetazione,
siepi miste ai margini di campi e boschi (particolarmente pruneti).
Portamento: arbustivo, strisciante, generalmente appoggiata ad altre piante o supporti. Alta fino a 2 m.
Fusti ramificati e significanti nella parte basale, con spine rigide e arcuate.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche o semipersistenti, composte, imparipennate, foglioline con
lamina ovato-ellittica, margine denticolato. Rametti: verdastri, glabri e spinosi.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, con diametro di 4-6 cm, colore biancastro o rosato, solitari o in piccoli
gruppi. Fioritura solitamente in giugno. Frutto: cinorrodio piriforme e rossastro con diametro di 1-2 cm.
Temperamento: eliofilo, notevole ampiezza termica; abbastanza esigente in azoto, su suoli
sufficientemente umidi, preferibilmente calcarei o marnosi. Evita quelli troppo acidi.
Utilizzazione: diffusa a scopo ornamentale (anche in varietà appositamente selezionate).
Specie Consociabili: acero campestre e olmo campestre (allo stato cespuglioso), pero selvatico,
prugnolo, biancospino, sanguinella, ligustro, crespino, corniolo, Rhamnus catharticus, Euonymus
europaeus, ecc.




                                               Foto A. Dal Lago




                           75
                   CRATAEGUS MONOGYNA Jacq.
Nome comune: Biancospino
Famiglia: Rosaceae
Distribuzione: in Italia diffuso in tutte le regioni, dalle zone pianeggianti fino ai 1500 m di quota, secondo
il clima.
Habitat: margini di boschi di latifoglie, siepi campestri, colonizza pendii erbosi, comune in macchie e al
margine delle strade, in cenosi aperte o poco dense su suoli degradati.
Portamento: arbustivo o cespuglioso, raramente ad alberello, alto fino a 10 m. Chioma irregolare,
globosa negli esemplari arborei. Fusto sinuoso e contorto; ramificato e/o piso dalla base negli esemplari
cespugliosi, nella parte medio-alta in quelli arborei. Corteccia: inizialmente liscia e grigiastra, con l’età
brunastra o rosso-ocracea e sfaldatesi in placche.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, semplici (5 x 5 cm), ovoidali, con 3-7 lobi superficiali o
profondi, ottusi o acuti, con pochi denti verso l’apice. Apice arrotondato e margine lievemente e
irregolarmente denticolato. Pagina superiore verde chiaro e lucida; pagina inferiore verde-grigiastro,
glabra o leggermente tomentosa. Rametti: bruno-rossastri, lisci, con spine di 1-2 cm.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, riuniti (a gruppi di circa 20 unità) in corimbi terminali eretti; corolle di 5
petali biancastri subrotondi. Fioritura in maggio. Frutti: drupe ovoidali o tondeggianti (con diametro di 1
cm), rosse a maturità, contenenti 1 solo seme, con all’apice una piccola area circolare depressa
circondata dai resti delle lacinie del calice.
Temperamento: eliofilo, sopporta comunque un parziale ombreggiamento. Molto rustico, in vari tipi di
clima e terreno, optimum terreni argillosi e calcarei, mediamente profondi.
Utilizzazione: allo stato puro o con altre specie nella formazione di siepi autoctone di delimitazione
(importanti come zone di rifugio per molti organismi: insetti, piccoli mammiferi, anfibi, uccelli); usato in
interventi di riqualificazione ambientale e anche come specie ornamentale in parchi e giardini urbani
(resistendo alle condizioni avverse e agli inquinanti); eventualmente allevato come alberello ed utilizzato
come esemplare isolato o in filari.
Caratteristiche del legno: duro, pesante e compatto, a grana fine e ben levigabile; usato per bastoni da
passeggio, denti di rastrello, manici di attrezzi; combustibile ad alto potere calorifico; fornisce un buon
carbone.
Specie consociabili: prugnolo, acero campestre, roverella, eponimo europeo, sanguinella, ligustro,
corniolo, caprifogli, rose selvatiche, crespino, pero corvino, scotano.




                            76
                   OSTRYA CARPINIFOLIA Scop.
Nome comune: Carpino nero
Famiglia: Corylaceae
Distribuzione: in Italia in tutte le regioni, lungo tutto il basso arco alpino (soprattutto nella zona orientale)
e in tutto l’Appennino (specialmente sui versanti tirrenico e ionico). Fino a circa 1000 m di altitudine.
Habitat: querceti sopramediterranei, dove caratterizza perse cenosi soprattutto con roverella e/o cerro
o con orniello (orno-ostrieti) ed altre specie riferibili ai querceti termofili.
Portamento: Albero caducifoglio con notevole capacità pollonifera, alto 15-20 m, tronco diritto e regolare
si sudpide abbastanza rapidamente formando una chioma globosa.
Corteccia liscia e rossastra, ornata di lenticelle biancastre trasversali nella pianta giovane; si fessura in
piccole placche longitudinali assumendo un colore bruno o bruno scuro. Pianta non molto longeva (100-
150 anni).
Chioma è espansa e globosa.
Foglie, gemme e rametti: foglie semplici, alterne, distiche caduche, ovali con apice acuto e base
arrotondata e con margine doppiamente seghettato ; lunghe 4-8 (10) cm con breve picciolo; lucide
superiormente e leggermente pubescenti sulla pagina inferiore all'    ascella delle nervature. I rami sono
pelosi e le gemme fusiformi.
Fiori e frutti: i fiori sono unisessuali. Quelli maschili, raggruppati in amenti penduli di 2-4, lunghi 5 cm,
compaiono già in autunno, hanno stami molto brevi. Gli amenti femminili sono più brevi, con brattee che
si allungano fino a circa 1 cm ad avvolgere il frutto. Fioritura a inizio primavera, contemporaneamente alla
emissione delle foglie. I frutti sono acheni portati a grappoli, di colore biancastro o verde.
Temperamento: è specie rustica, termofila, moderatamente xerofila; predilige esposizioni soleggiate o a
mezz’ombra anche se in fase giovanile richiede e sopporta molto bene la copertura.
Preferisce terreni più o meno profondi, mediamente fertili, anche argillosi ma non asfittici; è
particolarmente diffuso nei terreni calcarei non aridi.
Utilizzazione: coltivato come pianta ornamentale per il denso fogliame, adatta per ombreggiare o
riparare dai venti, per alberature lungo viali e strade o in parchi e giardini come esemplari isolati. Nelle
zone collinari e in bassa montagna forma boschi misti con altre latifoglie; in questi casi è tradizionalmente
governato a ceduo, per la produzione di legna e di carbone.
Caratteristiche del legno: legno duro e rossiccio, utilizzato come combustibile (legna e carbone) e per
la fabbricazione di piccoli arnesi.
Specie Consociabili: quercie, carpino bianco, frangola, biancospino, pallon di maggio.




                                            Foto Francesco Mezzalira

                            77
                     CASTANEA SATIVA Mill.
Nome comune: Castagno
Famiglia: Fagaceae
Distribuzione: in Europa, Asia orientale e America del nord.
Habitat: regioni montuose temperate e temperato-calde, è coltivato fra i 300 e i 1000-1200 m s.l.m.
Portamento: arboreo, a portamento maestoso, di altezza media compresa tra i 10 e i 20 m, ma spesso
fino a 25-30 m. Chioma ampia ed espansa. Fusto eretto e robusto, generalmente tozzo. Corteccia
inizialmente liscia e brillante, di colore bruno-rossastro, col tempo tende al grigio olivaceo, con lenticelle
trasversali allungate. Dopo i 10-15 anni, corteccia di color grigio-bruno con profonde screpolature
longitudinali.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, dentate, ellittico-lanceolate, con apice acuminato e
base leggermente cuneata, di consistenza quasi coriacea. Gemme ovate, lisce, verdastre sfumate di
rosso.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, monoici e poligami. I fiori maschili sono raccolti in infiorescenze
amentiformi ed erette, quelli femminili, meno numerosi, sono solitari o raggruppati in numero di 2-3 fino a
7, posizionati alla base della infiorescenza maschile e protetti da un involucro, che si trasformerà nella
cupola, il cosiddetto riccio. Fioritura tra inizio giugno e metà luglio. Il frutto è un achenio, protetto da
involucro spinoso.
Temperamento: eliofilo, preferisce esposizioni N-NE, in quanto meno soggette a siccità. Moderatamente
termofilo, vive in stazioni caratterizzate da temperatura media annua fra + 8°C e + 15°C e necessita di
stazioni fresche per crescere bene. Vive in ambienti con pH superiore a 6,5, rifugge terreni poco drenati e
ricchi di calcare attivo.
Utilizzazione: produzione di castagne, estrazione di tannino. Il legno è usato per costruire paleria, la
fabbricazione di mobili, la produzione di legna da ardere e di carbone.
Caratteristiche del legno: legno naturalmente chiaro con sfumature dal giallo scuro al bruno chiaro,
presenta una bella venatura. E’ molto resistente alle avversità ambientali ed atmosferiche. La tessitura è
larga e la compattezza elevata.
Specie Consociabili: orniello, querce, tiglio, carpino nero, carpino bianco, frassino maggiore, acero
montano.




                                               Foto F. Mezzalira
                           78
                     EUONYMUS EUROPAEUS L.
Nome comune: Evonimo
Famiglia: Celastraceae
Distribuzione: in tutte le regioni, fino 800-1000 m di quota.
Habitat: siepi miste di pianura, margini di corsi d’acqua, boschi di latifoglie e boschi igrofili (sia di pianura
che montani e pedemontani).
Portamento: arbustivo-cespuglioso, altezza di 2-5 m, raramente piccoli alberelli. Chioma estremamente
irregolare, più o meno folta e compatta. Fusto piso e ramificato fin dalla base, con rami quadrangolari,
contorti ed intrecciati. Corteccia: verde e liscia, bruno-rossastra con l’età.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, opposte, semplici, lunghe 4-7 cm, lanceolate ed ellittiche,
apice acuto e margine finemente denticolato. Color verde intenso, rosso in autunno. Gemme verdi,
ovoidali. Rametti: verdi, con sottili rilievi longitudinali.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, verdastri, a 2-5 in “cime” all’ascella delle foglie. Fioritura in maggio. Frutti:
capsule di colore rossastro, con 4 lobi ben segnati che, aprendosi, evidenziano i semi (tossici) rivestiti da
un arillo carnoso di color arancione.
Temperamento: rustico, senza particolari esigenze climatiche e pedologiche. Su terreni argilloso-
calcarei.
Utilizzazione: come essenza autoctona per formare siepi (miste) e/o cespuglieti ecologicamente
importanti (zone rifugio).
Caratteristiche del legno: pallido, poroso ma duro, si lascia spaccare facilmente in strisce sottili. Usato
per stuzzicadenti, spiedini, intarsi. Dà un ottimo carboncino per disegno.
Specie Consociabili: prugnolo, biancospino, rose selvatiche, sanguinella, ligustro, caprifoglio, acero
campestre, olmo campestre, pero selvatico.




                                                  Foto A. Dal Lago


                            79
                       POPULUS NIGRA L.
Nome comune: Pioppo nero
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: in tutte le regioni, dalle zone pianeggianti fino ai 1200 m di quota.
Habitat: boschi planiziali, lungo rive di fiumi e laghi.
Portamento: arboreo, alto fino a 25-30 m, chioma non molto fitta, portamento a cappello molto espanso
o conico fastigiato. La varietà italica (pioppo cipressino) ha portamento fastigiato e colonnare, con rami
eretti molto addossati al tronco e molto ravvicinati, che si dipartono fin dalla base. Tronco robusto,
nodoso, con protuberanze e ipertrofie evidenti, ramificato dalla base secondo le varietà. Corteccia: molto
scura, ispessita e fessurata longitudinalmente.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, semplici, alterne, con picciolo lungo 3-7 cm, ovato-triangolari,
apice molto appuntito, margine con seghettatura piccola ma regolare. Pagina superiore liscia e verde
brillante, pagina inferiore opaca, con nervature evidenti. Gemme: brune, affusolate, secernenti una
sostanza viscosa. Rametti: lisci, prima verde-giallastro, brunastri a maturità.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti: quelli maschili lunghi anche 8 cm, sessili, con i singoli fiori
caratterizzati dalla presenza di 15-30 stami rossi; quelli femminili più lunghi e sottili, sessili, colore giallo-
verdastro. Fioritura da marzo ad aprile, prima della fogliazione. Frutto: capsule raccolte in grappoli. In
maggio liberano semi piumosi.
Temperamento: eliofilo, mediamente termofilo, su terreni freschi, profondi, ben drenati e con buon
contenuto di sali minerali. Non ama i suoli calcarei. Non teme temporanee inondazioni e substrati umidi.
Utilizzazione: nelle alberature stradali, in parchi e giardini a scopo ornamentale. Si usa soprattutto la
varietà italica (pioppo cipressino), che viene anche impiegata in filari e frangivento.
Caratteristiche del legno: legno leggero, di colore chiaro. Usato per compensato, fiammiferi, cellulosa
e fabbricazione di imballaggi. Usato anche per la produzione di carbone.
Specie Consociabili: ontani, frassini, salici (particolarmente salice bianco per un notevole effetto
paesaggistico).




                                                  Foto F. Mezzalira


                             80
                       PRUNUS SPINOSA L.
Nome comune: Prugnolo
Famiglia: Rosaceae
Distribuzione: in tutte le regioni, fino ai 1500 m.
Habitat: siepi miste ai margini di campi, corsi d’acqua, strade e boschi, sottobosco di querceti radi; luoghi
aridi e pendii.
Portamento: arbustivo, alto fino a 4 m; chioma rada e irregolare. Fusto eretto, spesso contorto, tendente
a pidersi formando un arbusto cespuglioso; rami intricati e molto spinosi. Corteccia: bruno-grigiastra più
o meno scura, rugosa.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, semplici, alterne, lunghe 3-4 cm, ovoidali-ellittiche con apice
acuto e margine dentato o seghettato. Pagina superiore verde scuro, pagina inferiore più chiara e
leggermente tomentosa. Rametti: color bruno-ocraceo, pubescenti.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, bianchi, larghi 1-1,5 cm, singoli lungo i rametti o in gruppi folti sui germogli.
Fioritura abbondante, precedente la fogliazione (in marzo-aprile). Frutti: drupe tondeggianti (diametro di1-
1,5 cm), color bluastro con sfumature violacee o nere, rivestite da pruina grigiastra.
Temperamento: eliofilo; rustico, anche su terreni argilloso-calcarei, sassosi e poveri, aridi.
Utilizzazione: per la costituzione di siepi campestri con funzione di “aree rifugio” e antierosiva; anche per
uso decorativo in forma di singolo esemplare cespuglioso.
Caratteristiche del legno: duro, robusto, fortemente venato, ben lucidabile. Usato per intarsi, bastoni da
passeggio e manici.
Specie Consociabili: biancospino, evonimo, roverella, acero campestre, rosa canina, corniolo,
sanguinella, ligustro, caprifogli.




                            81
                      QUERCUS ROBUR L.
Nome comune: Farnia
Famiglia: Fagaceae
Distribuzione: non rara ma dispersa; dalle valli interne delle Alpi fino alla fascia mediterranea. Ad
altitudini comprese tra 200 e 800 m.
Habitat: pianure alluvionali o valli umide, nei boschi planiziali e anche in zone collinari e submontane.
Suoli con falda superficiale e continua per tutto l’anno.
Portamento: arboreo (altezza fino a 30-40 m); chioma ampia, espansa, più o meno globosa, con apice
arrotondato e forma a cupola (esemplari isolati) oppure irregolare (in bosco). Fusto robusto, diritto,
ramificato interamente nella parte medio-alta. Corteccia: prima liscia e grigia, poi marrone scuro,
fessurata profondamente in solchi longitudinali paralleli raccordati da fessure trasversali meno infossate.
Crescita lenta, longeva (anche 600 anni).
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, semplici, alterne, lunghe 8-12 cm, obovate con apice più
espanso e lamina più stretta alla base con asimmetria per lo sviluppo ineguale dei due lobi. Margine
lobato, 5-7 paia di lobi ampi separati da seni arrotondati. Pagina superiore verde scuro e lucida; pagina
inferiore chiara e glabra.
Fiori e frutti: fiori unisessuali. Quelli maschili in amenti pauciflori (circa 12 fiori), penduli, lunghi 2-3 cm,
color verde-giallastro; quelli femminili singoli o in brevi spighe erette di 2-5 elementi con lungo peduncolo
glabro e lucente. Fioritura fine aprile-maggio. Frutti: ghianda ovato-oblunga, diametro massimo verso la
metà; tegumento liscio, bruno-olivastro con striature longitudinali scure. Cupola di squame appressate,
embricate e leggermente tomentose, copre da 1/4 a 1/3. Peduncolo molto lungo. Maturano in 1 anno.
Temperamento: molto esigente in luce e calore estivo; tollera sommersioni radicali fino a 100 giorni.
Terreni profondi, anche argillosi se con acqua, optimum suoli ricchi in basi. Dopo la messa a dimora e nei
primi anni necessita di irrigazioni o comunque di substrato umido.
Utilizzazione: forestazione (boschi puri o misti); nel settore paesaggistico-ornamentale; frutti impiegati
nell’alimentazione dei suini.
Caratteristiche del legno: legno bruno, pesante, duro, forte e resistente alla marcescenza. Molto
ricercato; usato per costruzioni, mobilio, botti, rivestimenti, ecc. Eccellente combustibile.
Specie Consociabili: frassino maggiore, olmi, acero montano, acero riccio, acero campestre, frassino
ossifillo, ciliegio, rovere, ontano nero.




                            82
                      FRANGULA ALNUS Mill.
Nome comune: Frangola
Famiglia: Rhamnaceae
Distribuzione: Italia centro-settentrionale, fino 1000-1300 m di quota.
Habitat: ripe terrose e pianure alluvionali, in boschi umidi, siepi e paludi sia di pianura che delle zone
montane e pedemontane.
Portamento: arboreo, più frequentemente arbustivo, altezza fino a 4-5 m. Chioma, di varia forma,
estremamente irregolare. Fusto diritto, ramificato generalmente fin dalla base. Corteccia grigio-violacea e
liscia, rosso-brunastra e ruvida con l’età.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, semplici, lunghe 4-7 cm, ovoidali o ovoidi- lanceolate,
apice acuto, margine intero ed ondulato. Color verdastro con sfumature porpora. Gemme nude. Rametti:
prima verdastri, poi rossastri e leggermente tormentosi.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, biancastri o verdastri, a piccoli gruppi in “cime” ascellari. Fioritura tra fine
maggio e giugno. Frutti: piccole drupe tondeggianti, diametro 5-8 mm, colore da verdastro a rossastro e
poi nero a maturità. Contengono 1 seme, leggermente tossici.
Temperamento: eliofilo, preferisce esposizioni soleggiate. Suoli umidi e argillosi, non alcalini o calcarei.
Utilizzazione: estrazione di coloranti dalla corteccia.
Caratteristiche del legno: usato per produrre carbone per la fabbricazione di polvere da sparo.
Specie Consociabili: pado, olivello spinoso, frangolo, viburno opalo.




                            83
                    ALNUS GLUTINOSA (L) Gaertner
Nome comune: Ontano, Ontano nero, Ontano comune
Famiglia: Betulacee
Distribuzione: in tutte le regioni, comprese Sicilia e Sardegna. Dalla fascia mediterranea fino a quella
subalpina, con optimum sotto i 700-800 m.
Habitat: lungo corsi d’acqua o acquitrini, in boschetti puri o misti.
Portamento: arboreo, alto fino a 20-25 m, raramente arbustivo; caducifoglio, chioma conica, non fitta,
leggera. Tronco diritto, ramificatesi già verso la base con direzione laterale e assurgente. Corteccia: a
lungo liscia, da grigio-scuro a nerastra, con molte lenticelle grigio-chiare sporgenti orizzontalmente, poi
fessurata in solchi poco profondi.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, semplici, alterne, obovate (lunghe 7-9 cm), troncate o
smarginate all’apice, irregolarmente dentate. Pagina superiore verde scuro e lucida, pagina inferiore più
chiara, con peluria rosso-giallastra sulle nervature secondarie. Rametti: color bruno chiaro, glabri,
attaccaticci.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti: quelli maschili sottili, lunghi anche 10 cm, terminali, in
gruppi di 3-5, inizialmente verde giallastro, più scuri alla fioritura (in marzo, prima della fogliazione); quelli
femminili ovoidali, lunghi 2,5-3 cm, sub-terminali, in gruppi di 3-5.
Frutto: achenio piatto, con due brevi ali; contenuto in pseudostrobili ovoidali con squame bruno-rossastre,
portati su lungo peduncolo.
Temperamento: eliofilo, su terreni sia argillosi che sciolti, poveri e soggetti ad inondazioni, o anche
paludosi.
Utilizzazione: nel consolidamento di rive e scarpate; come frangivento e in siepi.
Caratteristiche del legno: legno tenero, di colore chiaro, vira al bruno-rossastro dopo il taglio. Più verso
il giallo negli esemplari vissuti a lungo in terreni molto umidi. Durevole sott’acqua (non all’asciutto). Usato
per falegnameria, tornitura, opere idrauliche ed infissione di pali in terreni acquitrinosi. Brucia senza
produrre fumo; carbone ricavabile di qualità mediocre.
Specie Consociabili: quercie, carpino bianco, frangola, biancospino, pallon di maggio.




                                                 Foto F. Mezzalira

                            84
                      FRAXINUS ORNUS L.
Nome comune: Orniello
Famiglia: Oleaceae
Distribuzione: assente nella zona delle Alpi da Como a tutto il Piemonte. Nel settore alpino e
appenninico settentrionale supera raramente i 700 m di quota, nell’Italia centro-meridionale è meno
diffuso ma arriva anche a 1000 m.
Habitat: boschi misti, orno-ostrieti, cedui di leccio, boschi xeromorfi di roverella (in forma arbustiva).
Portamento: arboreo, con altezza di 10-15 m, anche arbustivo. Chioma espansa e globosa, appiattita
all’apice. Tronco eretto e regolare, con rami opposti. Corteccia: scura, liscia ed omogenea.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, opposte, composte, imparipennate, formate da 7-9 foglioline
picciolettate, (ellittiche quelle laterali, obovata quella apicale), a margine più o meno dentato. Pagina
superiore: verde scuro, glabra, lucida; pagina inferiore: più pallida, con lieve tomentosità bruno-rossastra
lungo la nervatura mediana. Giallo-brunastre in autunno. Gemme: porporine, coperte da fitta peluria.
Rametti: lisci e grigiastri.
Fiori e frutti: fiori sia ermafroditi che unisessuali, gradevolmente e intensamente profumati; riuniti in
vistose infiorescenze biancastre a pannocchia, nella parte terminale dei rametti. Fioritura in aprile-
maggio, dopo la fogliazione. Frutto: samara lunga 3-4 cm, lanceolata, con apice appuntito o inciso. Seme
di 1 cm, verso la base. In grappoli penduli.
Temperamento: eliofilo, termofilo. E’ tra le caducifoglie più resistenti all’aridità. Tollera bene i substrati
calcarei e quelli tendenzialmente pesanti. Vegeta male in luoghi con vegetazione molto fitta. Pianta
pioniera nella fascia sopramediterranea.
Utilizzazione: ornamentale in parchi, giardini e lungo le strade; foglie usate come foraggio; lettiera
miglioratrice del terreno. Coltivato per la produzione di manna.
Caratteristiche del legno: bianco-grigiastro, molto robusto, resistente e flessibile; si spacca bene e non
si scheggia; si curva facilmente a vapore. Legname di pregio per manici di attrezzi di ogni tipo. Impiegato
in falegnameria e paleria. Non durevole se bagnato. Eccellente combustibile, dà buon carbone.
Specie consociabili: carpinella, castagno, tiglio, carpino nero, querce.




                                               Foto A. Dal Lago

                           85
                    QUERCUS PUBESCENS Willd.
Nome comune: Roverella
Famiglia: Fagaceae
Distribuzione: in tutte le regioni, in tutto il margine pedemontano e collinare della pianura padano-veneta
e nella collina e bassa montagna di tutta la penisola.
Habitat: boschi sopramediterranei di latifoglie eliofile, spesso cenosi di transizione verso formazioni a
leccio, verso i limiti superiori le mescolanze sono con specie più mesofile.
Portamento: arboreo (altezza fino a 10-25 m), a volte cespuglioso o arbustivo. Chioma ampia,
cupoliforme, irregolare e non molto densa. Fusto abbastanza diritto, molto ramificato nella parte medio-
alta. Corteccia: grigio-bruna, si fessura con solchi longitudinali e trasversali formanti scaglie trapezoidali,
rugose e molto dure.
Foglie, gemme e rametti: foglie: caduche, semplici, alterne, lunghe 5-10 cm, con lamina ovoidale-
allungata, lobata con lobi arrotondati. Pagina superiore verde intenso, glabra; pagina inferiore grigiastra o
biancastra per la fitta pubescenza. Rametti: grigiastri, pubescenti, con lenticelle non appariscenti.
Gemme: ovoido-appuntite, pubescenti, grigie.
Fiori e frutti: fiori unisessuali. Quelli maschili in amenti penduli, color verde-giallastro, lunghi 5-8 cm, alla
base del rametto; quelli femminili solitari o in brevi spighe all’ascella delle foglie. Fioritura in aprile-
maggio. Frutti: ghianda ovoidale allungata, lunga 2,5-3 cm, prima verde e poi color nocciola-brunastro.
Cupola formata da squame grigiastre, molto pubescenti, appressate, triangolari.
Temperamento: eliofilo, termofilo e xerofilo, in ambienti a clima caldo non troppo umido. Su substrati sia
argillosi che sciolti a anche terreni molto calcarei. Non sopporta ristagni idrici e gelate intense e
prolungate.
Utilizzazione: nel settore paesaggistico-ornamentale in parchi e giardini; per formare zone rifugio
(componente delle siepi miste autoctone o anche come esemplari isolati ai margini dei coltivi); frutti
appetiti dai suini.
Caratteristiche del legno: alburno giallastro e duramen bruno, duro e resistente. Difficile da lavorare,
usato per costruzioni navali, attrezzi agricoli e traverse ferroviarie. Ottimo come legna da ardere e per
carbone .
Specie consociabili: orniello, prugnolo, biancospini, sanguinella, sorbo domestico, olmo e acero
campestre, ciliegio, ginepro, bosso.




                                                Foto A. Dal Lago


                            86
                        SALIX ALBA L.
Nome comune: Salice bianco
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: in tutte le regioni (esclusa la parte meridionale della Puglia), dalle zone pianeggianti fino
ai 1000 m di quota.
Habitat: boschi planiziali puri o misti con pioppo nero, lungo rive di fiumi e laghi.
Portamento: arboreo, alto fino a 20 m, chioma espansa che può raggiungere un diametro superiore a 10
m. Tronco eretto, ramificato piuttosto presto, con i rami principali verso l’alto. Corteccia: color grigio-
olivastro, profondamente fessurata longitudinalmente.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, semplici, alterne, lanceolato-lineari, lunghe 5-10 cm e larghe
0,5-0,25 cm, appuntite, margine con seghettatura molto fine. Pagina superiore verde-grigiastra,
sparsamente pelosa; pagina inferiore bianco-argentea, sericea, fittamente pubescente. Gemme: alterne,
piccole, appuntite, appressate. Rametti: esili, flessibili, vellutati e sericei, prima giallo scuri, poi brunastri.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti peduncolati: quelli maschili lunghi 4-5 cm, di colore
giallastro; quelli femminili più corti e colore verdastro. Fioritura in primavera contemporaneamente alla
fogliazione. Frutto: capsule raccolte in infruttescenze, contengono semi coperti di una peluria che gli
conferisce un aspetto lanuginoso.
Temperamento: igrofilo, su terreni umidi, sciolti (da limoso-sabbiosi a limoso-argillosi) purché ricchi di
nutrienti. Sopporta bene la sommersione.
Utilizzazione: coltivato per la produzione di vimini, imballaggi e cellulosa per l’industria cartaria.
Impiegato per rinsaldare scarpate e rive di corsi d’acqua. A scopo ornamentale si usa la varietà tristis per
l’aspetto piangente e la notevole rusticità.
Caratteristiche del legno: leggero, compatto. Usato per compensato, fiammiferi, cellulosa e
fabbricazione di imballaggi.
Specie Consociabili: pioppo nero, ontani, frassini.




                            87
                      SALIX CINEREA L.
Nome comune: Salice cenerino
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: incostante nella Pianura Padana, anche in collina e nella fascia montana.
Habitat: paludi e acquitrini, rive di fiumi, margini di boschi e boschi umidi.
Portamento: arbustivo, alto fino a 6 m. Chioma rada e irregolare. Tronco policormico; i rami, scortecciati,
mostrano sottili creste. Corteccia: quella dei rami dell’anno precedente rimane peloso-vellutata (tratto
distintivo da Salix caprea).
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, semplici (5-7 x 5 cm), da lanceolate a oblanceolate,
arrotondate o strettamente appuntite all’apice, margine irregolarmente dentato. Pagina superiore con radi
peli; pagina inferiore con densa peluria che le fa assumere una colorazione grigiastra. Rametti: grigio-
tomentosi, con striature rialzate sotto la corteccia.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti: quelli maschili gialli, quelli femminili verdi. Entrambi
ovoidali, lunghi 2,5-5 cm. Fioritura in marzo-aprile, prima della fogliazione. Frutti: piccole capsule
contenenti semi cotonosi.
Temperamento: igrofilo.
Utilizzazione: coltivato per la produzione di vimini, impiegato per rinsaldare scarpate e rive di corsi
d’acqua.
Specie Consociabili: altri salici.




                           88
                        SALIX TRIANDRA L.
Nome comune: Salice da ceste, salice a foglia di mandorlo, salice francese
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: in tutte le regioni italiane, esclusa la Sardegna. Arriva fino ai 1600 m di altitudine. In Italia
è più rappresentato dalla sottospecie discolor (Koch) Arcang.
Habitat: zone ripicole del piano submediterraneo-montano.
Portamento: arbustivo o arboreo (più raramente), alto fino a 8-10 m. Chioma globosa, difforme ed
irregolare. Tronco spesso piso dalla base in molti rami. Corteccia: liscia e grigiastra, con l’età si sfalda
in placche assumendo così un caratteristico aspetto “chiazzato” dovuto al color marroncino della
corteccia giovane sottostante.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, semplici (6-12 x 3 cm), lanceolate o oblungo-
lanceolate, con apice appuntito e notevolmente prolungato, margine leggermente seghettato e
ghiandoloso. Pagina superiore color verde lucido; pagina inferiore più chiara e glauca. Picciolo di 0,5-1
cm. Rametti: verde-giallognoli o rossastri, con corteccia leggermente solcata. Particolarmente fragili
all’inserzione (si possono raccogliere facilmente).
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti eretti: quelli maschili gialli, esili e lunghi fino a 8 cm; quelli
femminili affusolati e color verdastro. Fioritura contemporanea alla fogliazione, in marzo-aprile. Frutto:
capsule lisce, riunite in spighe, che rilasciano i semi tra maggio e giugno.
Temperamento: igrofilo, eliofilo e termofilo. Rustico, non teme il ristagno idrico. Su suoli neutri o
leggermente alcalini, comunque senza particolari esigenze pedologiche.
Utilizzazione: : coltivato per la produzione di vimini (per la produzione di ceste e mobilio), impiegato per
rinsaldare scarpate e rive di corsi d’acqua.
Specie Consociabili: pioppo bianco, altri salici (particolarmente Salix purpurea).




                             89
                        SALIX ELEAGNOS S.
Nome comune: Salice ripaiolo, Salice di ripa
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: comune solo nelle Alpi, fino a quote subalpine. Meno frequente nell’Italia peninsulare.
Habitat: greti e rive di corsi d’acqua.
Portamento: spesso arbustivo, alto fino a 10 m. Tronco fortemente ramificato. Corteccia: inizialmente
chiara, con l’età si scurisce fino a grigio-brunastra.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, semplici (lunghe 15 cm), lanceolate, appuntite
all’apice, con margini revoluti e sottilmente seghettati. Pagina superiore lucida, liscia, verde intenso;
pagina inferiore più chiara e pubescente. Rametti: grigio chiari, coperti di sottile peluria.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti: quelli maschili giallastri, lunghi oltre 5 cm, quelli femminili
color verde chiaro. Fioritura a inizio primavera, prima della fogliazione. Frutto: capsule lisce con
peduncolo, contenenti semi piumosi.
Temperamento: specie pioniera, molto adattabile e tollerante nei confronti di terreni calcarei e difficili.
Utilizzazione: per consolidare rive, per la produzione di vimini.
Caratteristiche del legno: molto elastico, apprezzato per la realizzazione di oggetti intrecciati.
Specie Consociabili: altri salici (salice rosso, salice francese), pioppo bianco, ontano bianco.




                             90
                       SALIX PURPUREA L.
Nome comune: Salice rosso
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: uno dei salici più comuni nella fascia basale, sia allo stato spontaneo che coltivato. Arriva
a quote anche subalpine.
Habitat: zone ripariali, lungo corsi d’acqua, letti di fiumi, prati umidi, in boschi umidi, paludi e acquitrini.
Portamento: arbustivo, esile, altezza di 1-4 m, con rami affilati, tenaci e glabri. Tronco policormico.
Frequentemente allevato a piccole capitozze lungo i bordi dei campi. Corteccia: grigio-verdastra, quella
dei giovani rami lucente e purpurea.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, opposte, semplici (7-9 x 4-5 cm), strette, con margine
seghettato, cerose, glabre. Pagina superiore lucida e scura, pagina inferiore verde azzurro. Anneriscono
col disseccamento. Rametti: sottili, glabri, lucenti, prima rossi (soprattutto in primavera) poi verdastri o
giallognoli.
Fiori e frutti: fiori unisessuali, riuniti in amenti: quelli maschili eleganti, eretti, lunghi 5 cm, con brattee
nere, peli argentei e antere rosse; quelli femminili più arcuati, lunghi 2-6 cm. Fioritura in marzo-aprile.
Frutto: piccole capsule contenenti semi cotonosi.
Temperamento: igrofilo, molto rustico, tollera periodi di secca.
Utilizzazione: coltivato per la produzione di vimini, impiegato per rinsaldare scarpate e rive di corsi
d’acqua.
Caratteristiche del legno: molto resistente, usato per la produzione di oggetti artigianali(sedie, cesti,
tavolini).
Specie Consociabili: altri salici (per esempio Salix eleagnus), pioppo nero.




                           91
                        SALIX CAPREA L.
Nome comune: Salicone, salice delle capre
Famiglia: Salicaceae
Distribuzione: largamente diffusa in Italia, dalle zone pianeggianti fino a 1500 m di quota, a parte la
Sardegna.
Habitat: è una pianta pioniera, presente dal livello del mare fino alla fascia subalpina. Cresce in boschi
ed arbusteti freschi o umidi e lungo i corsi d’acqua.
Portamento: alberello alto fino a 15 m, spesso policromico e cespuglioso, spesso arbustivo. Chioma
slanciata, fitta, vagamente piramidale. Tronco: sinuoso, con rami ascendenti, rosso-bruni lucenti.
Corteccia: grigia, opaca, più o meno screpolata e brunastra con l'   età.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, alterne, di forma da largamente ovata a ellittica, lunghe fino a
8 cm e larghe fino a 4 cm. Hanno margine dentato, pagina superiore verde lucente, pagina inferiore
biancastra e tormentosa
Fiori e frutti: fiori raccolti in spighe compatte, di color argenteo, tormentose; misurano circa 5-6 x 2-3 cm,
quelle femminili si allungano fino a 10 cm nel frutto. I fiori sono costituiti da un solo nettario, con brattee
obovoidi, munito di lunghi peli. Fioritura tra marzo e maggio, prima dell’emissione delle foglie. Frutto:
capsule tomentoso-argentate, vengono sorrette da un carpoforo e liberano, all’apertura, semi piumosi.
Temperamento: persamente dagli altri salici, sopporta bene una certa aridità estiva, pertanto riesce a
vivere ai margini dei boschi e nelle radure. Si adatta a vari tipi di terreni, purchè privi di ristagni idrici e di
fenomeni di asfissia.
Utilizzazione: per la sua rusticità e il forte carattere pioniere viene utilizzato nella riqualificazione e
rinaturazione ambientale. Dalla corteccia si estraggono tannini per la concia, dalle radici tintori rosso-
violetti e dalla corteccia la salicina, usata nell’industria farmaceutica.
Caratteristiche del legno: legno leggero e tenero, bianco giallognolo, si fende con facilità, è dotato di
buona elasticità e comprimibilità. Oggi poco usato
Specie Consociabili: pioppo nero, ontani, frassini.




                      SAMBUCUS NIGRA L.
                            92
Nome comune: Sambuco
Famiglia: Caprifoliaceae
Distribuzione: in Italia diffuso in tutte le regioni; fino ai 1000 m di quota.
Habitat: margini dei boschi, lungo corsi d’acqua, nella parte interna di zone umide, in radure e in siepi.
Portamento: raramente in forma arborea, più spesso arbustivo, altezza 6-7 m. Chioma aperta ed
irregolare, spesso molto espansa. Tronco sinuoso, con numerose ramificazioni. Rami piuttosto fragili, con
midollo spugnoso e molto sviluppato. Corteccia grigio-brunastra con evidenti fessurazioni verticali e
solcature.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, opposte, pennatosettate, composte da 5-7 foglioline (5 x 12
cm) ovato-acuminate, seghettate, con nervatura centrale marcata. Pagina superiore verde scuro e glabre
e pagina inferiore più chiara inizialmente leggermente tormentosa. Rametti: grigiastri e intensamente
lenticellati.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, piccolissimi, bianchi, odorosi, riuniti in larghe infiorescenze terminali
ombrelliformi con diametro anche fino a 20 cm. Fioritura da aprile a giugno. Frutti: drupe nero-violacee e
lucide a maturità, contenenti 3 semi ovali e bruni.
Temperamento: sia su terreni sciolti che tendenzialmente argillosi, ricchi d’acqua e sali minerali.
Rustico.
Utilizzazione: fiori e frutti danno bevande fermentate; corteccia, foglie e frutti forniscono coloranti per
tingere.
Caratteristiche del legno: bianco-giallastro, duro, forte, usato per fare piccoli oggetti. Il midollo si usa
per eseguire sezioni botaniche a fresco.
Specie Consociabili: frassino, olmo, acero, sorbo, nocciolo.




                                               Foto A. Dal lago




                          93
                    CORNUS SANGUINEA L.
Nome comune: Sanguinella
Famiglia: Cornaceae
Distribuzione: in tutte le regioni, fino ai 1000-1300 m di quota.
Habitat: siepi autoctone di campagna, ai margini di corsi d’acqua e di boschi di latifoglie.
Portamento: arbustivo-cespuglioso, con altezza di 2-5 m. Chioma larga ed espansa fino dalla base,
molto irregolare. Fusto piso e ramificato fin dalla base, con rami ad andamento irregolare spesso
cadenti verso il basso. Corteccia: bruno-grigiastra con sfumature ocracee, rugosa con l’età.
Foglie, gemme e rametti: foglie caduche, opposte, semplici, lunghe 5-8 cm, ovoidali o ovato-ellittiche,
apice acuminato e pronunciato, margine intero ed ondulato. Color verde pallido, rosso-porpora scuro in
autunno. Rametti: rossastri e leggermente angolosi.
Fiori e frutti: fiori ermafroditi, bianchi, in infiorescenze ad ombrello (diametro 4-6 cm) e terminali.
Fioritura tra maggio e giugno. Frutti: drupe nerastre o violacee, lucide, diametri di 6 mm, in infruttescenze
terminali compatte.
Temperamento: semi-eliofilo, abbastanza resistente al freddo. Su terreni calcarei ed argillosi.
Utilizzazione: come pianta ornamentale o come essenza autoctona per formare siepi (miste) e/o
cespuglieti ecologicamente importanti (zone rifugio).
Caratteristiche del legno: non pregiato né utilizzato.
Specie Consociabili: prugnolo, biancospino, rose selvatiche, ligustro, caprifoglio, acero campestre,
olmo campestre, pero selvatico.




                                               Foto A. Dal Lago




                           94
6.4 Descrizione delle principali specie di vertebrati presenti nel Lago di Fimon e
nella sua valle
                 ACROCEPHALUS ARUNDINACEUS
Nome comune: cannareccione
Classe: Uccelli
Ordine: Passeriformi
Famiglia: Silvidi
Dimensioni: 19 cm di lunghezza circa, apertura alare 28-29 cm
Identificazione e comportamento: è una specie migratrice che si sposta verso l’Africa sub-sahariana in
agosto-settembre e torna al nord in aprile-maggio. Non è presente il dimorfismo sessuale, per cui
maschio e femmina sono uguali. Il piumaggio del dorso dell’adulto è bruno-rossiccio, senza striature,
quello del petto giallo-rossastro. Il becco è robusto e allungato, la fronte appiattita. E’ il più grande e
robusto tra i passeriformi europei.
Habitat: abita i canneti posti sulle rive di laghi, fiumi e paludi.
Alimentazione: prevalentemente insetti e piccoli invertebrati che caccia tra i cespugli, gli alberi e la
vegetazione del canneto. Eccezionalmente si ciba anche di piccoli pesci.
Riproduzione: il maschio ha in genere 2 o 3 compagne. La femmina depone 4-6 uova, verdastre e
macchiettate, tra maggio e giugno e l’incubazione dura 14-15 giorni. Al dodicesimo giorno di età i piccoli
sono in grado di abbandonare il nido. La nidificazione avviene in piccole colonie. Il nido, a forma di
coppa, è costituito da una struttura di canne, è poi rivestito di erba, fiori e radici e viene ancorato al
canneto.
Diffusione: si riproduce nell'Europa continentale fino alla Svezia e alla Danimarca, ma non in Gran
Bretagna. Si trova anche in Asia e nord Africa.




                          95
                        FULICA ATRA
Nome comune: folaga
Classe: Uccelli
Ordine: Gruiformi
Famiglia: Rallidi
Dimensioni: 36-39 cm di lunghezza, apertura alare 70-80 cm
Identificazione e comportamento: più grande della gallinella d’acqua, ha il piumaggio completamente
nero, con placca frontale e becco bianchi. Il becco è appuntito e le zampe non sono palmate ma ha dita
lobate che consentono i movimenti agevoli sia in acqua che nel terreno. Maschi e femmina sono uguali.
Cerca cibo immergendosi nell’acqua, da cui emerge molto rapidamente. Il nuoto è lento. Difende
tenacemente il suo territorio. Le popolazioni del nord e dell' sono migratrici, le altre sono sedentarie o
                                 est
migratrici parziali. In Italia è migratrice regolare e svernate.
Habitat: si trova in vari specchi d’acqua, come stagni, laghetti, baie profonde, caratterizzati da fitta
vegetazione. D’inverno cerca i corpi idrici maggiori, spostandosi anche verso il mare.
Alimentazione: onnivora, ma prevalentemente vegetariana. Cerca cibo in acqua immergendosi fino a 2
m di profondità, talvolta fino a 4-5 m.
Riproduzione: maschio e femmina costruiscono insieme il nido con materiale vegetale, tappezzandolo
internamente con erba, sopra la vegetazione emergente o galleggiante, generalmente in punti piuttosto
elevati. Le uova, di colore bianco chiazzato con macchie scure, vengono deposte a fine aprile-inizio
maggio, in numero di 5-9. La cova dura 3 settimane. I piccoli vengono accuditi nel nido dalla madre e
nutriti dal padre. All’età di 4 settimane sono indipendenti nella ricerca di cibo, mentre iniziano a volare il
mese successivo.
Diffusione: vive in Europa, Asia, Africa del nord, Australia, Nuova Guinea e Nuova Zelanda.




                                               Foto F. Mezzalira

                           96
                    GALLINULA CHLOROPUS
Nome comune: gallinella d’acqua
Classe: Uccelli
Ordine: Gruiformi
Famiglia: Rallidi
Dimensioni: 32-35 cm di lunghezza, apertura alare 50-55 cm
Identificazione e comportamento: uccello massiccio dalla livrea totalmente nera, venata di bruno, sui
fianchi è presente una linea bianca e anche il sottocoda è bianco. La placca frontale e la maggior parte
del becco sono rossi, mentre la punta del becco è gialla. Maschio e femmina sono molto simili. Vola poco
e brevemente, tenendo le zampe pendule e preferisce nuotare muovendo di continuo la testa. E’ specie
sedentaria e se migra lo fa solo entro brevi distanze. In Italia è sedentaria e nidificante nelle zone umide,
ma anche parzialmente migratrice e svernante.
Habitat: in acque ferme o lente, come laghetto, stagni, paludi, corsi d’acqua, parchi e giardini.
Alimentazione: è prevalentemente vegetariana, nutrendosi di foglie di piante acquatiche, semi, frutti e
bacche. Non disdegna insetti, lumache, vermi e pesci.
Riproduzione: maschi e femmine preparano il nido ad aprile. Il nido, a forma di cupola, è generalmente
galleggiante sulla vegetazione palustre o costruito sulla sponda del corso d’acqua. Più raramente sui
rami bassi della vegetazione di margine. Vengono deposte 5-11 uova, marrone chiaro punteggiato di
bruno e grigio, che saranno covate per 21-22 giorni. Di norma vengono effettuate 2-3 covate all’anno. Gli
uccellini sono precoci e coperti di lanugine spessa nerastra sul capo e sulle ali con il becco rosso con la
punta gialla. Vengono accuditi dai genitori per 3 settimane, ma iniziano a volare a 6-7 settimane di vita.
Diffusione: Europa, Asia, Africa, America settentrionale e America meridionale. Molto diffusa in Italia.




                           97
                    ANAS PLATYRHYNCHOS
Nome comune: germano reale
Classe: Uccelli
Ordine: Anseriformi
Famiglia: Anatidi
Dimensioni: 51-62 cm di lunghezza, apertura alare 91-98 cm
Identificazione e comportamento: uccello migratore parziale, dal volo molto elegante. La forma è simile
nel maschio e nella femmina, ma cambia il colore. Il maschio ha la testa di colore verde metallico, uno
stretto collare bianco e il corpo bruno rossastro con becco giallo. La femmina ha colori più mimetici: il
corpo bruno chiazzato e il becco bruniccio. Entrambi i sessi sono caratterizzati da un largo specchio
porpora viola compreso tra due strisce bianche sulle ali. Sono abili nuotatori. Il germano è una specie
gregaria, tranne che nel periodo della riproduzione.
Habitat: in ogni tipo di acqua dolce (laghi, stagni, fiumi, etc.), in inverno anche sulle coste marine.
Alimentazione: onnivoro, si nutre di tutto quello che riesce a pescare sott’acqua o a trovare razzolando
sul terreno. E’, comunque, prevalentemente vegetariano e si nutre di piante acquatiche, alghe, semi,
granaglie. Caccia anche insetti, molluschi, crostacei, vermi, girini, avannotti.
Riproduzione: le coppie si formano nel tardo autunno e si riproducono durante la primavera successiva.
La femmina depone 9-15 uova vagamente verdastre negli anfratti del terreno, tra i cespugli o tra le rocce,
in prossimità dell’acqua. Il maschio fa da guardia sul territorio limitrofo al nido. I pulcini sono precoci e
vengono presto portati in acqua. Di prassi avviene una sola covata annua.
Diffusione: originario dell’emisfero nord (Eurasia), è presente in Asia, Africa occidentale e in tutta
Europa. E’ però assente in Spagna e Sardegna e raro al di sotto della Corsica, pertanto il Mediterraneo
sembra rappresentare il suo limite sud.




                           98
                     FALCO TINNUNCULUS
Nome comune: gheppio
Classe: Uccelli
Ordine: Falconiformi
Famiglia: Falconidi
Dimensioni: circa 32-35 cm di lunghezza, apertura alare di 71-80 cm.
Identificazione e comportamento: rapace diurno, in Italia parzialmente sedentario, oltre che svernante
e migrante. Presenta dimorfismo sessuale. Il maschio è rosso mattone con macchiettatura nera nella
parte superiore, con groppone, codione, timoniere, testa e collo grigiastri. La parte inferiore è, invece, di
colore crema, con ventre e sottocoda rossicci. La femmina, leggermente più grande del maschio, ha la
testa e il timoniere rossastri, per il resto ha gli stessi colori del maschio. Caccia soprattutto con volo e
cattura le prede a terra, dopo una picchiata a tappe. Usa generalmente posatoi abituali. A volte è
gregario. Vive in spazi aperti, adatti alla caccia, ma nidifica in zone riparate, ad esempio lungo pareti
rocciose, su alberi ed edifici, o anche nei nidi abbandonati di corvidi.
Habitat: in qualsiasi tipo di ambiente aperto, anche in paesi e città, dal livello del mare fino a 3000-3500
m (nel Caucaso), dalle zone umide alle foreste di montagna.
Alimentazione: si nutre principalmente di piccoli mammiferi, rettili, insetti piccoli uccelli. Più raramente
anfibi.
Riproduzione: Depone 3-6 uova tra aprile e giugno. L’incubazione dura 27-29 giorni ed è svolta
generalmente dalla femmina. I piccoli pentano indipendenti all’età di 2 mesi.
Diffusione: in tutta Europa, fino alle latitudini più settentrionali, in gran parte dell’Asia e dell’Africa. In
Italia su gran parte del territorio.




                           99
                       PERNIS APIVORUS
Nome comune: pecchiaiolo
Classe: Uccelli
Ordine: Accipitriformi
Famiglia: Accipitridi
Dimensioni: lunghezza 52-60 cm circa, apertura alare 135-150 cm.
Identificazione e comportamento: è specie migratrice transahariana, le popolazioni europee svernano
in Africa. La migrazione autunnale si svolge tra agosto e ottobre, quella primaverile tra aprile e metà
giugno. La femmina è più grande del maschio. L’aspetto è estremamente variabile, ma in genere
superiormente bruno scuro, talvolta con macchiettatura chiara sul dorso e sul codione. Sotto è di color
biancastro con barratura scura. Sono presenti tre barre nere anche sulla pagina inferiore della coda. In
volo è simile alla poiana ma è distinguibile per la testa più piccola e il collo più lungo.
Habitat: vive in ambienti boscosi di qualsiasi genere, anche se predilige quelli di latifoglie. Ha necessità
che siano presenti anche a spazi aperti sia in pianura che in montagna.
Alimentazione: si nutre essenzialmente di larve ed adulti di imenotteri (vespe e bombi). Mangia anche il
miele contenuto nei favi e altri invertebrati. Talvolta caccia piccoli vertebrati come anfibi, rettili o roditori.
Non disdegna frutti e bacche.
Riproduzione: costruisce il nido sugli alberi (spesso utilizza il nido abbandonato da qualche altro
uccello) e depone le uova da metà maggio a fine giugno. Maschio e femmina covano le loro 2-3 uova per
30-35 giorni. I giovani si rendono indipendenti all’età di 75-100 giorni.
Diffusione: è diffuso in Europa, dove trova il limite nord in Scandinavia e il limite sud in Spagna
settentrionale, Italia centrale e Grecia settentrionale. E’ praticamente assente in Gran Bretagna, Irlanda
ed Islanda.




                           100
                        BUTEO BUTEO
Nome comune: poiana
Classe: Uccelli
Ordine: Accipitriformi
Famiglia: Accipitridi
Dimensioni: lunghezza 50-55 cm circa, apertura alare 118-140 cm.
Identificazione e comportamento: grosso rapace diurno, in Italia parzialmente migratore regolare,
svernante e sedentario. Il corpo è massiccio, l’occhio color ambra, il becco modesto ma molto arcuato, le
zampe con dita corte fornite di unghie molto ricurve e appuntite. Viene spesso scambiata per aquila,
anche grazie al piumaggio simile, marrone, con macchie chiare sul petto. La femmina è più grossa del
maschio.
Habitat: predilige ambienti boscosi alternati a spazi aperti, come prati e aree coltivate, adatti alla caccia.
Alimentazione: piccole prede, come topi, arvicole, anfibi, rettili, vari invertebrati e altri piccoli mammiferi.
Si nutre anche di carogne.
Riproduzione: le parate nuziali hanno luogo tra gennaio e aprile; edifica il nido da aprile a giugno su
grandi alberi o su sporgenze rocciose e vi depone 2-4 uova che cova per 33-35 giorni. Le uova si
schiudono all'inizio dell'
             estate. Il maschio procura il cibo alla femmina e ai piccoli. I giovani a luglio
riescono ad abbandonare il nido e in agosto-settembre si allontanano definitivamente.
Diffusione: l' di distribuzione comprende tutta l'
       area                   Europa, ad eccezione delle regioni settentrionali
della Scandinavia, parte dell' e l'
               Asia Africa settentrionale. E’ una specie particolarmente protetta.




                           101
                      IXOBRYCHUS MINUTUS
Nome comune: tarabusino
Classe: Uccelli
Ordine: Ciconiformi
Famiglia: Ardeidi
Dimensioni: 33-38 cm di lunghezza circa, apertura alare 55-60 cm
Identificazione e comportamento: specie generalmente migratrice a lungo raggio. La migrazione
avviene tra marzo e maggio, i quartieri di svernamento sono localizzati a sud del Sahara. Rispetto agli
altri aironi è di dimensioni più piccole. Nella parte superiore è scuro di sopra, più chiaro in quella inferiore.
I maschi hanno il dorso e la parte superiore del capo neri con riflessi verdastri e sulle ali sono presenti
specchi biancastri, il piumaggio inferiore è rossastro. Le femmine sono marroni superiormente, più
striate, soprattutto su collo e petto. Il becco è lungo e giallastro, il collo piuttosto corto. Vivono soprattutto
di notte, quando si muovono nuotando o volando alla ricerca di cibo.
Habitat: vive lungo le sponde di fiumi ricche di vegetazione e lungo ambienti caratterizzati da acque
ferme, in particolare in presenza di canneto, dove forma piccole colonie. Durante l'     inverno o nel periodo
migratorio si può osservare sul litorale marino.
Alimentazione: piccoli pesci, anfibi, insetti che cattura all'  agguato o camminando nell’acqua.
Riproduzione: il maschio difende attentamente il territorio scelto per nidificare prima dell’accoppiamento.
In Italia nidifica all’interno di canneti o lungo i canali, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. Il nido è
piccolo (10-15 cm di diametro) e costruito con un’impalcatura di stecchi. L’accoppiamento avviene nel
nido. Successivamente la femmina vi depone 4-8 uova bianche-verdastre che vengono covate per 17-19
giorni da entrambi i sessi. Entrambi i genitori si prendono cura della prole, prima e dopo la schiusa. I
piccoli riescono a volare a 25 giorni.
Diffusione: specie distribuita con 5 sottospecie, in Europa temperata, Asia occidentale, Nuova Zelanda,
Australia meridionale ed Africa.




                            102
                       MUSTELA NIVALIS
Nome comune: donnola
Classe: Mammiferi
Ordine: Carnivori
Famiglia: Mustelidi
Dimensioni: circa 15-27 cm di lunghezza, coda 4-9 cm
Identificazione e comportamento: animale prevalentemente notturno, ma può essere attivo anche di
giorno. E’ molto abile nelle scalate, il nuoto, la corsa e lo scavo nel terreno. In genere conduce vita
solitaria, talvolta in piccoli gruppi familiari. Animale di piccole dimensioni, dalla forma slanciata, il corpo
allungato. Le appendici (coda e orecchie) sono corte, come pure gli arti. Le zampe hanno 5 dita con
artigli allungati. Le femmine si distinguono dai maschi per le dimensioni. La pelliccia è di color bruno
chiaro giallastro, con chiazze più chiare nella parte inferiore, molto morbida. La sua tana non è sempre la
stessa, dal momento che spesso si insedia nella tana della preda cacciata. Costruisce il nido di fieno in
cataste di sassi o legna, oppure nelle cavità degli alberi e marca il suo territorio con i secreti delle
ghiandole anali.
Habitat: molto versatile, la si può trovare in pianura, collina e montagna, anche oltre i 2000 m. Vive in
vicinanza di terreni coltivati, ma anche boschi, macchia, sassaie, canneti e in vecchi edifici dimessi.
Alimentazione: cacciatrice, carnivora, si nutre principalmente di roditori, lepri, conigli, uccelli e loro uova,
anfibi e rettili.
Riproduzione: il periodo degli amori si svolge tra marzo e agosto. I piccoli, generalmente 5-6, nascono
dopo una gestazione di 34-37 giorni, ciechi, sordi e nudi. Aprono gli occhi all’età di 4 settimane, mentre a
6-8 settimane cominciano a catturare le prime prede. A 3 mesi raggiungono la maturità sessuale.
Diffusione: presente in tutta Europa, nord Africa e Asia. Si trova anche in gran parte dell'  America del
Nord, se si considera la sp. M. rixosa cospecifica. Introdotta in Nuova Zelanda. In Italia ovunque. E’
protetta dalla legge sulla caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie protetta dalla Convenzione di Berna
(L. 5/8/1981, n.503, in vigore per l' Italia dall'
                         1/6/1982).




                           103
                        MARTES FOINA
Nome comune: faina
Classe: Mammiferi
Ordine: Carnivori
Famiglia: Mustelidi
Dimensioni: circa 42,5-47,5 cm di lunghezza, coda 23-26,5 cm
Identificazione e comportamento: animale prevalentemente notturno, solitario o in temporanee famiglie
che si disperdono dopo avere addestrato i giovani alla caccia. Il corpo è molto slanciato, il muso e le
orecchie appuntite, gli occhi piccoli. La pelliccia è folta, bruno-grigiastra, con la gola e la parte anteriore
del petto bianche.
In genere trova riparo nelle cavità degli alberi, negli anfratti delle rocce o in vecchi edifici poco frequentati.
Habitat: vive in pianura e in montagna, anche oltre i 2000 m. Predilige i boschi, i margini di boschi e le
zone rocciose.
Alimentazione: si nutre di piccoli animali quali insetti, anfibi, uccelli e loro uova, topi, ghiri e animali
domestici. Saccheggia spesso i pollai. Non è esclusivamente carnivora, infatti si nutre anche di bacche e
frutti.
Riproduzione: il ciclo riproduttivo inizia con il periodo degli amori nella stagione estiva, principalmente a
giugno. In questo periodo gli animali emettono particolari vocalizzazioni. Dal momento della fecondazione
alla fase di inizio dello sviluppo dell’uovo possono passare da alcuni giorni ad alcuni mesi. I piccoli, in
genere 2-4, nascono nudi e ciechi a marzo e aprono gli occhi all’età di 5 settimane, mentre vengono
svezzati a 8 settimane.
Diffusione: specie presente in America settentrionale e in tutta l’Europa centrale e meridionale, mentre è
assente in Scandinavia, Inghilterra e Islanda. In Italia manca solo nelle isole. E’ protetta dalla legge sulla
caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie protetta dalla Convenzione di Berna (L. 5/8/1981, n.503, in
vigore per l'Italia dall'
            1/6/1982).




                           104
                         GLIS GLIS
Nome comune: ghiro
Classe: Mammiferi
Ordine: Roditori
Famiglia: Muscardinidi (=Gliridi)
Dimensioni: circa 30 cm di lunghezza, coda 13 cm
Identificazione e comportamento: animale ad attività crepuscolare e notturna, di giorno si nasconde
all’intendo delle cavità degli alberi, fra le rocce o nei nidi artificiali degli uccelli. La sua corporatura è
snella, con grandi occhi sporgenti e orecchie piccole, la coda è lunga e folta. Il pelo è di colore grigio
cenere nella parte dorsale, sfumante verso il verdognolo nel ventre. Cade in un lungo letargo durante
l’inverno, durante il quale effettua brevi risvegli per cibarsi con le scorte di vegetali accumulate durante
l’autunno. Nelle annate particolarmente rigide può rimanere nella propria tana fino a sette mesi.
Generalmente scava la sua tana nel terreno ad una profondità di 50-60 cm. E’ un animale gregario, sia
durante il periodo di attività che in quello del letargo.
Habitat: pianura, collina e montagna, raramente oltre i 1000 m. Si trova comunemente in parchi, giardini,
frutteti e boschi di latifoglie, specialmente di querce. Più raramente in boschi di conifere.
Alimentazione: l’alimentazione è prevalentemente vegetale (semi, frutta, nocciole, ghiande), ma
occasionalmente consuma anche uova, nidiacei e piccoli mammiferi.
Riproduzione: l’accoppiamento si svolge tra maggio e ottobre (di massima nei mesi di luglio e agosto). I
piccoli nascono nudi e ciechi e cominciano a nutrirsi autonomamente verso le tre settimane di vita.
Diffusione: in Europa, dal Mediterraneo al Baltico (eccetto la maggior parte della Penisola Iberica,
Francia settentrionale, Paesi Bassi e Danimarca), in Asia Minore settentrionale. In Italia è diffuso su tutto
il territorio, comprese le isole. E’ protetto dalla legge sulla caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie
protetta dalla Convenzione di Berna (L.5/8/1981, n.503, in vigore per l'    Italia dall'
                                              1/6/1982).




                                               Foto F. Mezzalira



                           105
                  MUSCARDINUS AVELLANARIUS
Nome comune: moscardino
Classe: Mammiferi
Ordine: Roditori
Famiglia: Muscardinidi (=Gliridi)
Dimensioni: circa 16 cm di lunghezza, coda 6 cm
Identificazione e comportamento: animale crepuscolare notturno. E’ caratterizzato dal pelo giallo fulvo
nella parte superiore, più chiaro in quella inferiore, con la coda folta, i grandi occhi sporgenti e piccole
orecchie. Deve il suo nome al leggero odore di muschio che emana. E’ un grande arrampicatore e cerca
il suo cibo tra gli alberi. E’ specie gregaria, si formano in genere piccoli gruppi che si costruiscono un nido
comune a forma di palla, al riparo dal freddo, realizzato con foglie, muschio, peli e radici. A metà ottobre
cercano un riparo più isolato (nelle cavità degli alberi o nel terreno), dove cadere in letargo dopo aver
accumulato scorte di cibo.
Habitat: pianura, collina e montagna non oltre i 1600 m di altitudine. In boschi di latifoglie ricchi di
sottobosco, frutteti, raramente in boschi di conifere.
Alimentazione: si ciba di semi, frutta selvatica e coltivata, in particolare nocciole, ghiande, fragole,
germogli vari. Più raramente mangia insetti, uova e nidiacei.
Riproduzione: l’accoppiamento avviene tra maggio e settembre, con due nidiate. La gestazione ha una
durata di 23 giorni, dopodichè nascono 3-5 piccoli nudi e ciechi. Il pelo compare a 13 giorni, mentre a 18
giorni aprono gli occhi. Sono completamente indipendenti a 40 giorni.
Diffusione: è diffuso in gran parte dell’Europa, tranne che nella penisola iberica, nella penisola
scandinava e nella zona più settentrionale dell’Inghilterra. In Italia è assente solo in Sardegna. Si trova
anche in Asia Minore. E’ protetto dalla legge sulla caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie protetta dalla
Convenzione di Berna (L.5/8/1981, n.503, in vigore per l'   Italia dall'
                                     1/6/1982).




                           106
                    ERINACEUS EUROPAEUS
Nome comune: riccio
Classe: Mammiferi
Ordine: Insettivori
Famiglia: Erinaceidi
Dimensioni: circa 20-30 cm di lunghezza, coda 1-4 cm
Identificazione e comportamento: animale crepuscolare o notturno, passa la giornata rannicchiato nel
suo nido ricavato nel terreno. Conduce vita solitaria. Ha un tronco tozzo e robusto, in cui la testa mal si
distingue dal corpo. Le zampe sono robuste e le dita provviste di forti unghie. Il muso è appuntito e la
coda spessa. Il corpo è ricoperto sul dorso di aculei rigidi (circa 5000) di colore fulvo giallastro, mentre
nella parte ventrale e nel muso è presente un pellame bruno chiaro. Da ottobre ad aprile cade in un
profondo letargo.
Habitat: pianura, collina e montagna anche fino a 2000 m. Predilige boschi, margini di boschi, campi
coltivati, parchi, siepi e cespuglietti.
Alimentazione: è principalmente un insettivoro, per cui si nutre prevalentemente di insetti, lombrichi e
molluschi. Più raramente manifesta gusti carnivori, cibandosi di uova, nidiacei, rettili, uccelli e
micromammiferi.
Riproduzione: prima dell’accoppiamento il maschio gira attorno alla femmina e volteggia emettendo
veloci richiami per attirarla. Gli accoppiamenti avvengono tra maggio e settembre, generalmente con una
sola nidiata. La gestazione dura un mese, dopodichè nascono 4-6 piccoli ciechi e con 90-150 minuscole
spine bianche. I cuccioli aprono gli occhi a 14 giorni, successivamente iniziano ad uscire dal nido e a 2
mesi sono indipendenti.
Diffusione: vive in Europa, Siberia occidentale, Vicino e Medio Oriente. E’ stato introdotto anche in
Nuova Zelanda. In Italia è presente sull'  intero territorio nazionale, comprese le isole. E’ protetto dalla
legge sulla caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie protetta dalla Convenzione di Berna (L.5/8/1981,
n.503, in vigore per l' Italia dall'
                  1/6/1982).




                                               Foto F. Mezzalira
                          107
                      TALPA EUROPAEA
Nome comune: talpa europea
Classe: Mammiferi
Ordine: Insettivori
Famiglia: Talpidi
Dimensioni: circa 12-17 cm di lunghezza, coda 2-3,5 cm
Identificazione e comportamento: animale molto attivo sia di giorno che di notte, non soggetto a
letargo invernale. Svolge la maggior parte della propria vita sotto terra e per questo il corpo ha subito una
riduzione di tutte le appendici che potrebbero ostruire il movimento sotterraneo. Il corpo cilindrico è tozzo
e la testa vi si distingue appena. Gli arti sono brevi e le dita provviste di unghie lunghe. Il muso è
appuntito, gli occhi piccoli nascosti nella pelliccia. Il pelo è nero, con riflessi bruni o grigiastri, folto e
vellutato. Scava gallerie sotterranee, aiutandosi con le zampe anteriori, e qui si nutre e svolge vita
solitaria. Solo nel periodo degli accoppiamenti penta gregaria.
Habitat: ovunque, dalla pianura fino a 2000 m. Predilige i campi coltivati, i prati con terreni freschi, porosi
dove è più facilitata nello scavare le gallerie.
Alimentazione: insettivoro, si nutre principalmente di lombrichi, artropodi, molluschi e piccoli vertebrati.
Riproduzione: gli accoppiamenti avvengono tra marzo e maggio, con unica nidiata che viene alla luce in
maggio-giugno. I piccoli nascono dopo 4 settimane di gestazione, nudi e ciechi, in numero di 3-5. Il pelo
compare dopo 2 settimane, mentre gli occhi si aprono a 3 settimane di vita. Dopo un mese è concluso lo
svezzamento.
Diffusione: in Europa, ecluse parte delle zone mediterranee, Irlanda e Norvegia. Non è protetta contro la
caccia, in quanto la L. 11/02/1992, n. 157 esclude espressamente la tutela per questa specie.




                           108
                        MELES MELES
Nome comune: tasso
Classe: Mammiferi
Ordine: Carnivori
Famiglia: Mustelidi
Dimensioni: circa 60-85 cm di lunghezza, coda 11-18 cm
Identificazione e comportamento: animale notturno dal corpo robusto, il muso allungato, la coda corta,
le zampe brevi, riconoscibile per la mascherina bianca e nera. Possiede una dentatura da onnivoro con
canini poco pronunciati e molari appuntiti. Conduce generalmente una vita solitaria, ma nella stagione
degli amori e in autunno si possono trovare molti inpidui nella stessa tana. La tana ha una struttura
complessa, con parecchie gallerie che collegano altrettante camere, che possono spingersi fino a 6 m di
profondità. La ricerca del cibo è condotta principalmente attraverso l’olfatto. Marca il proprio territorio con
le secrezioni della ghiandola anogenitale, dal tipico odore di muschio e con le feci. Non cade in letargo
nel periodo invernale, ma dorme per periodi molto prolungati, abbassando il proprio metabolismo
Habitat: boschi, soprattutto di latifoglie, con abbondante sottobosco e radure aperte, macchia
mediterranea, anche nei pressi di zone umide, sia in pianura che in montagna di solito sotto i 2000 m.
Molto adattabile ad ambienti persi e al cibo che vi può trovare.
Alimentazione: è onnivoro e si nutre di micromammiferi, frutti, funghi, granoturco, tuberi, radici, semi,
lumache, lombrichi, insetti, anfibi, rettili, uova di uccelli, carogne.
Riproduzione: gli accoppiamenti avvengono in estate, preceduti da una danza delle femmine e dalla
lotta fra maschi. L’uovo fecondato entra in quiescenza per 4-5 mesi e solo allora va ad annidarsi nella
mucosa uterina, dando il via allo sviluppo embrionale. La gestazione dura 2 mesi e tra la fine dell’inverno
e l’inizio della primavera nascono 3-5 piccoli biancastri e ciechi, che verranno allattati per 12 settimane.
Diffusione: è presente in Europa, Siberia occidentale, Caucaso, gran parte dell’Asia. In Italia è assente
nelle isole. In passato veniva cacciato per la carne, la pelliccia e il grasso, mentre ora è perseguitato in
quanto nocivo alle colture, ma è protetto dalla legge sulla caccia (L. 11/02/1992 n. 357) ed è specie
protetta dalla Convenzione di Berna (L.5/8/1981, n.503, in vigore per l'  Italia dall'
                                            1/6/1982).




                           109
                       VULPES VULPES
Nome comune: volpe
Classe: Mammiferi
Ordine: Carnivori
Famiglia: Canidi
Dimensioni: circa 55-80 cm di lunghezza, coda 30-45 cm
Identificazione e comportamento: animale tendenzialmente solitario, ma a volte può formare nuclei
numerosi e strutturati. Conduce vita generalmente notturna, quando esce per la caccia. E’ un animale
dalle dimensioni medio-piccole, snello, con arti brevi. Il muso ha il tipico aspetto appuntito e lungo, è
munita di orecchie grandi ed erette e di coda folta. Il pelo è superiormente rosso fulvo , sfumato
lateralmente verso il grigio. Inferiormente penta più chiaro. Per rifugiarsi ha l’abitudine di scavare tane o
utilizzare quelle di altri mammiferi. La tana è caratterizzata da un insieme di gallerie, con molte entrate
marcate con il secreto delle ghiandole odorifere situate nella zona addominale.
Habitat: si trova negli ambienti più disparati, dal deserto fino alle regioni più fredde, anche sopra ai 3.000
m. Spesso è presente anche in aree antropizzate, anche se predilige i luoghi che le offrono maggiore
protezione, come i boschi, i cespuglieti e la macchia.
Alimentazione: è animale onnivoro, preferisce piccoli animali, quali arvicole, conigli, scoiattoli, lepri, ma
anche uccelli e rane. Si ciba anche di frutta, carogne e rifiuti.
Riproduzione: dopo un corteggiamento di circa 6 settimane, in gennaio le volpi si accoppiano. La
gestazione si protrae per circa 51-52 giorni. Vengono partoriti di norma 4-5 cuccioli, grigio scuri e ciechi. I
piccoli aprono gli occhi a 12-14 giorni e pentano indipendenti verso i 3-4 mesi.
Diffusione: è presente in tutta Europa, Asia, America settentrionale, India settentrionale, Africa a nord
del Sahara. Introdotta artificialmente per la lotta al coniglio in Australia. In Italia è diffusa in tutto il
territorio. La L. 11/02/1992, n. 157 la annovera tra le specie cacciabili nei periodi indicati; inoltre in quasi
tutte le province italiane si organizzano frequenti battute apposite per la volpe.




                           110
7. Linee guida per la gestione ordinaria
Di seguito si riportano le linee guida per la gestione ordinaria del lago. Esse sono sudpise in
due grandi aree:
  Lavori;
  Indagini ed iniziative.
Le linee guida sono organizzate in schede che le raggruppano per tema.


RIASSUNTO SINOTTICO DELLE LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEL LAGO DI FIMON
E DELLE SUE PERTINENZE

Lavori

Aree esterne al lago
  Manutenzione ordinaria dei sentieri naturalistici ed archeologici e della loro dotazione;
  Manutenzione ordinaria del percorso pedonale di collegamento tra il parcheggio ed il
  fronte-lago;
  Manutenzione ordinaria delle aree a parcheggio;
  Manutenzione della riva nell’area del fronte lago e delle aree limitrofe agli imbarcaderi.

Fascia perilacustre e rive
  Azioni di controllo della nutria;
  Creazione di posatoi per ardeidi, rallidi, testuggini attraverso l’affondamento presso la riva
  di grandi rami e parti di tronco (anticipare la presenza di legno morto c/o riva);
  Azioni di gestione della vegetazione forestale della fascia perilacustre;
     Controllo delle specie vegetali alloctone che tendono ad invadere la fascia;
     Sfalcio della vegetazione nelle aree di recente imboschimento;
  Sfalcio della vegetazione nelle aree di sosta ed aree attrezzate;
  Gestione della strada e della vegetazione ad essa limitrofa.

Specchio lacustre
  Azioni di controllo delle popolazioni delle specie ittiche esotiche;
                        111
  Realizzazione di opere annuali atte a favorire la riproduzione ed il rifugio di determinate
  specie ittiche autoctone;
  Azioni annuali atte a favorire determinate specie floristiche (in particolare la castagna
  d’acqua, attraverso recinzioni anti nutria);
  Manutenzione della scala di rimonta per pesci.


Indagini ed iniziative

Fascia perilacustre e rive
  Monitoraggio del popolamento faunistico della fascia perilacustre (censimenti specie
  indice);

Specchio lacustre
  Monitoraggio della qualità chimico-fisica e biologica delle acque del lago;
  Monitoraggio del popolamento ittico del lago;
  Regolamentazione accesso ed uso del lago per turismo da diporto;
  Adeguamento del regolamento di pesca nel lago, con particolare attenzione all’uso di
  natanti, accesso dalle rive, etc.;
  Adeguamento delle tecniche di pesca.




                       112
7.1 Gestione delle strutture che favoriscono l’accesso al lago

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Il Lago di Fimon esercita una forte attrattiva sulla popolazione di Vicenza e dintorni. Nella parte
N.O. del lago in tempi recenti sono state realizzate numerose iniziative che favoriscono un
utilizzo ricreativo del lago. Esse abbisognano di una continua manutenzione, anche per ovviare
ai frequenti atti di vandalismo.
Particolare importanza ed impatto hanno i pontili e le loro immediate vicinanze. L’attracco delle
barche e la loro messa a riva attualmente avviene ancora in modo disordinato, creando una
forte compromissione estetica ed ambientale dell’area soggetta a maggior frequentazione.
Le rive del lago in passato sono state inoltre oggetto di unilaterali azioni di appropriazione di
diritti di accesso a fine privato (creazione di orti, creazione di pontili) che ora non sono più
tollerabili.
Attorno al lago inoltre, nel passato, erano stati tracciati ed infrastrutturati due sentieri tematici:
uno di tipo naturalistico; uno di tipo archeologico. Entrambi da anni versano in uno stato di
abbandono e di fatto oggi sono difficilmente inpiduabili ed utilizzabili.




Uno degli imbarcaderi (F. Nori)         Un accesso al parcheggio (F.Nori)

Interventi precedenti
  1. Realizzazione di un parcheggio nell’ambito del progetto LIFE EcoFimon;
  2. Realizzazione di alcuni pontili per l’accesso al lago con barche (da pesca, a vela, etc.);
  3. Realizzazione di un sentiero pedonale di collegamento tra il parcheggio e l’area
    antistante l’abitato di Lago di Fimon (fronte lago);
  4. Realizzazione di un sentiero naturalistico;
  5. Realizzazione di un sentiero archeologico.
                        113
La partenza del sentiero per i pedoni



Interventi proposti
   1. Mantenimento in perfetto ordine del parcheggio a N del lago, curando in particolare la
    raccolta dei rifiuti, il fondo del parcheggio e la manutenzione delle aiuole verdi.
    Progressivamente andrebbe modificata la flora ornamentale utilizzata, al fine di
    renderla più in sintonia con l’ambiente naturale circostante. Si consiglia in particolare
    di sostituire le siepi fiorite con siepi formali di acero campestre e specie indigene di
    arbusti in sintonia con la stazione di impianto e che sopportano bene la
    formalizzazione;
   2. Mantenimento in perfetta funzionalità del sentiero pedonale di collegamento tra il
    parcheggio e l’area antistante il centro abitato, curando in particolare lo sfalcio dei
    bordi e la periodica manutenzione della staccionatura. Con il tempo sarà da
    considerare la sostituzione della staccionatura in legno di pino con una staccionatura
    in legno di castagno, in sintonia con il paesaggio rurale circostante;
   3. Riattivazione dei sentieri naturalistico ed archeologico, in particolare ricostituendo i
    segnavia ed i cartelli illustrativi e mantenendo potata periodicamente la vegetazione
    legnosa;
   4. Eliminazione dei relitti di barche e di ogni abuso circa la sosta di barche sulla riva e
    mantenimento in perfetto ordine delle aree limitrofe agli imbarcaderi (sfalcio della
    vegetazione, raccolta delle immondizie), in accordo con i concessionari dei diritti di
    navigazione sul lago;
   5. Sfalcio periodico (almeno 2 volte l’anno) delle aree di maggior accesso comprese tra il
    parcheggio e gli imbarcaderi, in particolare per favorire le attività di pesca dalla riva;

                        114
   6. Eliminazione bonaria degli orti nell’area del fronte-lago e loro sostituzione con aree
    gestite al fine di favorire la pesca dalla riva, in accordo con i concessionari dei diritti di
    pesca sul lago;
   7. Eliminazione bonaria dei punti di attracco e dei pontili di pesca che non rientrano entro
    gli accordi con i concessionari dei diritti di pesca e di navigazione.




Relitti abbandonati di barche



Azioni preparatorie
   1. Censimento dei relitti di barche e dei pontili e preavviso di sgombero;
   2. Inpiduazione dei gestori degli orti e preavviso di sgombero.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
   1. Sfalci della vegetazione erbacea;
   2. Potature a carico della vegetazione legnosa che intralcia il passaggio;
   3. Riparazione e manutenzione delle strutture e delle segnaletiche;
   4. Rimozione delle immondizie;
   5. Ricarica del fondo dei parcheggi e dei sentieri attrezzati;
   6. Vigilanza.




                         115
7.2 Azioni di gestione e di controllo della fauna nelle aree ripariali

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
L’ambiente ripariale del Lago di Fimon è stato notevolmente semplificato in passato. Anche i
recenti interventi di rimodellamento del profilo della riva (limitati ad alcuni tratti) e di
rimboschimento della fascia ripariale hanno apportato un miglioramento solo parziale della
persità strutturale dell’ambiente ripario.
Al fine di favorire l’insediamento e l’espansione di alcune specie animali (in particolare uccelli e
rettili) sarà necessario effettuare degli interventi mirati.
La riva del lago inoltre è il luogo di riproduzione della Nutria, specie esotica recentemente
insediatasi nel lago e che già ora provoca gravi sconvolgimenti a carico dell’ecosistema lacustre
(vedasi in particolare l’impatto sulle popolazioni di alcune specie erbacee, tra cui la castagna
d’acqua).




Immagini di Nutria (Foto I.Farronato)



Interventi precedenti
Nessun intervento.

Interventi proposti
   1. Distribuzione andante di cassette-nido per piccoli passeriformi (densità di 4-5 cassette
    ogni 100 m di riva alberata) al fine di sopperire alla carenza di cavità naturali;



                        116
  2. Cercinatura di alcuni alberi adulti di pioppo nero (in totale una diecina lungo l’intero
    perimetro del lago) per creare alcuni alberi morti in piedi per favorire l’insediamento dei
    picidi e di altre specie cavicole;
  3. Affondamento presso la riva di grandi branche e di tronchi con rami al fine di creare
    posatoi per gli aldeidi, il cormorano, i rallidi e punti di sosta per alcuni rettili (natrici,
    testuggini). L’intervento va realizzato davanti ai nuclei di vegetazione forestale meglio
    sviluppata. Potranno essere utilizzati i tronchi interi di inpidui abbattuti durante i
    diradamenti;
  4. Distribuzione di trappole per la cattura della nutria. Il numero dovrà essere tale da
    permettere un effettivo impatto significativo sulla popolazione che non potrà essere
    estirpata ma tenuta sotto ragionevole controllo.

Azioni preparatorie
  1. Censimento della presenza della nutria al fine di inpiduare le aree maggiormente
    frequentate.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Pulizia annuale delle cassette nido;
  2. Rinnovo del legno morto;
  3. Controllo delle trappole per nutria e soppressione degli inpidui catturati.




                        117
7.3 Gestione della vegetazione forestale della banda boscata perilacustre




Tratto di banda boscata perilacustre (F. Nori)



Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia – Stato attuale
Alcuni tratti della fascia perilacustre sono occupati oggi da fasce di vegetazione forestale
recentemente messa a dimora (1996-1999). Altri invece sono caratterizzati da vegetazione
forestale di più antico insediamento. In tutti i casi le dinamiche in atto richiedono leggere azioni
annuali di gestione della vegetazione, atte a favorire la sua evoluzione verso livelli di maggiore
naturalità.

Interventi precedenti
   1. Fino ad oggi gli interventi a carico della vegetazione forestale sono stati episodici e
    non hanno risposto ad un preciso piano di gestione della vegetazione forestale
    perilacustre.

Interventi proposti
   1. Nelle aree di recente rimboschimento va semplicemente controllata la vegetazione
    erbacea dei margini verso la strada, in attesa che venga messo in atto un intervento
    straordinario di manutenzione complessiva della banda boscata (diradamenti,
    rinfoltimenti, etc.);
   2. Ovunque nelle aree non di interesse ornamentale (fascia fronte-lago) vanno eliminate
    le specie arboree ed arbustive esotiche, con particolare riguardo a Ligustrum sinensis;


                         118
  3. Va prestato grande interesse al legno morto, lasciando in piedi gli inpidui secchi,
    salvo nei tratti dove questi possono creare dei rischi per i passanti;
  4. Vanno effettuate potature selettive del margine verso la strada della banda forestale.

Azioni preparatorie
  1. Il personale addetto alla manutenzione del lago e delle sue pertinenze va istruito sulle
    tecniche di manutenzione forestale.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Sfalci e potature;
  2. Eliminazione delle specie esotiche.




                       119
7.4 Gestione della strada perilacustre

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Da quando è stata realizzata la strada perilacustre che circonda completamente il Lago di
Fimon si è creata una forte azione di disturbo dell’ecosistema (accesso facilitato alle persone,
rumore, azioni di bracconaggio). Il paesaggio del lago inoltre è stato gravemente compromesso.
Da tempo sono state avanzate proposte per mitigare l’impatto di quest’opera, fino a giungere a
proposte che ne prevedono l’eliminazione (vedi la proposta del WWF di Vicenza del 1987).
Le grandi dimensioni della strada ed il fatto di poggiare su terreni spesso di tipo torboso, inoltre,
hanno posto nel passato problemi di manutenzione del suo fondo.




La strada sulla riva est (F. Nori)


Interventi precedenti
   1. Negli ultimi anni la strada è stata sbarrata in due punti e l’accesso vi è stato consentito
    solo a piedi, per ragioni di manutenzione o per accedere ai fondi privati;
   2. Lungo la strada inoltre sono state realizzate alcune aree di sosta.

Interventi proposti
   1. Ricalibratura del fondo nella parte centrale della strada, per una larghezza di 3 m, con
    riempimento delle buche di maggiori dimensioni;
   2. Riporto ai lati della strada di terriccio di compost di qualità, derivante solo da RSU e
    biomasse verdi, per favorire l’insediamento della copertura erbacea: riporto con
    attrezzatura spargi-compost per la larghezza di 1 m e per l’altezza di 10-15 cm,
                        120
     alternativamente da un lato e dall’altro della strada, in modo da dare un andamento
     sinuoso alla parte che rimane inghiaiata a vista;
  3. Lasciare che la sede stradale sia occupata, in modo alternato sui due lati, da rami di
    vegetazione arbustiva ed arborea, in modo da aumentare l’effetto sinuosità e creare
    barriere che impediscono di traguardare a grande distanza lungo l’asse della strada.
    Fare in modo che la parte libera da vegetazione si riduca progressivamente fino a 3-5
    m, creando alla fine un effetto sentiero nel bosco;
  4. Sfalciare periodicamente (1 volta all’anno) la vegetazione erbacea ed i ricacci delle
    specie arbustive lungo i lati della strada, per la profondità di 0.5 m, con rilascio della
    vegetazione sul posto, al fine di favorire l’ulteriore insediamento della vegetazione
    dell’orlo;
  5. Potare manualmente, ogni 3 anni, i rami incombenti della vegetazione forestale, fino
    ad un’altezza di 4 m, utilizzando la tecnica del “taglio di ritorno”. Evitare l’uso di
    potatrici meccaniche;
  6. Posizionare, in corrispondenza dei due accessi sbarrati, dei pannelli in legno con
    informazioni naturalistiche sul lago e con le regole di accesso alla strada e di
    comportamento;
  7. Manutenzione delle aree di sosta e delle loro strutture;
  8. Arricchimento delle aree di sosta con nuclei di vegetazione arbustiva tipica della zona;
    progressiva eliminazione della vegetazione ornamentale estranea all’ecosistema.

Azioni preparatorie
  1. Verificare i diritti di accesso ai fondi privati confinanti con la strada; fornire a tutti gli
    aventi diritto un regolamento di accesso alla strada.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Raccolta periodica dei rifiuti abbandonati lungo la strada;
  2. Sfalci;
  3. Potature;
  4. Manutenzione delle sbarre di accesso, delle aree di sosta e dei cartelli informativi;
  5. Vigilanza.
Note: Non si ritiene opportuno distribuire lungo la strada cestini raccogli rifiuti che incentivano
l’abbandono dei rifiuti e sono diseducativi (è bene che ognuno riporti a casa i propri rifiuti).


                        121
7.5 Gestione della fauna ittica

Nota introduttiva
Per quanto riguarda le azioni da intraprendere per la gestione straordinaria della fauna ittica, si
deve effettuare subito una distinzione tra le azioni che saranno effettuate direttamente sulla
fauna ittica e quelle che riguardano le attività antropiche legate alla pesca.
Da osservazioni effettuate sul campo, appare opportuna la creazione di un piccolo incubatoio,
per le specie di pregio come il luccio e la tinca. Questa struttura potrebbe essere localizzata in
un sito specifico e dovrebbe occuparsi solo di alcune fasi della riproduzione come lo sviluppo
delle uova embrionate e l’accrescimento delle larve fino al riassorbimento del sacco vitellino.
Successivamente è possibile usufruire delle fasce tampone boscate come zone per
l’accrescimento degli avannotti e dei giovani; queste zone presentano delle condizioni
ambientali ideali per l’accrescimento degli stadi giovanili e, inoltre, possono rappresentare siti
riproduttivi naturali molto interessanti per la riproduzione naturale di alcune specie importanti
per il biotopo come la tinca ed il luccio.




Il luccio nei tempi passati era frequente nel Lago di Fimon


Attualmente vengono praticate solo pochi tipi di pesca sportiva nel Lago di Fimon: in particolare
si pesca al “colpo”, si pratica lo “spinning” o il “carpfishing”. La pesca di tipo professionistico é
invece oramai scomparsa (Girardi e Mezzalira, 1991).

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La valenza ecologica di alcune specie autoctone, minacciate da fattori quali l’inquinamento, la
progressiva scomparsa degli habitat e la competizione con specie alloctone, porta ad attuare
strategie che favoriscano il ripristino delle popolazioni originarie. Specie come il luccio e la tinca
ad oggi hanno popolazioni ridotte che necessitano di interventi di ripopolamento e di controllo
delle specie alloctone che hanno preso il sopravvento.
                             122
Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Vengono effettuate reintroduzioni annuali di giovani lucci la cui provenienza non è sempre
verificabile. Vengono inoltre effettuate semine annuali di tinche.

Interventi proposti
Favorire il ripristino delle popolazioni originarie di luccio, tinca ed altre specie autoctone è
l’obiettivo dell’intervento.
Le specie autoctone di cui sopra hanno un’elevata valenza ecologica e la loro presenza
rappresenta un fattore di riequilibrio dell’ecosistema a seguito delle turbative operate in
passato. La presenza massiccia di specie autoctone contrasta in una certa misura lo sviluppo
delle popolazioni di specie alloctone che stanno alterando l’assetto ittiofaunistico complessivo
del lago.




Si prevede la costruzione di un piccolo incubatoio di valle alimentato con acqua prelevata
direttamente dal lago in cui effettuare lo sviluppo embrionale all’interno di vasi di Zugg. La
struttura può essere molto semplice e poco dispersiva. Necessita di una stanza (16 mq circa)
all’interno della quale devono essere alloggiati: batteria di vasi Zugg, vasca di accumulo
dell’acqua (circa 2 mc), sistema di prelievo dell’acqua dal lago con pompe aspiranti, sistema di
scarico dell’acqua. Il periodo di funzionalità del sistema è limitato a pochi giorni nell’anno e
potrà anche essere oggetto di visite didattiche nel periodo di funzionamento. E’ da valutare con
molta attenzione la possibilià di usufruire dei locali dismessi del vecchio depuratore per
attrezzarli in maniera idonea; ciò eviterebbe un’ulteriore occupazione di spazio, seppur limitata,
e non necessiterebbe di interventi per il collegamento alle reti (elettrica, idrica).


                        123
Le F.T.B. saranno sede dello stoccaggio temporaneo dei riproduttori prima della fecondazione
artificiale e dello svezzamento degli stadi giovanili delle specie riprodotte. Queste strutture non
necessitano di nessuna manutenzione particolare.

Azioni preparatorie
Sensibilizzazione delle associazioni di pescatori, realizzazione di corsi di formazione specifici
per la gestione delle strutture, cattura e stoccaggio temporaneo dei riproduttori, realizzazione
fisica delle strutture e loro collaudo.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Montaggio e smontaggio annuale dei vasi di incubazione, allestimento annuale del sistema di
alimentazione idraulica, pulizia, manutenzione e disinfezione dell’attrezzatura e dell’impianto.
Cattura annuale dei riproduttori, stoccaggio temporaneo nelle vasche delle F.T.B., operazioni di
fecondazione artificiale.
Formazione personale per la conduzione dell’impianto di incubazione.




                        124
7.6 Azioni di controllo delle specie ittiche alloctone

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La presenza all’interno del lago di specie ittiche alloctone causa una serie di problemi e di danni
alle specie autoctone residenti. Alcune specie esotiche infatti competono con quelle autoctone
per quanto concerne i siti di riproduzione ed anche per le risorse alimentari; mentre in altri casi,
come per il siluro d’Europa, si ha una predazione attiva sui pesci nostrani, con l’alterazione
della comunità.




Fasi di cattura del siluro (foto Nassi F.)



Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Allo stato attuale le specie alloctone sono ampiamente rappresentate all’interno della comunità
ittica del Lago di Fimon e, da un paio di anni, sono state intraprese azioni per il contenimento di
alcune di queste. In particolare vengono effettuate delle campagne di recupero del siluro
d’Europa mediante elettropesca.

Interventi proposti
Per migliorare le azioni di contenimento sarebbe opportuno affiancare all’utilizzo
dell’elettropesca anche quello delle reti da posta, preferibilmente dei tremagli. L’utilizzo di
questo tipo di reti dovrebbe garantire un aumento della catturabilità, soprattutto degli esemplari
di dimensioni medio-grandi, che riescono a percepire il campo elettrico dell’elettrostorditore a
una distanza tale da poter sfuggire alla cattura.



                        125
Una giornata di catture di siluri con elettrostorditore (foto Zanotto F.)



Azioni preparatorie
Sensibilizzare i pescatori, sportivi e non, a trattenere il siluro d’Europa e le altre specie ittiche
alloctone è uno dei punti di maggiore importanza; infatti evitando la loro reintroduzione in acqua
le specie autoctone avranno meno problemi di competizione.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Le azioni di contenimento delle specie alloctone nel Lago di Fimon, per portare a dei risultati
accettabili, deve protrarsi per un lasso di tempo molto lungo, ed essere anche ripetuta più volte
durante l’arco dell’anno. I periodi migliori per effettuare tali azioni sono prima del periodo
riproduttivo delle varie specie ittiche.




                              126
7.7 Realizzazione di opere annuali atte a favorire la riproduzione ed il rifugio di
determinate specie ittiche autoctone

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
L’assenza di zone riparo e di zone idonee alla riproduzione di alcune specie di elevata valenza
ecologica, è un problema per l’insediamento all’interno del lago di un popolamento strutturato
ed in grado di automantenersi. Tra le specie che richiedono questo tipo particolare di intervento
vi è il persico reale.

Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Negli anni passati sono state posizionate all’interno del lago delle fascine di legno, dove il
persico reale depositava i “nastri di uova” e gli stadi giovanili trovavano riparo dai predatori.
Tale azione ha prodotto un visibile miglioramento alla popolazione di persico presente nel Lago
di Fimon.




La posa delle fascine (foto Zanotto F.)



Interventi proposti
Sarebbe opportuno continuare a posizionare all’interno del lago delle fascine di legno nel
periodo di riproduzione del persico reale, in particolare nella zona Sud. Oltre a queste, altre
potrebbero essere lasciate in modo permanente al fine di fornire una zona di riparo per i pesci
durante tutto l’anno.



                       127
Azioni preparatorie
Tra le azioni da intraprendere prima di posizionare le fascine, bisogna effettuare un’adeguata
campagna informativa rivolta ai pescatori sul perché vengono posizionate le fascine e
sull’importanza della presenza del persico reale all’interno del lago.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Le fascine dovranno essere controllate periodicamente nel periodo della riproduzione per
verificarne l’efficienza e lo stato di degrado.




                       128
7.8 Manutenzione del Passaggio artificiale per pesci

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La costruzione del Passaggio Artificiale per Pesci è stata eseguita per ricostruire il “continuum”
tra il fiume ed il lago; tale struttura per funzionare in modo efficiente deve richiamare il pesce
verso il suo ingresso e consentirgli la risalita verso il lago. I problemi connessi alla scala di
monta sono soprattutto problemi di intasamento delle parti dovuto a materiale di varia natura.




Il Passaggio artificiale per pesci in costruzione Veduta del passaggio artificiale per pesci al luglio 2006
(foto Aquaprogram)                (foto D. Salerno)


Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Sono stati effettuati interventi di manutenzione al Passaggio Artificiale per pesci dopo la sua
messa in opera.

Interventi proposti
Per una corretta efficienza bisogna compiere delle azioni di manutenzione (almeno due volte
l’anno), ovvero bloccare il flusso d’acqua al Passaggio Artificiale per Pesci e pulirne i vari
compartimenti interni. Qualora fosse necessario, sostituire le parti danneggiate con strutture
nuove ed efficienti. Una volta effettuate le pulizie riaprire il flusso d’acqua e rimettere in funzione
il Passaggio Artificiale.

Azioni preparatorie
Per una corretta manutenzione dell’impianto è necessario formare una persona, che sia in
grado di operare in modo corretto ed in sicurezza. La persona preposta alla manutenzione del
Passaggio Artificiale per Pesci potrebbe essere uno o più associati del Bacino di Pesca “Zona
B” che gestisce il Lago di Fimon.
                          129
7.9 Monitoraggio del popolamento del lago e della sua valle

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
In passato il Lago di Fimon è stato oggetto di numerosi studi faunistici e botanici, anche di
grande pregio. Allo stato attuale manca però una sistematica azione di monitoraggio del
popolamento del lago, se si esclude la componente ittica che da tempo è studiata visto il suo
rilevante valore sportivo.
La conoscenza della dinamica delle popolazioni di alcune specie indice di vertebrati (utilizzate
come bioindicatori) e della flora acquatica può fornire, analogamente a quanto si fa con i
macroinvertebrati per valutare lo stato qualitativo dei corpi idrici, importanti informazioni sullo
stato dell’ambiente e, in particolare, sull’efficacia delle azioni di miglioramento messe in atto.




Trapa natans e Nuphar luteum (F. Mezzalira)     Potamogeton (F. Mezzalira)


Interventi precedenti
In passato, per un certo periodo, sono stati regolarmente effettuati censimenti degli uccelli
acquatici svernanti, nell’ambito dei progetti di ricerca dell’IWRB, e studi specifici sulle
popolazioni di alcune specie ornitiche (in particolare il cannareccione). Sono stati inoltre
effettuati numerosi studi botanici, soprattutto relativi alla flora acquatica.

Interventi proposti
  1. Censimento annuale delle popolazioni di alcune specie di vertebrati (in particolare
    uccelli ed anfibi), dotati di elevata significatività come specie indice, sia in periodo
    riproduttivo che in periodo invernale;
  2. Creazione di alcune parcelle permanenti per il monitoraggio della flora acquatica.




                        130
Azioni preparatorie
  1. Inpiduazione delle specie indice;
  2. Inpiduazione delle aree di monitoraggio della flora acquatica.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Esecuzione di censimenti faunistici;
  2. Esecuzione di rilievi floristici.




                       131
7.10 Monitoraggio della qualità chimico-fisica, microbiologica e biologica delle
acque del Lago di Fimon

Nota introduttiva
Data la scarsità di dati presenti in bibliografia è innanzitutto consigliabile instaurare una rete di
monitoraggio con cadenza periodica fissa semestrale al fine di acquisire tutta la serie di
parametri biotici ed abiotici indicati nel D.lgs. 152/99. Tali parameri consentiranno di identificare
più chiaramente quale sia la situazione del lago e come si stia evolvendo nel tempo. Una volta
acquisita una quantità di dati sufficiente (e.g. numero sufficiente di parametri e di misure nel
corso del tempo), si potrà elaborare un piano per migliorare la qualità delle acque del Lago di
Fimon.




Il Lago di Fimon (foto Bressan P.)           Altra veduta del Lago (foto D. Salerno)



I parametri che dovranno essere presi in considerazione sono quelli previsti nella normativa
vigente per le acque lacustri e, nello specifico, i macrodescrittori utilizzati per la classificazione
dello Stato Ecologico previsti dalla Legge Quadro Delle Acque (D.lgs. 152/1999 e D.lgs.
258/2000) e alcuni altri parametri chimico-fisici di base riportati nella legge sopra indicata.
Ovvero:
Macrodescrittori:
   misura della trasparenza (mediante disco di Secchi);
   ossigeno disciolto;
   fosforo totale;
   clorofilla a (stima della biomassa fitoplantonica).

                         132
Parametri chimico-fisici di base:
  temperatura
  pH
  conducibilità
  alcalinità
  azoto nitrico
  azoto ammoniacale
  azoto totale
  ortofosfati
Per valutare il carico di nutrienti entrante nel lago è opportuno posizionare alcuni punti di
prelievo nei pressi dei luoghi di immissione. Poiché la maggior parte dell’azoto e del fosforo
viene probabilmente riversata nel Lago di Fimon dagli immissari posti a Sud del bacino e dal
drenaggio dei campi coltivati, dei punti di prelievo dovrebbero essere posizionati in
corrispondenza di tali immissioni. E’ opportuno inoltre fornire una caratterizzazione igienico
sanitaria del lago per seguire l’evoluzione dell’attuale assetto microbiologico in virtù degli
interventi di risanamento già realizzati con i fitodepuratori e con quelli in progetto (weetlands e
fasce tampone boscate) e per verificarne l’eventuale idoneità alla balneazione.
Una valutazione del carico interno di nutrienti (in particolare del fosforo nei sedimenti) sarebbe
ugualmente auspicabile.
Essenziale per comprendere la dinamica ecologica della biocenosi lacustre è l’istituzione di
una rete di monitoraggio del fitoplancton e della zooplancton che prevede campionamenti con
cadenza stagionale per verificare le condizioni ecologiche del lago.

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
Non é possibile delineare un quadro preciso dell’evoluzione e dello stato attuale della qualità
delle acque del Lago di Fimon in quanto sono disponibili solo scarsi dati chimico-fisici.

Interventi precedenti
Tra gli anni 1962 e il 1966 è stata effettuata una raccolta di dati chimico-fisici delle acque, in
maniera discontinua (riportata da Braioni e Gelmini, 1978). Negli anni 1970-76 sono stati
raccolti dati dall’IRSA che sono stati utilizzati nell studio svolto da Gaggino et al. (1985). Nel
1978-79 è stata effettuata una campagna di indagini da Brisighello e successivamente nel
semestre che va dal giugno al novembre 2004 sono state svolte dal Laboratorio chimico dell'


                        133
AIM, presso il depuratore di Casale, una serie di analisi per la caratterizzazione chimico-fisica
delle acque e dei sedimenti.

Interventi proposti
Al fine di identificare più chiaramente quale sia la situazione del lago per quanto riguarda la
qualità delle acque e come si stia evolvendo nel tempo, si propone di instaurare una rete di
monitoraggio di analisi chimico-fisiche delle acque e dei sedimenti del lago con cadenza
periodica.
Si potrà giungere alla definizione dello stato di qualità del corpo idrico e verificare nel tempo gli
effetti degli interventi realizzati nel bacino lacustre monitorandone nel tempo l’evoluzione.
Finalità          Periodicità   Analisi              Stazioni
Caratterizzazione      Semestrale   D.lgs. 152/99           D, E, G (campagna
qualità acque                                 AIM) e centro lago°

Caratterizzazione      Stagionale   Trasparenza, O.D., Cloro-filla “a”, Centro lago
biocenosi                  feopigmenti, Fitoplancton*,
                      Zooplan-cton* , E. coli.

Caratterizzazione      Singolo    Tessitura, Azoto, fosforo      H, G, D, centro
sedimenti          campionamento                   lago
°=prelievo superficiale e di fondo
*=analisi quantitative


Tutti i dati andranno successivamente inseriti in una banca dati specifica.




Fitoplancton e zooplanton




                         134
Azioni preparatorie
E’ necessario impostare il piano di campionamento e progettare la banca dati elettronica con gli
output grafici che potranno essere utili nella interpretazione dei processi ecosistemici del lago.

Azioni di gestione odinaria e periodica
I campionamenti e le analisi andranno eseguite con la periodicità indicata nel punto precedente
e ripetuti negli anni.




                        135
7.11 Monitoraggio del popolamento ittico del lago

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La creazione di una rete di monitoraggio della fauna ittica è necessaria affinché vi sia una
adeguata conoscenza del popolamento ittico residente nel lago e per verificare l’efficienza dei
piani di gestione proposti.

Interventi precedenti
Le uniche campagne di campionamento sulla fauna ittica del Lago di Fimon sono state eseguite
nell’ambito della stesura della Carta Ittica Provinciale (1993-1994), successivamente nel lago
non sono stati effettuati altri campionamenti sulla fauna ittica.




Pesca con elettrostorditore (foto Aquaprogram)



Interventi proposti
Per una corretta gestione della fauna ittica del Lago di Fimon, si propone di effettuare un
controllo con cadenza annuale del popolamento ittico presente sia in termini di biomassa,
densità, sia in termini di composizione in specie. I campionamenti dovranno essere effettuati
mediante l’utilizzo di reti ed elettropesca, al fine di acquisire una serie di dati il più completa
possibile.
Sarebbe opportuno che i campionamenti venissero effettuati nei mesi di settembre e ottobre.




                         136
Posizionamento delle reti da pesca (foto Aquaprogram)



Azioni preparatorie
Per la progettazione e realizzazione dell’indagine è necessario concordare gli interventi con
l’Ufficio Pesca della Provincia di Vicenza e con gli organi gestori del Bacino di Pesca; sarebbe
opportuno coinvolgere anche i pescatori locali al fine di sensibilizzarli verso i problemi della
comunità ittica del lago e della sua gestione.

Azioni di gestione odinaria e periodica
Il monitoraggio preventivato va ripetuto annualmente per poter seguire nel tempo l’evoluzione
dinamica del popolamento e misurare gli effetti degli interventi ambientali realizzati a livello di
bacino.




                            137
7.12 Regolamentazione dell’accesso al lago per turismo da diporto

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La navigazione nel Lago di Fimon, riconosciuto come sito di interesse comunitario e pertanto
soggetto a criteri di utilizzo e gestione compatibili con gli obiettivi inpiduati dalla Comunità
Economica Europea, rappresenta una fonte di disturbo per gli animali e la vegetazione
acquatica. Gli approdi non autorizzati, che costellano tutto il perimetro del lago, costituiscono,
oltre che opere abusive, interruzioni significative nella fascia riparia e nella vegetazione alofita.
La navigazione da diporto fino a due anni orsono era rappresentata esclusivamente da barche
a remi e solo recentemente si è affermata la navigazione a vela che per lunghi anni era stata
completamente dimenticata. L’utilizzo di barche a remi ha un impatto decisamente inferiore
rispetto alle barche a vela sia da un punto di vista paesaggistico che funzionale; la presenza
della deriva con pescaggio di circa 70 cm può provocare danneggiamenti alla vegetazione
sommersa e, come per altro già verificato negli ultimi periodi, disturbo all’azione di pesca con
generazione di odiose diatribe, per fortuna solamente verbali, tra regatanti e pescatori.




Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Negli anni ’60 e ’70 era attivo e funzionante una associazione sportiva che promuoveva la voga
anche a livello agonistico. Era presente una struttura fissa per il ricovero custodito delle
imbarcazioni che fungeva anche da sede dell’associazione canottieri.
La navigazione a motore nel Lago di Fimon è vietata per legge e sono previste limitatissime
deroghe solamente per i motori elettrici, che recano minor disturbo all’ecosistema.




                        138
Interventi proposti
Inizialmente è necessario eseguire una accurata rimozione delle imbarcazioni abbandonate
sulla riva del lago in più punti che deturpano il paesaggio. Successivamente va eseguito un
capillare sopralluogo dei pontili fissi esistenti per verificarne la proprietà e la regolarità dei
requisiti costruttivi (autorizzazioni,concessioni etc.). Nel caso in cui fossero evidenziate delle
irregolarità si dovrà procedere immediatamente alla loro eliminazione. E’ previsto il
mantenimento di due pontili fissi: uno per l’ormeggio delle imbarcazioni a remi da mantenere
nell’attuale posizione occupata dall’attuale imbarcadero che andrà però ristrutturato
adeguatamente, l’altro per le imbarcazioni a vela che potrà rimanere nella posizione
attualmente occupata. Bisognerà prevedere comunque il mantenimento di alcuni ormeggi
custoditi per le imbarcazioni a remi da affittare ai pescatori iscritti alla Concessione di pesca ed
un posto per l’imbarcazione di appoggio della Polizia Provinciale. Verrà inpiduata e delimitata
una zone del lago dove non sarà possibile navigare per favorire il rispetto della fauna residente.
La zona inpiduata è in corrispondenza della porzione SUD dello specchio lacustre; nel lato
interno verso il centro del bacino sarà delimitata da una palizzata opportunamente predisposta
che permetta il passaggio del pesce ma non delle imbarcazioni.
E’ opportuno prevedere una limitazione all’acceso delle imbarcazioni nello specchio lacustre
per non determinare eccessivo disturbo alla fauna residente soprattutto nelle fasi più delicate
del ciclo biologico.
Non da meno dovranno essere concordate delle limitazioni all’uso dei natanti per quanto
riguarda tipologie, il numero massimo consentito e le zone di navigazione. E’ opportuno
effettuare fin da subito una distinzione tra l’impatto determinato dalle imbarcazioni a remi e
quelle a vela o motore. Le prime infatti determinano un disturbo molto limitato all’ecosistema
lacustre in virtù del sistema di propulsione, che non provoca danni alla vegetazione sommersa
o fenomeni di bioturbazione del fondo, e dello scarso pescaggio dello scafo; le barche a vela
invece, per la presenza di sistemi di stabilizzazione dell’assetto, possono interferire
negativamente con la vegetazione acquatica e creare involontariamente disturbo a chi pratica la
pesca. Le imbarcazioni a motore elettrico, per quanto a minor impatto rispetto al motore a
scoppio, possono interferire negativamente con la vegetazione acquatica e la fauna ittica,
pertanto il loro uso dovrà essere concesso solamente in occasioni molto limitate.
In estrema sintesi, non si ravvisano preclusioni all’uso di natanti a remi se non limitatamente
alla zona SUD del lago che dovrebbe penire zona di rispetto e protezione per l’ittiofauna e
l’avifauna; anzi è auspicabile incrementare la navigazione a remi favorendo l’utilizzo di natanti a
fondo piatto, particolarmente adatti a solcare le acque tranquille dei laghi, magari favorendo
forme antiche di navigazione come la voga alla veneta che da un lato possono fare riemergere
antiche tradizioni locali e dall’altro originare un indotto turistico di significativa valenza vista la
forte espansione che sta incontrando questa attività sportiva. La costruzione di ricoveri adeguati
per i natanti, in modo da eliminare il disordine e l’abbandono che regnano attualmente sulle

                         139
sponde del lago di Fimon, e di pontili adeguati rispondenti alle norme di sicurezza, dovrebbero
essere interventi di primaria importanza e non procrastinabili per il decoro e il paesaggio
lacustre.
Argomento più delicato è la navigazione a vela e a motore. Se per l’uso del motore a scoppio
ed elettrico esiste già una specifica normativa che li vieta salvo occasionali deroghe valutate di
volta in volta, la navigazione a vela è recentemente ricomparsa nello specchio d’acqua di Fimon
dopo lunghi anni di assenza. Il fenomeno non ha pertanto radici storiche nella popolazione
locale viste anche le scarsissime potenzialità di sviluppo che ha nel sito non certo dotato di
caratteristiche tecniche ideali, ma non per questo si ritiene debba essere precluso alla
navigazione a vela. Conseguentemente una regolamentazione della disciplina, come avviene
per tutte le altre attività antropiche che gravitano sul lago, si rende necessaria in virtù del fatto
che ci si trova all’interno di un Sito di interesse comunitario inserito a pieno titolo nella Rete
Natura 2000 per le sue peculiarità ambientali e faunistiche. Gli aspetti tecnici del regolamento
dovranno essere concordati in un tavolo tecnico dai responsabili delle associazioni veliche
locali e dovranno prevedere la tipologia di imbarcazioni consentite (optimist, flying j. e
catamarani per garantire un pescaggio ridotto della deriva in maniera da non interferire
negativamente sulla vegetazione acquatica), il numero massimo di equipaggi che potranno
veleggiare contemporaneamente alle altre imbarcazioni a remi nel lago per evitare di creare
eccessivo disturbo alla flora e alla fauna locali (inpiduato indicativamente in 25 unità), l’uso del
pontile e degli attracchi, nonché la zona di pieto di navigazione (inpiduata nella zona di
protezione faunistica a SUD del lago).
A fianco di queste attività andranno invece favorite iniziative dimostrative per il recupero delle
vecchie imbarcazioni a fondo piatto che solcavano le acque del lago in epoca storica,
promovendone il riutilizzo anche attraverso specifiche manifestazioni sportivo-culturali.


Tali azioni andranno comunque concordate tra le associazioni sportive (di pesca, nautiche,
ecc…), le associazioni ambientaliste e l’Amministrazione Provinciale nel rispetto della
normativa esistente e nell’ottica di una razionale gestione dell’area SIC prevedendo la
Valutazione di Incidenza per eventuali interventi da realizzare.




                        140
Vecchie imbarcazioni da lago



Azioni preparatorie
Realizzazione di incontri tra le associazioni sportive rivierasche per azioni di sensibilizzazione.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Dovranno essere effettuati interventi di controllo e vigilanza per l’osservanza dei regolamenti
che prevederanno una limitazione del numero di imbarcazioni che possono accedere al lago,
una limitazione alle tipologie di imbarcazioni e una limitazione delle zone di navigazione.




                        141
7.13 Adeguamento del regolamento di accesso al lago per la pesca

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
L’accesso alle acque del lago deve essere facilitato ma al contempo la presenza del pescatore
sulle rive non deve arrecare disturbo eccessivo all’ecosistema lacustre. Ad oggi è possibile
esercitare la pesca in tutto il perimetro del lago ed è possibile verificare in più punti la presenza
di rifiuti, la rozza interruzione della fascia di vegetazione attuata per potersi sporgere sullo
specchio lacustre, l’abbandono di attrezzi da pesca dimessi. La presenza diffusa sul territorio di
chi pratica la pesca ha pertanto un impatto negativo che può essere ridimensionato
concentrando la pressione in aree limitate e favorendo invece la pesca da natante.
Per migliorare la fruizione del lago da parte dei pescatori e non andare ad alterare
eccessivamente la vegetazione perilacustre è opportuno convogliare l’accesso al lago nel tratto
più facilmente accessibile e che attualmente è anche maggiormente antropizzato. Il tratto di
sponda più idoneo è quello che risulta affiancato dalla strada asfaltata, nella parte nord del
lago; in questo modo la parte sud del lago, di maggior pregio paesaggistico, risulterebbe meno
frequentata e perciò meno disturbata.
In alcune zone della rimanente porzione del lago si potrebbero creare dei passaggi in mezzo al
canneto per raggiungere pontili fissi o galleggianti, ove l’azione di pesca potrà essere effettuata
senza arrecare danni alla vegetazione perilacustre.
L’accesso alle altre parti del lago mediante la barca non determina impatti significativi
sull’ecosistema lacustre e sulla comunità ittica, se eseguita con natanti a remi.

Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Sono stati attuati interventi di sfalcio delle fanerogame e la predisposizione da parte dei fruitori
di piazzole per l’esercizio della pesca. Il tutto in maniera disorganica e casuale.

Interventi proposti
Nella parte a Nord-ovest del lago, che risulta già ora impattata dalla presenza antropica, è
possibile creare postazioni attrezzate per facilitare l’acceso alle rive del lago per l’esercizio
dell’attività alieutica e vietare la pesca da riva nelle altre porzioni del perimetro se non dai pontili
galleggianti. Nel tratto compreso tra il pontile dedicato alle barche a vela e quello dedicato alle
barche a remi si propone di attrezzare la sponda con piazzole per la pesca al colpo e facilitare
l’accesso dei pescatori eliminando le specie vegetali arboree ed arbustive che possono recare
disturbo alle attività alieutiche.
Nel contempo si propone di realizzare una serie di tre pontili galleggianti sulla riva opposta,
inseriti in maniera idonea nella vegetazione perilacustre, in modo da permettere l’avvicinamento

                         142
del pescatore allo specchio libero dell’acqua; i pontili potranno essere utilizzate anche dai
visitatori che passeggiano attorno al lago per poter godere di suggestivi coni visuali sul lago.
E’ inoltre consigliabile mantenere a disposizione dei pescatori che ne facessero richiesta, dotati
di regolare licenza e iscrizione alla concessione di pesca “Zona B”, l’utilizzo gratuito circa 10
imbacazioni a remi. L’affitto agevolato avrebbe validità per mezza giornata e l’imbarcazione
sarebbe custodita nell’imbarcadero locale.
E’ opportuno inoltre limitare la pesca e conseguentemente la navigazione nella zona di maggior
pregio per la fauna ittica e nella quale esistono le migliori condizioni per la riproduzione; tale
zona è inpiduata nella porzione SUD del lago in corrispondenza delle fasce a canneto che si
inoltrano nelle acque del bacino.




Azione di pesca da barca


Un numero di posti barca limitato ai rivieraschi è bene sia mantenuto nell’imbarcadero per i
quali applicare una tariffa di sosta agevolata o simbolica; ciò permetterebbe di mantenere e
proseguire le abitudini di frequentazione delle acque lacustri quasi giornaliere dei vecchi abitanti
del luogo e verrebbe così rinsaldato il legame con l’ambiente.
Da ultimo è opportuno posizionare uno scivolo pubblico per l’alaggio delle imbarcazioni da
posizionare nei pressi dell’attuale emiciclo in cemento di fronte alla discoteca “Elle et lui”: ciò
scoraggerebbe gli avventori ad abbandonare le imbarcazioni nella vegetazione ripariale o nei
pontili abusivi.

Azioni preparatorie
Contatti con l’Uffico pesca dell’Amministrazione Provinciale, i dirigenti della Concessione di
pesca “Zona B” e la FIPSAS, sezione di Vicenza per le modalità pratico realizzative

                        143
dell’iniziativa e per la verifica delle caratteristiche tecniche dei pontili galleggianti. Il progetto è
da sottoporre a Valutazione di incidenza.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Nelle zone attrezzate vanno eseguite periodiche operazioni di pulizia consistenti
nell’allontanamento dei rifiuti soldi urbani dai cestini e dal suolo; annualmente andranno
eseguite operazioni di sfalcio controllato della vegetazione infestante sia emersa che
sommersa.
Nei pontili galleggianti andrà eseguita la manutenzione tecnica ordinaria consistente nel
controllo dei sistemi di galleggiamento, delle tavole in legno delle pedane e dei camminamenti,
dei giunti snodati e delle balaustre protettive; eventuali pezzi danneggiati andranno sostituiti.
Andrà inoltre eseguito il controllo delle infestanti nel tratto di accesso ai pontili e nel tratto
prospiciente lo specchio d’acqua.
Le barche a remi a disposizione degli associati della concessione di pesca “Zona B” saranno
soggette a manutenzione ordinaria nel rispetto del manuale d’uso che accompagna
l’imbarcazione.




                         144
7.14 Adeguamento delle tecniche di pesca

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
Le differenti tecniche di pesca che vengono praticate nel Lago di Fimon possono costituire un
disturbo per la fauna ittica ed elementi di danneggiamento per la vegetazione acquatica. Ad
oggi sono praticate principalmente le seguenti tecniche: pesca al colpo, carp fishing, spinning,
gestite secondo il regolamento provinciale e del bacino di pesca “B”. La pesca al colpo
costituisce una fonte di inquinamento da nutrienti a causa della “pastura” utilizzata per il
richiamo del pesce nella zona di pesca. Questo fattore piene importante non tanto applicato al
singolo pescatore, quanto al numero dei pescatori: molti sono i pescatori che applicano questa
tecnica, quindi il quantitativo di pastura totale è spesso rilevante .
La pesca al colpo viene praticata normalmente da semplici appassionati, che si avvicinano al
lago con attrezzatura molto rudimentale, o da agonisti che invece utilizzano attrezzature
complesse ed artifici per attirare il pesce, molto sofisticati. L’impatto sulle acque del lago è
pertanto perso in funzione anche del tipo di esca e della quantità di “pastura” utilizzati,
generalmente a base di sfarinati e aromi naturali. Mentre il pescatore sportivo si limita ad
utilizzare quantitativi ridotti di pastura (pochi etti), l’agonista può utilizzarne anche persi
chilogrammi nella giornata. Valutando un accesso contenuto dei praticanti della pesca al colpo
tra dilettanti ed agonisti, è possibile stimare una imissione annua di sfarinati di qualche decina
di quintali; queste sostanze, per nulla tossiche, contribuiscono però ad un arricchimento
significativo del carico organico che va ad aggiungersi al naturale background del bacino e può
rappresentare un elemento limitante per il recupero della qualità ambientale delle acque del
lago.
Uno dei possibile problemi causati dalla pesca a spinning è il prelievo eccessivo dei grandi lucci
presenti nelle acque del lago; tale situazione faciliterebbe la proliferazione dei predatori
alloctoni, come il lucioperca ed il persico trota; per questo motivo sarebbe opportuno
classificare il Lago di Fimon come zona di pesca “No Kill” per il luccio.
Il carp fishing abitualmente è praticato da pochi pescatori contemporaneamente ma la battuta di
pesca classica si protrae per 2-3 giorni, giorno e notte, con l’immissione in acqua di alcune
decine di chilogrammi di pasture ed esche per persona. I fili di nylon utilizzati per la pesca delle
grosse carpe inoltre sono molto robusti ed operano spesso un taglio delle fanerogame
acquatiche di fronte alla postazione di pesca.
Tra le tecniche di pesca praticate nel lago, il carpfishing (i.e. pesca alla carpa) è quella che
presenta il maggior impatto sull’ambiente; per attirare i grossi ciprinidi presenti nelle acque di
Fimon nella zona di pesca (carpe ed amur) vengono riversati in acqua ingenti quantitativi di
mangime, essenzialmente granaglie e sfarinati vari. La maggior parte del mangime non viene


                        145
utilizzato dai pesci, ma si deposita sul fondo del lago dove viene parzialmente ossidato dai
microrganismi presenti.
Vista la mole degli esemplari insidiati, l’attrezzatura da pesca utilizzata per il carpfishing è molto
resistente, in particolare si utilizzano fili di nylon che presentano carichi di rottura elevati,
dell’ordine di persi chilogrammi, per evitare la fuga del pesce tra la vegetazione acquatica.
Poiché la pesca viene effettuata distante da riva e gli esemplari allamati riescono a nuotare per
persi metri in una o nell’altra direzione, in questa situazione il filo di naylon in tensione è in
grado di sfrondare le idrofite sommerse, molto importanti per la depurazione delle acqua
arrecando così un danno notevole all’ecosistema lacustre. Tale tipo di pesca ha invece solo un
impatto minimo sulla popolazione di carpa, perché normalmente gli inpidui catturati vengono
rilasciati. Tale pratica non impedisce dunque alle carpe di grossa taglia, invulnerabili ai
predatori naturali, di dominare in seno alla popolazione. La diffusa pratica del “No Kill” alla
carpa dovrebbe quindi essere controllata e regolamentata nel Lago di Fimon anche per non
precludere l’uso del bacino ad altre attività sportive. Si sono verificati purtroppo casi di
intolleranza tra pescatori e velisti dovuti alle interferenze tra i natanti e le attrezzature da pesca
(filo da pesca dispiegato nell’acqua a lunga distanza), che sarebbero scongiurati da una
regolamentazione più accurata.




Canne da carp fishing in azione di pesca



Interventi precedenti - misure intraprese nel passato
Le misure di controllo della pesca, ad oggi, rimangono quelle previste dal regolamento di cui
sopra; riguardano altresì il rilascio di alcune specie ittiche eventualmente pescate (luccio) e la
limitazione delle catture di altre al fine di salvaguardarne le popolazioni.


                        146
Interventi proposti
Obbiettivo principale è quello di gestire e regolamentare le pratiche alieutiche, al fine di evitare
peggioramenti della qualità delle acque (apporto di nutrienti da parte di pasture ed esche).
Limitare l’esercizio di alcune tecniche di pesca particolarmente impattanti, introducendo norme
specifiche come: limitazione della quantità di pastura disponibile pro capite, limitazione della
sezione del filo da pesca, obbligo di rilascio di alcune specie e di trattenere il pescato per altre.
Inoltre è consigliabile favorire altre tecniche di pesca meno impattanti, come lo spinning, e
diffondere la cultura del rilascio dei predatori pescati.




Pesca con artificiali dal ciambellone: una nuova tecnica che si sta diffondendo (Foto F. Zanotto)



Azioni preparatorie
Realizzazione di conferenze tra i pescatori per un’adeguata sensibilizzazione dell’utenza e
coinvolgimento dei dirigenti delle associazioni locali nella organizzazione. Promozione di attività
sportive a carattere nazionale per diffondere la pesca a spinning (gare di pesca) che prevedano
inoltre il rilascio del pescato.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
Verifica e controllo della regolare applicazione del regolamento.




                             147
8. Linee guida per la gestione straordinaria

Analogamente a quanto presentato per la gestione ordinaria, di seguito si presentano sotto
forma di scheda, le linee guida per la gestione straordinaria del lago e delle aree limitrofe.


RIASSUNTO SINOTTICO DELLE LINEE GUIDA PER LA GESTIONE STRAORDINARIA DEL
LAGO DI FIMON E DELLE SUE PERTINENZE

Lavori

Aree esterne al lago
  Acquisizione di aree per area filtro forestale a sud del lago e per fascia di continuità
  ecologica nell’area dei canottieri;
  Realizzazione di un’area filtro forestale a sud del lago;
  Realizzazione di un sistema di fasce tampone lungo le scoline;
  Realizzazione di una banda boscata di connessione tra boschi collinari e fascia boscata
  perilacustre;
  Modifica del percorso di un tratto della strada perilacustre;
  Migliorare lo stagno periodico a SE del lago, lungo strada e renderlo visitabile (passerella);
     Immettere acqua dal sistema filtro nello stagno;

Fascia perilacustre e rive
  Impianto di siepe lungo la scarpata esterna della strada;
  Completamento dell’impianto della fascia boscata perilacustre;
  Modifica della pendenza delle rive nei tratti non rimboschiti;
  Allargare i punti di immissione delle scoline per formare zone di allagamento periodico
  favorevoli agli anfibi;
  Creazione di alcuni, limitati punti di accesso schermato all’acqua a fini di osservazione
  naturalistica;
  Creazione di un’area test per le tecniche di reintroduzione delle specie erbacee;
  Realizzazione di una banchina sommersa di fronte ai tratti imboschiti per favorire
  l’insediamento della cannuccia palustre;

                        148
  Creazione di un percorso naturalistico con segnaletica unificata lungo il perimetro del lago;
     Posizionamento di pannelli grandi all’entrata delle due strade;
  Completamento della pista pedonale dal parcheggio alla sbarra;
  Sistemazione della riva nel tratto prospiciente l’abitato di Lago di Fimon per favorire attività
  ricreative, nautiche e di pesca sportiva;
  Eliminazione dei punti pesca abusivi.

Specchio lacustre
  Estrazione di sedimenti per la realizzazione delle banchine sommerse;
  Azioni di biomanipolazione (rimozione della biomassa dei planctofagi);
  Creazione di un incubatoio di valle;
  Rimozione controllata della vegetazione del lamineto.


Indagini ed iniziative
Aree esterne al lago
  Iniziativa di animazione rurale per la realizzazione di fasce tampone (inerbite o boscate)
  lungo le scoline e di piccole aree umide ad impronta di cavallo al termine delle scoline
  (prima del sottopasso della strada);
  Indagine geoarcheologica sull’intero comprensorio delle valli di Fimon e delimitazione delle
  aree di interesse archeologico;
     Mappa delle aree dove è stata estratta la torba;
     Salvaguardia dei giacimenti archeologici;
  Messa a punto delle linee guida da parte della Provincia, in coll. con la Sovrintendenza ai
  beni archeologici di Padova, per la conservazione del giacimento archeologico delle valli di
  Fimon.

Fascia perilacustre e rive
  Indagine sui fruitori della fascia perilacustre;
  Regolazione dell’uso dei terreni demaniali per la realizzazione di orti (con l’obiettivo di
  eliminare questo uso o di limitarlo a specifici casi).


                         149
Specchio lacustre
  Modello ideologico a flussi e deflussi del lago;
  Indagine sulla batimetria del lago;
  Indagine sulla stratigrafia del fondo del lago e della valle per completare la conoscenza
  della sua storia geologica e biologica;
     Carotaggi con analisi sedimentologiche e polliniche.

Altre iniziative
  Creazione del Centro di Educazione Ambientale del Lago di Fimon in collaborazione con il
  Museodi Storia Naturale di Vicenza; primo di una serie di Centri della Provincia riguardanti i
  biotopi di maggior interesse
     Uso della casetta del LIFE Ecofimon,
     Guide locali e coinvolgimento associazione locale “Il Lago e le Valli di Fimon”,
     Uso dei sentieri naturalistico ed archeologico,
     Coinvolgimento del CRR;
  Produzione di un video didattico sul lago;
  Nuova edizione delle guide ai sentieri naturalistici ed archeologici;
  Produzione di una guida alla conoscenza ed alla fruizione del Lago di Fimon;
  Recupero della tipica barca del lago;
  Creazione di un archivio documentale su Fimon e le sue Valli;
  Realizzazione di gare di pesca a basso impatto.




                         150
8.1 Aree forestali filtro
AFF: di cosa si tratta
Le AFF sono dei sistemi che funzionano con il principio delle fasce tampone, applicato questa
volta ad un’intera superficie (vedi altra scheda).
L’acqua (in questo caso dei canali di scolo) giunge all’area boscata e viene immessa in un
sistema anastomizzato di scoline disperdenti e drenanti, appositamente costruite sui terreni
agricoli, attraverso cui viene affinata e restituita all’ambiente.
Di volta in volta si valuta se utilizzare un sistema filtro costituito da sole specie arboree o da
specie arboree ed erbacee insieme, integrando, in questo secondo caso, un’azione combinata
fitodepurazione-AFF. Le scoline permettono lo scorrimento subsuperficiale dell’acqua nel suolo
al di sotto dell’area boscata; l’acqua viene depurata grazie all’azione dei microrganismi presenti
nel terreno ed è poi raccolta da un secondo sistema di scoline, che la immettono nel corpo
idrico recettore finale.
Lo schema generale di funzionamento dell’area filtro è quindi il seguente:
  una scolina di immissione dell’acqua
  una striscia di terreno, larga qualche metro, dove saranno messi a dimora gli alberi e dove
  sarà possibile passare con i mezzi meccanici per la manutenzione dell’AFF
  una scolina che raccoglie il refluo una volta che ha attraversato sub-superficialmente la
  fascia boscata.
Le AFF possono anche fungere da naturali casse di espansione del corpo idrico, laminando le
piene e limitando il rischio di esondazione.




               Schema generale di fuzionamento di un’AFF



                        151
           Sistema a pettine per la depurazione delle acque di origine agricola



Descrizione delle problematicità –Tipo di minaccia – Stato attuale
Le aree agricole che circondano il lago sono oggi la maggior fonte di inquinanti. Oltre alla
realizzazione di fasce boscate lungo le scoline, è dunque opportuno realizzare aree in grado di
affinare le acque prima che queste si riversino nel lago.

Interventi precedenti
Nel 1994 con il progetto Zone umide, condotto dalla Provincia di Vicenza, nell’ambito delle
azioni per la riqualificazione del margine incolto, è stato imposto il pieto di spargimento di
liquami, fertilizzanti e fitofarmaci, al fine di contenere l’inquinamento.
Nel 1999, in occasione del progetto EcoFimon per il disinquinamento ecologico e promozione
turistica del bacino del lago di Fimon è stata posta particolare attenzione al problema
dell’inquinamento idrico. In particolare, per il contenimento e l’abbattimento dell’inquinamento
diffuso e per il miglioramento della qualità delle acque sono state realizzate alcune aree di
fitodepurazione. A ciò si devono aggiungere gli indubbi vantaggi apportati dai rimboschimenti
realizzati nel triennio 1996-1999 dai Servizi Forestali, che hanno contribuito a generare un
ambiente naturale più efficiente dal punto di vista della filtrazione delle acque defluenti verso il
lago.

                          152
Interventi proposti
  1. Realizzare un’area filtro forestale di 0.6 ha nell’area meridionale del lago, in
    concomitanza con l’immissione dei due principali collettori drenanti le acque inquinate
    provenienti dalle circostanti aree agricole. L’AFF verrà gestita come ceduo semplice,
    con un turno di 6 anni. Si opterà per un’AFF a struttura media, che raggiunge altezze
    intorno ai 10-12 m circa ed è composta da arbusti alternati a ceppaie o da sole
    ceppaie. La composizione di quest’area boscata sarà costituita dalle seguenti specie:
    platano, pallon di maggio, ontano nero e salice cenerino. Per facilitare le operazioni
    colturali si utilizzeranno sesti d’impianto con distanza interfila di 3,5 m e nella fila di 2
    m. Si avrà cura di alternare nel suolo una ceppaia arborea e una arbustiva.

Azioni preparatorie
  1. Inpiduazione dei proprietari dei fondi su cui si intende realizzare l’impianto;

Azioni di gestione ordinaria
  1. Rimpiazzo delle fallanze il primo anno;
  2. Diserbo meccanico (sfalcio o trinciatura dell’erba) per il controllo delle erbe infestanti
    tra le file durante i primi due anni;
  3. Diserbo manuale con decespugliatore a spalla sulla fila.




                        153
8.2 Fasce tampone boscate
FTB: di cosa si tratta
Le Fasce Tampone Boscate (FTB) o “buffer zones” sono degli allineamenti di alberi ed arbusti
posti a margine del reticolo idrografico naturale o artificiale, in connessione idraulica con esso,
e prendono il nome dall' azione filtro che esse svolgono nei confronti degli inquinanti contenuti
nelle acque che le attraversano. Infatti, percentuali elevate di azoto, fosforo, pesticidi, tossine
inorganiche, destinate ai corsi d' acqua, vengono trattenute, immagazzinate e nel migliore dei
casi eliminate nell'
          attraversamento delle FTB.




Fino ad oggi si è sempre guardato all’agricoltura come ad una delle principali cause di
compromissione della qualità delle acque superficiali e profonde. Da qualche anno però questo
approccio è iniziato a cambiare e a poco a poco si è iniziato ad invertire il punto di vista:
l’agricoltura può ridurre in modo importante il suo impatto sui corpi idrici, modificando i sistemi
irrigui, le pratiche agronomiche, le tecniche di fertilizzazione, la gestione dei reflui zootecnici,
etc. La prima tappa di questa “rivoluzione culturale” è avvenuta in Italia a partire dalla metà
degli anni ’90 quando, nella Regione Veneto, su iniziativa dell’Azienda Regionale delle Foreste
(oggi Veneto Agricoltura) hanno iniziato a essere utilizzate le FTB per il controllo delle fonti di
inquinamento diffuso, principalmente di origine agricola.
Il principio fondamentale di funzionamento delle FTB si basa sull’interazione tra acqua, suolo,
microrganismi e vegetali legnosi.




                        154
Descrizione delle problematicità –Tipo di minaccia – Stato attuale
Fino a tempi recenti la campagna italiana era ricca di formazioni forestali lineari ed era del tutto
ordinario che i corpi idrici di ogni ordine fossero bordati da fasce di vegetazione arboreo
arbustiva. Ciò derivava dal fatto che in campagna esisteva una forte domanda di legna da
ardere utilizzata quasi sempre per puro autoconsumo. Il modo più conveniente di produrla era
quello di piantare alberi a rapido accrescimento (pioppo nero, salice bianco, ontano nero,
platano, robinia) in siti che contemporaneamente erano in grado di offrire un’elevata produttività
e di non ridurre in modo significativo la superficie agraria utilizzabile per le ordinarie colture: le
rive dei corsi d’acqua.
A Fimon, la graduale eliminazione di tutte le formazioni forestali lineari, sia naturali che legate
all’ambiente rurale, ha determinato un forte incremento dell’inquinamento delle acque del lago.
Contemporaneamente, l’intensificazione colturale e la meccanizzazione in campo agricolo
hanno aumentato il potenziale inquinante dell’agricoltura, accrescendo il rilascio nei corpi idrici
di nutrienti provenienti dai campi coltivati, in particolare azoto e fosforo.
Nella porzione meridionale dell’area situata attorno al lago di Fimon sono presenti molti campi
coltivati a mais che contribuiscono a determinare una situazione di elevato inquinamento idrico.
Si assiste ad un consistente trasporto diffuso di carichi azotati nel lago che, favorendo fenomeni
di eutrofizzazione e successiva deossigenazione delle acque, contribuisce in modo
determinante all' attuale stato di degradazione qualitativa.

Interventi precedenti
Nel 1994 con il progetto Zone umide, condotto dalla Provincia di Vicenza, nell’ambito delle
azioni per la riqualificazione del margine incolto, è stato imposto il pieto di spargimento di
liquami, fertilizzanti e fitofarmaci, al fine di contenere l’inquinamento.
                        155
Nel 1999, in occasione del progetto EcoFimon per il disinquinamento ecologico e la promozione
turistica del bacino del lago di Fimon è stata posta l’attenzione sul problema dell’inquinamento
idrico. In particolare, per il contenimento e l’abbattimento dell’inquinamento diffuso e per il
miglioramento della qualità delle acque sono state realizzate delle aree di fitodepurazione.

Interventi precedenti
   1. Realizzare un impianto di fasce tampone boscate lineari nella parte meridionale, lungo
    tutto il reticolo idrografico che fa capo al principale immissario del lago, su cui
    confluiscono i canali di bonifica. Si realizzeranno fasce tampone a struttura bassa,
    costituite da soli arbusti, che raggiungono altezze a maturità comprese tra i 3 e i 5 m e
    un ingombro laterale di 1,5 m su ogni lato. La composizione di queste fasce tampone
    sarà costituita dalle seguenti specie, ritenute particolarmente adatte all’ambiente
    umido del lago: sanguinella, pallon di maggio e frangola, piantate ad una distanza di 1
    m l’una dall’altra;
   2. Realizzare piccole aree umide ad impronta di cavallo al termine delle scoline prima del
    sottopasso della strada.




Scolina bordata da fascia tampone (F. Nori)



Azioni preparatorie
   1. Inpiduazione dei proprietari dei fondi su cui si intende favorire la realizzazione
    dell’impianto di fasce tampone;
   2. Iniziative di animazione rurale per la realizzazione di fasce tampone (inerbite o
    boscate) e di piccole aree umide ad impronta di cavallo.

                       156
Azioni di gestione ordinaria
  1. Manutenzione dei canali in coincidenza con l’anno del taglio a raso della vegetazione
    delle fasce tampone;
  2. Sfalcio controllato della vegetazione erbacea lungo le fasce tampone.




                      157
8.3 Azioni di miglioramento della strada perilacustre

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Negli ultimi anni la strada perilacustre è notevolmente migliorata ed il suo impatto naturalistico
ed estetico sul lago si è ridotto. Sono tuttavia possibili alcuni importanti miglioramenti per
completarne l’inserimento ambientale.
Sul lato esterno (rispetto al lago) della strada va completato l’impianto di una siepe sia con
funzione schermante rispetto al contorno esterno, sia con la funzione di completare
l’ambientamento del bosco ed in particolare l’avanzata verso il centro della strada della
vegetazione arbustiva (effetto “sentiero nel bosco”). Solo nei tratti paesaggisticamente più
pregevoli andrà evitato di piantare la siepe, lasciando liberi dei coni di visuale.
La strada continua a costituire un’invalicabile “barriera ecologica” per gli organismi che si
muovono solo attraverso il suolo. Di fatto essa isola l’ecosistema lacustre dall’ambiente
circostante. Particolarmente grave è ancor oggi l’impatto della strada sugli anfibi che si
spostano da e per il lago.




La strada perilacustre oggi (F. Nori)



Interventi precedenti
   1. In alcuni tratti lungo la strada sono stati piantati tratti di siepe da parte dei privati.




                         158
Interventi proposti
  1. Impianto a tratti di una siepe sul lato esterno della strada, per uno sviluppo
    complessivo di 1950 m, utilizzando solo specie arbustive od alberi di terza grandezza
    tipici dei bassi versanti delle aree collinari;
  2. Per rompere l’isolamento ecologico della fascia perilacustre si propone di eliminare un
    tratto di 200 m di strada in corrispondenza del colle che si avvicina al lago nel tratto
    SE, connettendo la strada perilacustre con la soprastante strada di mezza costa con
    un sentiero in terra a fondo consolidato, largo 2 m;
  3. Sostituzione del vecchio tracciato della strada perilacustre con un sentiero in terra a
    fondo consolidato largo 2 m;
  4. Nel tratto sommitale della strada andrebbe realizzato un belvedere, aprendo la
    vegetazione forestale della scarpata prospiciente il lago per favorire l’osservazione del
    lago dal lato SE;
  5. Nel tratto di strada asfaltata posta a nord dell’abitato, andranno realizzati alcuni
    sottopassi destinati al transito degli anfibi e molti altri piccoli animali per i quali questo
    tratto di strada rappresenta un’importante barriera.

Azioni preparatorie
  1. Acquisto della fascia di terreno, ordinariamente coltivata a mais, che si trova alla base
    del colle, per una superficie complessiva di circa 0.5 ha;
  2. Verifica dei diritti di accesso ai fondi privati per permettere di interrompere la circuiticità
    della strada perilacustre;
  3. Verifica dei diritti di transito sul tratto di strada di mezza costa interessato dal
    collegamento con la strada perilacustre.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Manutenzione dei sentieri;
  2. Potatura della vegetazione delle siepi lungo il lato strada.




                        159
8.4 Azioni di miglioramento della riva del lago e delle zone umide perilacustri

Descrizione delle problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
I lavori di ricalibratura del lago degli anni ’60 hanno profondamente modificato una delle aree
critiche del bacino lacustre: la riva, fatta di boschi idrofili semi allagati, stagni, aree a canneto,
aree a bassa vegetazione emergente dall’acqua, fossati, etc.
Lungo gran parte del suo perimetro la riva del lago si presenta come un brusco scalino e la
batimetria varia profondamente nello spazio di pochi metri.
Di ciò hanno gravemente sofferto soprattutto le specie legate agli ecotoni palustri.
Di particolare gravità è la generalizzata scomparsa del canneto, legato ad aree sommerse ma
non troppo profonde. La sua progressiva riduzione è uno dei maggiori problemi del lago di
Fimon.
Alcune specie di anfibi inoltre hanno visto ridotte drasticamente le aree essenziali per la loro
esistenza.

Interventi precedenti
Nel 1996 è stata realizzata in due tratti un’azione di risagomatura della riva ed in alcuni tratti è
stata artificialmente messa a dimora la cannuccia palustre. Da essa ora possono essere tratte
numerose informazioni utili a proseguire nell’intervento.




Parte sud-orientale del Lago (inverno ’86-’87)
Notare l’assenza di vegetazione forestale perilacustre (F. Mezzalira)




                             160
Interventi proposti
  1. Realizzazione di 2 nuovi tratti di riva risagomata (vedi localizzazione nella mappa), per
    uno sviluppo complessivo di 280 m, nei tratti non interessati dagli interventi di
    rimboschimento della fascia perilacustre. In tal modo lungo la riva del lago si
    alterneranno bande di vegetazione forestale ripariale, che si affacciano al lago in tratti
    a riva “alta”, con tratti di vegetazione erbacea che si affacciano al lago in tratti a riva
    “bassa”. La pendenza dei tratti risagomati sarà molto dolce e la livelletta, ottenuta con
    sole azioni di sterro e riporto, partirà dal livello della base della strada perilacustre e si
    inoltrerà per 10-15 m entro il lago. In tal modo la zona ecotonale avrà una larghezza di
    20-30 m e permetterà l’insediarsi di tutte le tipiche fasce vegetazionali delle rive dei
    dolci laghetti berici (cariceto, fragmiteto, lamineto);
  2. Creazione in uno dei tratti risagomati di un’area di studio permanente delle tecniche di
    ricostituzione della vegetazione perilacustre, utile soprattutto in vista della
    ricostituzione di alcune delle aree umide delle valli beriche bonificate nei secoli scorsi.
    In essa verranno messe a dimora, con perse tecniche (semina diretta, trapianto di
    rizomi, trapianto di piantine ottenute in vivaio, trapianto di culmi, etc.) le specie
    principali delle aree riparie e ne verrà scientificamente monitorato nel tempo il
    successo insediativo. La superficie complessiva dell’area sarà di 200 m2;
  3. Miglioramento dello stagno periodico che si forma a SE del lago, garantendo una
    costante alimentazione di acqua attraverso la connessione, con un by-pass, con
    l’area forestale filtro (vedi altra scheda) e rendendolo fruibile anche per ragioni
    didattiche attraverso la realizzazione di una passerella in legno sopraelevata (vedi
    altra scheda). In particolare andrà infittita la vegetazione forestale che lo borda,
    mettendo a dimora soprattutto inpidui di Salix cinerea. La superficie complessiva
    dello stagno andrà portata a circa 1.200 m2;
  4. Allargamento ed approfondimento del fondo di 10 scoline di immissione delle acque di
    scolo dei campi circostanti il lago nel tratto compreso tra la strada perilacustre ed il
    lago, per una lunghezza complessiva di 100 m; il profilo della scolina verrà reso molto
    dolce, con scarpa di 1:5 al fine di favorire la presenza soprattutto degli anfibi. Il fondo
    invece verrà portato ad un livello tale da favorire l’entrara dell’acqua del lago fino a
    ridosso della strada perilacustre; per favorire la presenza degli anfibi, sarà utile dotare
    lo sbocco delle scoline di strutture atte ad evitare l’accesso dei pesci;
  5. Riapertura di alcune piccole risorgive situate immediatamente all’esterno della strada
    perilacustre, attraverso ripulitura del loro fondo e riattivazione della scolina di scarico
    delle acque verso il lago;




                        161
   6. Creazione di alcune piccole piattaforme galleggianti (max. 1m x 1m) ancorate a
    ridosso della riva nei tratti più tranquilli del bacino, per favorire la nidificazione di
    alcune specie di uccelli acquatici.




Un’immagine dello stagno periodico (F. Nori)


Azioni preparatorie
   1. Studio dell’efficacia ed analisi dei risultati ottenuti nelle aree di riva già risagomate;
   2. Analisi delle tecniche di riproduzione delle specie erbacee da sperimentare nell’area
    test.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
   1. Monitoraggio della vegetazione nelle aree di riva risagomate;
   2. Sfalcio controllato della vegetazione nelle aree di riva risagomate;
   3. Sfalcio controllato della vegetazione nelle scoline risagomate.




                         162
8.5 Realizzazione di alcuni nuovi tratti di banda boscata perilacustre e di bosco
planiziale

Descrizione delle problematicità –Tipo di minaccia – Stato attuale
Fin dall’epoca delle bonifiche romane si è assistito ad una rarefazione degli ambienti
perilacustri, con conseguente scomparsa di alcune specie tipiche delle associazioni vegetali
che si susseguono a partire dalla sponda del lago verso l’esterno. Le poche aree umide che
sono rimaste sono ora dotate di formazioni vegetali che, pur se impoverite, rappresentano dei
relitti da conservare per la loro rarità e valenza naturalistica.
Gli interventi compiuti negli anni, in particolare quelli del 1962-63, hanno sconvolto e alterato
l’equilibrio della vegetazione perilacustre. In particolare, si è assistito ad una modifica del profilo
della riva, con conseguenti squilibri alla flora, al disboscamento della vegetazione arborea
ripariale e alla costruzione della strada circumlacuale. Queste azioni hanno interrotto la naturale
continuità tra il lago e i boschi circostanti, provocando delle alterazioni alla funzionalità delle
biocenosi lacustri e determinando un ulteriore impoverimento della flora superiore.

Interventi precedenti
Nel triennio 1996-1999 i Servizi Forestali hanno operato una ricostituzione della vegetazione
boscata perilacustre, su progetto dell’allora Azienda Regionale Foreste. La scelta della
composizione dei nuovi impianti è stata fatta dopo un’attenta analisi della vegetazione forestale
originaria, sia su documentazione passata, che su studi condotti su ambienti del tutto simili al
Lago di Fimon.




Un’area rimboschita negli anni ’90 nella porzione est del lago (F. Nori)



                             163
Interventi proposti
  1. Ampliare il rimboschimento dell’area compresa tra la riva del lago e la strada
    perilacustre seguendo i criteri già impostati dall’ARF, agendo lungo 2 nuovi tratti, per
    uno sviluppo complessivo di 320 m. In queste aree si inseriranno le specie riportate
    nelle tabelle sottostanti ordinate in tre fasce che si susseguono dal limite di contatto tra
    terra e acqua e la scarpata stradale, seguendo un gradiente di igrofilia decrescente. La
    prima e la terza saranno delle “siepi monofilare” (1-1,5 m), mentre la seconda sarà una
    “banda boscata” di larghezza variabile tra i 5 e i 19 m, a seconda delle zone. Il sesto
    d’impianto da scegliere sarà di tipo lasso, ossia a densità inferiore rispetto ai comuni
    rimboschimenti, avendo cura di alternare aree a densità bassa o prive di vegetazione
    a macchie più dense, al fine di facilitare la fruibilità. Si eviteranno allineamenti regolari
    che rimandano subito ad un intervento di tipo artificiale; pertanto, si adotterà un sesto
    di impianto secondo linee curve. Si adotterà un modulo di impianto di lunghezza pari a
    40 m, nel quale saranno costanti le specie utilizzate, la percentuale relativa delle varie
    specie e il criterio di distribuzione degli inpidui; saranno invece casuali la
    successione degli inpidui delle varie specie e la densità d’impianto nelle perse
    aree. Indicativamente, nella prima fascia verrà posto un inpiduo arboreo o un grande
    arbusto ogni 2-4 m. Nell’interspazio saranno inseriti da 0 a 2 arbusti. Nella seconda
    fascia, seguendo linee sinusoidali, i soggetti arborei saranno posti ad intervalli di 2-4
    m, procurando di ottenere una distribuzione delle piante a gruppi monospecifici di 3-10
    inpidui, simulando quanto avviene in natura. Gli arbusti saranno piantati in modo
    casuale, alternando zone fitte ad altre più rade. Infine, nella terza fascia, costituita da
    soli arbusti, questi saranno posizionati a circa 0,5-1,5 m. La tecnica d’impianto ritenuta
    più adatta è l’utilizzo di giovani piante di tipo “forestale” (alte 40-100 cm) e di astoni di
    salice (alti 200-300cm) con pacciamatura localizzata.




                SPECIE         PERCENTUALE
                Salix cinerea       50%
                Salix triandra       5%
                Alnus glutinosa       5%
                Viburnum opalus       5%
                Cornus sanguinea      10%
                Rhamnus frangula      25%
                   Specie della prima fascia


                        164
SPECIE         PERCENTUALE
Strato arboreo
Alnus glutinosa     40%
Salix alba       50%
Salix triandra     10%
Strato arbustivo
Rhamnus frangula    20%
Cornus sanguinea    15%
Crataegus monogyna   15%
Sambucus nigra     15%
Prunus spinosa     5%
Viburnum opalus     5%
Ligustrum vulgare    5%
Rhamnus cathartica   5%
Rosa canina       5%
Corylus avellana    5%
Euonimus europaeus   5%
   Specie della seconda fascia




SPECIE         PERCENTUALE
Cornus sanguinea    10%
Crataegus monogyna   15%
Prunus spinosa     15%
Rhamnus cathartica   15%
Rosa canina       5%
Corylus avellana    10%
Ligustrum vulgare    10%
Cornus mas       10%
Viburnum lantana    10%

    Specie della terza fascia




         165
Un’area in cui si intende procedere al rimboschimento (F. Nori)


   1. Realizzazione di un tratto di bosco planiziale. Il tratto di terreno che si trova tra il lago e
    la base del colle nella parte SE del lago, in corrispondenza del tratto di strada da
    eliminare (vedi altra scheda) andrebbe acquistato ed imboschito (per una superficie
    complessiva di 0.5 ha), realizzando un tratto di querco-carpineto, tipico dei fondovalle
    più asciutti delle valli beriche, oggi del tutto assente perché eliminato storicamente per
    far posto alle colture agricole di maggior pregio. Per tale operazione andrà utilizzata la
    tecnica dell’imboschimento dei terreni agricoli con piantine di tipo forestale.

Azioni preparatorie
   1. Studio dell’efficacia dei rimboschimenti già effettuati del 1996-1999;
   2. Inpiduazione dei tratti precisi in cui si intende intervenire;
   3. Scelta del tipo di gestione che si vorrà applicare ai nuovi rimboschimenti;
   4. Preparazione del terreno per il rimboschimento.

Azioni di gestione ordinaria
   1. Rimpiazzo delle fallanze il primo anno;
   2. Sfalcio del cotico erboso nelle aree di sosta;
   3. Controllo delle erbe infestanti;
   4. Potature per il controllo dello sviluppo laterale dei rami.




                            166
8.6 Azioni di miglioramento della vegetazione forestale perilacustre

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Lunghi tratti della riva del Lago di Fimon sono oggi caratterizzati dalla presenza di vegetazione
forestale, realizzata in perse fasi successive. Gran parte dei tratti necessita di azioni di
gestione straordinaria che ne favoriscano l’evoluzione.

Interventi precedenti
Fino ad oggi è totalmente mancata un’azione di pianificazione della gestione della banda
boscata perilacustre.

Interventi proposti
1. Diradamento dei tratti di aree imboschite nel 1996-1999 (3 nuclei, per uno sviluppo
  complessivo di 520 m). In tutti questi tratti la vegetazione forestale si presenta ben affermata
  ed in nessun caso sono necessarie azioni di rinfoltimento o sottopiantagione. Ovunque
  invece sarà necessario eseguire entro 1-2 anni un primo intervento di diradamento, con
  asporto di circa il 50% degli inpidui. Tale azione dovrà aver cura di favorire le specie meno
  rappresentate e di eliminare i non rari inpidui di specie esotiche (Morus nigra, Salix
  babilonia, etc.). L’orlo esterno, sia verso la strada che verso il lago andrà conservato integro.
  La biomassa ottenuta potrà essere cippata e rilasciata sul posto. Alcuni inpidui potranno
  essere abbattuti interi ed affondati presso la riva del lago. Una particolare attenzione dovrà
  essere posta per creare, anche nei tratti di riva coperti da una banda boscata, dei tratti più
  aperti, anche di dimensioni ridotte, dove possano svilupparsi le specie erbacee
  caratteristiche delle zone umide. Con il materiale legnoso di risulta verranno creati, a
  distanza di un centinaio di metri uno dall’altro, dei modesti accumuli di materiale vegetale,
  utili come punti di termoregolazione per alcune specie di rettili;
2. Miglioramento e cura di alcuni tratti realizzati in occasione delle feste degli alberi: lungo la
  riva occidentale alcuni tratti di riva sono stati rimboschiti in occasione di recenti feste degli
  alberi (per uno sviluppo complessivo di 160 m). In essi la vegetazione forestale è stata
  distribuita in modo casuale e senza un’attenta progettazione. Considerato il valore simbolico
  (legame tra bambini ed alberi), queste aree andranno seguite avendo attenzione di tenerne
  costantemente ripulita la superficie, rinnovando i nomi dei bambini sui cartellini ed
  introducendo, laddove vi sono fallanze, inpidui di specie idonee (vedi altra scheda). In
  futuro il trattamento andrà uniformato a quello degli altri tratti di fascia boscata perilacustre;
3. Creazione di un filare di alberi ad alto fusto lungo il lato N del lago, sull’argine che corre
  parallelamente alla strada a libero accesso ed al parcheggio, per uno sviluppo complessivo
  di 200 m . Lo scopo è quello di creare un “testimone”, visibile da lontano, dell’inizio del lago

                        167
  e, nel contempo, di migliorare esteticamente uno dei tratti di riva più degradati. Le specie da
  impiegare dovranno avere chiome molto solide (sicurezza) ed ampie ed a maturità gli alberi
  dovranno avere un portamento monumentale. Vista anche la prospicenza con un’area
  fortemente antropizzata, si potranno utilizzare anche specie esotiche. Specie consigliate:
  Farnia, Pioppo bianco, Platano. La spaziatura tra gli inpidui dovrà essere di 12-14 m per
  favorire uno sviluppo globoso della loro chioma a maturità;
4. Miglioramento compositivo e messa in sicurezza dei tratti di riva alberata presenti nell’area N
  del lago e nel tratto di fronte-lago. Questi tratti si sviluppano per circa 700 m e rappresentano
  il tratto di riva maggiormente frequentato. La vegetazione forestale, costituita
  prevalentemente da pioppi (nero e cipressino), Salice bianco, Platano, oltre a varie specie
  ornamentali, si presenta in forte degrado. Molti inpidui sono pericolanti e, per ragioni di
  sicurezza, andranno abbattuti o vigorosamente potati. Nel tratto NO più settentrionale (tra il
  parcheggio ed il primo imbarcadero) andrà posta grande attenzione alla conservazione dei
  tratti a cariceto, di particolare pregio botanico. Nel tratto NE, meno frequentato, l’operazione
  invece potrà essere più leggera, intervenendo solo a carico degli inpidui che rappresentano
  un reale pericolo per i passanti e rilasciando invece ovunque possibile i vecchi inpidui,
  anche morti, che rappresentano un elemento di pregio di persificazione ecologica. In
  questo tratto si consiglia di effettuare alcuni abbattimenti verso il lago, lasciando marcire i
  tronchi in acqua (creazione di posatoi). In tutta l’area andranno previste azioni di
  rinfoltimento e sottopiantagione, soprattutto con specie arbustive e con Ontano nero;
5. Nel tratto di fronte-lago (tra gli imbarcaderi, per uno sviluppo di circa 500 m) andrà realizzato
  un intervento particolarmente importante di riqualificazione complessiva della riva e della
  vegetazione arborea. Esso mirerà a creare un ambiente aperto, dove lungo la riva si
  alternano tratti totalmente aperti a tratti coperti da una rada copertura costituita da singoli
  grandi alberi. In questo tratto di riva andranno conservati, presso la riva, solo alcuni tratti di
  canneto.

Azioni preparatorie
1. Martellata dei nuovi tratti di banda boscata perilacustre;
2. Ricostruzione degli interventi effettuati in occasione delle feste degli alberi.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
1. Sfalci e ripuliture;
2. Analisi statica degli alberi dei tratti più frequentati.




                          168
8.7 Azioni per migliorare la fruizione turistica e didattica

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Le potenzialità turistico-ricreative e didattiche del Lago di Fimon sono ancor oggi largamente
sottoutilizzate. La mancanza di strutture recettive, a fini didattici, di strumenti informativi, di
attività collaterali (guide, servizio informativo, etc.), fanno sì che ancor oggi prevalga un
accesso sregolato, a volte egoistico (appropriazione indebita di “diritti di accesso”), che lascia
poca ricchezza sul posto e che contribuisce al degrado ambientale del lago.
Particolare attenzione dovrà essere posta nel migliorare i tratti di riva del fronte lago e le aree
prospicienti alle aree di sosta presenti lungo la strada perilacustre.

Interventi precedenti
Negli ultimi anni sono state realizzate numerose iniziative che hanno “iniziato” a dotare il lago di
strutture e servizi che ne favoriscono la fruizione a fini ricreativi e didattici. In particolare esse
riguardano l’uso alieutico (pontili), diportistico (pontili, rimesse per barche), turistico (parcheggi,
aree di sosta, sentieri pedonali, cartellonistica).
In passato erano stati tracciati ed infrastrutturati due pregevoli percorsi, uno naturalistico ed uno
archeologico.
Con il progetto LIFE Ecofimon, infine, è stata realizzata una casetta multifunzionale (ristoro,
aula didattica).
A poco distanza dal lago va infine segnalata la presenza del Centro Recupero Rapaci della
Provincia di Vicenza che da tempo è meta di un intenso flusso di visite a fini didattici,
provenienti anche da fuori provincia.




La casetta realizzata con il progetto EcoFimon (F. Nori)

                              169
Interventi proposti
  1. Completamento del percorso pedonale protetto che collega il parcheggio a N del lago
    all’area del fronte-lago. Utilizzando la stessa tecnica costruttiva, esso andrà prolungato
    per ulteriori 500 m, facendolo giungere fino alla sbarra di accesso alla strada
    perilacustre;
  2. Lungo il tratto interdetto al traffico veicolare della strada perilacustre andranno
    realizzate alcune (2) semplici strutture di accesso alla riva del lago, costituite da una
    passerella in legno sopraelevata e protetta da parapetti (vedi disegno) e da semplici
    barriere visive verticali, in canna palustre, ben inserite nelle fasce di vegetazione
    forestale (vedi disegno). In futuro, dopo lo sviluppo delle fasce di canneto, potrà anche
    essere previsto di prolungare la passerella di alcuni punti di osservazione fino al limite
    verso l’acqua aperta della fascia del canneto. La lunghezza complessiva delle
    passerelle previste sarà di 90 m;
  3. Un intervento analogo (passerella sopraelevata), ma senza la realizzazione dell’area
    schermata di osservazione, andrà previsto per favorire l’osservazione dello stagno che
    verrà rivitalizzato nella parte SE del lago (vedi altra scheda), per una lunghezza
    complessiva di 20 m;
  4. Creazione di un percorso naturalistico a segnaletica unificata (con gli altri percorsi
    delle valli di Fimon) lungo la strada perilacustre. In particolare, partendo dai pannelli
    già realizzati (vedi azioni di gestione ordinaria) in corrispondenza delle sbarre di
    accesso alla strada, verranno posizionati delle semplici strutture “segna-stazione” e
    “segna-via”, costituite da tronchi di albero infissi nel terreno e tagliati in modo obliquo,
    su cui sono ancorati pannelli in alluminio anodizzato che riportano le informazioni
    essenziali (numero della stazione, direzione). La “lettura” del percorso sarà favorita da
    una guida a stampa ed audio al percorso (vedi oltre);
  5. Completamento del mascheramento della scala di rimonta con una palizzata verticale
    in pali di castagno, al fine di migliorare l’inserimento estetico dell’opera;
  6. Creazione del “Centro di Educazione Ambientale del lago di Fimon” in collaborazione
    con il Museo di Storia Naturale di Vicenza e con il Comune di Arcugnano, primo di
    una serie di Centri della Provincia riguardanti i biotopi di maggior interesse.
    Inizialmente esso potrà utilizzare, come base logistica, la casetta in legno già
    realizzata con il progetto LIFE Ecofimon. In futuro esso potrà trovare una sede di
    maggior importanza (ad esempio in un edificio del centro di Lago di Fimon). Presso il
    Centro verranno periodicamente allestite mostre didattiche. Dal Centro potranno poi
    partire visite guidate che avranno come meta e supporto la rete dei sentieri naturalistici
    ed archeologici od il Centro Recupero Rapaci. Fondamentale è che attorno al Centro


                        170
      nasca o si consolidi un gruppo di guide naturalistiche, possibilmente formato da
      giovani del posto;
   7. Creazione di un’area didattica (vedi altra scheda) in cui verrà ricostruito un tipico
    insediamento preistorico;
   8. Creazione dell’”Archivio documentale su Fimon e le sue valli”. Partendo dal lavoro già
    realizzato da alcuni appassionati di storia locale (civile, naturalistica, etc.), esso potrà
    un domani avere una sede fisica presso il Centro di Educazione Ambientale o presso
    strutture pubbliche del Comune di Arcugnano. La sua esistenza favorirà la diffusione
    delle conoscenze sul lago e le sue valli e l’opera di ricerca e studio;
   9. Produzione di materiali cartacei, sonori e video di appoggio alla conoscenza del lago.
    In particolare si ritiene utile realizzare:
         a. una guida integrata ai sentieri naturalistici ed archeologici;
         b. una guida che illustri l’ambiente del lago ed i progetti di recupero effettuati ed
          in fase di attuazione;
         c.  una guida sonora al lago, che insegni a riconoscere i versi degli animali che
            lo popolano;
         d. un video didattico su Fimon e le sue valli, incentrato sia sugli aspetti
          naturalistici che su quelli storico-culturali.
   10. Ricostruzione della tipica barca del lago, usata in passato per la pesca e la raccolta
     della canna. Essa dovrebbe essere un domani favorita per l’accesso al lago a fini
     ricreativi;
   11. Realizzazione di un indagine demoscopica sulla composizione dei fruitori del lago, da
     ripetersi a cadenza periodica per valutare i fenomeni di evoluzione della fruizione del
     lago.




Il Passaggio artificiale per pesci (F. Nori)
                         171
Azioni preparatorie
  1. Inpiduazione dei gestori degli orti e preavviso di sgombero;
  2. Messa a punto della grafica unificata dei sentieri didattici del lago e delle sue valli;
  3. Accordo con il Museo di Storia Naturale di Vicenza per la pianificazione delle azioni di
    educazione naturalistica ed ambientale da attuare attraverso il Centro di Educazione
    Ambientale;
  4. Inpiduazione dei “giacimenti documentali” su Fimon e le sue valli;
  5. Attuazione di una campagna di registrazione dei versi delle specie animali che
    popolano il lago;
  6. Progettazione esecutiva della barca storicamente utilizzata per la navigazione sul lago
    di Fimon.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1. Manutenzione del sentiero pedonale;
  2. Raccolta periodica delle immondizie;
  3. Manutenzione e restauro periodico dei punti di accesso al lago;
  4. Manutenzione del sentiero naturalistico perilacustre e delle sue dotazioni;
  5. Attività didattiche;
  6. Raccolta di dati demoscopici sui fruitori del lago;
  7. Vigilanza.




                        172
8.8 Azioni di miglioramento della qualità delle acque attraverso la
biomanipolazione

Nota introduttiva
Alcune specie alloctone, oltre ad avere effetti negativi nei confronti delle specie autoctone,
hanno un impatto negativo sull’ecosistema lacustre, accelerando il fenomeno
dell’eutrofizzazione. L’effetto negativo sulla trasparenza dell’acqua di specie come l’abramide, il
carassio dorato e la carpa é ben documentato (Zambrano, 1999; Zambrano et al., 1999;
Zambrano et al, 2001; Lammens et al. 2002); tali specie (l’abramide in particolare; Breukelaar
et al. 1994) non solo rimettono in sospensione i sedimenti, riducendo così direttamente la
trasparenza dell’acqua, ma hanno degli effetti limitanti sui tappeti di idrofite sommerse, a causa
della destabilizzazione dei sedimenti, della ridotta penetrazione della luce a causa dell’aumento
di torbidità e dell’eventuale consumo diretto delle idrofite stesse (Bettoli et al. 1993; Scheffer,
1998). Le macrofite sommerse, invece, possono far aumentare la trasparenza dell’acqua dando
rifugio allo zooplancton erbivoro e contribuendo così al controllo della biomasssa del
fitoplancton. La presenza di densi tappeti di macrofite può perciò limitare gli effetti indiretti delle
specie ittiche zooplanctoniche sul fitoplancton (e.g. persico sole, scardola, pseudorasbora,
alborella). Infine, le idrofite sommerse possono avere un ulteriore effetto negativo sulla
biomassa del fitoplancton entrando in competizione con quest’ultimo per i nutrienti.




Catena trofica lacustre



                         173
Al fine di favorire la proliferazione di tali vegetali è opportuno prevedere un piano di
contenimento non solo delle specie bentofaghe (come il carassio dorato, la carpa e l’abramide)
ma anche di quelle zooplantofaghe (come l’alborella e la scardola). Queste ultime riducono
infatti la quantità di zooplancton che si ciba delle alghe unicellulari e che contribuiscono alla
riduzione della trasparenza. Il risultato che si ottiene per la proliferazione di tali specie ittiche è
la progressiva riduzione della trasparenza dell’acqua, con effetti negativi proprio sulle idrofite
sommerse. Inoltre, questi due fenomeni hanno la tendenza ad avere una retroazione positiva
l’uno sull’altro, rafforzando così lo stato ad acque torbide e con scarsa presenza di vegetazione
sommersa. Viceversa, in assenza di fattori di perturbazione (e.g. abbondanza di specie
bentofaghe) gli stessi meccanismi di retroazione positiva potrebbero stabilizzare il sistema in
uno stato ad acque più trasparenti e con abbondante vegetazione sommersa.
La scomparsa dei tappeti di idrofite sommerse ha come conseguenza non soltanto l’aumento
della torbidità, ma ugualmente una potenziale riduzione delle specie ittiche a deposizione
fitofila, come il luccio ed il persico reale. Tale fenomeno viene spesso seguito da un aumento
delle idrofite galleggianti (Trapa natans, Nuphar luteum, Nimphaea spp.). La riduzione dei
predatori ittiofagi, potenzialmente capaci di controllare le forme giovanili dell’abramide e di altri
ciprinidi, non fa altro che abbassare i tassi di mortalità per le specie bentofage. Inoltre, secondo
alcuni autori, la rarefazione della idrofite sommerse potrebbe avere ugualmente delle
conseguenze negative sulla densità e sulla persità della avifauna acquatica erbivora che
verrebbe privata di una fonte di cibo particolarmente importante per alcune specie (e.g. folaga)
(Moss et al. 1997).
Diversi studi hanno dimostrato che la riduzione degli stocks di specie ittiche bentofaghe e/o
zooplanctofaghe può far aumentare notevolmente la trasparenza in laghi torbidi poco profondi,
senza dover necessariamente ridurre i carichi esterni di nutrienti (Scheffer et al. 1993; Bertolo
1998; Hansson et al. 1998; Bertolo et al. 2000). La protezione e l’immissione di specie
ittiofaghe, capaci di controllare la quantità delle specie bentofaghe e zooplanctofaghe, si sono
dimostrate essere delle misure di appoggio utili per ristabilire delle condizioni di forte
trasparenza (Scheffer 1998; Moss et al. 1997; Lathrop et al. 2002).
Una gestione appropriata dell’ittiofauna può quindi essere una strategia efficace per migliorare
la qualità ambientale del Lago di Fimon.

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
I pochi dati analitici a disposizione (in particolare la trasparenza delle acque) indicano uno stato
di trofia dovuto alla iperproliferazione della componente fitoplanctonica del lago conseguente ad
un alterato metabolismo dei carichi nutritivi.




                         174
Interventi precedenti
Al fine di ridurre il carico inquinante in entrata, è stato eliminato lo scarico del depuratore di
Fimon, che precedentemente scaricava direttamente nel Lago, e a partire dal 2004 i sistemi di
depurazione inadeguati o di capacità insufficiente ancora presenti nel bacino imbrifero del Lago
di Fimon sono stati sostituiti da degli impianti di fitodepurazione nell’ambito del progetto
“ECOFIMON” (Life Natura 2000, finanziato dall’UE).

Interventi proposti
Al fine di migliorare la qualità delle acque del Lago di Fimon, in particolare aumentarne la
trasparenza, si propone:
-una gestione mirata della fauna ittica (piano di contenimento delle specie zoo-bentofaghe con
protezione e immissione di specie ittiofaghe);
-interventi sulla vegetazione acquatica sommersa con impatto positivo sui carichi di nutrienti e
sulle catene trofiche del lago.
Diversi studi hanno dimostrato infatti che la riduzione degli stocks di specie ittiche bentofaghe
e/o zooplanctofaghe può far aumentare notevolmente la trasparenza in laghi torbidi poco
profondi. Specie come l’abramide, il carassio dorato e la carpa non solo rimettono in
sospensione i sedimenti, riducendo così direttamente la trasparenza dell’acqua, ma anche,
consumando lo zooplancton, non permettono il grazing di fitoplancton con conseguente
aumento della torbidità.




Il posizionamento delle reti da posta


La riduzione di macrofite acquatiche galleggianti e di quelle invasive dovrebbe facilitare la
ricomparsa di idrofite sommerse a sviluppo verticale, che possono far aumentare la trasparenza
dell’acqua dando rifugio allo zooplancton erbivoro e contribuendo così al controllo delle
biomasssa del fitoplancton. Le idrofite sommerse possono avere un ulteriore effetto negativo
                       175
sulla biomassa del fitoplancton entrando in competizione con quest’ultimo per i nutrienti. Inoltre,
gli sfalci all’inizio della fase di senescenza autunnale permettono di esportare delle grandi
quantità di nutrienti dalle acque del lago e ridurre i carichi immagazzinati nei sedimenti, con
un’azione positiva a lungo termine sullo stato trofico del lago (CNR, 1997).




Macchina operatrice per sfalcio e raccolta vegetazione acquatica lacustre



Azioni preparatorie
Azioni di sensibilizzazione con associazioni di pescatori ed associazioni ambientaliste.


Azioni di gestione odinaria e periodica
Le azioni di cattura selettiva degli zooplanctofagi, di sfalcio controllato delle macrofite
galleggianti e di allontanamento della vegetazione recisa andranno ripetute annualmente per un
congruo periodo.
Proseguire nella produzione ed introduzione di ittiofagi autoctoni (luccio, persico reale).




                            176
8.9 Interventi di gestione e di miglioramento della vegetazione palustre

Nota introduttiva
Al fine primario di favorire l’insediamento delle idrofite sommerse (e così migliorare la qualità
dell’acqua) e secondariamente rendere possibile la fruizione del lago a scopi turistici e della
pesca è opportuno eliminare parte della massa delle idrofite galleggianti (principalmente le due
specie che appaiono più invasive, Ninfea e Nuphar). Più specificamente, la riduzione delle
idrofite galleggianti dovrebbe essere presa in considerazione al fine di i) favorire la ripresa delle
idrofite sommerse a sviluppo verticale, tali Potamogeton, Myriophyllum e Ranunculus e ii)
ridurre i carichi interni di nutrienti.
Favorire le idrofite a sviluppo verticale, che possano offrire delle ampie superfici per la crescita
delle microalghe fissate al substrato (perifiton), potrebbe infatti favorire l’aumento della
trasparenza (Cattaneo et al., 1998). Entrando in competizione per i nutrienti, il perifiton può
infatti, come le idrofite sommerse, contribuire alla riduzione della biomassa del fitoplancton. La
protezione delle “praterie” di Najas marina, non deve essere per altro sottovalutata, in quanto
tale specie può anch’essa fornire un substrato al perifiton e avere effetti positivi sulla
trasparenza, se presente con forti abbondanze (Cattaneo et al., 1998).
Esistono almeno tre approcci fondamentali per la gestione dei problemi causati dalle piante
acquatiche nei laghi: la rimozione meccanica, l’utilizzo di erbicidi e l’introduzione di specie
ittiche erbivore quali la carpa erbivora (Brunetti et al. 1989). A causa della possibilità di effetti
secondari non desiderati degli ultimi due metodi, solo la rimozione meccanica della vegetazione
sembra essere una soluzione appropriata.
L' di erbicidi, oltre ad avere degli indesiderati effetti ecotossicologici, non avrebbe un effetto
uso
selettivo sulle idrofite galleggianti, ma provocherebbe dei danni a tutta la comunità delle idrofite.
Allo scopo, nemmeno l'   immissione della carpa erbivora sembra essere una soluzione
adeguata. Come già riportato in precedenza, sembra anzi che l’aumento delle specie ittiche
parzialmente erbivore (e.g. carpa, carassio, abramide) possa essere legato alla riduzione delle
idrofite sommerse e della trasparenza, e favorire, in ultima istanza, le idrofite galleggianti.
La tecnica più appropriata alla situazione del Lago di Fimon sembra essere la raccolta
meccanica delle specie invasive tramite barca provvista di barra falciante. La periodicità
potrebbe essere annuale con un solo sfalcio autunnale. Si dovrebbe prevedere non uno sfalcio
completo ma interventi in aree circoscritte da alternare a zone lasciate naturali che poi, a
rotazione, subirebbero lo stesso trattamento l'
                       anno successivo.
Degli sfalci “a schacchiera” del lamineto (i.e. effettuati solo sul 50% della copertura, a tratti
alternati), come quelli effettuati nel Lago di Candia dall’Istituto Italiano di Idrobiologia per
contenere il lamineto a Trapa natans e favorire le idrofite sommerse (CNR, 1997), possono

                        177
dare degli ottimi risultati. Tali sfalci, se effettuati all’inizio della fase di senescenza autunnale,
permettono di esportare delle grandi quantità di nutrienti dal lago senza mettere in pericolo il
lamineto. In presenza di sedimenti ricchi di nutrienti, le idrofite galleggianti riescono a crescere
abbondantemente anche se gli apporti dal bacino risultano insufficienti per la loro crescita
(Marion e Paillisson 2003). É così possibile ridurre i carichi di nutrienti immagazzinati nei
sedimenti, con un’azione positiva a lungo termine sullo stato trofico del lago (CNR, 1997).
Naturalmente le idrofite devono essere raccolte al fine di evitare dei processi degradativi della
sostanza organica che potrebbero causare, oltre che un effetto esteticamente sgradevole, la
produzione di odori spiacevole e fenomeni anossigenici. Per ovviare a questi inconvenienti
(oltre che a ridurre il carico interno di nutrienti) è obbligatorio raccogliere tutta la biomassa
tagliata. Il compostaggio delle idrofite raccolte potrà inoltre permettere la riduzione dell’utilizzo
di fertilizzanti nei terreni agricoli circumlacuali.
La riduzione di specie invasive dovrebbe, in sinergia con altri interventi, contribuire al ripristino
di una comunità vegetale più equilibrata, facilitando così la ricomparsa di alcune macrofite
acquatiche di primaria importanza per la vita dei pesci.
Il canneto riveste una notevole importanza ambientale: è un preziosissimo sito per la
riproduzione di numerose specie ittiche autoctone, inoltre offre rifugio e nutrimento agli stadi
giovanili di molte specie di pesci. Tra le canne vivono anche svariate specie di insetti tra cui
coleotteri, aliplidi, ditiscidi e carabidi. Assai più noto è il prezioso legame tra il canneto e le
numerose specie di uccelli, stanziali o migratori, che lo frequentano.
Il canneto è un habitat d’estrema importanza per la fauna ornitica, anche se la sua
conservazione non è in Italia d’importanza prioritaria come in altri Paesi della CEE, date le
discrete superfici ancora esistenti. In zone ad elevato carico di nutrienti, i canneti tendono ad
evolvere rapidamente verso l’interramento e ad occupare progressivamente sempre più
superficie lacustre con notevole semplificazione dell’ecosistema. Il processo di interrimento si
verifica per il progressivo aumento dei depositi organici ed inorganici che si accumulano alla
base e per il conseguente elevato grado di saturazione idrica del terreno.
I processi naturali sono in continua evoluzione. La “canna di palude” rappresenta lo stadio
primario delle successioni vegetazionali dall’acqua alla copertura boscata. In assenza di
gestione il canneto è destinato ad un graduale disseccamento, con successiva colonizzazione
di altre specie erbacee ed eventualmente anche di piccoli arbusti e poi alberi. Questo processo
naturale può essere accelerato favorendo il progressivo drenaggio dell’acqua.
La gestione o la riqualificazione del canneto rallenterà il processo, o lo invertirà, al fine di
mantenere un bilanciamento dei differenti tipi di habitat, in ragione degli obiettivi posti.
Spesso si ricerca la dominanza del canneto, soprattutto dove l’obiettivo è di favorire le specie
animali che in esso vivono. Il mantenimento del canneto è probabilmente l’aspetto principale ai
fini della gestione dell’avifauna e dell’ittiofauna ad esso legata. Tuttavia la dominanza del

                        178
canneto potrebbe non essere ottenibili o appropriata e dipende dalle caratteristiche del sito e
dalla conservazione degli obiettivi.
Nel caso del Lago di Fimon la funzione paesaggistica, faunistica ed ecologica (nel senso della
azione di intercettazione degli inquinanti derivanti dalle fasce perilacuali) possono essere
identificati come obiettivi paritetici. E’ pertanto opportuno recuperare una fascia a canneto lungo
tutto il perimetro libero del lago avente uno spessore di circa 3-4 m come poteva essere prima
dei disastrosi interventi degli anni ’60. Per ottenere questo risultato si dovrà intervenire con la
riprofilatura del perimetro lacustre e la creazione di una pendenza moderata in modo da favorire
l’attecchimento anche spontaneo del fragmiteto; quest’operazione andrà preceduta da
un’alleggerimento della vegetazione sommersa antistante (lamineto).
La zona a canneto dovrebbe avere pendenze molto lievi che possano garantire la presenza di
acque basse. Queste lievi pendenze contribuiscono inoltre alla sicurezza delle zone visitabili dal
pubblico. Una pendenza bassa consente libero movimento alle specie di uccelli acquatici che
nidificano e/o si procurano il sostentamento dalle adiacenti aree emerse. Una pendenza lieve,
inoltre, massimizza la disponibilità di habitat d’acqua bassa utile come zona di pascolo per gli
uccelli. Questa zona infatti sarà nelle condizioni di attrarre invertebrati e pesci, potenziali
sorgenti di cibo per l’avifauna. Una maggiore varietà di pendenze lungo la linea di costa crea
una maggiore varietà di habitat per la flora e la fauna. Si prevede di intervenire con una
semplice riprofilatura con movimento terra nelle zone del perimetro lacustre prive di
vegetazione arborea retrostante, mentre nelle zone con presenza di vegetazione arborea
spondale è possibile costruire una palizzata di sostegno in alveo (ad una distanza di circa 2-3 m
dalla linea di costa) che verrà saturata con sedimenti lacustri raccolti con idrovora nella fascia
antistante la palizzata di sostegno. Quest’ultima tecnica si impone per non dover eliminare la
vegetazione di ripa e per permettere il passaggio dei mezzi meccanici nelle zone di intervento.
La densità del canneto non dovrà essere tale da inibire la circolazione dell’acqua, ma
sufficientemente alta da essere efficace nei processi di depurazione ed in grado di bloccare il
materiale organico in sospensione. Aree umide mature con Phragmites hanno una densità nel
canneto che può variare attorno alle 100 – 150 piante/m². Questi valori di climax risultano
generalmente costanti un tutte le aree umide a Phragmites, mentre le differenze di biomassa
sono dovute alla dimensione della singola pianta.
La fase di impianto e di attecchimento della vegetazione è di fondamentale importanza per il
successo nella realizzazione di un’area umida. I rari casi in cui si ritenga di poter fare
affidamento su una colonizzazione naturale della vegetazione richiederanno tempi più lunghi
rispetto ai casi in cui si è ricorso ad un impianto ex-novo, con il rischio di ottenere poi una
vegetazione distribuita in maniera non uniforme.
Se l’area umida deve essere sottoposta ad impianto di vegetazione, i costi e la reperibilità degli
esemplari vegetali dovranno essere verificati durante le prime fasi progettuali. La possibilità di
realizzare in sito un vivaio per il trapianto deve essere decisa con molto anticipo.

                        179
Premesso che il trapianto della Phragmites non è strettamente necessario poiché in molti casi
questa specie è autoctona ed infestante per cui entrerebbe da sola nell’area umida e
prenderebbe il sopravvento sulle altre specie pioniere o acquatiche in competizione, bisogna
dire che la canna viene piantata solo per accelerare il processo di rinaturalizzazione, che
altrimenti prenderebbe più di un decennio, e per rendere più efficace l’opera nel più breve
tempo possibile. Date le dimensioni delle aree da piantare non si può pensare di servirsi solo di
piante presenti nelle vicinanze del sito anche se normalmente presenti e si deve ricorrere alla
coltivazione delle piante in quantità ragguardevoli (decine di migliaia alla volta).
In sintesi il trapianto eseguito con piante ottenute da seme e da frammenti di rizoma, cresciute
in serra per i primi due mesi, trapiantate in campo con pane di terra con una densità di 1
vasetto/m², permette di ottenere, nel giro di 2 – 3 anni, canneti pressoché maturi.

Descrizione problematicità - tipo di minaccia - stato attuale
La comunità vegetale del Lago di Fimon sembra essere in costante evoluzione, con la
rarefazione di specie un tempo (1962) abbondanti (e.g. T. natans, .P lucens) e, viceversa,
l’aumento della copertura relativa di altre specie prima più contenute (e.g. Naias. marina,
Nuphar luteum, Nymphaea alba).
La vegetazione acquatica attuale risulta abbondante ma con scarsa biopersita in specie. In
particolare scarseggiano idrofite sommerse quali Potamogeton sp., Myriophyllum sp.e
Ranunculus sp.. Molto ampia risulta la superficie coperta dal lamineto (oltre il 33 % della
superficie del lago), che ne impedisce di fatto la fruizione.

Interventi precedenti
Nel 1962-63 fu attuato un piano mirante a trasformare il Lago di Fimon da ambiente naturale di
tipo palustre in un laghetto privo di vegetazione acquatica a vocazione principalmente turistica.
Gli interventi hanno previsto, oltre al dragaggio del fondo del lago, la modifica della scarpata di
riva e la creazione della strada circumlacuale, anche l' eliminazione totale della cintura arborea
perilacustre, la distruzione di ampie superfici di cariceto spondale, la soppressione della fascia
più esterna del fragmiteto.
Inoltre, nel 1964, il lago è stato ampliato nella porzione settentrionale.

Interventi proposti
Al fine di favorire l’insediamento di una comunità vegetale più equilibrata e persificata, con
conseguenti vantaggi sia per la qualità delle acque che per la fauna e al fine di rendere
possibile la fruizione di alcune zone del lago ora precluse (sia essa per attività turistiche o della
pesca) gli interventi che si propongono sono:


                         180
- la riduzione controllata del lamineto eliminando parte della massa delle idrofite galleggianti
(Ninfea e Nuphar); questo favorirebbe la ripresa delle idrofite sommerse a sviluppo verticale,
quali Potamogeton, Myriophyllum e Ranunculus;
- la ricostituzione di ampie fasce di canneto in buona parte del perimetro lacustre compreso nel
lato superiore ed orientale del bacino; tale intervento andrà eseguito con azioni mirate di
rimodellamento delle sponde per eliminare eventuali scalini, creati volutamente nelle operazioni
di bonifica degli anni ’60, e successiva ricomposizione con zolle e pani vegetati con cannuccia.




Fascia di canneto (Foto D. Salerno)



Azioni preparatorie
Contatti con gli enti pubblici deputati alla gestione idraulica del bacino lacustre e redazione di
eventuale Valutazione di incidenza.

Azioni di gestione odinaria e periodica
Sfalcio meccanico del laminato e raccolta della vegetazione. La periodicità potrebbe essere
annuale con un solo sfalcio autunnale prevedendo sfalci “a schacchiera” prevalentemente nella
parte Nord del lago.




                        181
8.10 Proposte per una corretta utilizzazione delle Valli (nel rispetto delle
evidenze archeologiche)

Nota introduttiva
1- Evitare che lavori di scasso nel terreno distruggano resti archeologici conservati in posto. Ciò
si potrà ottenere:
a)  rispettando le aree archeologiche già vincolate dal Ministero dei Beni Culturali e
   Ambientali (Soprintendenza Archeologica del Veneto) (Vincolo archeologico sul Lago di
   Fimon, D.M. 08/06/1972);
b)  pretendendo che ogni nuova concessione edilizia sia affiancata da un’indagine geo-
   archeologica che escluda la presenza di strutture nell’area;
c)  incaricando un geo-archeologo di controllare eventuali nuovi lavori di scasso.
2- Sarebbe comunque quanto mai opportuna un’indagine estesa a tutta l’area delle Valli, per
definire le aree a rischio archeologico, per dare indicazioni operative al Comune di Arcugnano.
Questo lavoro dovrebbe essere realizzato in collaborazione tra un geo-archeologo, un
archeologo e un tecnico (geometra) che conosca la zona. In questa indagine potranno essere
utilizzati in prima istanza alcuni criteri empirici ma che si sono verificati validi in circostanze
analoghe:
a)  memorie storiche delle famiglie dei proprietari del terreno circa la potenza del deposito di
   torbe e la loro eventuale asportazione nel passato, tenendo conto del fatto che in
   generale i livelli archeologici si trovano fino alla base delle torbe; soltanto nell’area a Nord
   del lago i livelli archeologici sarebbero intercalati a limi (fide Lioy);
b)  morfologia di superficie dei terreni coltivati, che possono mettere in evidenza le aree in cui
   è stato asportato il deposito torboso;
c)  osservazioni nelle sezioni artificiali già aperte, ad esempio lungo i fossati;
d)  osservazione sulla natura dei terreni portati in superficie dalle talpe (nel sito di Molino
   Casarotto furono raccolti anche cocci neolitici).
Queste osservazioni saranno opportunamente integrate con indagini più approfondite,
mediante carotaggi o saggi di scavo.

Proposte per una migliore conoscenza della preistoria delle Valli
1- Realizzare alcuni carotaggi profondi sul fondo delle Valli, in modo da raccogliere dei
campioni indisturbati e sottoporre tali campioni ad analisi sedimento-pedologiche, polliniche e a
datazioni radiometriche, per conoscere la storia della formazione delle Valli e la loro evoluzione.

                        182
2- Completamento delle indagini archeologiche in due siti dove sono presenti strutture solo
parzialmente indagate: Molino Casarotto (Neolitico medio) e Fondo Tomellero (Media e
Recente Età del Bronzo).
3- Realizzare su reperti archeologici alcune ricerche, rese possibili dal progresso delle
metodologie e delle tecniche, come ad esempio l’indagine sulla provenienza dei materiali, sulle
tecniche di lavorazione, sull’utilizzo dei manufatti, sulla stagionalità delle occupazioni, sulla
natura delle attività svolte (raccolta/agricoltura; caccia/allevamento), sullo sfruttamento degli
animali abbattuti, ecc..
4- Controllare le datazioni radiometriche già realizzate e realizzarne di nuove.

Proposte per la valorizzazione turistica delle Valli (limitatamente all’aspetto
archeologico)
1- Proporre ricostruzioni realizzate su basi scientifiche di campioni di aree degli abitati neolitici e
dell’Età del Bronzo, da collocare in zone di facile accesso per i visitatori, opportunamente
illustrate.
2- Organizzare attività didattiche ad esse collegate, quali potrebbero essere la lavorazione
della selce, della ceramica, delle fibre vegetali.
3- Studiare un collegamento organizzativo tra il Museo Naturalistico-Archeologico di Santa
Corona (dove sono esposti i reperti di scavo) e quanto sarà realizzato a Fimon.




                         183
8.11 Mappatura del rischio archeologico

Descrizione delle problematicità - Stato attuale
Le valli di Fimon, che si estendono su di una superficie di circa 7,5 km2, sono state frequentate
in vari momenti della preistoria recente: Neolitico antico, Neolitico medio, Età del Rame, Età del
Bronzo antica, media e recente. Le evidenze archeologiche sinora note si trovano entro o alla
base di un deposito torboso sottostante al suolo agrario attuale, e più raramente nella porzione
superiore dei limi lacustri organogeni sottostanti le torbe. Vari siti archeologici, con tracce di
frequentazione spesso in buono stato di conservazione, sono venuti in luce nel corso
dell'
  estrazione della torba a fini industriali, e più raramente nel corso di scavi archeologici
appositamente organizzati. Poichè in più occasioni sterri eseguiti per vari motivi hanno
intaccato i depositi archeologici, provocando danni anche gravi, si rende indispensabile una
mappatura delle aree a rischio archeologico, mediante un accurato esame delle superfici e
delle sezioni esposte, e se necessario mediante trivellazioni a modesta profondità.
Sono attualmente a disposizione numerose pubblicazioni che permettono di inpiduare con
relativa precisione le unità stratigrafiche di maggior interesse.




                                Principali siti preistorici
                                delle Valli di Fimon.

                                Neolitico:
                                Fontega, loc. "Persegaro" presso
                                Molino Casarotto (4), Le Casette (1),
                                Cà dell' (2), Val de Marca (3),
                                    Oca
                                canaletta tra Molino Casarotto e q. 27
                                (5), Capitello (6).
                                Probabile Eneolitico:
                                Fontega, Pascolone (9).
                                Antica Età del Bronzo:
                                Pascolone (10), Ponte di Legno (10).
                                Media età del Bronzo:
                                Fondo Tomellero (9), M. Crocetta (12).
                                Età del Bronzo Finale:
                                Capitello (6).

                        184
Interventi proposti
  1- In primo luogo è necessario effettuare un aggiornamento sulla proprietà delle particelle
    catastali soggette a vincolo archeologico, ed effettuare una mappatura su C.T. in scala
    1:5.000 e 1:10.000. In seguito è necessario posizionare alla medesima scala i
    ritrovamenti (per quanto possibile) e la posizione degli scavi archeologici, in modo da
    determinare quali settori delle valli sono più a rischio;
  2- Mappatura delle aree già intaccate da escavazioni a persi fini per l'
                                       asportazione di
    torbe e dei limi;
  3- Posizionamento su carta topografica 1:25.000;
  4- Posizionamento su carta geologica 1:100.000;
  5- Eventuale aggiornamento del Vincolo archeologico;
  6- Mappatura di scavi archeologici;
  7- Mappatura delle trivellazioni precedenti;
  8- Esame dell' area in superficie nell'
                     eventuale presenza di stratigrafie esposte o per la
    presenza di materiali nel suolo arativo. Intervista dei possidenti o domiciliati sulle
    eventuali escavazioni per scopi vari.




                       185
8.12 Realizzazione di un itinerario archeologico legato alle frequentazioni
preistoriche del lago di Fimon

Descrizione delle problematicità - Stato attuale
Nelle valli di Fimon sono noti ritrovamenti del Neolitico riferibili alla Cultura di Fiorano, presso il
canale artificiale che fiancheggia la carreggiabile dal quadrivio di q. 27 a Molino di Casarotto,
mentre alla fase antica della Cultura dei vasi a bocca quadrata vengono riferiti i reperti
provenienti dalla torbiera della Fontega, dallo scavo di Capitello di Fimon, dalle torbiere di Le
Casette, di Ca'dell' e di Val de Marca. Il complesso di reperti più importante proviene dalla
           Oca
località "Persegaro" lungo la strada che dal Molino Casarotto conduce a Ca'Perpenti. Tra gli
insediamenti dell' dei Metalli vengono riferiti all'
          Età                Eneolitico alcuni reperti della Fontega e del
Pascolone; all' antica Età del Bronzo gli insediamenti del Pascolone e del Ponte sulla Debba;
alla Media età del Bronzo l' insediamento di Fimon-Fondo Tomellero e quello di Monte Crocetta
di Arcugnano; al Bronzo finale viene attribuito l'
                         unico insediamento di Capitello di Fimon.
Sulla base dei ritrovamenti e soprattutto degli scavi e delle ricerche eseguite nei siti delle Valli di
Fimon è possibile realizzare un articolato itinerario archeologico, con tappe corredate di
tabelloni descrittivi ed illustrativi con fini didattici. I temi trattati nei cartelloni potrebbero
riguardare la storia del lago e le frequentazioni antropiche nel Neolitico medio e nel Bronzo. Le
più recenti ricerche sulla preistoria consentono anche di descrivere con buon dettaglio gli usi
delle genti del lago, perciò è anche possibile realizzare un'   attività didattica sul posto: come
veniva scheggiata la selce, come venivano lavorate le pelli e le materie dure, animali, la
ceramica, ecc.

Interventi precedenti
Le attuali conoscenze sugli insediamenti della fase antica della Cultura dei vasi a bocca
quadrata nelle Valli di Fimon si fondano essenzialmente sui risultati degli scavi eseguiti nel
1969-72 in località "Persegaro" (detta anche "Fimon-Molino Casarotto"). In questa zona fu
scavata con metodi moderni un' di 474 mq. L'
                 area         insediamento neolitico si trova a poco più di
un centinaio di metri dal versante delle colline di Lapio, verso il centro della valle (vedi figura).




                         186
Veduta parziale delle valli di fimon. A sinistra si riconosce il Lago di Fimon (F).
A destra la località Persegaro presso Molino Casarotto, dove gli scavi 1969-72 hanno messo in luce
tre aree di abitazione (I, II, III) ed una sepoltura (S) neolitiche (da Bagolini e altri, 1973).


Gli scavi 1969-72 hanno messo in luce tre abitazioni, disposte lungo un allineamento all' incirca
parallelo alla mediana della valle. Fu dunque scelta una zona con caratteristiche particolari,
verso il centro della valle, molto probabilmente in relazione all'
                                 andamento dell' antica linea di
riva del lago. I resti delle strutture dell'
                      insediamento si trovano immediatamente sopra la
superficie dei limi lacustri, che presentavano larghe e regolari fenditure da dissecamento,
dovute probabilmente ad una bonifica per costruirvi le capanne. L' economia dell' insediamento
era profondamente legata all' ambiente lacustre, e ciò potrebbe spiegare la singolare ubicazione
delle capanne.




                            187
Planimetria dei settori di scavo 3 e 4 di fimon-molino casarotto,
colle aree di abitazione i, ii, iii. (da bagolini e altri, 1973)



Interventi proposti
   1- Inpiduazione delle aree di rinvenimento o di scavo. Queste andranno contrassegnate
    con un pannello illustrativo dove si potranno leggere le principali informazioni sul
    ritrovamento, sull' e sul contesto culturale nel quale si inserisce, con fotografie e
              età
    disegni che illustrino i principali temi trattati.
   2- Per la realizzazione di un itinerario archeologico è necessario tenere in considerazione
    i ritrovamenti effettuati precedentemente. Di particolare interesse risultano
    sicuramente i ritrovamenti di insediamenti neolitici e dell' del Bronzo, che
                                     età
    permettono di sfruttare un maggior numero di informazioni relative al modo di vita e
    all'
      economia.
   3- Con l' ausilio dell'
              archeologia sperimentale, si possono riprodurre gli eventi di cui si
    sono rinvenute le testimonianze archeologiche. In particolare nelle valli di Fimon, è
    possibile ricostruire una o più capanne dell'  abitato neolitico e riprodurre le principali
    attività (simulazioni di pesca e di caccia, coltura, scheggiatura della selce, produzione
    della ceramica, lavorazione del palco e dell' osso, concia delle pelli, riproduzione di un
    focolare) utilizzando le tecnologie del tempo.
   4- Costruzione di un laboratorio per lo studio di manufatti preistorici (da eventuale
    supporto a futuri scavi archeologici), per l'
                          archeologia sperimentale e per la didattica.


Informazioni per una corretta ricostruzione delle abitazioni neolitiche.
Ognuna delle tre abitazioni neolitiche presenta le tracce di capanne, con la parte centrale - il
focolare - ricostruita o rinnovata più volte. Qualche focolare più antico e più modesto si trova a
contatto immediato del limo lacustre; ma i più importanti poggiano su strutture lignee orizzontali,
formate da tre o quattro strati sovrapposti di pali incrociati. Queste strutture lignee avevano la
                        188
funzione di distribuire il peso del focolare su un'   area più vasta, impedendone l'  eccessivo
abbassamento entro il limo , molto plastico, e forse anche quella di isolare l' di abitazione
                                         area
dal terreno. Il focolare è formato da pavimentazioni rotondeggianti o quadrate, fatte con blocchi
di calcare, ricoperte di argilla e regolarizzate ripetutamente. Attorno alle strutture lignee
orizzontali (raramente sotto di esse) vennero trovati dei pali di diametro medio attorno a 8-10
cm, infissi verticalmente nel limo: 150 nella I area di abitazione, 24 nella II (scavata
parzialmente), 128 nella III. È probabile che questi pali avessero una funzione duplice: di
contenere le strutture lignee orizzontali e di sostenere le strutture aeree delle capanne. L' esame
dei legni impiegati (D' alessandro Tavani Aloisi, 1973 e jones, 1973) ha rivelato una prevalenza
dell'Ontano e del Frassino, seguiti dal Faggio, dall'   Acero e da altre essenze. L'Uomo ha
utilizzato gli alberi che crescevano nei pressi dell'  insediamento; tuttavia la forte percentuale
dell'Ontano, soprattutto tra i pali infissi verticalmente, sembra indicare una scelta appropriata,
date le caratteristiche di resistenza di questo legno quando viene immerso in terreno umido.
Della parte aerea delle capanne non fu trovata che qualche traccia modesta: frammenti di
intonaco, lisciati su una faccia, con impronte di rami sull'    altra faccia. Alcuni allineamenti
subrettilinei di pali verticali delle tre aree di abitazione e la forma delle strutture lignee
orizzontali, che forse corrispondono alle superfici interne delle capanne, inducono a ritenere più
probabile l'ipotesi di capanne a pianta rettangolare. Le capanne dovevano avere strutture lignee
ed essere intonacate all' interno.
Informazioni per una corretta ricostruzione delle abitazioni dell'età del Bronzo.
A Nord del Lago di Fimon, gli scavi iniziati nel 1970 portarono alla scoperta di un nuovo
insediamento in un deposito posto pochi centimetri sotto il piano attuale di calpestio, dello
spessore di 30-40 cm. Nella parte mediana del deposito era conservato un assito su cui
insistevano vistosi resti di focolare. Lo strato inferiore, poggiante sul limo, era costituito da
frammenti di strutture lignee. Nello strato superiore era conservato un assito che poggiava
inferiormente su resti di travi orrizzontali e grosse pietre. Numerose anche le tracce di strutture
lignee verticali, rappresentate da pali infissi il cui significato, allo stato attuale delle ricerche, non
è precisabile. Il ritrovamento rappresenta un esempio di bonifica.

Azioni preparatorie
  1- È necessario formare una o più guide che accompagnino i gruppi scolastici o turistici
    nelle visite al lago e che sia in grado di trattare tutti gli aspetti delle ricerche in atto;
  2- È necessario formare e/o contattare un gruppo di persone in grado di fabbricare
    strumenti in pietra, di lavorare la creta, di fabbricare reti da pesca, di ricostruire una
    piroga, ecc. In questo modo il progetto qui presentato si propone come un'   occasione
    di sviluppo e di possibilità di impiego per gli attuali studenti universitari che si
    specializzano nella realizzazione di tali attività.


                         189
Azioni di gestione ordinaria e periodica
  1- È necessaria la presenza di una persona incaricata della sorveglianza;
  2- Periodica ristrutturazione delle ricostruzioni degli abitati;
  3- Attività didattica continua e soprattutto estiva con l'
                               organizzazione di visite guidate e
    coinvolgimento degli studenti nell'
                     attività sperimentale.




                        190
8.13 Indagine sulla stratigrafia del fondo del lago di Fimon e della Valle per
completare la conoscenza della sua storia geologica e biologica.

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
I Colli Berici presentano nelle loro valli alcuni bacini lacustri, la cui formazione è dovuta allo
sbarramento delle stesse valli da parte dei depositi alluvionali quaternari dei fiumi prealpini. Il
maggiore di questi bacini è quello delle Valli di Fimon, che raggiunse una estensione massima
di 7,5 kmq. La progressiva scomparsa del lago ha portato alla formazione di una torbiera e
successivamente di un suolo coltivato, che hanno completamente ricoperto i sedimenti lacustri.
Attualmente la superficie delle acque è assai più modesta (Lago di Fimon, esteso circa 0,5
kmq), sia per cause naturali sia per intervento dell'
                          uomo.
Dai depositi limosi e torbosi delle Valli provengono numerosi reperti che attestano l'esistenza di
insediamenti preistorici del Neolitico e dell' del Bronzo, illustrati in varie pubblicazioni di R.
                       età
Battaglia, G. Brusin, M. A. Capitanio, O. Cornaggia Castiglioni, P. Leonardi, P. Lioy, C.
Maviglia, L. Meschinelli, A. Riedel, G. Trevisiol.
Lo studio geopedologico e sedimentologico (Magaldi, 1973) e palinologico (Durante Pasa,
1972) delle sezioni di scavo e di un sondaggio fatto nei depositi sottostanti all'    insediamento
neolitico, fino a -460 cm rispetto al piano di campagna, consente la ricostruzione della storia del
bacino lacustre di Fimon nelle sue fasi più recenti, nel Tardiglaciale würmiano e nel Postglaciale
(cioè all'incirca negli ultimi 15.000 anni). Mancano del tutto i dati relativi alle parti più profonde
dei depositi, che rispecchiano le condizioni climatiche di tempi più antichi. Il deposito indagato
più profondo è costituito da limo calcareo, di natura prevalentemente biochimica, depositatosi in
acque lacustri limpide. Ad un certo momento le acque si ritirarono progressivamente , lasciando
scoperta la superficie del sedimento calcareo, che venne occupata dall'   insediamento neolitico. I
resti dell'insediamento sono stati quindi ricoperti da torbe, depositatesi dopo il suo abbandono,
mentre il bacino era invaso da acque stagnanti. La fine della torbiera coincise con un notevole
ciclo erosivo che convogliò materiali provenienti dai rilievi circostanti.

Interventi precedenti
Descrizione degli aspetti geopedologici e sedimentologici della serie stratigrafica di Molino di
Casarotto (Magaldi 1973):
      0-30 cm Ap. Suolo di colore bruno scuro (10YR 4,5/3). Tessitura argilloso-limosa;
      scarso scheletro di ciottoli calcarei con dimensioni di alcuni centimetri e tracce di
      dissoluzione chimica; la struttura è di media distinguibilità e di tipo poliedrico
      angolare; bagnato, il suolo è adesivo; allo stato asciutto è duro; la porosità è comune
      con pori piccoli e medi; le fessure sono comuni e in alcuni casi abbondanti con
      sviluppo verticale di 20-30 cm e larghezza di 1-2 cm; le radici sono comuni; la
                        191
      effervescenza all'
              acido cloridrico è forte; le facce di pressione sono comuni, specie
      nella parte bassa; il limite inferiore è diffusoe irregolare e marcato da un
      cambiamento di struttura.
      30-50 cm. A/C. Orizzonte di colore bruno scuro (10 YR 3/3); è facilmente
      distinguibile dal precedente soprattutto per una struttura più evidente di tipo
      prismatico, sempre più accentuata procedendo verso il basso, dove si notano
      peraltro frammenti e inclusioni cilindriche di sostanza organica e argilla dovute in
      gran parte all'
             azione dei lombrichi. Lo scheletro è completamente assente; bagnato
      è adesivo; asciutto è duro e consistente; la tessitura è argilloso-limosa; la porosità è
      scarsa, mentre le fessure sono abbondanti e sempre verticali e subverticali; le radici
      sono comuni sugli aggregati prismatici; il limite inferiore è abrupto e lineare.
      50-70 cm. Orizzonte torboso a struttura lamellare; colore nero (5 YR 1/1) asciutto;
      colore marrone scuro (5 YR 1/2) bagnato; è costituito quasi esclusivamente da torba
      relativamente legnosa (Turfa lignosa), in cui era ancora possibile riconoscere ancora
      pezzi di corteccia.
      70-85 cm. Limo lacustre calcareo di colore bianco (10 YR 8/1,5) con frequenti
      screziature subverticali e verticali giallo ruggine, dovute al ristagno di una falda
      acquifera temporanea. Qualche fessura verticale riempita da materiale torboso
      proveniente dal livello soprastante; comuni i resti di gusci di molluschi,
      prevalentemente gasteropodi; notevole reazione all'    acido. Sul tetto di questo
      orizzonte è stato trovato un reticolato orizzontale di fessure di dissecamento.
      85-115 cm. Limo lacustre calcareo di colore bianco (10 YR 8/1), con resti vegetali di
      color giallo scuro e gusci di molluschi; per il resto caratteri analoghi a quelli del
      precedente orizzonte; il limite superiore è lineare e diffuso; quello inferiore è chiaro e
      lineare.
      115-125 cm. Limo lacustre calcareo di colore grigio chiaro (10 YR 7/1) a tessitura
      più sabbiosa; limite inferiore chiaro e lineare.
      125-180 cm. Limo lacustre calcareo di colore bianco (10 YR 8/1) con tracce
      organiche solo nella parte bassa.


Analisi chimiche
Sono state eseguite determinazioni calcimetriche, analisi del carbonio organico, misure di pH e
determinazioni della capacità di scambio cationico. La calcimetria, ottenuta con il calcimetro De
Astis, fornisce valori elevati ed uniformi per il sedimento lacustre, valori bassi o addirittura
trascurabili per il suolo e la torba.

                        192
Più interessante appare invece l'  andamento dei risultati della determinazione del carbonio
organico secondo il metodo Walkley-Black. Si ottengono infatti valori pressochè identici nel
suolo, elevatissimi nell'
            orizzonte torboso, e valori relativamente alti ma variabili, nel sedimento
lacustre.
I dati analitici di pH, misurati con elettrodo a vetro su sospensioni acqua-suolo in rapporto 1:1
(5:1 per la torba) sono abbastanza uniformi in tutta la serie, eccettuando ovviamente il valore
della torba. Il pH dei due orizzonti pedologici riflette ovviamente l'   equilibrio carbonato-
bicarbonato della soluzione del suolo.
I valori del limo calcareo appaiono invece più bassi di quanto ci si potrebbe attendere da un
sedimento di questo tipo; è perciò probabile che siano stati abbassati durante la diagenesi ad
opera della sostanza organica in decomposizione.
La capacità di scambio cationico del suolo, valutata con il metodo C. S. C. (Cecconi e Polesello,
1955), fornisce valori medi paragonabili a quelli riscontrati in un sedimento di suolo nelle
immediate vicinanze del bacino (Magaldi 1972).


Profondità      % CaCO3     % Carbonio    % Sost. Org (Cx1,72)     C.S.C. in m.e./100 gr  pH
(cm)                                                     (H2O)
15          9,5       3,37       5,80             37,5          7,85
35          tr.       3,74       6,43             41,2          7,50
60          TR.       31,01       53,34                         6,40
75          84,0      4,49       7,72                         7,90
100          87,0      4,12       7,09                         7,55
117          87,5      2,45       4,21                         7,55
130          84,0      4,12       7,09                         7,70
155          87,0      4,49       7,72                         7,60
250          85,0      3,74       6,43                         7,60
270          80,0      3,37       5,80                         7,35
315          78,5      6,00       10,32                         7,30
368          83,0      4,68       8,05                         7,25
450          78,0      4,12       7,09                         7,25

Dati analitici della serie studiata. La prima colonna si riferisce alla profondità media dei campioni.




                              193
Analisi granulometriche
Sui campioni attaccati con acqua ossigenata al 30%, è stata eseguita la determinazione
granulometrica, a mezzo di setacciatura per via umida per l'   intervallo dimensionale 2000-62
micron e a mezzo sedimentazione continua con la Bilancia Sartorius, per le frazioni al di sotto di
62 micron, deflocculando i colloidi con esametafosfato di sodio al 10%. Le frequenze
cumulative (vedi tabella di seguito) sono state usate er il calcolo della "media grafica" secondo
Folk e Ward1; tale parametro può essere infatti utilizzato per caratterizzare l'
                                        intera distribuzione
con una sufficiente precisione almeno per sedimenti incoerenti.
L'esame delle cumulative e dell'  andamento della media grafica rivela una certa uniformità in
tutta la serie studiata: gli unici campioni nettamente persi sono quelli che si riferiscono al
suolo, fortemente arricchito in frazione argillosa.
In tutti gli altri prevale invece la frazione siltosa, mantre la frazione sabbiosa, a parte qualche
eccezione, è scarsissima.
Le analisi granulometriche confermano in gran parte le osservazioni di campagna e insieme alla
calcimetria consentono di attribuire una classificazione sedimentologica più appropriata al limo
calcareo. Infatti tenendo conto dell' tenore in CaCO3 e di un certo grado di coerenza del
                    alto
sedimento, l' intera serie lacustre, l'
                    intera serie lacustre può essere classificata col termine di
"calcilutite", secondo la classificazione francese della Chambre Sindacale de l'   Industrie du
Petrole. A tale termine si giungerebbe anche usando la recente classificazione di Malesani e
Manetti2 che tiene conto sia della media grafica, sia del contenuto in carbonato; si deve tuttavia
precisare che tale classificazione è stata proposta per sedimenti prevalentemente clastici e
coerenti.


Profondità  >1000  >500  >250  >125  >62   >40   >20   >10   >2   >0     Media
in cm                                                grafica

15      0,08   0,22  0,40  0,64  1,19   3,17   7,12   15,02  55,54  100,00   4,53
35      0,00   0,'
            00  0,03  0,09  0,37   2,36   4,35   9,83   54,16  100,00   4,10
75      0,00   0,00  0,02  0,59  1,19   1,69   11,57  34,29  79,25  100,00   8,90
100     0,00   0,01  0,04  0,11  1,06   6,01   10,96  31,73  80,21  100,00   8,73
117     0,00   0,04  0,15  2,14  17,31  34,34  54,18  67,74  91,73  100,00   32,10



1Folk R. L., Ward W. C., Brazos river bar: a study in the significance of grain size parameters, "Journal of
Sedimentary Petrology", 27, 1957, pp. 3-26.
2Malesani P., Manetti P., Proposta di classificazione di sedimenti clastici, "Mem. Soc. Geol. Ital.", II,
1970, pp. 55-63.
                           194
130      0,12   0,40   0,76   1,13   2,81   5,73   10,59   34,89   83,48   100,00   9,10
155      0,00   0,02   0,07   0,27   1,93   4,87   15,66   37,23   84,31   100,00   9,90
250      0,00   0,10   0,23   0,41   1,38   2,37   8,78   32,94   80,28   100,00   8,57
270      0,00   0,13   0,25   0,64   3,25   12,44   37,12   66,14   93,23   100,00   19,13
315      0,00   0,05   0,15   0,38   2,50   7,38   22,98   44,43   72,70   100,00   12,87
368      0,00   0,06   0,14   0,49   4,10   14,65   32,87   61,64   85,62   100,00   18,87
450      0,00   0,00   0,02   0,14   1,05   9,96   32,22   53,49   83,18   100,00   16,00

Frequenza cumulativa in percento delle frazioni granulometriche al di sotto dei 2000 micron.
Gli intervalli dimensionali e i valori della media grafica (Graphic Mean secondo Folk e Ward, definita da
(p16+p84+p50)/3 dove pn rappresenta l'  ennesimo percentile della curva cumulativa) sono espressi in micron.


Osservazioni al Microscopio (stereo e polarizzatore)
Le osservazioni sono state condotte sul campione essicato all' privato della sostanza
                                   aria
organica, e sudpiso in opportune frazioni granulometrichea mezzo di setacciatura per via
umida. Solo per la torba sono state impiegate tecniche particolari, esposte più avanti.
Il suolo. Nella frazione più grossolana (2000-250 micron) prevalgono noduli e aggregati di
suolo, frammenti calcarei, frammenti di gusci di molluschi; le frazioni più fini (250-62 micron) si
arricchiscono invece di quarzo, granuli di calcite e più raramente di feldspati, tra cui compare il
sanidino di alta temperatura, pur essendo sempre presenti gli aggregati di suolo. Il quarzo
presenta spesso inclusioni liquido-gassose e solide ed ha qualche tendenza alla estinzione
ondulata; i granuli sono in genere discretamente arrotondati (arrotondamento maggiore di 0,5
secondo la scala visuale di Krumbein e Sloss) e abbastanza sferici (sfericità maggiore di 0,5).
Sempre nella frazione fine dei due orizzonti pedologici, compaiono perse specie di minerali
pesanti, sia pure in quantità tali da escludere la possibilità di un conteggio. In ordine di
frequenza decrescente, sono stati osservati ossidi e idrossidi di ferro, augite verde, epidoto,
tormalina bruna, biotite, muscovite, orneblenda verde, zircone, titanite e apatite.
Il limo lacustre. La frazione grossolana è costituita in netta prevalenza da frammenti organici
(resti di ostracodi, di Characee, di molluschi); i gusci di molluschi tendono a predominare nei
livelli superiori, al contrario di quelli degli ostracodi che sono più frequenti nella parte bassa del
sedimento. Con minor frequenza compaiono poi aggregati cristallini di calcite, concrezioni
ocracee di incerta origine e frustoli vegetali. La frazione fine è quasi esclusivamente formata da
cristalli di calcite in inpidui prevalentemente euedrali; più rari gli aggregati cristallini e i granuli
arrotondati; rarissimo e casuale il quarzo, in granuli piccoli e angolosi. La frazione al di sotto dei
62 micron rivela un insieme finissimo di cristalli di calcite ricoperti e parzialmente cementati da
minerali argillosi, probabilmente di tipo micaceo.



                              195
La torba e il contatto limo-torba. Lo strato torboso è stato studiato al microscopio stereoe, in
sezione lucida e sottile, con microscopio da mineralogia. Il forte grado di mineralizzazione del
materiale non ha permesso di ricavare informazioni complete da tali esami: si può tuttavia
rilevare che i campioni analizzati, appartengono ad una torba di bosco, in cui è possibile ancora
riconoscere tipiche strutture di angiosperme, relativamente ricca di frazione minerale (aggregati
pedogenetici, granuli di quarzo e feldspati e infine grosse lamine di biotite più o meno
cloritizzate). Un esame più dettagliato è stato invece condotto sul contatto limo-torba, al fine di
risolvere un problema posto in campagna dagli archeologi. Gli scavi hanno infatti accertato che
l'
insediamento è avvenuto generalmente sul tetto della serie lacustre lasciata scoperta dalle
acque; solo in una zona (settore 4, GG-26) sono stati trovati dei focolari appoggiati direttamente
sulle argille e su rari livelli, fortemente rimaneggiati e discontinui, di materiale torboso. Si è reso
perciò necessario approfondire maggiormente lo studio dei rapporti limo-torba. A tale scopo
sono stati prelevati due prismi di terreno aventi dimensioni approssimativamente 10x7x5 cm, in
modo da ottenere un campione indisturbato, comprendente il passaggio stratigrafico limo-torba
sia nella zona "anomala" che in una qualsiasi "normale". I due blocchetti sono stati quindi
essicati e induriti con il consueto procedimento usato per i suoli3 in modo da poter ottenere
alcune sezioni lucide e sottili da esaminare rispettivamente allo stereomicroscopio e al
polarizzatore.
a) Sezione relativa al contatto normale. È costituita dal livello limoso e da quello torboso in
contatto stratigrafico parallelo, continuo ed orizzontale. Procedendo dal basso verso l' è
                                             alto
possibile distinguere dei microlivelli così caratterizzati:
1 - livello limoso-argilloso con lamine di sedimentazione sub-orizzontali, discontinue, spesso
costituite da cristalli di calcite di dimensioni relativamente grandi; vi sono alcune zone più
argillose distribuite irregolarmente entro la massa del sedimento; rarissimi i resti organici di
origine vegetale. Il limite superiore è diffuso e irregolare.
2 - livello limoso a laminazione sub-orizzontale discontinua, spesso ondulata o lenticolare
costituito da una matrice calcarea entro cui sono immersi brevi letticelli finissimi e discontinui di
sostanza torbosa, alternantisi con lenti irregolari di argilla. Aureole di idrossidi di ferro attorno ai
livelli torbosi. Spessore 10 mm. Limite superiore diffuso e irregolare.
3 - livello argilloso-limoso a laminazione continua, parallela e orizzontale con rari frammenti
torbosi. Limite superiore ondulato e graduale; spessore 3 mm.
4 - livello torboso a struttura lamellare massiva, con rare intercalazioni sub-orizzontali e
ondulate di lamine argillose finissime, più abbondanti nella parte bassa.



3Ferrari G. A., Elementi introduttivi di micromorfologia del suolo e tecnica di realizzazione di preparati
con Gabraster 1400, "Atti Soc. Toscana si Sc. Nat.", Mem., s. A, 73, 1966, pp. 236-267.
                         196
b) Sezione relativa al contatto "anomalo". A differenza della precedente, in questa sezione lo
straterello limoso non soltanto è sormontato ma addirittura circondato lateralmente da un livello
scuro argilloso-torboso; il contatto è ovviamente netto e irregolare. Nella parte meglio
conservata della sezione è possibile distinguere dal basso verso l' i seguenti microlivelli:
                                 alto
1 - livello limoso a grossi cristalli ed inclusioni torbose allungate e discontinue. Laminazione
parallela ondulata, spesso disturbata e discontinua. Vi sono alcune zone più ricche di argilla a
contorno e distribuzione irregolare. Il limite superiore è chiaro e irregolare. Può corrispondere al
livello 1 della precedente sezione.
2 - livello a laminazione contorta e deformata prevalentemente limoso calcareo ma con
abbondanti inclusioni di letticelli arricciati e disturbati di torba e frammenti di carboni; il limite
superiore è abrupto ma irregolare; spessore 10 mm.
3 - livello fortemente disturbato costituito da aggregati pedogenetici, frammenti di livelli torbosi a
laminazione nettamente discordante da quella dei livelli precedenti, inclusioni di limo fortemente
rimaneggiate. Si notano particolarmente letti contorti di materiale torboso che include spesso
frammenti rotondeggianti o ellittici di limo e frammenti carboniosi circondati dagli aggregati
pedogenetici.
                                       Il contatto anomalo limo-
                                       torba (da Magaldi, 1973) .
                                       Schizzo semplificato tratto
                                       da un ingrandimento
                                       fotografico della sezione
                                       lucida usata per lo studio
                                       dei rapporti limo-torba. Gli
                                       spazi bianchi rappresentano
                                       fessure e cavità generatesi
                                       per il dissecamento del
                                       campione o per la rimozione
                                       di gusci di molluschi.
                                       Le zone contraddistinte con
                                       segni convenzionali e
                                       lettere, rappresentano i
                                       seguenti materiali: T=torba;
                                       L=limo lacustre calcareo;
                                       M = matrice eterogenea
                                       grossolana, costituita da
                                       frammenti di limo, torba e
                                       suolo;
                                       S = aggregati pedogenetici;
                                       C= carbone di legna;
                                       V=fessure e cavità.




                        197
Risultati dello studio
Il sedimento lacustre. Si tratta indubbiamente di un deposito con scarsissimo apporto
terrigeno, decisamente biochimico come origine. La forma e le dimensioni dei granuli di CaCO3
che rappresenta più dell'  80% del sedimento, non lasciano dubbi a tale riguardo. È noto infatti
che in ambiente lacustre avviene di frequente una intensa precipitazione di carbonato di calcio
ad opera dell' attività fotosintetica di piante sommerse (in particolare le Characee) a causa di
variazioni termiche che favoriscono la maggiore o minore liberazione di anidride carbonica dalle
acque; genesi di questo tipo sono ben note nella letteratura e producono litotipi analoghi a
quello studiato in questa nota.
Ulteriori notizie ci fornisce invece la correlazione fra sostanza organica e media grafica: ai
minimi di sostanza organica fanno infatti riscontro massimi dei valori delle dimensioni medie.
Tenendo presente il ruolo esercitato dalla sostanza organica e il fatto che il contenuto in
carbonato è praticamente costante, l' interpretazione del fenomeno può ricercarsi in variazioni
termiche del regime del lago che hanno influenzato la deposizione e l' accrescimento dei cristalli
di CaCO3. L'  accumulo di sostanza organica testimonia infatti periodi più freddi, in cui la
distruzione dei resti vegetali e animali viene rallentata. Al tempo stesso acque a più bassa
temperatura trattengono maggior quantità di CO2 ed inibiscono la precipitazione del carbonato:
la deposizione avviene solo sotto forma di cristalli relativamente piccoli. Il contrario si verifica in
regime più caldo: la distruzione della sostanza organica è più intensa, le acque sono meno
acide, la formazione di grossi cristalli piene allora più facile. Alla luce di tali fenomeni, è
possibile vedere nella relazione tra la curva del carbonato e quella della media grafica l'  effetto
di variazioni termiche, probabilmente di origine climatica, nel regime del lago.
I massimi della spezzata rappresentativa dell' andamento della media grafica registrano quindi
oscillazioni in senso caldo. Questa interpretazione è in ottimo accordo con i risultati dell'analisi
palinologica, eseguita sugli stessi campioni, ma indipendentemente, da M. V. Durante Pasa. I
picchi corrispondono infatti ai massimi assoluti e relativi della frequenza pollinica del nocciolo e
in parte a quelli del quercieto misto. Possono perciò rappresentare, nel progressivo
inaridimento del clima "punte" climatiche relativamente più calde. Non si nota invece
correlazione tra i massimi di carbonio organico e i massimi dell' abete rosso.
Il suolo. È costituito da un materiale completamente perso dai precedenti. Compaiono infatti
globuli (che possono interpretarsi in gran parte come pedorelitti), granuli di quarzo, feldspati e
minerali pesanti. Una composizione quasi del tutto simile è stata riscontrata in un suolo e in
sedimenti di suolo rinvenuti nell'insediamento preistorico di Torri di Arcugnano in una collinetta
ai margini del bacino a poche centinaia di metri da Molino Casarotto. La presenza di particolari
specie mineralogiche pesanti (augite, orneblenda, granato, zircone, assenti nel residuo
insolubile del calcare) è stata spiegata con apporti eolici, di trascurabile importanza, dalle
sabbie fluviali della vicina piana del Bacchiglione. Questi fatti e l'elevato contenuto in argilla,
suggeriscono quindi che la genesi del suolo sia dovuta a fenomeni di colluvione dalle

                         198
vicinissime e circostanti colline calcaree. Riguardo alla classificazione del suolo, alcuni dati
analitici dei due orizzonti (tessitura, contenuto in carbonio, percentuale di CaCO3) ed alcune
osservazioni di campagna (presenza di rivestimenti ed inclusioni di sostanza organica e argilla )
lasciano presupporre che sia in atto la formazione di un orizzonte agrico al di sotto del livello
attualmente coltivato. Questa e altre considerazioni sul grado di evoluzione del processo
pedogenetico, permettono di classificare tale suolo come Entisol (Soil Survey Staff, 1967) che
corrisponde a un Regosuolo delle classificazioni europee. Tuttavia le caratteristiche "agriche"
non sembrano sufficientemente espresse per cui si preferisce prendere in considerazione il
contenuto in argilla superiore al 40% e i caratteri "vertici" (fessure e facce di pressione e
scivolamento). Per tali ragioni il suolo può quindi essere defnito un Vertic Hapludent,
corrispondente ad un Regosuolo di clima umido con caratteristiche vertiche.
Il contatto limo-torba. Le ultime fasi della sedimentazione lacustre si sono probabilmente
verificate in acque basse, già parzialmente invase da piante e detriti organici, i cui resti
sarebbero responsabili delle particolari strutture del livello 2 e della sua tipica tendenza a
sudpidersi in foglietti. Nel livello 3 si può forse riconoscere l'
                                  inizio di un processo pedogenetico
(maggior quantità di argilla) dovuto all'    emersione della serie lacustre e alla successiva
esposizione all' ambiente subaereo. Lo strato di torba segna infine l'  impaludamento definitivo e il
prevalente apporto di resti vegetali lignei dai vicini rilievi. Questa interpretazione è
perfettamente analoga a quella che si ricava da un esame macroscopico della stratigrafia;
tuttavia l'analisi microstratigrafica mette in evidenza la presenza di livelli torbosi, sia pur
ridottissimi, già nella serie tipicamente lacustre.
Nella sezione con contatto "anomalo" il livello 1 potrebbe in parte rappresentare la normale
serie lacustre. Gli altri livelli rivelano invece una forte azione di disturbo che ha coinvolto limo,
torba e suolo profondo. Una situazione del genere potrebbe facilmente spiegarsi attribuendo il
rimaneggiamento a azioni recenti di escavazione o di aratura. Tuttavia una simile spiegazione
non sembra soddisfacente in quanto contrastante con i risultati degli scavi archeologici. La
spiegazione più probabile in questo caso deve ricercarsi in persità di situazioni morfologiche e
di ambiente locale. È possibile che all'  epoca o poco prima dell'insediamento neolitico nei pressi
della zona studiata, esistesse un canale naturale, poco profondo e a lenta circolazione delle
acque, in grado però di trasportare materiali torbosi e argillosi già presenti in altre zone del
bacino lacustre. La serie anomala costituirebbe dunque un deposito di questo ipotetico canale,
capace quindi di ospitare un insediamento, non appena le acque si ritirarono.




                         199
Diagramma riassuntivo dei dati analitici. In ordinata è riportata la profondità rispetto al piano di campagna; in ascissa
la scala per ciascuna delle tre grandezze rappresentate. I numeri entro il rettangolino indicano i massimi della media
grafica (Mz).




                             200
Diagramma pollinico del deposito lacustre di Fimon (MC. 4-28U.-1970) (da M.V. Durante Pasa, 1972). A destra:
diagramma pollinico delle essenze forestali in rapporto a quelle erbacee.


I risultati dello studio geopedologico e sedimentologico possono utilizzarsi per una parziale
ricostruzione della storia del bacino lacustre e dell'  insediamento neolitico. Le osservazioni di
natura paleogeografica e paleoclimatica devono intendersi solo come ipotesi preliminari di
lavoro. Il limo calcareo rappresenta il risultato di una sedimentazione prevalentemente
biochimica, in fase limnic con acque limpide, leggermente basiche, alimentate da apporti
meteorici o tutt' alpiù da corsi d' acqua poverissimi di deposito solido. Il regime termico e le
condizioni di ricambio favorivano lo sviluppo della vita animale e vegetale. Durante questo
periodo si verificarono almeno tre oscillazioni climatiche calde. In seguito le acque si ritirarono
progressivamente, anche se con fluttuazioni, lasciando scoperta la superficie del sedimento
calcareo, come testimoniano le fessure di disseccamento e le tracce di focolari neolitici; è
quindi databile a questo momento l'   isediamento umano. All' abbassamento delle acque hanno
senza dubbio contribuito in parte alcune rudimentali opere di bonifica, comparse durante gli
scavi. Le fasi telmatic e terrestrial del bacino lacustre sono registrate dagli ultimi livelli del limo e
dall'orizzonte torboso. Le acque ormai stagnanti, scompaiono poco alla volta dal bacino, mentre
l'
insediamento preistorico viene progressivamente ricoperto da detriti di piante a fusto legnoso,
in un momento climatico relativamente freddo. La fine della torbiera coincide probabilmente con

                           201
l'
inizio di un ciclo erosivo abbastanza severo che convoglia, prevalentemente per colluvione,
materiali già pedogenizzati, provenienti dai rilievi calcarei circostanti. Sui sedimenti di suolo che
hanno colmato il bacino si imposta infine un nuovo processo pedogenetico relativamente
recente, responsabile della formazione dell' attuale Vertic Hapludent.

Interventi proposti
   1- Lo studio dei sedimenti e dei suoli (Magaldi, 1973) e dei pollini deve essere completato
     anche per i depositi più profondi, potenzialmente in grado di fornire indicazioni
     relative all'
           evoluzione del clima in età würmiana. Ciò può essere realizzato mediante
     carotaggi profondi in più punti del vecchio bacino e di quello attuale. Dalle carote
     andranno prelevati campioni per le aenalisi dei sedimenti e dei pollini. Per realizzare
     ciò è necessario corrispondere il lavoro di estrazione delle carote ad una ditta
     specializzata, dotata dei più moderni sistemi estrattivi. Per le analisi un laboratorio di
     geologia applicata specializzato o una persona di chiara fama che possano fornire
     tutte le misurazioni necessarie ad un'  interpretazione degli aspetti geopedologici e
     sedimentologici. Per lo studio palinologico è necessario contattare un paleobotanico
     e un laboratorio per il prelievo e la preparazione dei campioni. In caso vengano
     rinvenuti carboni di legna sarà utile effettuare oltre alle analisi antracologiche, delle
     datazioni 14C con tecnologia AMS. Nel caso si rinvengano reperti archeologici o
     paleontologici di varia natura sarà necessario coinvolgere laboratori o esperti di
     settore.
   2 - è possibile effettuare un monitoraggio del tasso di sedimentazione sull'
                                        attuale fondale
      per avere un ulteriore variabile di paragone con le età passate.
   3 - per tali scopi è necessario incaricare una persona in grado di seguire e documentare i
      lavori di estrazione e di gestire le operazioni di ricerca e di raccogliere i dati delle
      perse discipline per essere eventualmente pubblicati.

Azioni di gestione ordinaria e periodica
   1 - Periodico controllo sulle attività estrattive e di scavo a qualsiasi scopo.




                        202
8.14 Messa a punto del modello idrologico a flussi e deflussi del lago

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Lo studio dello stato trofico di un lago prevede la caratterizzazione sia del suo bacino imbrifero,
sia del corpo idrico, sia dei sedimenti.
Il bacino imbrifero deve essere studiato nelle sue caratteristiche geologiche, morfologiche,
demografiche, agricole, industriali e quant’altro possa concorrere alle driving force agenti sul
corpo idrico.
Secondo un approccio tradizionale, la quantità di nutrienti che raggiungono il lago da studiare
viene stimata prevalentemente mediante coefficienti indiretti legati all’uso del territorio ed alla
presenza di scarichi convogliati.
Per quanto riguarda il corpo idrico, l’approccio convenzionale prevede un monitoraggio chimico
e biologico periodico della sua colonna d’acqua. Se invece si vuole applicare un approccio
avanzato, il carico di nutrienti gravante sul lago deve essere verificato mediante uno studio
diretto ovvero mediante la misura delle portate degli affluenti più significativi e delle relative
concentrazioni di inquinanti, con particolare riguardo ed attenzione alle acque di prima pioggia
che comportano il dilavamento delle superfici.
Tale metodologia deve prendere in considerazione la caratterizzazione idrodinamica del lago e
dei meccanismi di trasporto del nutriente, anche mediante modelli fluidotermodinamici, numerici
e fisici. Tra i vari meccanismi di trasporto un ruolo di primo piano nell’ambito del fenomeno
eutrofico è da attribuire al sedimento formatosi nel corso degli anni sul fondo del lago.

Interventi proposti
−  Messa a punto di un modello idrologico di trasformazione afflussi e deflussi, per la stima
  degli apporti idrici dal bacino e delle perdite (evaporazione, deflussi,...).Il modello potrebbe
  prendere in considerazione anche i deflussi profondi di falda;
−  Misure di campi idrodinamici e termici e delle grandezze meteorologiche ad essi correlate;
−  Messa a punto di modello numerico di simulazione del campo termo-idrodinamico, con
  preliminare taratura sulla base dei dati acquisiti.
Gli strumenti che vengono normalmente utilizzati per il monitoraggio sono i seguenti:

Misure di portata
−  Flow Logger (ISCO): strumento ad ultrasuoni per la misura di portata in canali o fiumi di
  piccole medie dimensioni a sezione regolare;

                        203
−  ADCP: strumento ad ultrasuoni per misure su fiumi con tiranti superiori a 1,5 m a sezione
  anche non regolare;
−  ADV e microADV: strumenti ad ultrasuoni per la misurazione delle correnti in un singolo
  punto;
−  Mulinelli idraulici;
−  Celle di pressione con l’installazione di opportuni stramazzi.

Misure del campo idrotermodinamico del lago
−  ADCP, ADV E microADV: strumento ad ultrasuoni per la misurazione della tre componenti
  di velocità del campo fluido;
−  ECOSTANDAGLIO:     per  la  misura   della  profondità  e  per  batimetrie.




                        204
8.15 Indagine sulla batimetria del lago

Descrizione delle problematicità - Tipo di minaccia - Stato attuale
Dalla raccolta dei dati condotta è emerso come l’ultimo rilevo batimetrico del fondo del lago
risalga a molti anni fa. Al fine di inpiduare le zone in cui attualmente si registrano i maggiori
accumuli di sedimenti e la variazione della loro distribuzione rispetto a precedenti indagini
effettuate in passato, è indispensabile l’aggiornamento dei profili batimetrici L’indagine dovrà
essere condotta con l’impiego di apparecchiature adatte quali profilatore acustico o
ecoscandaglio e l’ausilio di un natante, sia per il posizionamento, sia per l’esecuzione delle
misure, che riguarderanno non soltanto la profondità reale (altezza della colonna d’acqua), ma
eventualmente anche la persa consistenza e la natura del fango depositato sul fondo. Tale
fase conoscitiva, oltre ad ampliare le conoscenze sulle caratteristiche morfologicobatimetriche
del bacino, potrà inoltre consentire l’inpiduazione di punti significativi, da cui procedere per
ulteriori analisi (prelievo di campioni d’acqua e/o sedimenti).
I metodi e le tecniche di rilievo batimetrico e stratigrafico costituiranno i primi dati utili per la
generazione di un modello tridimensionale informatizzato del lago da cui verranno estrapolati
profili longitudinali e sezioni trasversali e calcolati i principali parametri morfologici del lago e il
volume medio d’acqua e dei sedimenti.

Interventi proposti
−  Rilievo batimetrico del lago con un numero di sezioni e una maglia di misura congrua per le
  esigenze di realizzazione del modello tridimensionale digitalizzato del lago.




                         205
Planimetrie




       206
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