OIL_rapporto_caporalato in agricoltura e discriminazioni di genere

                Ufficio per l’Italia e San Marino




▶  Analisi di genere delle politiche
  di prevenzione e contrasto
  dello sfruttamento lavorativo
  in agricoltura


  Maria Grazia Giammarinaro
▶  Analisi di genere delle politiche
  di prevenzione e contrasto
  dello sfruttamento lavorativo
  in agricoltura


  Maria Grazia Giammarinaro




  Organizzazione Internazionale del Lavoro



  Questa pubblicazione è frutto del progetto “Supporto al rafforzamento della governance
  inter-istituzionale sullo sfruttamento lavorativo in Italia” che è co-finanziato dall’Unione Euro-      Co-funded by
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  e San Marino dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in collaborazione con la Commis-
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Maria Grazia Giammarinaro, Analisi di genere delle politiche di prevenzione e contrasto dello sfruttamento
lavorativo in agricoltura
Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro, 2021.
ISBN: 978-92-2-06311-9 (pdf web)




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▶ Indice




Prefazione                                                     1



Ringraziamenti                                                   3



▶ 1   Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura                               5


  1.1  Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     5

  1.2  Premessa metodologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .       6

  1.3  I dati e le stime sulle lavoratrici e i lavoratori nel settore agricolo . . . . . . . . . . . . . . .    7

     1.3.1  Gli occupati, la distribuzione geografica e il genere  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   7

     1.3.2  Il tipo di contratto, la nazionalità e il genere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  8

     1.3.3  Il lavoro femminile informale  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   11


▶ 2   Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura                              13


  2.1  Le situazioni di sfruttamento nel Centro-Nord     . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  13

  2.2  Le situazioni di sfruttamento nel Meridione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     15

  2.3  Le modalità dello sfruttamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .      16

     2.3.1  Il caporale, figura multifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   16

     2.3.2  Le “false cooperative” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    17

     2.3.3  La disparità salariale rispetto al genere  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  18

     2.3.4  L’impatto della pandemia del COVID-19    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  19

  2.4  Le vulnerabilità intersezionali delle lavoratrici migranti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     19

  2.5  L’alloggio, la famiglia e la cura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   22

  2.6  La violenza e le molestie sessuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     24

  2.7  Il doppio sfruttamento: sessuale e lavorativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     25

  2.8  L’agency delle donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .     26


▶ 3   Analisi di genere del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo 27

  3.1  Il Piano triennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .    27

  3.2  Analisi di genere delle azioni prioritarie del Piano   . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  27
iv                                                     ▶ Indice




▶ 4    Conclusione e implicazioni                                       33


   4.1  Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   33

   4.2  Principali implicazioni per l’attuazione del Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   34

      4.2.1  Prevenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   34

      4.2.2  Vigilanza e contrasto  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  34

      4.2.3  Protezione e assistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   36

      4.2.4  Reinserimento socio-lavorativo  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  36


Riferimenti bibliografici                                             39



Annesso I: Lista interviste e testimoni privilegiate/i                               43
▶ Prefazione

Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo riguarda persi settori dell’economia italiana e coinvolge
lavoratrici e lavoratori con perse caratteristiche inpiduali che sono accomunati da situazioni di
vulnerabilità economica e sociale. L’incidenza, ma anche la gravità, è particolarmente marcata nel
settore agricolo e riguarda soprattutto, anche se non esclusivamente, la componente straniera.

Lo sfruttamento lavorativo si sostanzia in varie forme e ricomprende l’intermediazione e il reclutamento
illeciti, il mancato pagamento di tutta o parte della retribuzione, la violazione della legislazione e/o
dei contratti collettivi in materia di condizioni di lavoro (per esempio, dichiarazione delle giornate e
delle ore lavorate, salute e sicurezza sul lavoro, riposo settimanale e congedo retribuito). I costi del
trasporto e degli alloggi vengono spesso fatti gravare sui lavoratori. Nei casi di abusi più gravi, i
lavoratori dichiarano di essere sottoposti a condizioni di lavoro e di vita degradanti che violano i loro
diritti fondamentali e la loro dignità.

Nonostante la scarsità di dati sulle condizioni di lavoro in agricoltura e il fatto che non tutte le lavoratrici
agricole siano sfruttate, è innegabile che esse siano maggiormente esposte a situazioni di vulnerabilità
che talvolta combinano perse forme di sfruttamento, oltre quello lavorativo, che sono una causa e una
conseguenza delle norme radicate nella società e della disuguaglianza tra donne e uomini nel mondo
del lavoro, incluso in termini di potere contrattuale, di voce e di rappresentanza. Ciò è più probabile in
assenza di rapporto di lavoro formale o in situazioni di lavoro precario che sono spesso una realtà per
le lavoratrici agricole. La combinazione di queste cause fa sì che, per esempio, le lavoratrici ricevano
delle retribuzioni più basse rispetto ai lavoratori o che, in ragione del loro sesso, esse siano più esposte
a violenza e molestie sul lavoro, comprese quelle sessuali.

Questi squilibri, differenze e specificità legate al genere debbono essere prese in considerazione da
qualsiasi misura (programma o servizio) che miri a prevenire e contrastare lo sfruttamento lavorativo
in maniera efficace. Un altro aspetto da considerare nella fase di sviluppo e attuazione delle misure è
quello dell’intersezionalità, intesa come discriminazioni multiple e interconnesse che sono all’origine
dello sfruttamento. Per esempio, la situazione di sfruttamento di una giovane migrante senza permesso
di soggiorno può derivare da una combinazione di stereotipi e di discriminazione legati a quattro
caratteristiche inpiduali (sesso, età, origine nazionale e status giuridico) della lavoratrice. Il corollario
che ne deriva per le autorità pubbliche riguarda lo sviluppo e attuazione di misure e/o erogazione
dei servizi di prevenzione e contrasto dello sfruttamento lavorativo che inpiduino l’intersezione delle
perse vulnerabilità e che “profilino” gli interventi sulla base delle situazioni inpiduali, piuttosto che
intervenire in maniera neutra (p.e. stesso intervento per tutte le lavoratrici e lavoratori) o sulla base di
macrocategorie (p.e. stesso intervento per tutte le lavoratrici).

Questo documento di lavoro dell’OIL è stato predisposto dalla dottoressa Maria Grazia Giammarinaro,
Professoressa aggiunta di legislazione sui diritti umani dell’Università Nazionale d’Irlanda, Galway, già
Magistrata e Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla tratta di persone a scopo di sfruttamento. Esso
utilizza la prospettiva di genere per analizzare le condizioni di lavoro e lo sfruttamento delle lavoratrici
agricole in Italia, come pure le azioni prioritarie del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento
lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020–2022) elaborato dal governo italiano.

L’analisi evidenzia l’importanza dell’integrazione della prospettiva di genere nella programmazione
e attuazione degli interventi di prevenzione e contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e
formula una serie di implicazioni e suggerimenti per declinare le priorità dei quattro assi strategici dello
stesso Piano con una prospettiva di genere (prevenzione; vigilanza e contrasto; protezione e assistenza;
e reintegrazione socio-lavorativa) e per “profilare” l’attuazione delle relative misure sulla base delle
caratteristiche inpiduali e dell’intersezionalità delle perse situazioni di vulnerabilità e sfruttamento.

Gianni Rosas,
Direttore dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino.
2  ▶ Prefazione
▶ Ringraziamenti

Per le preziose informazioni utilizzate per redigere questo rapporto, l’autrice ringrazia i seguenti testi-
moni privilegiati che hanno fornito perse informazioni incluse in persi riquadri di questo rapporto e
basate sulla loro esperienza professionale in materia di sfruttamento lavorativo e politiche di genere:
Cinzia Bragagnolo, Sabrina Scarone, Carlotta Rossi, Elena Cirelli, Cristina Falaschi, Carmen Morabito,
Sara Moutmir, Francesca Coleti, Ilaria Papa, Ilaria Chiapperino, Maria Rosaria Lamorte, Rosanna Liotti,
Elena Cerofolini, Anju Bala, Samira Lofti Khah, Fabio Saliceti, Martina Sabbadini, Tiziana Bianchini, Rosi
Impalà, Serena Mordini, Elena Cerofolini, Elisabetta Parrinello, Rosanna Oropallo, Giulia Coccoloni, Sara
Giannini, Stefania Russello e Ausilia Cosentini. Un ringraziamento particolare va alla dottoressa Lara
Rampin anche per gli importanti suggerimenti in materia di proposte innovative di policy in relazione
alle competenze dell’Ispettorato del Lavoro, alla dottoressa Grazia Moschetti per gli spunti sulle politi-
che di promozione e sostegno dell’agency delle lavoratrici agricole e al professor Francesco Carchedi
per avere generosamente messo a disposizione le sue elaborazioni statistiche e per avere riletto il testo
offrendo suggerimenti per migliorarlo.

Si ringrazia la dottoressa Letizia Palumbo non solo per avere riletto il testo e per i suoi suggerimenti,
ma anche per il lavoro e le riflessioni comuni sul lavoro delle donne in agricoltura, che costituiscono il
retroterra di questo studio.

Un ringraziamento finale va alla dottoressa Valli’ Corbanese, esperta dell’OIL sulle politiche del lavoro
e le politiche sulla parità di genere, e alla dottoressa Erica Barbaccia, junior project officer dell’OIL, per
i loro contributi e suggerimenti, come pure per il supporto nella finalizzazione del rapporto.
4  ▶ Ringraziamenti
▶ 1 Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura


1.1 Introduzione

Il presente studio evidenzia le caratteristiche dello sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori in
agricoltura, con particolare riferimento alla presenza e alle condizioni di vita e di lavoro delle donne,
e ne indica le implicazioni per le politiche di prevenzione e di contrasto. La ricerca è stata condotta
mettendo al centro le persone e i loro diritti.

L’analisi mostra che la presenza delle donne nel lavoro agricolo è rilevante, soprattutto in aree dove la
raccolta di prodotti di eccellenza scoraggia l’uso di macchinari, e che le loro condizioni di vita e di lavoro
sono spesso caratterizzate da gravi forme di sfruttamento, specialmente nel segmento più vulnerabile
costituito dalle lavoratrici migranti, soprattutto se irregolari.


 ▶ Riquadro 1. — Sfruttamento lavorativo, lavoro forzato e tratta di esseri umani

  La nozione di sfruttamento non è definita da nessuno strumento internazionale, mentre sono
  definite le nozioni di tratta e fine di sfruttamento (anche) lavorativo, contenuta nel Protocollo
  delle Nazioni Unite sulla tratta di persone in particolare donne e minori, annesso alla Convenzio-
  ne contro la criminalità organizzata transnazionale, e quella di lavoro forzato, contenuta nella
  Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 1930 sul lavoro forzato. La
  Direttiva dell’Unione Europea 2009/52/CE sulle sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che
  impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, definisce le condizioni lavorative
  di particolare sfruttamento come “condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discrimina-
  zione di genere, e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di
  impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, per esempio, sulla salute e la sicurezza
  dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana”.

  L’art. 603-bis del codice penale italiano sull’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ha
  tipicizzato gli indicatori di sfruttamento, così fornendo una precisa definizione giuridica appli-
  cabile alle forme di sfruttamento che raggiungono una gravità tale da essere qualificate come
  reato penale. Tuttavia, l’area del grave sfruttamento deve considerarsi ancora più vasta, com-
  prendendo situazioni che pur non raggiungendo la soglia della punibilità penale, comportano
  violazioni dei diritti dei lavoratori.

  Al fine di fare chiarezza sulle forme di lavoro inaccettabile, l’Organizzazione Internazionale del
  Lavoro (OIL) ha proposto nel 2015 un modello multidimensionale e dinamico che comprende
  dodici dimensioni, ognuna caratterizzata da una serie di indicatori utili all’identificazione del
  fenomeno e alla formulazione di politiche di contrasto. Questo modello si basa sul corpus delle
  oltre 400 norme internazionali del lavoro dell’OIL (molte ratificate dall’Italia) e sulla nozione che
  le forme di lavoro inaccettabili e lo sfruttamento lavorativo siano all’opposto del concetto di
  lavoro dignitoso, condizione cui tutti i lavoratori e le lavoratrici aspirano. La nozione di lavoro
  inaccettabile e sfruttamento lavorativo ricomprende quindi tutte quelle condizioni che negano
  agli inpidui l’effettivo esercizio dei diritti fondamentali del lavoro, e che mettono a repentaglio
  la vita, la salute, la libertà, la dignità umana e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori.

  Fonte: Protocollo delle Nazioni Unite sulla tratta di persone; Convenzioni OIL n. 29 e n. 105 sul lavoro forzato e
  sull’eliminazione del lavoro forzato (1930 e 1957); J. Fudge e D. McCann, Unacceptable forms of work: A global and
  comparative study, OIL, Ginevra, 2015.
6                                   ▶ Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura




In questo segmento è presente un’area, presumibilmente vasta, di lavoro totalmente irregolare. Lad-
dove contrattualizzati/e, i lavoratori e le lavoratrici percepiscono comunque salari molto al di sotto dei
minimi previsti dai contratti collettivi nazionali. La pratica diffusa di dichiarare un numero inferiore di
giornate rispetto a quelle effettivamente lavorate, oltre ad alimentare l’irregolarità e l'evasione fiscale,
priva i lavoratori e le lavoratrici di diritti fondamentali come l’accesso alle indennità di infortunio, malat-
tia, maternità, e disoccupazione agricola. In una situazione caratterizzata da basse retribuzioni, i salari
delle donne sono in molte zone inferiori a quelli degli uomini.

Benché generalmente non siano molto numerose le lavoratrici che vivono negli insediamenti informali,
le condizioni di alloggio sono generalmente degradanti. La cura dei figli costituisce un ulteriore fattore
di responsabilità e vulnerabilità, in mancanza di servizi idonei alla cura e alla scolarizzazione. D’altra par-
te, lo sfruttamento delle lavoratrici resta largamente sommerso, sia a causa di un’insufficiente attività
di outreach, sia a causa della difficoltà di presa di parola delle donne, legata anche ai condizionamenti
familiari e di comunità.

L’analisi suggerisce che una prospettiva di genere deve essere considerata prioritaria e deve essere
integrata nella programmazione e attuazione di tutte le politiche di prevenzione e contrasto allo sfrutta-
mento lavorativo in agricoltura. Infatti, sia la conoscenza del fenomeno e l’emersione dallo sfruttamento
delle lavoratrici, sia le azioni volte a prevenire e contrastare la violazione dei loro diritti e a garantire
loro un percorso di empowerment e di inclusione sociale, richiedono una chiara consapevolezza delle
differenze che ne caratterizzano la condizione.

Tali differenze devono essere apprezzate sotto il profilo delle vulnerabilità derivanti da fattori inter-
sezionali tra cui — oltre al genere — giocano un ruolo l’età, la nazionalità, la provenienza, lo status
di soggiorno, la situazione familiare e di reddito. D’altra parte, le politiche di empowerment devono
non solo minimizzare i fattori di discriminazione e marginalizzazione, ma anche valorizzare le risorse di
resilienza e di agency mostrate dalle lavoratrici, pur in situazioni di squilibrio di potere e di sfruttamento.



1.2 Premessa metodologica

L’analisi è stata condotta in una prima fase in base ai dati ufficiali e alla letteratura pertinente (Capitolo
I). I dati ufficiali disponibili presentano una assoluta carenza di informazioni sull’economia informale e
sul lavoro irregolare, nonché una disaggregazione di genere del tutto insufficiente. I dati dell’Istituto
Nazionale di Statistica (ISTAT) sull’occupazione regolare ed irregolare, ad esempio, non offrono una
disaggregazione per genere degli occupati.1

Pertanto, all’analisi di tipo quantitativo — con l’utilizzo dei dati disponibili — è stata affiancata un’a-
nalisi di tipo qualitativo, realizzata attraverso 23 interviste semi-strutturate a testimoni privilegiate/i,
prevalentemente operatrici e operatori — sia istituzionali sia del privato-sociale — operanti soprattutto
nell’ambito del sistema anti-tratta, nonché sindacaliste che operano in varie Regioni (Capitolo II). Le
informazioni fornite dalle/dai testimoni privilegiate/i sono inedite e dunque mai pubblicate prima d’ora,
se non in contesti persi e in modo frammentario. Benché le interviste non consentano di valutare o di
stimare il numero di donne effettivamente sfruttate come operaie agricole, esse offrono un panorama
variegato e dettagliato della condizione delle lavoratrici in agricoltura.




1
  Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT): Occupazione regolare, irregolare e popolazione, http://dati.istat.it/Index.aspx?
  DataSetCode=DCCN_OCCNSEC2010. Lo stesso si dica delle stime del Ministero di Economia e Finanza sull’economia non
  osservata, https://www.mef.gov.it/documenti-allegati/2021/Aggiornamento_relazione_finale_051220.pdf.
▶ I dati e le stime sulle lavoratrici e i lavoratori nel settore agricolo                             7




Le domande rivolte ai/alle testimoni privilegiate/i avevano il fine di esplorare le pratiche di sfruttamento
lavorativo e le loro principali caratteristiche; l’eventuale sussistenza di un perso trattamento da parte
dei datori di lavoro, a parità di condizioni di precarietà occupazionale, tra uomini e donne; l’eventuale
sussistenza di un perso trattamento, alle stesse condizioni di precarietà occupazionale, da parte degli
intermediari del lavoro illegali (i c.d. “caporali”); l’eventuale sussistenza di “sfruttamento multiplo” nel
caso delle donne occupate in agricoltura e le sue caratteristiche principali.

Tali domande, articolate persamente in funzione dell’esperienza specifica delle dirette interlocutrici
e del corrispettivo ambito di intervento, erano finalizzate ad acquisire un ventaglio di risposte che
avrebbe permesso di ricostruire un quadro generale di riferimento, seppur di prima approssimazione.
Le informazioni e le riflessioni in questo ambito di ricerca sono, infatti, piuttosto scarse, non solo a
livello nazionale ma anche nel panorama europeo. La bibliografia al riguardo ha come oggetto di
analisi lo sfruttamento in agricoltura in generale, e prescinde dall’ottica di genere che rappresenta, al
contrario, il punto di vista di questa indagine esplorativa. Di fatto, nel disegnare il percorso di indagine,
appariva già chiaro che i dati statistici avrebbero potuto fornire — seppur in modo limitato — una
macro-cornice di riferimento, ma che, al contempo, non avrebbero consentito di stimare il numero di
donne effettivamente sfruttate nel settore agricolo.

Le informazioni qualitative provengono per lo più dall’attività di outreach degli enti anti-tratta. Le
donne di cui i/le testimoni riportano le esperienze hanno subito forme di sfruttamento gravi, e talvolta
il doppio sfruttamento sia sessuale che lavorativo, ovvero sono passate da una forma di sfruttamento
all’altra. 2 Diversi riquadri riportano storie di donne, utili a comprendere la qualità e i meccanismi tipici
dei fenomeni di grave sfruttamento in agricoltura.

Nel rapporto vengono poi esposte le implicazioni dell’analisi, mirate all’attuazione secondo un approccio
di genere del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento in agricoltura e il caporalato 2020–2022
(Capitolo IV), anche sulla scorta dell’analisi di genere delle Azioni prioritarie del Piano triennale, e di
alcune buone pratiche, riferite a ciascuna Azione, che sono state inpiduate e suggerite anche grazie
alla collaborazione di esperti del settore (vedasi Capitolo III).



1.3 I dati e le stime sulle lavoratrici e i lavoratori nel settore
  agricolo

1.3 Gli occupati, la distribuzione geografica e il genere

La conoscenza della presenza e delle condizioni di lavoro di donne e uomini in agricoltura è ostacolata
sia dalla mancanza di dati e studi ufficiali sull’economia informale, sia dalla scarsità di disaggregazione
per genere dei dati disponibili. L’ultima rilevazione sistematica risale al censimento dell’agricoltura, e
per quanto riguarda l’ultimo decennio si dispone solo di dati frammentari e raccolti con scopi persi dal-
l’obiettivo di valutare le condizioni dei/delle lavoratori/trici, e in particolare le condizioni di sfruttamento
connesse con il lavoro irregolare.

I dati dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) registrano solo gli occupati “regolari”. La
regolarità è intesa in senso “debole”, vale a dire come occupazione nota all’amministrazione pubblica (in
opposizione al lavoro integralmente celato alle autorità). Una posizione è dunque considerata regolare
a fini statistici per il semplice fatto di risultare iscritta in uno dei registri pubblici, nella specie quelli




2
  Si tratta degli Enti iscritti alla seconda sezione (ex terza) del Registro degli Enti e delle Associazioni che svolgono attività a
  favore degli immigrati, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, così come stabilito dal DPR 394/1999
  (artt.52,53,54).
8                                    ▶ Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura




rilevanti a fini pensionistici e assistenziali. In base ai dati INPS relativi al periodo 2014–2019, gli operai
agricoli nel 2019 ammontano a 1,07 milioni, in leggera diminuzione rispetto al 2018. Si tratta della
prima contrazione registrata nel periodo considerato, mentre negli anni precedenti l’occupazione in
agricoltura è rimasta stabile.3

Gli uomini occupati fanno registrare una progressiva crescita, passando dal 64,4 per cento del 2014 al
68 per cento del 2019. La percentuale delle donne occupate in agricoltura, al contrario scende dal 35,6
per cento al 32,1 per cento nello stesso periodo (Grafico 1).



  ▶ Grafico 1. — Lavoratori agricoli iscritti all’INPS per sesso, 2008–2019

                  80


                  60
           Percentuale




                  40


                  20


                  0
                    2008      2013        2017         2019
                            Uomini     Donne


   Fonte: Elaborazioni CREA su dati INPS.




Per quanto riguarda la distribuzione geografica, a fronte di una media nazionale del 32,1 per cento
nel 2019, le donne braccianti — con contratti sia a tempo indeterminato che determinato — erano
concentrate soprattutto al Sud (41.9 per cento del totale), nel Nord Est (31,5 per cento) e nel Centro
Italia (25,9 per cento).

Anche tra i lavoratori autonomi, gli uomini fanno registrare una presenza più elevata. Nel 2018 infatti
gli uomini raggiungevano quasi le 300 mila unità mentre le donne superavano appena le 152 mila
unità.4



1.3 Il tipo di contratto, la nazionalità e il genere

In base ai dati di carattere generale è possibile affermare che le donne lavoratrici con una posizione
lavorativa regolare o parzialmente regolare, pur facendo registrare una percentuale inferiore a quella
degli uomini e pur scontando una diminuzione nel periodo 2014–2019, sono una porzione tutt’altro
che insignificante della forza lavoro agricola, costituendo nel 2019 il 32,1 per cento del totale dei/delle
braccianti e il 33,7 per cento dei/delle lavoratori/trici autonomi/e.




3
   INPS, Tra emergenza e rilancio, XIX Rapporto Annuale, ottobre 2020, pp. 142 ss.
4
   Il dato relativo alla presenza di lavoratori/trici autonomi/e potrebbe celare forme di lavoro subordinato (false partite IVA
   che liberano i datori di lavoro dagli oneri assicurativi e contributivi).
▶ I dati e le stime sulle lavoratrici e i lavoratori nel settore agricolo                               9




  ▶ Tabella 1. — Occupati dipendenti in agricoltura, per durata contratto ripartizione
   geografica e sesso, 2019 (in percentuale)

                  Tipo di contratto                 Donne

  Ripartizione     Indetermin.    Determin.    Totale   Indetermin.    Determin.    Totale   Donne su to-
  geografica                                                   tale addetti

  Centro            17,9%     11,9%    12,5%       21,3%      9,6%   10,1%       25,9%

  Isole             9,5%     17,0%    16,3%       6,6%     11,4%    11,4%       22,1%

  Nord Est           31,2%     22,3%    23,2%       41,7%     21,9%    22,8%       31,5%

  Nord Ovest          24,7%      9,3%   10,8%       19,5%      6,7%    7,2%       21,4%

  Sud             16,7%     39,5%    37,3%       10,9%     50,4%    48,7%       41,9%

  Totale           100,0%     100,0%   100,0%      100,0%     100,0%   100,0%       32,1%


    Fonte: Elaborazione su dati CREA e dati INPS 2020.




La diminuzione delle operaie agricole iscritte all’INPS potrebbe indicare che vi è stata una diminuzione
dell’occupazione nel settore, ma potrebbe anche dissimulare la caduta di molte lavoratrici in un’area di
totale irregolarità. Particolarmente rilevanti, in questa prospettiva, sono le stime sul lavoro informale
delle lavoratrici, in particolare extracomunitarie. Le elaborazioni di Consiglio per la ricerca in agricoltura
e l'analisi dell'economia agraria (CREA) su dati dell’ISTAT — che tengono conto sia pure parzialmente del
lavoro informale — segnalano tra il 2007 e il 2017 un aumento dei lavoratori uomini di oltre il 200 per
cento nel settore agricolo mentre per le donne l’aumento è addirittura del 211 per cento (Tabella 2).5
Le elaborazioni appena citate confermano l’esistenza di una vasta area di lavoro informale soprattutto
tra gli stranieri e le straniere, particolarmente rilevante per le donne straniere provenienti da paesi
extra UE. Di conseguenza, il calo delle lavoratrici iscritte all’INPS, più che indicare una perdita effettiva
di posti di lavoro, segnala una crescita del lavoro totalmente irregolare, soprattutto tra le lavoratrici
extracomunitarie.

Nel corso dell’ultimo decennio la tipologia di contratto prevalente in agricoltura è stata quella a tempo
determinato. Nel 2019, oltre il 90 per cento dei lavoratori erano assunti con contratti a tempo de-
terminato, mentre la quota delle lavoratrici con questo tipo di contratto era quasi del 97 per cento.
Nello stesso anno, le donne rappresentavano circa il 25 per cento degli stranieri impiegati nel settore
agricolo (Tabella 3). Si tratta di una percentuale inferiore a quella della presenza complessiva delle
donne operaie nel settore (32,1 per cento), a conferma che parte delle lavoratrici dipendenti straniere
si colloca in un’area di irregolarità.




5
   G.Moschetti, G.Valentino, L’impiego delle donne straniere in agricoltura: i dati INPS e i risultati dell’indagine diretta in Puglia,
   nelle aree di Cerignola (FG) e Ginosa (TA), in CREA, Il contributo degli stranieri, cit., pp. 45 ss..
10                                     ▶ Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura




  ▶ Tabella 2. — Occupazione degli immigrati in Italia in agricoltura, per sesso, 2007 e 2017
   (in migliaia)

  Occupati immigrati          2007       2017      Variazione %

  Totale uomini                717        1.117       55,7

     di cui in agricoltura         37         115       209,6

  Totale donne                 504        989       96,2

     di cui in agricoltura          8         26       211,6

  Totale occupati immigrati        1.222         2.106       72,4

     di cui in agricoltura         46         141       210,0


    Fonte: Elaborazioni CREA su dati ISTAT (Immigrati.istat, http://stra-dati.istat.it/)




  ▶ Tabella 3. — Occupati stranieri alle dipendenze in agricoltura per tipo di contratto,
   2019 (in percentuale)

              Occupati stranieri alle dipendenze          di cui donne

  Ripartizione      Indetermin.  Determin.   Totale    Indetermin.  Determin.    Totale  Donne su to-
  geografica                                                 tale addetti

  Centro             21,4      16    16,4       25,9       11,8   12,5       18,8

  Isole              2,6      10,2    9,7       2,6       8,1   7,9       20,3

  Nord Est            33,6      32,6   32,6       43,8       37,9   38,1       29,2

  Nord Ovest           34,7      13,5   14,9       19,7       10,8   11,1       18,7

  Sud               7,7      27,5   26,4       7,9       31,4   30,4       29,3


    Fonte: Elaborazione su dati CREA e dati INPS, 2020.




Mentre per gli/le italiani/e si registra una decrescita complessiva che riguarda sia i contratti a tempo
determinato che quelli a tempo indeterminato, per gli/le stranieri/e invece, a fronte di una contrazione
dei contratti a tempo indeterminato, si rileva un aumento dei contratti a tempo determinato (Grafico 2).6
Dunque, anche con riferimento al lavoro regolare o parzialmente regolare, si riscontra una maggiore
precarietà della condizione lavorativa degli stranieri, e tra questi, soprattutto di quella delle donne.




6
   De Leo, S. Vannino, Immigrati in agricoltura in Italia: chi sono e da dove vengono. Analisi multi-temporale dal 2008 al 2017, in
   CREA, Il contributo degli stranieri, op. cit., pp. 21 ss.
▶ I dati e le stime sulle lavoratrici e i lavoratori nel settore agricolo                            11




   ▶ Grafico 2. — Lavoratrici e lavoratori a tempo determinato in agricoltura per sesso e
    nazionalità, 2012 e 2017

              60



              40
       Percentuale




              20



              0
                 Uomini  Donne      Totale     Uomini      Donne      Totale
                      2012                       2017
                        Italiani  Stranieri UE   Stranieri extra-UE


    Fonte: Elaborazioni CREA su dati INPS, 2019.




1.3 Il lavoro femminile informale

Gli studi svolti al livello territoriale confermano che il lavoro informale delle donne è un fenomeno
assai rilevante in molte Regioni.7 In uno studio condotto sulle aree di Cerignola e di Ginosa in Puglia, i
testimoni privilegiati intervistati nell’ambito di una ricerca svolta dal CREA hanno stimato una presenza
numerica delle donne braccianti tre volte superiore ai dati dell’INPS.8 Quella del lavoro totalmente
irregolare costituisce un’area di vulnerabilità sociale nella quale possono innestarsi le peggiori forme
di sfruttamento e di abuso, come del resto si è riscontrato attraverso importanti indagini penali in
perse zone pugliesi.9 L’evidenza di una presenza massiva di donne impiegate in agricoltura trova
d’altra parte riscontro nel fenomeno assai studiato della femminilizzazione della migrazione, ovvero il
fenomeno riscontrato negli ultimi decenni in base al quale le donne pentano le principali attrici dei
flussi migratori.10 In un mercato del lavoro fortemente segmentato e a fronte delle difficoltà di accesso
al lavoro, specie per gli stranieri e le straniere, l’agricoltura e il lavoro domestico costituiscono le uniche
opportunità per le donne migranti di assicurarsi un lavoro e un salario, che per quanto misero può
assicurare la sopravvivenza del nucleo familiare.

Al livello nazionale, L’INPS stima in circa 300 mila i/le lavoratori/trici agricoli/e (il 30,7 per cento del
totale dei lavoratori dipendenti) impiegati/e per meno di 50 giornate l’anno e che, dunque, non hanno
accesso alle indennità di disoccupazione agricola, malattia, infortunio e maternità.11 A fronte di questo
dato complessivo, informazioni relative ad aree specifiche fanno comprendere che le donne subiscono
in misura importante gli effetti negativi della dichiarazione di giornate lavorate assai inferiori a quelle
necessarie per avere accesso alla malattia e alla maternità, oltre che alla disoccupazione agricola. Ad
esempio, le stime dei sindacati indicano che nell’area di Foggia le lavoratrici escluse da tali prestazioni




7
   CREA: Il contributo degli stranieri all’agricoltura italiana, Roma 2019, https://www.crea.gov.it/web/politiche-e-bioeconomia/-/
   on-line-il-contributo-dei-lavoratori-stranieri-all-agricoltura-italiana.
8
   Ibid.
9
   Si vedano ad esempio le indagini della magistratura nell’area di Barletta, Andria e Trani (lavoratori africani e italiani con
   retribuzioni molto al sotto della paga oraria sancita dal contratto collettivo, sotto-dichiarazione delle giornate lavorate e
   alloggiamenti degradanti), in Provincia di Foggia (lavoratori africani sfruttati nella zona denominata Capitanata e alloggiati
   in insediamenti informali). Medici per i diritti umani: La cattiva stagione, 2019, https://mediciperidirittiumani.org/medu/wp-
   content/uploads/2019/10/rap_ottobre_medu_2019_web.pdf
10
   K. M. Donato e D Gabaccia, The global feminization of migration: Past, present, and future, Migration Policy Institute 2016
   (https://www.migrationpolicy.org/article/global-feminization-migration-past-present-and-future).
11
   INPS: Mondo agricolo 2019.
12                                      ▶ Un’analisi di genere del lavoro in agricoltura




sono il 50 per cento del totale.12 A fronte di tale stima, già molto elevata, ben il 90 per cento delle donne
bulgare intervistate a Cerignola, dichiara di rientrare nel paese di origine a fine stagione per l’impossi-
bilità di ottenere un contratto superiore alle 50 giornate, con la conseguenza di non avere accesso alla
disoccupazione agricola e di non potersi mantenere in Puglia oltre il periodo di lavoro stagionale. Le
condizioni di vulnerabilità sociale sono esacerbate dalla gestione criminale della manodopera da parte
dei caporali in combutta con datori di lavoro senza scrupoli.13

Lo sfruttamento non può considerarsi limitato all’area del lavoro totalmente irregolare, e si riscontra
anche tra coloro che soggiornano regolarmente ed hanno un regolare contratto di lavoro, in conse-
guenza della pratica molto diffusa di dichiarare solo una parte delle giornate effettivamente lavorate.
La condizione di sfruttamento, dunque, non riguarda i/le soli/e lavoratori/trici extracomunitari/e ma
anche cittadini/e italiani/e e degli altri paesi UE.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS) stima in circa 160mila i lavoratori e le lavoratrici
in condizioni di vulnerabilità, mentre le stime del Quinto Rapporto Agromafie e Caporalato della FLAI-
CGIL indicano in 180mila i lavoratori/trici a rischio di sfruttamento.14 Questa quota di lavoratori e di
lavoratrici vulnerabili è certamente soggetta a forme gravi di sfruttamento, che sono spesso connesse
all’irregolarità del rapporto di lavoro, e all’irregolarità del soggiorno se si tratta di stranieri/e extraco-
munitari/e. Se a tale cifra (160–180mila) rapportiamo il 32 per cento (l’incidenza approssimativa delle
donne occupate nel lavoro dipendente in agricoltura), si ricava una stima della componente femminile
sfruttata pari a 51–57mila unità.




12
   Osservatorio Placido Rizzotto/FLAI CGIL: V Rapporto agromafie e caporalato, 2020.
13
   Ibid.
14
   Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al capo-
   ralato, 2020–2022, https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/Tavolo-caporalato/Documents/Piano-
   Triennale-post-CU.pdf; F. Carchedi, La componente di lavoro indecente nel settore agricolo. Casi di studio territoriali, in CGIL-FLAI,
   V Rapporto Agromafie e Caporalato, 2020, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto.
▶ 2 Lo sfruttamento delle lavoratrici in
  agricoltura

Questo capitolo offre un’analisi di tipo qualitativo delle condizioni di lavoro e di vita delle donne impie-
gate in agricoltura. L’analisi è frutto delle interviste semi-strutturate svolte con testimoni privilegiate/i,
prevalentemente operatori/trici del sistema anti-tratta, nonché sindacaliste che operano in varie aree
geografiche.



2.1 Le situazioni di sfruttamento nel Centro-Nord

In base ai dati rilevati dalle iniziative finanziate a livello regionale dal sistema anti-tratta, e dunque
prendendo in considerazione solo le vittime di tratta e/o grave sfruttamento identificate come tali
nel periodo 2017–2019, il lavoro domestico e l’agricoltura rappresentano i due principali ambiti di
sfruttamento lavorativo delle donne. Nel biennio sono infatti state rilevate dal Numero Verde Anti-
tratta circa 118 donne, di cui 38 nel lavoro domestico e 37 in quello agricolo. Si tratta tuttavia di dati
esigui se paragonati a quelli delle donne vittime di sfruttamento sessuale (oltre 3.000 casi nello stesso
periodo).15 Ciò dimostra come le attività volte all’emersione dello sfruttamento lavorativo femminile a
livello nazionale siano ancora ad uno stadio iniziale. Inoltre, si tratta di dati sottostimati rispetto alle
informazioni fornite dalle/ai testimoni privilegiate/i, che vengono riportate nei paragrafi che seguono.

La realtà delle donne sfruttate in agricoltura è molto variegata, e differenziata nei vari contesti regionali
e produttivi. La maggiore visibilità del lavoro sfruttato nelle regioni del Sud, legato soprattutto alla
presenza di grandi insediamenti informali, ha per anni oscurato l’esistenza del lavoro agricolo sfrut-
tato anche nelle regioni del Centro e del Nord Italia. D’altra parte, l’emersione del lavoro sfruttato in
agricoltura dipende dall’esistenza di attività di outreach, vale a dire di attività finalizzate a raggiungere
e instaurare un contatto con le persone presumibilmente sfruttate. Servizi così strutturati, tuttavia,
sono operanti solo in alcune regioni. Le interviste alle/ai testimoni privilegiate/i hanno evidenziato che
non sono stati rilevati casi di donne sfruttate nel lavoro dei campi né in Piemonte né in Lombardia
(Interviste 18 e 19). In Veneto — dove esistono varie esperienze consolidate di emersione e presa in
carico di lavoratori e lavoratrici agricoli/e basate sulla cooperazione tra gli ispettorati territoriali del
lavoro, i nuclei del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro e i servizi sociali — la presenza di donne
è ben documentata, sia pure in numero limitato. Per quanto riguarda la Toscana e l’Emilia-Romagna
sono state raccolte da parte degli operatori del settore solo notizie frammentarie.

In Veneto, in base ai dati forniti dal Numero Verde anti-tratta, su 291 persone a colloquio, 30 sono
donne, di cui 12 donne marocchine sono state identificate nel 2018 in un’unica azienda. Per quanto
riguarda le altre, si tratta di cinque cittadine comunitarie, una tunisina e altre dodici marocchine. Nella
regione Veneto lavorano prevalentemente uomini provenienti da Bangladesh, Pakistan e Romania, ma
non è stata rilevata la presenza di donne di queste nazionalità. Invece la nazionalità marocchina, che
nel contesto regionale è minoritaria, fa registrare la presenza di parecchie lavoratrici. Nella Regione
Veneto, le donne vengono impiegate sia nella raccolta sia nel confezionamento dei prodotti orticoli e
guadagnano quanto gli uomini, un dato in controtendenza rispetto a settori quali il tessile e il calzatu-
riero dove la disparità salariale raggiunge anche il 50 per cento. Tale disparità salariale non è legata a
persità di mansioni, ma quasi sempre a discriminazione di genere. In questi settori, infatti, il datore
di lavoro cerca una coppia di lavoratori, e paga l’intera retribuzione all’uomo, decurtando fortemente




15
   M.G. Giammarinaro, L. Palumbo, Le donne migranti in agricoltura, in FLAI-CGIL, V Rapporto Agromafie e Caporalato, a cura
   dell’Osservatorio Placido Rizzotto, p. 83.
14                                    ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




il salario della donna. Questa circostanza conferma lo scarso potere contrattuale delle donne sia nel
mercato del lavoro sia in famiglia. Il fatto che tale disparità salariale non venga riscontrata in agricoltu-
ra sembra indicare una particolare capacità dei caporali di imporre le proprie condizioni alle aziende
agricole (Intervista 1).

Sempre nella Regione Veneto è stata rilevata la presenza nel settore agricolo di donne rumene e molda-
ve precedentemente occupate nei servizi di cura. Queste lavoratrici vengono chiamate senza contratto
dalle loro connazionali per le sostituzioni estive nei servizi di cura, sulla cui retribuzione le titolari del
contratto prendono una percentuale. Finita la sostituzione, le lavoratrici non contrattualizzate vanno a
lavorare in agricoltura. In strada sono state anche trovate donne bulgare Rom, sfruttate sessualmente,
che trovano lavoro per qualche settimana l’anno in Puglia nella raccolta di frutta e verdura (Intervista 1).

In Emilia-Romagna, casi di grave sfruttamento lavorativo delle donne sono stati registrati nel settore
turistico-alberghiero e nei servizi di cura (Intervista 2). Per quanto riguarda il settore agricolo, nella zona
di Cesena e Forlì le donne sono impiegate nelle cooperative di allevamento, e, più di recente, anche nel
confezionamento delle uova. Lo sfruttamento passa attraverso la sotto-dichiarazione delle giornate
rispetto a quelle effettivamente lavorate. Inoltre, è pratica comune assumere lavoratori attraverso
contratti stagionali anche per attività che durano tutto l’anno (come per l’appunto il confezionamento
delle uova) anche da parte di grandi aziende. La presenza delle donne è elevata soprattutto nelle
coltivazioni ortofrutticole. In certe attività, il lavoro delle donne è una tradizione. Per esempio, la
“campagna magazzini” era fatta fin dagli anni ’50 da donne italiane, oggi quasi totalmente rimpiazzate
dalle straniere. Le donne rappresentano circa un terzo di tutti i lavoratori agricoli nella Regione e in
certe zone possono arrivare anche a metà della manodopera bracciantile. Nella raccolta delle fragole
sono preferite le donne; nella vendemmia donne e uomini sono presenti in maniera grosso modo
eguale (Intervista 3).

In Toscana, le testimoni privilegiate hanno rilevato una presenza femminile marginale, ben documen-
tata solo nelle province di Pistoia e di Livorno. Qui sono state registrate dai servizi di outreach donne
provenienti dal Bangladesh, dall’India e dal Pakistan, impiegate nella raccolta delle olive. Per quanto
riguarda il settore vivaistico (Pistoia), si tratta di situazioni “blindate”: non si può accedere alle aziende
e non si hanno notizie sul fatto che vi lavorino anche donne. Si ritiene che la maggior parte degli operai
siano africani assunti con tirocini o in modo totalmente irregolare (Intervista 4). Nella zona a Sud di
Prato, intere famiglie cinesi hanno rimpiazzato i contadini italiani nella coltivazione in serra (Intervista
5). Si può ipotizzare che in queste aziende agricole familiari, che riforniscono i bar e i servizi catering
della zona, lavorino anche donne. In provincia di Livorno, la percentuale di donne straniere occupate
nel biennio 2017–2018 raggiungeva mediamente il 34 per cento del totale, di cui il 17 per cento con
contratto a tempo indeterminato. Le lavoratrici italiane erano assai più numerose delle straniere, sia
con contratti a tempo determinato che indeterminato, costituendo quasi il doppio delle straniere.16

Nella Regione Lazio le informazioni sulle donne lavoratrici sono scarse. Si ritiene che le braccianti non
siano molto numerose nella zona di Roma e di Latina. In ogni caso gli enti anti-tratta non le hanno mai
intercettate, nemmeno a livello di colloquio preliminare. Si ha notizia della presenza di donne indiane
nelle campagne, ma ciò emerge solo dalla narrazione di uomini che sono stati presi in carico o che
hanno avuto un contatto con gli enti anti-tratta. Vi sono anche — ma sempre in numero molto limitato
— donne marocchine, tunisine e donne provenienti dall’Africa sub-sahariana. Mentre gli uomini sono
impiegati in tutte le fasi del processo produttivo, le donne lavorano solo nella raccolta. È stato registrato
qualche caso isolato di donne rumene che agivano da sorveglianti, probabilmente per conto dei mariti
caporali (Intervista 6).




16
   F. Carchedi, La componente di lavoro indecente nel settore agricolo. Casi di studio territoriali, in CGIL-FLAI, V Rapporto Agromafie
   e Caporalato, 2020, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, p. 267
▶ Le situazioni di sfruttamento nel Meridione                                          15




2.2 Le situazioni di sfruttamento nel Meridione

In Campania le notizie più rilevanti sono state raccolte nella Piana del Sele, dove sono molto attive
le rappresentanti delle organizzazioni sindacali. Qui è stata rilevata la presenza di donne italiane, di
donne provenienti dalla Nigeria e dalla Guinea, nonché di rumene, bulgare e marocchine presenti da
molti anni. Le donne sono addette principalmente alla raccolta e alla trasformazione, soprattutto nel
comparto conserviero. Le occupazioni seguono, soprattutto per le donne, i cicli stagionali (Intervista 7).
È stata registrata la presenza di donne rumene, ucraine e di altri Paesi dell'Est Europa anche nell'Agro
Nocerino-Sarnese. Molte donne lavoratrici partono ogni giorno con gli autobus, e attraversando la città
di Salerno vanno a lavorare nella zona di Eboli-Battipaglia. Lavorano 9–10 ore al giorno e guadagnano
mediamente 42 euro al giorno, da cui vengono detratti 7 euro per il trasporto. Le donne sono impiegate
nella raccolta a mano in pieno campo mentre gli uomini vengono prevalentemente impiegati nelle serre.
Le donne provenienti da paesi dell’Est Europa vivono generalmente nei centri urbani, con la famiglia
oppure in gruppi di donne se sono arrivate in Italia da sole (Intervista 8). Sia nella Piana del Sele
che nell'Agro Nocerino-Sarnese, vi sono anche alcune donne indiane, emigrate con l’intera famiglia e
impiegate prevalentemente nella mungitura e nel lavoro di stalla (Interviste 7 e 8).

Anche in Puglia la situazione è molto differenziata a seconda delle coltivazioni e dei relativi cicli produt-
tivi. Molte donne italiane lavorano come braccianti nel Brindisino e talvolta hanno figlie che lavorano
anch’esse. Si tratta di studentesse o neolaureate, indotte al lavoro agricolo anche a causa della man-
canza di opportunità lavorative adeguate al titolo di studio conseguito (Intervista 9). Nel Brindisino si
è rilevata la presenza anche di molte cittadine comunitarie, stanziatesi da tempo in quelle zone con
la famiglia.17 La presenza di donne di varia nazionalità è stata registrata negli insediamenti informali
della Capitanata e, sia pure in piccoli numeri, anche in Salento (Intervista 9). Nella zona di Cerignola le
donne sono impiegate soprattutto nelle aziende di confezionamento e imballaggio di prodotti orticoli
(Intervista 10).

Molte donne rumene e bulgare, insieme a qualche italiana, si spostano giornalmente dalla Puglia e
dalla Calabria in Basilicata, e in particolare nel Metapontino, nel periodo della raccolta delle fragole. Si
tratta in genere di donne giovani, sotto ai 30 anni. In un’area del Metapontino vi è anche una comunità
rumena stanziale, con intere famiglie stabilitesi nella zona (Intervista 11).

In Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, dove è prevalente la presenza di braccianti africani, non è mai
stata rilevata direttamente la presenza di donne. Vi erano donne nigeriane che si prostituivano in
un insediamento informale, poi smantellato. Alcune donne nigeriane, non più giovani e già sfruttate
sessualmente, sono impiegate in agricoltura o nel piccolo commercio di prodotti tradizionali. Alcune
donne sono impiegate nella trasformazione. In agricoltura è prevalente la manodopera maschile, ma
si riscontra anche la presenza di un certo numero di lavoratrici. Molti/e braccianti di origine africana
si spostano stagionalmente in Puglia e Campania per la raccolta del pomodoro, e in Piemonte per la
raccolta della frutta (Intervista 22).

Nella Piana di Santa Eufemia (versante tirrenico di Catanzaro) è stata rilevata la presenza di donne
marocchine e dell’Est Europa, soprattutto bulgare e rumene.18 In genere si tratta di comunità stanziali,
ma vi sono anche movimenti stagionali. Mentre gli uomini africani sono numerosissimi, la presenza
di lavoratrici provenienti dall’Africa sub-sahariana è stata ben registrata, ma in quantità minime. Nella
piana di Sibari — con un flusso sostenuto da e verso il Metapontino — le donne sono occupate nelle
raccolte estive.19




17
   F. Carchedi, La componente di lavoro indecente nel settore agricolo. Casi di studio territoriali, in CGIL-FLAI, Quinto Rapporto
   Agromafie e Caporalato, 2020, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, pp. 328 ss.
18
   F. Carchedi, M. Galati, I. Saraceni, Lavoro indecente. I braccianti stranieri nella Piana lametina, Rubbettino, Soveria Mannelli
   (CZ), 2017
19
   F. Carchedi, M. Galati, Persone annullate. Lo sfruttamento sessuale e lavorativo in Calabria, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ),
   2019
16                                     ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




In Sicilia, l’accampamento situato nella zona fra Campobello di Mazara e Trapani, che può raggiungere
anche le 1.000 presenze, ospita soprattutto uomini dell’Africa sub-sahariana. Nel campo vi sono alcune
tende dove si trovano donne nigeriane sfruttate sessualmente.20 Una consistente presenza di donne
braccianti è stata invece registrata nella zona della c.d. “fascia trasformata” e in particolare nelle serre
del ragusano. Secondo i dati INPS, nel 2017 le operaie agricole migranti nella provincia di Ragusa erano
oltre tremila, e tra queste la componente più numerosa era rappresentata dalle lavoratrici di origine
rumena. Queste braccianti lavorano quanto gli uomini, 10–11 ore al giorno, a temperature altissime
d’estate e basse d’inverno respirando pesticidi, per un salario giornaliero che si aggira intorno ai 25–32
euro. Le donne rumene vivono generalmente in capannoni e casolari all’interno dell’azienda con i/le loro
figli/e. Tale situazione lavorativa e abitativa è una delle poche che consentano alle braccianti straniere
di tenere con sé i figli. È pertanto assai probabile che il lavoro nelle serre sia preferito dalle donne
rumene proprio per questa ragione. D’altra parte, come si dirà più avanti, tale condizione si traduce
spesso in un fattore ulteriore di vulnerabilità.21 Nel periodo più recente, mentre rimane consistente
la presenza delle donne rumene, si è registrata la presenza nelle serre anche di donne maghrebine e
tunisine (Intervista 23). Sempre in Sicilia, un fenomeno del tutto nuovo è la presenza di donne rumene
che vivono a Delia (provincia di Caltanissetta) con le famiglie. Mentre gli uomini che lavorano nella
zona sono anche di altre nazionalità, le donne sono quasi tutte rumene, e sono assoggettate a forme di
pesante sfruttamento da parte dei caporali che provvedono ai trasporti e trattengono parte del salario
(Intervista 23).



2.3 Le modalità dello sfruttamento

2.3 Il caporale, figura multifunzionale

Le modalità dello sfruttamento variano in base alla zona geografica, e alla nazionalità dei caporali e
dei lavoratori/trici. Tre sembrano essere i fattori che influenzano in maniera decisiva il trattamento dei
lavoratori e delle lavoratrici: la capacità di contrattazione dei caporali e degli stessi lavoratori/trici, la
correttezza dei datori di lavoro, e l’abbondanza di lavoro. Quando si verificano queste tre condizioni, i
lavoratori/trici ricevono un trattamento migliore. Tuttavia, questo “miglior trattamento” è segnato da
salari molto al di sotto dei minimi previsti dai contratti collettivi nazionali, da un numero di giornate
dichiarate molto al di sotto di quelle effettivamente lavorate, da condizioni di lavoro deteriori, e da orari
di lavoro ben al di sopra della soglia stabilita dalle norme nazionali.

I fenomeni più gravi di sfruttamento lavorativo sono caratterizzati dall’esasperazione dei principali
indici di sfruttamento, fra cui il lungo orario di lavoro, la bassa retribuzione, le condizioni di lavoro e
di alloggio prive dei requisiti minimi di sicurezza e igiene, se non decisamente degradanti.22 In questi
casi lo sfruttamento lavorativo può presentare un grado elevato di disvalore sociale e penale, tanto da
configurare il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in base agli indici tipicizzati
dal legislatore nell’art. 603-bis del codice penale.




20
   L.Palumbo, A.Sciurba, The vulnerability to exploitation of women migrant workers in agriculture in the EU: the need for a
   human rights and gender based approach, https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=IPOL_
   STU(2018)604966
21
   M.G.Giammarinaro, L.Palumbo, Le donne migranti in agricoltura, in FLAI-CGIL, Quinto Rapporto Agromafie e Caporalato, a
   cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, pp. 89–90.
22
   L’Organizzazione    Internazionale   del  Lavoro   ha   prodotto   indicatori di  tratta   o  lavoro   forzato:
   https://www.ilo.org/global/topics/forced-labour/publications/WCMS_105023/lang–en/index.htm ; https://www.ilaonline.
   net/manuale-ilo-per-gli-ispettori-del-lavoro-sul-lavoro-forzato-e-la-tratta-di-esseri-umani-dipartimento-pari-opportunita/ .
   Indicatori di sfruttamento lavorativo sono contenuti anche in F. Nicodemi (a cura di), L’identificazione delle vittime di tratta
   tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral. Linee Guida per le Commissioni Territoriali per il riconoscimento
   della protezione internazionale, 2021, Co-funded by the Asylum, Migration and Integration Fund of the European Union,
   Commissione Nazionale per il Diritto di asilo e UNHCR.
▶ Le modalità dello sfruttamento                                                17




Il ruolo dei caporali — italiani o della stessa nazionalità dei lavoratori/trici — è decisivo in relazione
alla retribuzione e alle condizioni di lavoro e di vita. Si possono distinguere, in linea generale, due tipi
di caporalato. Il primo tipo è quello dei caporali che si limitano a mettere in relazione la domanda e
l’offerta di lavoro, e al più offrono qualche servizio a pagamento (p.e. il trasporto). Vi è poi un secondo
tipo di caporalato, che oltre a fornire l’intermediazione e il trasporto, offre anche l’alloggio in luoghi
isolati in modo da esigere un compenso per qualunque tipo di servizio addizionale (per esempio l’ap-
provvigionamento di acqua potabile e di cibo, o il trasporto per espletare pratiche burocratiche). In
genere si registra un’organizzazione e gestione della manodopera continua e multiforme (per genere,
nazionalità, età) che in qualche caso si rivela assai efficiente. Talvolta i caporali fanno parte dell’orga-
nizzazione del lavoro e sono addetti dai datori di lavoro anche alla gestione della manodopera e alla
sorveglianza. Si tratta di situazioni in cui il potere dei caporali si coniuga alla connivenza dei datori di
lavoro e dà luogo alle forme più gravi di sfruttamento.23 Non a caso, proprio in queste situazioni si
verificano molestie e violenze sessuali sistematiche nei confronti delle donne lavoratrici.

Sono state registrate anche forme di “evoluzione” del caporalato. In particolare, le informazioni fornite
dai testimoni privilegiati indicano che in Emilia-Romagna i/le lavoratori/trici hanno un contratto regolare
e tutto sembra svolgersi legalmente. Tuttavia, vengono dichiarate solo cinque giornate al mese per
ogni lavoratore/trice, mentre di fatto i/le dipendenti lavorano 14–15 ore al giorno, sette giorni su sette.
Una donna che lavora nel confezionamento delle uova, per esempio, può avere un contratto a chiamata
per cinque giornate, mentre in realtà lavora tutti i giorni. La sua busta paga è di 300–400 euro, ma
riceve in contanti altri 400–500 euro. In questo modo le lavoratrici arrivano a guadagnare anche a
800–900 euro al mese e sono soddisfatte, anche se subiscono una evidente penalizzazione di natura
previdenziale.

I Centri di Accoglienza Straordinari (CAS), dove risiedono i richiedenti asilo, sono un bacino nel quale i
caporali fanno abitualmente il reclutamento. I CAS sono obbligati a conservare il posto ai richiedenti
asilo finché non risulta che la persona può mantenersi da sola. Quindi la persona interessata non
dichiara di lavorare, perché altrimenti perderebbe il posto al Centro. In questo modo le stesse vittime
sono coinvolte nel sistema dello sfruttamento (Intervista 3). Anche nella zona di Ferrara è accaduto che
perse richiedenti asilo siano andate a lavorare nel settore agricolo, ma abbiano continuato a negare
di avere un lavoro (Intervista 2).



2.3 Le “false cooperative”

Un altro ambito in cui si evidenziano le pratiche di sfruttamento è quello delle "false cooperative”. Il
caso dell’Emilia-Romagna è emblematico: si tratta spesso di cooperative fantasma, chiamate anche
“cooperative senza terra” o “cooperative spurie”, che svolgono in modo abusivo l’attività di subappalto di
manodopera e talvolta di gestione di parti del ciclo produttivo delle aziende committenti. Per esempio,
molti allevamenti affidano tutta la logistica alle “false cooperative”, ma in realtà queste gestiscono
completamente i capannoni dove si allevano gli animali. I lavoratori e le lavoratrici risultano soci
lavoratori della cooperativa e spesso vengono costretti/e a lavorare in situazioni degradanti. Queste
cooperative spesso spariscono — a seguito delle attività di vigilanza — per poi ricomparire con persa
denominazione e altri soci (Intervista 3). Un’ulteriore modalità di sfruttamento — sempre registrata
in Emilia-Romagna — è connessa all’assunzione della manodopera con contratti stagionali anche in
attività che per loro natura sono svolte durante tutto l’arco dell’anno (p.e. il confezionamento delle
uova, Intervista 3).




23
   Per tutti gli aspetti relativi all’analisi delle varie forme di caporalato, cfr. i Rapporti Annuali della FLAI-CGIL, Agromafie e
   caporalato.
18                                    ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




La presenza di “false cooperative” è emersa anche da un’indagine avviata nel Lazio nel 2019, dove nella
zona nell’Agro Pontino una cooperativa forniva manodopera in tutta la Regione (fino a 400 operai agri-
coli), soprattutto stranieri richiedenti asilo. Questi lavoratori ricevevano insulti e aggressioni da parte
dei caporali, tutti rumeni. Alcuni uomini nigeriani hanno raccontato che nei furgoni della cooperativa,
che trasportavano i lavoratori nei luoghi di lavoro, vi era anche qualche donna rumena (Intervista 6).24



2.3 La disparità salariale rispetto al genere

Le modalità dello sfruttamento lavorativo sono generalmente analoghe per donne e uomini, e si ba-
sano prevalentemente sui bassi salari e sul pario tra previsioni contrattuali, giornate dichiarate e ore
effettivamente lavorate. In Toscana, ad esempio, nei casi più gravi di sfruttamento, i salari giornalieri
dei/delle braccianti sono tra i 20 e i 30 euro per 10–12 ore di lavoro. Un’altra modalità di sfruttamento,
comune a donne e uomini, è quella del lavoro a cottimo, che oltre che in agricoltura, viene segnalato
anche nei servizi di pulizia e di manutenzione.25 Nella provincia di Grosseto è stata registrata la presen-
za di donne provenienti da Bangladesh, India e Pakistan, impiegate insieme agli uomini nella raccolta
delle olive, per la quale si richiede un buon livello di manualità. Qui sono state rilevate prestazioni a cot-
timo, anche senza contratto. La stessa situazione si registra nella potatura a secco, dove la prestazione
lavorativa è pagata dai 3 ai 5 euro per singolo albero (Intervista 13).

In varie zone, tuttavia, è stata registrata una consistente disparità salariale tra donne e uomini. In
particolare, tale disparità è stata rilevata in Puglia (province di Brindisi e Foggia), in Campania (piana
del Sele), nel Lazio (aree di Roma e di Latina), e in Sicilia (c.d. “fascia trasformata”). Nell’agro Pontino, le
donne — prevalentemente indiane, marocchine e provenienti dall’Africa Sub-sahariana — sono pagate
meno degli uomini, a parità di ore lavorate (Intervista 6). Le donne bulgare che vivono nel ghetto di
Borgo Mezzanone (Foggia) e negli altri insediamenti informali della zona (la metà dei circa mille Rom
bulgari conosciuti), lavorano in agricoltura con i loro mariti e fratelli. Guadagnano meno di loro, non
arrivano a 1–1 euro e mezzo l’ora, e talvolta guadagnano solo 50 centesimi. Se lavorano a cottimo
possono arrivare a 20–25 euro al giorno, altrimenti guadagnano circa 15 euro al giorno. Per contro, gli
uomini adulti appartenenti alla stessa comunità percepiscono 25–30 euro per 10–12 ore di lavoro al
giorno, circa 70–80 ore a settimana da lunedì a domenica.26

Nella Piana del Sele, mentre una donna percepisce al massimo 28 euro al giorno, un uomo guadagna
mediamente 40–42 euro al giorno. La differenza salariale non esiste nelle attività di magazzino, ma nel
campo la si giustifica ritenendo che i lavori riservati agli uomini siano più pesanti (Intervista 7). Nella
stessa zona (Capaccio Scalo) alcune giovani donne indiane percepiscono 2–3 euro l’ora e lavorano anche
12 ore al giorno, mentre gli uomini possono arrivare anche a 4 euro l’ora (Intervista 14). Sempre in
Campania (Caserta), le donne bulgare della comunità stanziale delle c.d. palazzine Cirio di Mondragone
guadagnano 1–1,5 euro l’ora. 27 Altre guadagnano tra i 20 e i 25 euro al giorno per 7–8 ore di lavoro,
mentre gli uomini percepiscono 25–30 euro (Intervista 15). In Sicilia, nella “fascia trasformata”, le
lavoratrici delle serre, a fronte di un lavoro durissimo e potenzialmente nocivo, guadagnano dai 25 ai
32 euro al giorno, mentre gli uomini ne percepiscono almeno 40 (Intervista 23).




24
   Regione Lazio, La tratta di esseri umani e le forme di sfruttamento sessuale e lavorativo sul territorio laziale, Rapporto di ricerca,
   Roma, febbraio 2019. Ed anche Marco Omizzolo, Il movimento bracciantile in Italia e il caso dei braccianti indiani in provincia
   di Latina, pp. 239–242, in Marco Omizzolo, Pina Sodano, Migranti e territori. Lavoro diritti accoglienza, Ediesse, Roma, 2014.
25
   A. Cagioni, Le Ombre del lavoro sfruttato, Studi e ricerche sulle forme di sfruttamento lavorativo in Italia e in particolare
   nella Regione Toscana, Asterios Editore, 2020, p. 201–202
26
   A. Ciniero, Dalla Bulgaria all’Italia. Il caso dei braccianti stagionali rom tra povertà e sfruttamento, Report di ricerca di MARG-IN.
   MARGinalisation INclusion. Les effets à moyen long terme des politiques de régulation de la pauvreté étrangère sur les populations-
   cibles: le cas des migrants dits «roms» dans les villes d’Europe occidentale, directed by Olivier Legros (Université de Tours),
   financed by French ANR Instrument de financement Projet de Recherche Collaborative (PRC), 2019. Inoltre, Osservatorio
   Placito Rizzotto-Flai Cgil, Quarto Rapporto Agromafie e caporalato, Puglia. Il caso di Borgo Mezzanone (Foggia), p. 231.
27
   Ibid., Campania. Il caso di Mondragone (Caserta), p. 211.
▶ Le vulnerabilità intersezionali delle lavoratrici migranti                                  19




2.3 L’impatto della pandemia del COVID-19

Nessuno/a dei testimoni privilegiati ha riferito cambiamenti nelle condizioni di lavoro a seguito della
pandemia del COVID-19. Tutte le fasi del lavoro agricolo sono proseguite, trattandosi di prestazioni
essenziali per la sicurezza alimentare del paese. L’unico impatto rilevante della pandemia ha riguardato
le lavoratrici stagionali che, a seguito delle restrizioni, non sono riuscite a raggiungere l’Italia, con la
conseguenza di una temporanea scarsità di manodopera in certe fasi della raccolta (Intervista 12).

L’assenza di informazioni legate alle condizioni di lavoro durante la pandemia fa ben comprendere che
le lavoratrici e i lavoratori hanno continuato a lavorare, ma senza l’adozione di alcuna precauzione per
proteggerle/i dal contagio. I datori di lavoro non hanno dotato i lavoratori e le lavoratrici neanche delle
mascherine, fornite in molti casi dagli/dalle operatori/trici sociali (Intervista 23). Se la mancanza di
dispositivi di sicurezza è di per sé indice di sfruttamento lavorativo, la mancanza di presidi di protezione
in tempo di pandemia mette in pericolo l’incolumità delle lavoratrici e dei lavoratori e dunque ne
accentua la gravità. Il rischio di aggravamento delle condizioni di sfruttamento durante la pandemia è
causato anche dalla sospensione delle attività di vigilanza (Interviste 10 e 20).

Per quanto riguarda le condizioni alloggiative, il rischio di contagio è legato alla mancanza di servizi igie-
nici adeguati e di acqua potabile negli insediamenti informali, mentre nei casolari di campagna e negli
appartamenti in locazione, dove vivono prevalentemente le donne, vi sono condizioni di affollamento
tali da non consentire il distanziamento. Ciò obbliga le donne ad un pesante lavoro aggiuntivo volto ad
assicurare condizioni igieniche minime. La pandemia ha provocato anche conseguenze negative per i
bambini e le bambine che non hanno più potuto frequentare la scuola, ma anche per le madri, alcune
delle quali hanno dovuto sospendere il lavoro (Intervista 23).



2.4 Le vulnerabilità intersezionali delle lavoratrici migranti

Le vulnerabilità delle donne migranti (Riquadro 2) possono essere comprese a partire dall’approccio
della discriminazione intersezionale.28 La concorrenza di fattori negativi potenzialmente produttivi di
discriminazione ha un impatto differente sulle donne, in termini di discriminazione, marginalizzazione
e inferiorizzazione.

Il meccanismo della discriminazione intersezionale si basa innanzitutto sulla posizione delle donne
nella struttura patriarcale, che assegna loro un ruolo subalterno nella famiglia e nella comunità. L’i-
dentità delle donne migranti si costruisce in un punto di intersezione tra l’essere donne soggette alla
subordinazione patriarcale, straniere, eventualmente in situazione di irregolarità, appartenenti a una
certa etnia, provenienti da un certo paese, appartenenti a una fascia di popolazione svantaggiata e/o
in situazione di povertà.29




28
   Una definizione di intersezionalità è contenuta nella General Recommendation No. 28 of the Committee on the elimination
   of discrimination against women (CEDAW) “The discrimination of women based on sex and gender is inextricably linked
   with other factors that affect women, such as race, ethnicity, religion or belief, health, status, age, class, caste and sexual
   orientation and gender identity. Discrimination on the basis of sex or gender may affect women belonging to such groups
   to a different degree or in different ways to men. States parties must legally recognize such intersecting forms of discri-
   mination and their compounded negative impact on the women concerned and prohibit them. They also need to adopt
   and pursue policies and programmes designed to eliminate such occurrences, including, where appropriate, temporary
   special measures in accordance with article 4, paragraph 1, of the Convention and general recommendation No. 25’ (CEDAW
   2010)”.
29
   Cfr. in proposito P. Degani, P. De Stefani, Addressing Migrant Women’s Intersecting Vulnerabilities. Refugee
   Protection, Anti-Trafficking and Anti-Violence Referral Patterns in Italy, in Peace Human Rights Governance, 4/03/2020,
   https://phrg.padovauniversitypress.it/system/files/papers/PHRG-2020-1-5.pdf
20                                   ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




La posizione della donna nella riproduzione sociale, che a lei assegna il carico esclusivo di responsabilità
e di cura dei figli e della famiglia, l’irregolarità del soggiorno e la condizione di richiedenti asilo nel caso
di molte donne extracomunitarie, l’esigenza pressante di inviare un contributo finanziario alla famiglia
in patria, soprattutto nelle situazioni nelle quali è solo la donna ad emigrare, sono altrettante situazioni
che contribuiscono a determinare una posizione di vulnerabilità allo sfruttamento.

Si tratta di fattori determinanti dello sfruttamento anche delle donne lavoratrici agricole, sottoposte
ad un carico di lavoro doppiamente pesante, in cui all’orario di lavoro che può superare le 12 ore al
giorno, si aggiunge il lavoro domestico e la cura dei/delle figli/e, cui la stanchezza non consente di
dedicare molto tempo, e che perciò è fonte di ulteriore preoccupazione e stress. Inoltre, la condizione
di vulnerabilità determina una permanente ricattabilità, che si traduce nella necessità di sottostare a
condizioni deteriori di lavoro e spesso, come si vedrà più avanti, a comportamenti offensivi, a molestie
e/o vere e proprie violenze sessuali ad opera di caporali e datori di lavoro. L’appartenenza a gruppi
minoritari nazionali penta un fattore ulteriore di marginalizzazione soprattutto nel caso delle donne
Rom, di nazionalità sia rumena sia bulgara.


 ▶ Riquadro 2. — Le vulnerabilità delle lavoratrici migranti

   L’abuso di una posizione di vulnerabilità è un elemento della definizione del reato di tratta, sia
   nella normativa internazionale sia nella normativa interna. Ai sensi dell’art. 601 codice. penale.,
   l’approfittamento di una situazione di vulnerabilità è una delle modalità attraverso la quale
   l’agente pone in essere la condotta incriminata. La normativa dell’UE definisce la posizione di
   vulnerabilità come una “situazione in cui la persona non ha effettive e accettabili alternative
   perse dal sottomettersi all’abuso”, dando così rilevanza ad un contesto storico-sociale segnato
   da discriminazioni e disuguaglianze strutturali, basate, fra l’altro, su genere, origine etnica o
   sociale, ovvero orientamento o identità sessuale. Tradizionalmente, la vulnerabilità delle donne
   nel contesto della tratta era ancorata a una concezione di stampo patriarcale che le definiva co-
   me intrinsecamente deboli, e dunque assimilate a minori, disabili ecc. Da persi anni, tuttavia,
   soprattutto in ambito accademico, la definizione di vulnerabilità — lungi dall’assecondare la no-
   zione sostanzialista di vulnerabilità ricollegata al genere femminile — abbraccia gli influssi delle
   teorie femministe, identificandosi in relazione all’ambito dei diritti umani e alle rivendicazioni
   di giustizia sociale ad essi sottese. La vulnerabilità, dunque, si presenta in senso universale
   come condizione di tutte le persone, inevitabilmente esposte/i alla sofferenza, alla ferita e alla
   perdita, e in senso particolare come (evitabile) situazione inpiduale, correlata alla posizione
   della persona nella società e nelle sue relazioni di potere. Da quest’ultimo punto di vista, le
   donne sono vulnerabili, in primo luogo, per il fatto di trovarsi in una posizione subordinata
   all’interno di società patriarcali. D’altra parte, i fattori che producono vulnerabilità nel vissuto
   femminile sono molteplici e possono essere analizzati attraverso un approccio intersezionale,
   che prende in considerazione anche il fatto di essere straniere, vittime della discriminazione
   razziale e/o basata sull’origine nazionale o etnica, o sull’irregolarità dello status di soggiorno,
   o sull’appartenenza a una fascia di popolazione svantaggiata e in situazione di povertà. Tali
   circostanze devono essere riguardate unitamente ad ulteriori fattori legati all’esperienza delle
   violazioni di diritti fondamentali durante i percorsi migratori delle donne, quali lo stupro, la
   tratta, lo sfruttamento sessuale e/o lavorativo, l’isolamento personale e sociale, la dipendenza
   economica e/o psicologica dagli sfruttatori.

   Fonte: Protocollo ONU sulla tratta di persone, in particolare donne e minori, 2000; Direttiva 2011/36/UE; Martha
   Albertson Fineman, Equality, Autonomy, and the Vulnerable Subject in Law and Politics, in M. A. Fineman, A. Grear (ed.),
   Vulnerability. Reflections on a New Ethical Foundation for Law and Politics, Routledge, 2016; Cfr. M. Nussbaum, Giustizia
   sociale e dignità umana, il Mulino, 2002; M. Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, il Mulino, 2011;
   N. Fraser, A. Honneth, Redistribuzione o riconoscimento? Lotte di genere e disuguaglianze economiche, Meltemi, 2020.




Lo sfruttamento non è necessariamente legato allo status di soggiorno, e infatti tra i lavoratori e le
lavoratrici sfruttate/i si trovano molte/i cittadine/i italiane/i o di paesi dell’Unione europea. L’irregolarità,
tuttavia, costituisce un fattore importante di vulnerabilità sociale, da cui i caporali e i datori di lavoro
traggono vantaggio, e che impedisce — o comunque ostacola — l’emersione delle situazioni di sfrutta-
▶ Le vulnerabilità intersezionali delle lavoratrici migranti                                   21




mento. Alle vulnerabilità delle donne e degli uomini in situazioni irregolari di soggiorno, si aggiunge un
altro tipo di vulnerabilità, quello legato alla richiesta di asilo. Le/i richiedenti asilo, costrette/i a vivere
in una specie di limbo per anni, pentano un serbatoio cui gli sfruttatori attingono ormai in maniera
sistematica per trovare manodopera a basso costo nei periodi di maggior fabbisogno. I testimoni privi-
legiati hanno riferito di situazioni nelle quali alcune donne ospitate nei CAS o nel contesto del sistema
di accoglienza e integrazione (SAI già SPRAR/SIPROIMI), vengono reclutate per la raccolta, ma non sono
disposte a denunciare per timore di perdere il proprio status giuridico.

Nello sfruttamento lavorativo in agricoltura esiste una sorta di gerarchia tra stranieri/e, e tra uomini e
donne. Gli ultimi arrivati subiscono le condizioni salariali e di lavoro peggiori, poiché la loro capacità
negoziale, sia verso i caporali sia verso i datori di lavoro, è del tutto assente. Dunque, fa premio la
stanzialità e la “fedeltà” a una certa organizzazione di gestione della manodopera. Tale circostanza
alimenta anche forme di omertà intra-comunitaria e intra-familiare, che per le donne costituiscono un
pesante condizionamento.

Esiste, comunque, una costante nella gerarchia dello sfruttamento: gli/le stranieri/e provenienti dal-
l’Africa sub-sahariana subiscono un trattamento peggiore, anche a causa del persistere di attitudini
razziste.30 Nell’ambito delle comunità nazionali, le donne subiscono spesso un trattamento deteriore
rispetto agli uomini. Dunque, in termini di intersezionalità, all’ultimo posto della scala dello sfrutta-
mento troviamo le donne provenienti dall’Africa sub-sahariana, che oltre a tutti gli altri fattori negativi
subiscono l’impatto combinato della discriminazione di genere e della discriminazione razziale.

Le vulnerabilità delle donne derivano anche dalle esperienze spesso traumatizzanti vissute durante i
loro percorsi migratori, costellati da violenze sessuali e di altro genere, da sfruttamento sessuale, e da
vere e proprie” vendite” a trafficanti e sfruttatori. Inoltre, le donne subiscono spesso le conseguenze di
esperienze pregresse o attuali di violenza domestica ad opera del padre, marito o compagno. Da molte
storie di migrazione emerge anche che le donne passano facilmente da un tipo di sfruttamento all’altro.
Si tratta di una conseguenza ulteriore della vulnerabilità intersezionale, che implica la mercificazione
del corpo femminile e il suo sistematico abuso da parte di trafficanti, sfruttatori e caporali.

Il reclutamento delle donne nigeriane è generalmente finalizzato allo sfruttamento sessuale. Tuttavia,
a volte le reti criminali che gestiscono il loro debito decidono di utilizzarle persamente, e questo è il
caso di alcune donne nigeriane sfruttate in agricoltura (Intervista 10). Alcune donne provenienti dai
paesi dell’Africa sub-sahariana vengono reclutate per il lavoro domestico e inviate soprattutto nei Paesi
del Golfo. Talvolta il loro percorso muta nel tempo: ad esempio esse possono essere assoggettate allo
sfruttamento sessuale nei paesi di transito, per poi essere sfruttate nel lavoro agricolo in Europa.


   ▶ Riquadro 3. — Le forme multiple di sfruttamento

   A. era arrivata in Italia perché chiamata da una parente che le aveva promesso un lavoro co-
   me badante. All’arrivo, invece, era stata sfruttata sessualmente, e di giorno anche nel lavoro
   agricolo. Dopo qualche tempo, A. è stata raggiunta dal compagno che non lavorava e si faceva
   mantenere da lei. Si è rivolta ad un centro che si occupa di violenza contro le donne per avere
   subito violenza domestica A. ha riferito che quando andava nei campi non le veniva comunicato
   il tempo di lavoro giornaliero da svolgere, e non sapeva neanche che per avere un contratto
   era necessario avere un permesso di soggiorno. A. non aveva la percezione di essere sfruttata,
   e non ha accettato la presa in carico temendo di “passare per piantagrane” (Intervista 2).




30
    CESTRIM, Con gli occhi della strada. Persone, numeri e luoghi del fenomeno tratta e sfruttamento in Basilicata. Report 2019.
22                              ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




2.5 L’alloggio, la famiglia e la cura

Le condizioni abitative delle donne braccianti sono le più svariate. Un’influenza determinante ha la
durata della permanenza in Italia, il fatto che la donna sia stata collocata in un CAS o nel sistema di ac-
coglienza e integrazione (SAI), e il fatto che l’azienda metta a disposizione gli alloggi per i lavoratori/trici.
Tuttavia, assai spesso le condizioni di alloggio sono dettate unicamente dalle convenienze dei caporali,
che generalmente confinano i lavoratori e le lavoratrici in casolari abbandonati, isolati e privi di ogni
servizio igienico, di elettricità o di acqua potabile. Ciò consente ai caporali di lucrare sulle spese per
l’acqua, il cibo e i trasporti, costi dedotti direttamente dalla retribuzione. Tali condizioni abitative sono
tanto più penose per le donne emigrate con la famiglia, le quali oltre a lavorare nei campi devono anche
provvedere ad un minimo di benessere dei familiari, in condizioni alloggiative spesso degradanti.

La presenza di donne braccianti negli insediamenti informali è generalmente limitata. Fanno eccezione
gli insediamenti della Puglia (Capitanata, Borgo Tre Titoli) dove si è registrata nel tempo una presenza
non insignificante di donne. In tutti gli insediamenti informali è invece imponente il fenomeno delle
donne — quasi sempre di nazionalità nigeriana — che si prostituiscono in modo stanziale o discontinuo.

Per quanto riguarda la situazione familiare, le donne rumene e ucraine emigrano talvolta da sole
lasciando l’intera famiglia a casa, ovvero viaggiano con il marito o compagno, lasciando i figli alla
cura di madri e suocere. Ma vi sono casi in cui le donne emigrano con l’intera famiglia (Intervista
7). Una migrazione di tipo familiare è generalmente quella delle donne bulgare di origine Rom. In
quest’ultimo caso si tratta di comunità che vivono isolate, in insediamenti informali abitati solo da
uomini e donne di origine Rom, come nel caso del “ghetto dei Bulgari”, nel Salento, ora smantellato
(Intervista 9). Il fatto che i/le Bulgari/e vivano in insediamenti spontanei dove non risiedono persone
di altre nazionalità, segnala una marginalizzazione rispetto alle altre comunità di immigrazione. In
questo contesto di isolamento, le donne sono ancora più condizionate e sottoposte ad un regime di
supremazia maschile all’interno della famiglia. In altri casi le famiglie bulgare vivono insieme ad altre
comunità, come nel caso delle “palazzine Cirio” di Mondragone, in Campania. Secondo quanto riferito
da una testimone privilegiata, nella tradizione di questa comunità le donne lavorano più degli uomini,
e sono spesso costrette dai mariti. Oltre al lavoro nei campi, in alcuni casi le donne sono costrette a
prostituirsi (Intervista 15). In Sicilia è stata riscontrata la presenza di donne rumene Rom che vivono in
una comunità di circa 80 persone con i compagni e le famiglie, in accampamenti anche molto lontani
dai luoghi di lavoro, e che sono soggette a forme gravi di sfruttamento (Intervista 3).

Nelle regioni del Sud Italia non è infrequente che perse famiglie si riuniscano per affittare insieme
un alloggio, che viene dato loro in locazione a prezzi esorbitanti, come accade ad esempio in provincia
di Salerno (Intervista 7). La stessa situazione speculativa si verifica con particolare frequenza dopo lo
smantellamento di un insediamento informale senza che a coloro che vi alloggiano venga offerta una
soluzione alternativa. Un caso paradigmatico è stato quello dell’insediamento di Palazzo San Gervasio
(provincia di Potenza), dove furono demoliti circa dieci casolari che ospitavano, con forti criticità igienico-
sanitarie, un centinaio di braccianti africani, tra cui una quindicina di donne e alcuni minorenni. Questi
dovettero spostarsi in altro insediamento informale, la cd. Pista di Borgo Mezzanone.

È stato rilevato che in Calabria la strategia dei caporali è quella di collocare i/le lavoratori/trici in luoghi
sempre più isolati e remoti, per poter lucrare su tutte le spese connesse, e particolarmente sul trasporto
(Intervista 16). Per contro, le donne che vivono nelle cittadine, in famiglia o a gruppi, per quanto
sottoposte a canoni di locazione alti, sono meno vulnerabili rispetto alle donne che vivono all’interno
delle aziende o negli alloggi di fortuna procurati dai caporali (Intervista 23).

Le donne italiane del Brindisino, che vivono con famiglia e figli, subiscono condizioni di lavoro e di vita
assai pesanti. Escono molto presto, al mattino — quando devono spostarsi in Basilicata per la raccolta
delle fragole escono anche alle tre del mattino — e tornano nel tardo pomeriggio. Data la scarsa
conpisione del carico di lavoro domestico e di cura, le donne hanno poco tempo per riposare e per
dormire, e accusano lo stress di non potersi occupare adeguatamente della famiglia. Mentre le madri
sono al lavoro, i bambini e le bambine vengono affidati a sistemi di cura informali, a familiari o a vicine
▶ L’alloggio, la famiglia e la cura                                      23




di casa che se ne occupano durante il giorno in cambio di una piccola remunerazione. La situazione è
resa particolarmente difficile dalla totale assenza di servizi per l’infanzia. Nella zona del brindisino in
cui risiedono molte braccianti italiane, operava un asilo a Villa Castelli che apriva prestissimo, ma che
successivamente è stato chiuso (Intervista 9).

Per quanto riguarda le cittadine comunitarie ed extracomunitarie, la condizione di coloro che hanno
con sé i figli è simile a quella delle italiane, ma è resa ancora peggiore dal più lungo orario di lavoro e
dal salario inferiore. In generale, la cura rappresenta un fattore ulteriore di vulnerabilità per tutte le
donne che lavorano in agricoltura. Sia per quanto riguarda le donne italiane, che le donne straniere
(comunitarie ed extra-comunitarie), si è registrato che le relazioni uomo-donna all’interno della famiglia
sono di tipo molto tradizionale, con l’attribuzione alla donna di tutti i compiti domestici e di cura.
Pertanto, le donne braccianti sono soggette ad un doppio carico di lavoro.

Una situazione particolare è quella delle donne che lavorano nelle serre, le quali generalmente — come
si è già detto — scelgono questo tipo di lavoro proprio perché consente loro di portare e tenere con sé
i/le figli/e. Le necessità legate alla cura e la scolarizzazione dei/lle bambini/e le espongono facilmente
ai ricatti dei datori di lavoro, che forniscono loro anche l’alloggio all’interno dell’azienda e perciò sono
in grado di esercitare un potere ulteriore, costringendole spesso a subire condizioni di vita e di lavoro
degradanti. Le donne che lavorano in agricoltura e che sono emigrate senza famiglia, spesso hanno
figli/e e familiari da mantenere in patria, tra cui talvolta anche il marito/compagno disoccupato. Ciò le
sottopone ad una forte pressione emotiva, in relazione all’urgenza di guadagnare denaro a qualsiasi
costo, anche in condizioni di grave sfruttamento, per poter mantenere la famiglia rimasta in patria.

Si può dunque concludere che il carico delle responsabilità familiari, che pesa particolarmente sulle
donne conformemente ai canoni patriarcali tradizionali, sia pure in situazioni assai perse tra loro,
costituisce uno dei fattori di vulnerabilità allo sfruttamento. D’altro canto, occorre considerare che la
questione ha un doppio risvolto: le responsabilità familiari e in particolare l’aspirazione a un futuro
perso per i propri figli e le proprie figlie è anche un fattore di motivazione non solo alla decisione di
emigrare, ma anche all’avanzamento personale e professionale, alla resilienza o alla scelta di abbando-
nare una situazione di sfruttamento. Questo è il caso di B., residente in un insediamento informale con
un figlio piccolo. La giovane donna ha abbandonato la piccola attività di ristorazione all’interno dell’in-
sediamento in cui risiedeva per intraprendere un percorso di assistenza e integrazione che garantiva
maggiori tutele al figlio (intervista 9).

Quando le donne emigrano con l’intera famiglia, quest’ultima può costituire un fattore di subalternità e
costrizione. Le donne sono costrette a rispettare un codice di omertà intra-familiare e intra-comunitario,
imposto dagli uomini allo scopo di non creare frizioni nella rete di gestione della manodopera che
assicura il lavoro a tutto il nucleo familiare. Le donne sono quindi costrette a restare in una situazione
di sfruttamento, a volte peggiore di quella subita dagli uomini. La reticenza delle donne braccianti
sugli aspetti riguardanti il lavoro, la retribuzione, l’orario di lavoro o altri aspetti della loro condizione
lavorativa, è stata registrata da tutti gli intervistati che svolgono attività di outreach.

Una situazione particolare è quella delle donne molto giovani, figlie di braccianti sia italiane che im-
migrate di seconda generazione. La famiglia esercita un forte potere di condizionamento su queste
giovani donne che spesso sono indotte ad andare a lavorare nei campi e contribuire al reddito familiare,
piuttosto che proseguire gli studi (Intervista 9).


 ▶ Riquadro 4. — Il condizionamento familiare

  G., una giovane donna ventenne, con un titolo di studio corrispondente alla maturità, era emi-
  grata da un paese dell’Africa con i genitori, i fratelli e le sorelle. Era stata spinta dalla famiglia a
  lavorare nei campi e per due anni aveva svolto molti lavori, tutti pesantemente sfruttati. Quan-
  do un’associazione di supporto ai/alle migranti le aveva offerto un tirocinio formativo, aveva
  subito accettato. La stessa associazione offriva assistenza per il recupero delle retribuzioni non
  corrisposte. Lei avrebbe voluto iniziare la causa, ma quando ne ha parlato in famiglia si è trovata
  di fronte a una netta opposizione e ha rinunciato (Intervista 3).
24                                   ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




2.6 La violenza e le molestie sessuali

La soggezione a violenza e molestie sessuali è una costante della condizione di molte donne che
lavorano in agricoltura, soprattutto nelle situazioni di grave sfruttamento gestite dal caporalato più
violento. Dagli studi territoriali emerge che le violenze e le molestie sessuali in danno delle donne
straniere sono un fenomeno diffuso e considerato strutturale, come se si trattasse di uno “ius primae
noctis” contemporaneo, soprattutto dei caporali ma anche dei datori di lavoro.

Assai diffusa e documentata, anche attraverso indagini giudiziarie, è l’esistenza di violenze e abusi
sessuali tra le donne migranti in Sicilia.31 Le donne, in particolare le lavoratrici nelle serre scontano una
condizione di ricattabilità anche a causa delle esigenze legate alla cura dei figli più piccoli. Ad esempio,
una donna rumena che lavorava nelle serre e che viveva con i suoi bambini, aveva accettato che il datore
di lavoro li accompagnasse a scuola. In cambio, tuttavia, doveva sottostare alle sue richieste sessuali.32
Sempre in Sicilia, da un’indagine penale poi conclusasi con pesanti condanne degli intermediari rumeni,
è emerso che alcune donne venivano reclutate in Romania per essere destinate alla prostituzione, ma
anche per “remunerare” alcuni lavoratori maschi con prestazioni sessuali forzate. Anche in questo
caso emerge, pur nella comune condizione di sfruttamento, una dissimmetria di genere. Mentre la
donna sfruttata subisce un doppio asservimento, l’uomo sfruttato viene “fidelizzato” con la concessione
dell’accesso gratuito a un corpo femminile mercificato.33

In base alle testimonianze raccolte in occasione dello studio su Cerignola, nelle campagne foggiane il
caporale rumeno sceglie ogni giorno se destinare le donne alla raccolta o a rapporti sessuali forzati.
Secondo i dati ISTAT riferiti all’anno 2016, su 384 interruzioni volontarie di gravidanza condotte su donne
rumene in Puglia, 150 sono avvenute nella provincia di Foggia, il che costituisce il dato più elevato al
livello regionale.34 Il dato trova riscontro anche nelle rilevazioni dell’ISTAT sulle interruzioni volontarie
di gravidanza effettuate da donne rumene in Sicilia. Il numero più alto di interruzioni di gravidanza è
stato registrato in provincia di Ragusa, dove si concentra la manodopera agricola femminile rumena
impiegata nelle serre.35 I dati relativi alle interruzioni di gravidanza vanno interpretati con cautela, ma
la correlazione potrebbe essere plausibile, ipotizzando una particolare incidenza tra le braccianti di
gravidanze indesiderate a seguito di violenze sessuali.

Dalle informazioni raccolte, in molte zone caporali e datori di lavoro esercitano il loro potere sulle
braccianti anche richiedendo, esplicitamente o implicitamente, prestazioni sessuali, alle quali talvolta
le donne devono soggiacere per non perdere il lavoro e il salario. La richiesta di prestazioni sessuali
viene spesso formulata dal caporale quando la lavoratrice chiede di essere pagata (Intervista 12). Il
caporale esercita così il suo potere sul corpo delle donne, così come esercita il suo potere decisionale
sulle sue condizioni di lavoro (Intervista 17). La ricorrenza degli abusi sessuali in certe zone — ad
esempio nei campi di cipolle in Calabria — è talmente sistematica che le donne marocchine adibite
alla raccolta sono considerate in patria delle “poco di buono”, poiché si sa che vengono insidiate dai
caporali e che devono accettare per non essere licenziate o per non essere costrette a lavorare ancor
più duramente. Per questa ragione le donne si organizzano in modo da non far partire le ragazze più
giovani, che altrimenti non troverebbero più marito.36




31
   Le indagini giudiziarie (sequestro di persona e violenza sessuale) sono concentrate in provincia di Ragusa e riguar-
   dano donne provenienti soprattutto dalla Romania. L’Espresso: Sfruttamento, stupri e aborti: Le braccianti rumene vi-
   vono ancora come schiave, 5 giugno 2017, https://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/06/30/news/sfruttamento-stupri-
   e-aborti-le-braccianti-rumene-in-sicilia-continuano-a-vivere-come-schiave-1.305380/.
32
   M.G. Giammarinaro, L. Palumbo, Le donne migranti in agricoltura: sfruttamento, vulnerabilità, dignità e autonomia, in CGIL-FLAI,
   V Rapporto Agromafie e Caporalato, 2020, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto; S. Prandi, Oro rosso. Fragole, pomodori,
   molestie e sfruttamento nel Mediterraneo, Settenove, 2018.
33
   Ibid., pp. 101–102.
34
   G.Moschetti, G.Valentino, L’impiego delle donne straniere in agricoltura, cit..
35
   M.G. Giammarinaro, L. Palumbo, Le donne migranti in agricoltura: sfruttamento, vulnerabilità, dignità e autonomia, in CGIL-FLAI,
   V Rapporto Agromafie e Caporalato, 2020, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto
36
   Ibidem, p. 87
▶ Il doppio sfruttamento: sessuale e lavorativo                                             25




In termini generali, la violenza deve essere considerata una componente strutturale del grave sfrutta-
mento, ed è fortemente connotata secondo il genere. Mentre gli uomini subiscono minacce, percosse e
violenze psico-fisiche, le violenze e le molestie di tipo o a sfondo sessuale colpiscono invece le lavoratrici,
come risultato dell'intersezione tra genere, età, reddito e nazionalità.37



2.7 Il doppio sfruttamento: sessuale e lavorativo

Lo sfruttamento sessuale che si verifica all’interno o in prossimità degli insediamenti informali riguarda
soprattutto donne nigeriane. A Borgo Tre Titoli (Cerignola), esiste una casa di prostituzione, dove una
quarantina di donne nigeriane provenienti ogni giorno da Napoli si prostituiscono sotto il controllo di
una maman.38 Nel 2016 circa 50 donne nigeriane vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale
che si prostituivano negli insediamenti informali in provincia di Foggia e di Caserta si sono rivolte agli
operatori dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per ricevere assistenza.39

Negli insediamenti informali convivono forme di sfruttamento lavorativo e di sfruttamento sessuale.
In Basilicata, nel ghetto della Felandina, tra i circa mille immigrati residenti, la locale unità di strada
ha intercettato 35 donne nigeriane, di età tra i 18 e i 25 anni, tutte dedite alla prostituzione, salvo
qualcuna che invece di giorno lavorava nei campi.40 È stato poi rilevato che in molte aree le donne
nigeriane sfruttate sessualmente, durante il giorno vanno anche a lavorare nei campi o nelle aziende
di confezionamento dei prodotti agricoli per guadagnare di più e saldare il loro debito più rapidamente
(Intervista 10). Una delle situazioni nelle quali le donne possono decidere di rivolgersi ai servizi è la
violenza domestica, il che conferma che varie forme di violenza di genere si intrecciano nel vissuto di
donne socialmente vulnerabili (Intervista 2).


   ▶ Riquadro 5. — Caporalato, criminalità organizzata e grave sfruttamento

   L. è giunta in Italia nel 2020 insieme al compagno, a seguito di false promesse ricevute da due
   connazionali, che avevano prospettato un lavoro agricolo retribuito con una paga di circa 9
   euro l’ora. Giunti in Calabria, L. e il suo compagno hanno scoperto di essere stati ingannati:
   dormivano a terra e in condizioni di estremo degrado insieme ad altri venti connazionali all’in-
   terno di una struttura turistica in disuso senza illuminazione e sistema di areazione. Durante la
   permanenza (circa 2 mesi), hanno ricevuto in tutto 90 euro venendo impiegati quasi tutti i giorni
   nei terreni agricoli della zona. Sono stati inseriti all’interno di un sistema di sfruttamento gestito
   da connazionali che organizzavano l’alloggio, le attività lavorative, l’acquisto degli alimenti e
   di ogni altro prodotto necessario (telefoni, coperte, vestiti), spese che venivano decurtate dal
   salario. Durante la permanenza, L. e il suo compagno hanno provato a rivendicare i propri
   diritti, ma sono stati più volte minacciati. Il connazionale che aveva convinto L. a venire in Italia
   le ha consigliato di avere prestazioni sessuali con il caporale — inserito in una rete criminale
   organizzata — per poter ricevere i compensi pattuiti, ma L. si è rifiutata ed è fuggita di notte
   con il compagno (Intervista 12).




37
    Ibidem, p. 202
38
    G.Moschetti, G.Valentino, L’impiego delle donne straniere in agricoltura, cit.
39
    OIM, La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo Centrale: dati, storie e informazioni raccolti dall’Organizzazione
    Internazionale per le Migrazioni, 2017, p. 18.
40
    CESTRIM, Con gli occhi della strada. Persone, numeri e luoghi del fenomeno tratta e sfruttamento in Basilicata, Report 2019
26                                  ▶ Lo sfruttamento delle lavoratrici in agricoltura




2.8 L’agency delle donne

Le motivazioni delle donne che decidono di lasciare il lavoro sfruttato e di chiedere aiuto sono legate
il più delle volte a situazioni di sfruttamento intollerabile, a causa del quale le donne non riescono a
percepire nemmeno il minimo indispensabile per realizzare, anche solo parzialmente, il loro progetto
migratorio. In particolare, le madri che hanno lasciato a casa i/le figli/e hanno la necessità assoluta
di mandare alla famiglia almeno il denaro necessario ad assicurarne la sopravvivenza. La richiesta di
aiuto è motivata in certi casi anche dalle condizioni di salute, dalla violenza domestica, o dalla paura di
ritorsioni da parte degli sfruttatori. Dalle interviste effettuate si desume una minore emersione dello
sfruttamento femminile rispetto a quello maschile, anche quando i dati statistici e/o le stime delle/i
testimoni privilegiate/i mostrano che la presenza delle donne in agricoltura — nella raccolta, trasfor-
mazione e confezionamento — è di poco inferiore a quella degli uomini, o comunque numericamente
consistente.

La minore emersione dello sfruttamento femminile è certamente connessa alla minore forza negoziale
delle donne, sia nei rapporti familiari, sia nei rapporti con i caporali e i datori di lavoro. Le donne italiane
sfruttate in agricoltura conpidono con le altre braccianti una grande difficoltà di presa di parola. Pesa
su di loro lo stigma sociale legato alla povertà e all’irregolarità del lavoro. Le donne molto giovani che
lavorano nei campi sono talvolta studentesse che pagano così le tasse universitarie, o sono neolaureate
che non trovano altro lavoro (Intervista 9). Sulla riluttanza a denunciare lo sfruttamento incide anche
una componente — probabilmente più importante di quanto non si creda — di rivendicazione della
propria autonomia personale (Intervista 3). Infatti, quando lo sfruttamento non raggiunge caratteri di
gravità tali da rendere impraticabile il progetto migratorio o di vita, e quando una donna, pur a prezzo di
un lavoro sfiancante e sottopagato, riesce a raggiungere una retribuzione che in certe zone può essere
anche gli 800–1.000 euro mensili, rivendica questa situazione come un’occasione di indipendenza e di
padronanza sulla propria vita.

D’altra parte, da molte storie di vita e di migrazione emerge che le donne, perfino in condizioni di
grave sfruttamento, appaiono in grado di prendere decisioni consapevoli sulla propria vita e su quella
delle persone che dipendono da loro, anche se si tratta di scegliere il meno peggio. Solo quando
la gamma delle scelte si restringe fino a pentare costrizione, e allo stesso tempo si prospetta loro
una reale alternativa di vita e di lavoro, le donne decidono di parlare delle condizioni abusive che
subiscono. Per questa ragione gli interventi di protezione e assistenza alle lavoratrici sfruttate devono
sempre rispettare a valorizzare l’autonomia (agency) delle lavoratrici. Per esempio, alcune esperienze
innovative, compiute in Calabria e in Puglia, hanno consentito di formare otto leader di comunità e di
coinvolgere 80 lavoratrici agricole in un processo denominato Circolo Reflection-Action.41 In questo
contesto, le lavoratrici hanno avuto la possibilità di confrontarsi su bisogni, violazioni di diritti e squilibri
di potere, e di formulare proposte da indirizzare alle istituzioni competenti (Intervista 17).

In molti casi l’emersione è stata la conseguenza dell’offerta di un tirocinio formativo, con possibilità di
futura stabilizzazione. L’esigenza principale delle donne sfruttate, infatti, è un’alternativa di lavoro, e il
principale ostacolo all’emersione è la mancanza di tale alternativa. Purtroppo, infatti, il sistema attuale
non offre soluzioni immediate ai problemi pressanti delle donne sfruttate. Occorre dunque istituire,
anche in occasione dell’attuazione del Piano triennale, percorsi certi, flessibili ed inpidualizzati che
offrano risposte concrete: un lavoro regolare, previa eventuale formazione e/o tirocinio, un alloggio
decoroso, servizi per la cura dei/delle figli/e e per i trasporti, un accesso immediato e gratuito ai rimedi,
cioè alle procedure per ottenere i salari non corrisposti ed eventualmente il risarcimento dei danni. È
questa la chiave per affrontare su larga scala la questione sociale dello sfruttamento lavorativo e in
molti casi anche dello sfruttamento sessuale delle donne.




41
   ActionAid, ActionAid’s Feminist research guidelines, Roma 2020 in https://actionaid.org/publications/2020/feminist-research-
   guidelines#downloads; ActionAid, Progetto BRIGHT per i diritti delle donne lavoratrici, in https://morethanprojects.
   actionaid.it/it/projects/bright-diritti-donne-lavoratrici/.
▶ 3 Analisi di genere del Piano triennale di
  contrasto allo sfruttamento lavorativo in
  agricoltura e al caporalato


3.1 Il Piano triennale

Nel febbraio 2020 è stato approvato il primo Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in
agricoltura, frutto della concertazione tra persi attori istituzionali coinvolti a livello centrale e decen-
trato, e del confronto con i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro del settore agricolo e le
associazioni del Terzo settore presenti al Tavolo. Istituito nel dicembre 2018 e presieduto dal Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, il Tavolo costituisce l’organismo di coordinamento a livello nazio-
nale responsabile per l’indirizzo, la programmazione delle attività istituzionali e per il monitoraggio
dell’attuazione degli interventi previsti.

Il Piano si basa su perse linee di intervento, ricondotte all’interno di un’azione sinergica e trasversale,
basata su un modello di collaborazione interistituzionale fondato sulla legalità e sulla dignità del lavoro,
come anche sul potenziamento degli investimenti nelle filiere agroalimentari. Partendo da una map-
patura dei territori e dei fabbisogni di manodopera agricola, il Piano affianca interventi emergenziali
e interventi di sistema o di lungo periodo, seguendo quattro assi strategici: prevenzione; vigilanza
e contrasto; protezione e assistenza; reintegrazione socio-lavorativa. Per ognuno di tali assi, il Piano
inpidua le azioni prioritarie da intraprendere (in un totale di dieci azioni di cui sette dedicate alla
prevenzione) che coinvolgono, in un modello di governance multilivello, le perse amministrazioni a
livello centrale, regionale e locale.42

Le azioni prioritarie del Piano riguardano: (i) lo sviluppo di un sistema informativo per la pianificazione
e gestione del mercato del lavoro agricolo; (ii) gli interventi sulla filiera agroalimentare; (iii) il raffor-
zamento della Rete del lavoro agricolo di qualità e la certificazione dei prodotti; (iv) la pianificazione
dei flussi di manodopera e il miglioramento dell'efficacia dei servizi per l'incontro tra la domanda e
l'offerta di lavoro agricolo; (v) soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori del settore; (vi) soluzioni
di trasporto per migliorare l'offerta di servizi adeguati ai bisogni dei lavoratori; (vii) una campagna
di comunicazione sociale per la prevenzione e sensibilizzazione sullo sfruttamento lavorativo; (viii) il
rafforzamento delle attività di vigilanza e contrasto; (ix) l’attuazione di un sistema di servizi integrati
(referral) per la protezione e prima assistenza delle vittime di sfruttamento; e (x) la realizzazione di un
sistema nazionale per il reinserimento socio-lavorativo delle vittime.



3.2 Analisi di genere delle azioni prioritarie del Piano

L’azione relativa allo sviluppo di un sistema informativo con calendario delle colture, dei fabbisogni di
manodopera e altri dati per la pianificazione, gestione e monitoraggio del mercato del lavoro agricolo
(Azione prioritaria 1) deve prevedere una metodologia di rilevazione e di elaborazione basata sulla
disaggregazione per genere di tutti i dati, e deve predisporre — con il contributo dell’ISTAT — una serie
di variabili integrando l’ottica di genere. La metodologia per l’inpiduazione delle aree a più alto ri-
schio di sfruttamento attraverso la mappatura del territorio deve includere tra gli indicatori la presenza
di manodopera femminile, essendo quest’ultima potenzialmente soggetta a forme di sfruttamento




42
   Ministero del lavoro e delle politiche sociali: Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al capo-
   ralato (2020–2022), https://www.lavoro.gov.it/priorita/Documents/Piano-Triennale-contrasto-a-sfruttamento-lavorativo-in-
   agricoltura-e-al-caporalato-2020-2022.pdf
28               ▶ Analisi di genere del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo




ancora più gravi rispetto a quella maschile.43 La metodologia per la pianificazione e il monitoraggio
dei fabbisogni di manodopera agricola deve focalizzarsi anche sulle lavorazioni nelle quali la mano-
dopera femminile è particolarmente apprezzata, con specifico riferimento alle colture che richiedono
manualità fine, nonché sulle prime fasi della conservazione, trasformazione e confezionamento dei
prodotti. La metodologia per la stima dello sfruttamento lavorativo — da elaborare in collaborazione
con l’ISTAT — deve essere impostata tenendo conto della rilevanza della differenza di genere. Vanno
inoltre previsti sistemi di rilevazione e indicatori di sfruttamento che tengano conto delle vulnerabilità
e delle modalità di sfruttamento delle donne, con riferimento sia alla disparità salariale, sia all’impatto
delle responsabilità di cura e familiari, sia sulle condizioni abitative e dei trasporti.

Gli incentivi sui contratti di filiera per gli investimenti, l’innovazione tecnologica, la responsabilità sociale
delle imprese e l’aggregazione dei produttori, nonché l’accesso agli investimenti previsti dal credito
all’innovazione — previsti dall’Azione prioritaria 2 — devono premiare le imprese agricole che abbiano
impiegato una percentuale di manodopera femminile superiore a quella registrata nel comparto, e
quelle che abbiano impiegato lavoratrici titolari del bonus di regolarizzazione a seguito di procedura
conciliativa (si veda l’Azione prioritaria 8). Tali incentivi vanno estesi anche alle imprese che organizzano
corsi di formazione finalizzati all’innovazione tecnologica che siano rivolti alle donne, ovvero che pre-
vedano la partecipazione di una certa percentuale di donne. Gli incentivi sui contratti di filiera devono
prevedere azioni positive a supporto dell’imprenditoria femminile, mentre le linee guida per l’indirizzo
degli investimenti nella formazione professionale devono prevedere incentivi alla partecipazione delle
lavoratrici, anche attraverso l’organizzazione di servizi finalizzati alla cura, nei giorni e nelle ore in cui
esse sono impegnate nella formazione.

L’azione relativa al rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità (Azione prioritaria 3) deve
prevedere che le Sezioni territoriali integrino la dimensione di genere, creando dei tavoli istituzionali
ad hoc ovvero includendo la prospettiva di genere in tutti gli ambiti di lavoro. I sistemi di certificazione
etica devono prevedere indicatori relativi all’impiego di una certa percentuale di lavoratrici in condizioni
di lavoro dignitoso, alla messa a disposizione di alloggi decorosi, e all’organizzazione di servizi volti ad
assicurare la cura e la scolarizzazione dei/delle figli/e durante le ore di lavoro dei genitori, eventualmente
attraverso partenariati tra perse aziende agricole operanti nella stessa zona. Potrebbero essere
sperimentate, ad esempio, soluzioni di asili nido interaziendali all’interno dello stesso distretto agro-
alimentare.

L’organizzazione di sistemi efficienti ed efficaci per l’incontro di domanda e offerta di manodopera
(Azione prioritaria 4) deve prevedere dei canali dedicati alle donne, tenuto conto della loro scarsa forza
contrattuale nel mercato del lavoro agricolo. I protocolli di collaborazione tra Centri Pubblici per l’Im-
piego (CPI) e enti privati accreditati all’erogazione di servizi per il lavoro devono prevedere specifiche
clausole volte ad incentivare l’occupazione femminile, nonché a controllare e monitorare l’intermedia-
zione di manodopera agricola femminile. Il monitoraggio e controllo di conformità contrattuale deve
essere effettuato — in collaborazione con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro — anche da servizi del
lavoro privati in convenzione.

La azioni volte a migliorare la situazione abitativa dei lavoratori agricoli (Azione prioritaria 5) devono
essere considerate una priorità in un’ottica di genere, anche in relazione alle responsabilità di cura delle
donne, e dunque programmate anche in relazione alla presenza di manodopera femminile.

L’organizzazione dei trasporti (Azione prioritaria 6) deve tenere conto delle specifiche esigenze delle
lavoratrici agricole con famiglia, soprattutto in relazione alla necessità di prevedere orari compatibili
con quelli dei servizi finalizzati alla cura e alla scolarizzazione. Devono essere sperimentati servizi
di trasporto agili, non solo da centro urbano a centro urbano, ma anche a livello interpoderale, sul
modello dei multi-taxi, disponibili anche a chiamata. Ciò sarebbe utile non solo come accesso capillare
alla mobilità, ma anche come fattore preventivo e di sicurezza per le operaie agricole.




43
   Mappe del lavoro sfruttato sono state realizzate, per esempio, dall’Osservatorio Placido Rizzotto (un’altra è in via di pub-
   blicazione), la cui produzione andrebbe istituzionalizzata per destinare gli interventi alle aree dove maggiori sono le
   criticità.
▶ Analisi di genere delle azioni prioritarie del Piano                                  29




La campagna di informazione e sensibilizzazione, nonché le Linee guida dell’ANPAL per le organizzazioni
accreditate che erogano servizi di politica attiva nel settore agricolo (Azione prioritaria 7), devono tenere
conto dell’importanza di informare le lavoratrici sui loro diritti sul lavoro e sulla legislazione sociale sul
lavoro agricolo, con particolare riferimento alla dichiarazione delle giornate necessarie per accedere
alle indennità di disoccupazione, maternità, infortunio e malattia. La diffusione di informazioni ai
consumatori su prodotti etici sostenibili deve specificamente prevedere l’informazione relativa alla
percentuale di donne impiegate, e alle loro condizioni di lavoro, di alloggio e di servizi per la cura
e la scolarizzazione dei/delle figli/e (Azione prioritaria 3). Il Protocollo di collaborazione tra l’ANPAL
e le aziende private, con linee guida per l’attuazione dei principi di equità nell’intermediazione del
lavoro (fair recruitment) deve prevedere un gender sensitive risk assessment. Ciò deve essere finalizzato
a inpiduare e minimizzare i fattori intersezionali negativi che possono ostacolare il reclutamento, in
base al genere, all’età, all’orientamento e all’identità sessuale, alla situazione familiare, alla provenienza
nazionale e/o etnica, anche prevedendo canali specifici di assunzione per categorie particolarmente a
rischio.

La necessaria espansione dell’attività ispettiva nelle aree identificate ad alto rischio di sfruttamento
lavorativo (Azione prioritaria 8), anche attraverso il coordinamento tra i persi organi di vigilanza, deve
essere accompagnata dalla persificazione delle modalità delle attività vigilanza e contrasto che tenga
conto della difficoltà delle donne lavoratrici di prendere parola. In particolare, occorre prevedere: (i)
team specializzati che includano la presenza di ispettrici donne, e che si avvalgono della partecipazione
attiva di associazioni della società civile e di mediatrici culturali; e (ii) forme alternative di outreach, come
la convocazione di lavoratrici considerate ad alto rischio di sfruttamento in ambienti persi dal luogo
di lavoro, nei quali le lavoratrici non si sentano controllate e possano in via confidenziale riferire su
aspetti particolarmente delicati o dolorosi della loro esperienza di lavoro e di vita.

Allo scopo di evitare l’elusione da parte del datore di lavoro dei provvedimenti di diffida emessi dall’INL,
si deve prevedere che la regolarizzazione del/la lavoratore/trice a seguito di diffida sia configurata
come bonus portabile da parte del lavoratore o della lavoratrice sfruttata/o, che dunque garantisca un
accesso privilegiato ad altri lavori.

La formazione, che si svolgerà in base alle linee guida dell’INL, e che deve essere estesa a tutto il perso-
nale con compiti di verifica dell’applicazione delle leggi in materia (carabinieri, forze di polizia e autorità
giudiziaria) deve includere moduli dedicati all’analisi di genere dello sfruttamento lavorativo in agricol-
tura, e all’inpiduazione dei fattori intersezionali di vulnerabilità. Questi momenti formativi dovrebbero
essere organizzati al livello regionale, con una particolare attenzione alle aree più problematiche.44 La
formazione deve prevedere moduli dedicati all’analisi delle situazioni di violenza e molestie sessuali,
allo scopo di mettere in grado il personale incaricato della vigilanza e del contrasto di (i) inpiduare
gli indici di violenza e molestie anche in assenza di specifica denuncia da parte delle lavoratrici; e (ii)
mettere in atto un’attività di referral ai servizi dedicati esistenti nel territorio, in cooperazione con gli
enti del privato sociale, in particolare quelli specializzati nell’accompagnamento di donne vittime di
violenza di genere e/o di tratta.

Le Linee guida che l’INL produrrà sugli elementi che configurano lo sfruttamento lavorativo e le forme
più gravi di intermediazioni illecita e di lavoro forzato e sui principi di riferimento (referral) delle persone
sfruttate a entità responsabili per la protezione e l’assistenza, in un’ottica di genere devono contene-
re: (i) indici di sfruttamento sensibili al genere, ed in particolare alle vulnerabilità intersezionali delle
lavoratrici; e (ii) principi di referral che tengano conto dei diritti, necessità e aspirazioni delle lavoratrici.

Il sistema di servizi integrati di referral delle vittime di sfruttamento lavorativo (Azione prioritaria 9)
deve intendersi come attività volta ad indirizzare la persona ai servizi più appropriati al suo caso, non
deve subordinare il referral alla denuncia penale, né deve necessariamente comportare l’adesione a
un programma residenziale di integrazione sociale, ma deve piuttosto essere finalizzato alla ricerca




44
   Le numerose esperienze di formazione fin qui realizzate dal sistema anti-tratta mostrano che occorre costruire dal basso
   le competenze di contrasto e di protezione sociale. La stessa legge 199/2016 prevede il coinvolgimento degli Enti locali e
   delle Regioni. Queste ultime, tra l’altro, hanno competenze esclusive in materia di formazione e di trasporto.
30              ▶ Analisi di genere del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo




di soluzioni inpiduali immediate e a medio-lungo termine, adeguate alla situazione di vita e alle
necessità delle lavoratrici, anche connesse con la cura, ivi compresa la disponibilità di un alloggio
autonomo e dignitoso. Tale sistema deve tenere conto dell’esperienza e della competenza degli enti
anti-tratta, sia pubblici sia del privato sociale che sono stati impegnati nell’attuazione dei progetti
di assistenza e integrazione sociale previsti dall’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione. Occorre
integrare pienamente gli enti anti-tratta che opereranno anche nell’attuazione del Piano triennale —
anche dotandoli di finanziamenti adeguati — in un sistema più complesso ed integrato di prese in
carico territoriali.

Occorre, inoltre, realizzare e generalizzare protocolli di intesa al livello territoriale tra tutte le istituzioni
competenti e gli enti del privato sociale — anche sulla scorta di alcune esperienze fin qui realizzate
soprattutto dalle Commissioni per l’asilo e dagli enti anti-tratta — finalizzati ad una presa in carico delle
persone soggette a sfruttamento lavorativo e alla ricerca di soluzioni inpidualizzate, che utilizzino tutte
le risorse presenti nel territorio incluse quelle del sistema SAI, e che valorizzino l’agency delle lavoratrici.
In tale contesto, la presa in carico territoriale delle donne soggette a sfruttamento lavorativo deve
tenere conto in particolare delle esigenze legate alla cura, sia in relazione all’alloggio sia in relazione a
un’alternativa di lavoro dignitoso.

Al fine di inpiduare le situazioni di sfruttamento lavorativo, occorre istituire team multidisciplinari con
la presenza degli ispettori del lavoro e di esperti indicati dalle istituzioni, dalle organizzazioni sindacali
e dagli enti anti-tratta e di protezione sociale. Questi team dovrebbero pronunciarsi sull’esistenza
di una situazione di sfruttamento indipendentemente dall’inizio di un procedimento penale e dalla
qualificazione giuridica dello sfruttamento come reato da parte dell’autorità giudiziaria.

L’accesso alla presa in carico territoriale e al reinserimento socio-lavorativo deve essere considerato
un diritto di tutte le persone soggette a sfruttamento lavorativo, indipendentemente dallo status di
soggiorno, dalla qualificazione giuridica dei fatti, e dalla volontà di sporgere denuncia o di cooperare
nel procedimento penale. Per quanto riguarda i permessi di soggiorno, l’armonizzazione delle dispo-
sizioni legislative e degli interventi che riguardano le vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo in
agricoltura deve prevedere la chiarificazione che il “percorso sociale” incluso nell’art. 18 del Testo Unico
sull’Immigrazione non richiede il parere della Procura della Repubblica. L’art. 18-bis e l’art. 22 comma
12-quater Testo Unico vanno armonizzati attraverso la previsione del “percorso sociale”. Va inoltre
introdotta una nuova norma che consenta l’accesso a un permesso di soggiorno in base ad indicatori
di vulnerabilità derivanti da situazioni personali, che possono derivare o da particolari condizioni quali
lo stato di salute, l’età, la gravidanza ovvero da esperienze di violenza, inganno, abuso o sfruttamento
subiti durante il viaggio o in Italia. I criteri per la concessione di questo nuovo permesso di soggiorno
dovrebbero essere enucleati anche in base alla giurisprudenza formatasi in applicazione della (ora
abrogata) protezione umanitaria, tra cui vanno sottolineati — in un’ottica di genere — quelli relativi
alla discriminazione intersezionale e alla situazione familiare del/la richiedente. Tutti i permessi di
soggiorno cui si è fatto riferimento in questo paragrafo devono prevedere una durata compatibile
con un percorso sostenibile di integrazione socio-lavorativa, di almeno due anni e preferibilmente di
cinque anni. Occorre inoltre sostenere e incentivare azioni nei territori che, anche attraverso corsi di
formazione di leader di comunità, permettano alle lavoratrici di confrontarsi su esperienze di violazioni
dei loro diritti, di auto-organizzarsi e di formulare proposte da indirizzare alle istituzioni territoriali e
nazionali competenti.

In conformità con la Convenzione OIL n. 190 e alla Raccomandazione n. 206, le azioni volte a prevenire
e contrastare le violenze e molestie di genere sono essenziali nel settore agricolo, dove ne è stata
riscontrata l’esistenza diffusa, sia pure con vari livelli di gravità. L’attuazione del Piano triennale potreb-
be costituire l’occasione di un’azione pilota finalizzata a sperimentare una metodologia di valutazione
dei rischi e di monitoraggio, di sensibilizzazione dei datori di lavoro, e una procedura di emersione e
di risarcimento delle persone soggette a violenze e molestie. Tale azione pilota potrebbe prevedere
l’istituzione di procedure confidenziali, gestite dagli ispettorati del lavoro in cooperazione con le orga-
nizzazioni sindacali, le consigliere di parità, le operatrici degli enti del privato sociale e le mediatrici
culturali, che diano garanzia di protezione dell’identità della persona interessata e del posto di lavoro,
cui potrebbe conseguire — almeno nei casi non configuranti reati penali — una procedura conciliativa
e l’accesso a un indennizzo adeguato. Tale azione pilota deve essere finalizzata anche ad istituire una
▶ Analisi di genere delle azioni prioritarie del Piano                           31




procedura conciliativa per il recupero delle retribuzioni arretrate da parte di tutte le persone che hanno
subito sfruttamento lavorativo. Occorre istituire un canale rapido e gratuito per il risarcimento — non
condizionato alla conclusione di un processo penale — anche attraverso l’istituzione di un fondo ad
hoc, (non essendo sufficiente l’accesso al fondo per le misure anti-tratta di cui all’art. 6 della legge n.
228/2003 — di cui peraltro non tutte le persone sfruttate hanno i requisiti — ed essendo in ogni caso
del tutto inadeguato l’indennizzo inpiduale di euro 1.500 previsto dall’art. 6 della legge n. 24/2014.)

Le linee guida da adottarsi per il reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento (Azione
prioritaria 10), allo scopo di integrare una prospettiva di genere devono prevedere, fra l’altro, percorsi
di inserimento di lungo periodo basati sulla formazione professionale delle donne, specie delle giovani.
Per porre fine alla segregazione delle operaie agricole in certe mansioni, la formazione e il reinserimento
delle lavoratrici devono puntare specialmente sui comparti caratterizzati da un alto livello di innovazione
tecnologica. Soprattutto per le persone più giovani e per quelle che hanno un certo livello di istruzione
formale occorre prevedere programmi a lungo termine che includano la prosecuzione dell’istruzione
formale e reinserimenti lavorativi anche in settori persi da quello agricolo. I Centri per l’impiego,
nell’azione di presa in carico e supporto alle vittime di sfruttamento lavorativo — attraverso azioni di
formazione professionale, inserimento lavorativo e accesso ad altre misure di politica attiva del lavoro
— devono tenere conto, per quanto riguarda le donne prese in carico, della loro situazione familiare e in
particolare delle responsabilità di cura. La formazione continua degli addetti alla gestione dei percorsi
di reinserimento socio-lavorativo deve prevedere moduli dedicati alle discriminazioni di genere, alle
disparità salariali, alle vulnerabilità delle lavoratrici derivanti fra l’altro dal doppio carico di lavoro e di
cura, e dall’esposizione alle violenze e alle molestie sessuali.
32  ▶ Analisi di genere del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo
▶ 4 Conclusione e implicazioni


4.1 Conclusioni

La presenza femminile in agricoltura è numericamente significativa, ancorché inferiore a quella degli
uomini. Nel 2019 le operaie agricole rappresentavano circa il 32 per cento del totale degli occupati.
Benché i dati ufficiali mostrino una diminuzione della componente femminile negli ultimi anni, le elabo-
razioni del CREA sui dati dell’INPS segnalano per contro un aumento delle operaie agricole soprattutto
extracomunitarie, che sono quindi invisibili statisticamente, ma ben visibili socialmente. Il contrasto tra
i due dati potrebbe spiegarsi ritenendo altamente probabile lo scivolamento di una certa percentuale
delle donne braccianti, soprattutto extracomunitarie, in un’area di totale irregolarità.

Non tutte le lavoratrici agricole sono soggette alle forme più gravi di sfruttamento lavorativo qualificabili
come tratta o riduzione in schiavitù o lavoro forzato. Tuttavia, nonostante l’assenza di dati specifici
sulle condizioni occupazionali e sul lavoro informale in agricoltura, è possibile affermare con certezza
che lo sfruttamento è una realtà diffusa nel comparto, come dimostrato dalla sotto-dichiarazione
delle giornate lavorate, dalle retribuzioni inferiori a quelli stabilite dai contratti collettivi nazionali, dai
meccanismi informali di pagamento, e dai costi imposti alle lavoratrici e ai lavoratori dai caporali per
l’intermediazione e il trasporto da e per i luoghi di lavoro. In questo contesto, la manodopera femminile
rappresenta un segmento particolarmente vulnerabile allo sfruttamento.

Profili di vulnerabilità allo sfruttamento sono presenti nella popolazione agricola nel suo complesso, sia
nella sua componente nazionale, sia — soprattutto — nella sua componente straniera, sia tra gli uomini
che tra le donne. Si registrano talora differenze di trattamento tra italiani/e e stranieri/e, sia in termini
di salario che di condizioni di lavoro e di vita. Tra gli stranieri, la situazione “migliore” riguarda gli/le
operai/e agricoli/e stanziati in Italia da più tempo, mentre la peggiore viene riscontrata in relazione ai
lavoratori e alle lavoratrici provenienti dall’Africa e dall’Asia, e a quelle/i che vivono negli insediamenti
informali.

In questo contesto, le donne lavoratrici presentano molteplici elementi di vulnerabilità allo sfrutta-
mento, che possono essere compresi in relazione alla nozione di intersezionalità. Le donne lavoratrici
agricole hanno in genere retribuzioni inferiori agli uomini e sono spesso soggette a molestie, ricatti e
violenze sessuali. Un altro fenomeno che caratterizza lo sfruttamento delle donne soprattutto — ma
non solo — nigeriane, è il doppio sfruttamento, sessuale e lavorativo. Negli insediamenti informali
vivono o si recano regolarmente donne che si prostituiscono sotto il controllo di una maman. Frequen-
temente queste donne, allo scopo di guadagnare di più e di pagare più rapidamente il loro debito,
vanno anche a lavorare nei campi durante il giorno.

Lo sfruttamento delle donne in agricoltura è dunque caratterizzato da fattori negativi multipli, ricondu-
cibili in primo luogo alla posizione subordinata delle donne nelle società patriarcali, che da un lato le
priva di potere decisionale nella famiglia e nella comunità — situazione per la quale anche il loro potere
contrattuale è inferiore a quello degli uomini — e dall’altro le carica di tutte le responsabilità relative
alla cura della famiglia e dei figli. Sulle donne pesano spesso tutti i doveri connessi alla sopravvivenza
del nucleo familiare in patria, se emigrano da sole; se emigrano con la famiglia, pesano su di loro, oltre
alle fatiche del lavoro agricolo, tutti i compiti relativi alla gestione della casa e alla cura dei/delle figli/e.

Le donne che lavorano in agricoltura hanno in genere una grande difficoltà di presa di parola, sia per il
condizionamento che su di loro operano le culture tradizionali, sia per la permanente paura di perdere
il lavoro. Il ricatto implicito nello squilibrio di potere tra lavoratori/trici, caporali e datori di lavoro, per
le donne penta ancora più costrittivo, poiché spesso esse sono l’unica risorsa della famiglia rimasta
in patria. Per quanto sfruttate, le operaie agricole mostrano una grande resilienza e una capacità
34                                       ▶ Conclusione e implicazioni




importante di prendere decisioni consapevoli sulle proprie condizioni di lavoro, sia pure in situazioni
nelle quali la possibilità di scelta è ridotta al minimo. Tali risorse personali di autonomia (agency) sono
preziose quando le donne decidono di abbandonare la situazione di sfruttamento e di intraprendere un
perso percorso di affrancamento dai molteplici condizionamenti che caratterizzano la loro situazione.



4.2 Principali implicazioni per l’attuazione del Piano

Occorre fare della prospettiva di genere una priorità strategica dell’attuazione del Piano triennale di con-
trasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato. Allo scopo di introdurre cambiamenti
significativi nelle condizioni di lavoro e di vita delle donne operaie agricole, è necessario agire su persi
piani, dalla prevenzione dello sfruttamento, all’outreach, alla formazione, al risk assessment, al supporto
alla presa di parola, all’accompagnamento, al reinserimento socio-lavorativo, al risarcimento dei danni
subiti. Questa sezione fornisce alcuni spunti relativi all’attuazione delle misure previste all’interno degli
assi strategici del Piano.



4.2 Prevenzione

Un aspetto essenziale della prevenzione è la conoscenza del fenomeno. È essenziale e urgente istituire
rilevazioni sistematiche finalizzate alla stima del lavoro informale, e alla disaggregazione per genere
di tutti i dati e di tutte le stime, non soltanto in relazione al numero di addetti nei vari comparti e
in relazione alle varie coltivazioni, ma anche al numero di ore lavorate, ai salari, alle condizioni di
lavoro, alla stagionalità, all’accesso ai benefici previsti contrattualmente (assegni familiari, previdenza,
indennità di disoccupazione, maternità).

Occorre introdurre incentivi mirati all’aumento di un’occupazione femminile qualificata. Sia gli incentivi
sui contratti di filiera che i sistemi di certificazione etica devono includere criteri ed indicatori relativi
all’occupazione femminile e alla formazione professionale delle lavoratrici agricole.

Le politiche volte ad assicurare il reclutamento equo, anche attraverso la cooperazione tra i Centri
Pubblici per l’Impiego (CPI) ed enti privati sottoposti ad autorizzazione e controllo, devono prevedere
canali dedicati al reclutamento femminile, che risulta penalizzato se lasciato alle dinamiche di mercato.

Le misure finalizzate ad istituire una rete capillare ed efficace di trasporti da e per i luoghi di lavoro
e per gli spostamenti interpoderali, devono considerarsi indispensabili sia allo scopo di prevenire un
aspetto strutturale dello sfruttamento in agricoltura, vale a dire la decurtazione del salario da parte dei
caporali che organizzano i trasporti, sia per garantire la libertà dalla violenza delle lavoratrici.



4.2 Vigilanza e contrasto

Nelle situazioni di grave sfruttamento, le istituzioni devono intervenire con determinazione. Nei rap-
porti di lavoro sfruttato c’è sempre una prevaricazione di cui sono responsabili i datori di lavoro. La
soluzione di questi problemi non può perciò essere lasciata alle dinamiche del mercato.

È cruciale il rafforzamento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), anche in termini di organico,
per le attività di vigilanza e la previsione di attività di formazione specifiche sulla condizione di “doppia
vulnerabilità” delle donne lavoratrici. Le ispezioni dovrebbero permettere la comparazione trasversale
dei dati riguardanti le aziende, quantomeno quelle sospette di illeceità, soprattutto per le questioni
attinenti alla regolarità delle maestranze occupate. Ciò può essere realizzato rafforzando le connes-
▶ Principali implicazioni per l’attuazione del Piano                                       35




sioni operative tra l’INPS e l’INL e/o creando una struttura di garanzia che possa monitorare l’azione
congiunta, anche per implementare il mandato della legge 199/2016 sulla Rete del lavoro agricolo di
qualità. Al riguardo sarebbe opportuno intervenire sulle aziende a conduzione femminile e su quelle
autonome, sperimentando programmi di sostegno alle conduttrici e alle maestranze femminili.

L’esperienza maturata nel Veneto e nelle Marche, dove è stata instaurata una collaborazione su base
regolare tra l’INL, il Comando Carabinieri per la tutela del lavoro, l’INAIL, l’INPS, le ASL, le organizzazioni
sindacali, il progetto anti-tratta N.A.Ve. nel Veneto e la cooperativa sociale On the Road nelle Marche,
che include la collaborazione su base regolare di mediatrici culturali, può essere considerata, al livello
territoriale, una sperimentazione pilota suscettibile di generalizzazione (Intervista 20). Il contatto con
persone gravemente sfruttate, e in particolar modo con le donne, richiede un paziente lavoro di ou-
treach che non si esaurisce in una sola ispezione, ma richiede competenza ed esperienza nel modo di
relazionarsi con le persone interessate, timorose di vedere compromesso quel poco che sono riuscite
ad ottenere. Intervento che, per le donne straniere, richiede l’ausilio di mediatori/trici culturali capaci di
decodificare comportamenti e narrazioni anche in relazione alla cultura del paese di origine. Le risorse
di intelligence, tempo e dedizione che questo lavoro comporta, non sono compatibili con inerzie e resi-
stenze al cambiamento, e richiedono, per essere attuate e dare i risultati sperati, l’indicazione di una
precisa priorità da parte degli organi politici ed amministrativi competenti, al più alto livello. In questo
contesto dovrebbero essere sperimentate soluzioni nuove di outreach, che consentano alle lavoratrici
di essere intervistate con maggiore libertà, in un ambiente perso dal luogo di lavoro (Intervista 20).

La formazione degli ispettori e delle ispettrici del lavoro e delle/i appartenenti al Comando Carabinieri
tutela del lavoro inseriti negli ispettorati territoriali deve essere adeguata al riconoscimento sia degli
indici di sfruttamento, sia degli indici di discriminazione di genere, ivi compresa la disparità salariale e
le violenze e molestie sessuali.

L’esistenza di ricatti e richieste di prestazioni sessuali è un elemento ricorrente nell’esperienza di molte
lavoratrici agricole. La Convenzione OIL n. 190 e la Raccomandazione n. 206 sulle violenze e mole-
stie nel mondo del lavoro costituiscono la cornice per azioni efficaci di prevenzione e di contrasto. La
Convenzione protegge tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status con-
trattuale, da violenze e molestie che si verificano non solo nel luogo di lavoro come luogo fisico, ma in
tutte le circostanze (in occasione del lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscono dal lavoro),
in cui possano verificarsi fattispecie di violenza o molestie.45 Per quanto riguarda il settore agricolo,
la protezione deve dunque considerarsi estesa anche agli abitanti degli insediamenti informali e degli
alloggi messi a disposizione dall’azienda o dagli intermediari, nonché al tempo e ai luoghi destinati al
trasporto. Fra le misure previste dalla Convenzione e dalla Raccomandazione, va considerata come
indispensabile l’informazione e la responsabilizzazione dei datori di lavoro. Inoltre, vanno sperimentate
soluzioni innovative che favoriscano la denuncia delle molestie, la conciliazione e il risarcimento, e —
nei casi più gravi — la denuncia penale per i trasgressori.

Per quanto riguarda l'aspetto sanzionatorio, gli ispettori del lavoro devono utilizzare in modo più incisivo
gli strumenti di diffida e di sospensione dell’attività imprenditoriale.46 Allo scopo di evitare che a seguito
della diffida il datore di lavoro eluda il provvedimento, assumendo il lavoratore o la lavoratrice e di fatto
licenziandola/o subito dopo, dovrebbero studiarsi soluzioni innovative, nel senso che la regolarizzazione
della posizione contrattuale dovrebbe pentare una sorta di bonus portabile da parte del lavoratore
o della lavoratrice sfruttata/o, che dunque potrebbe garantire un accesso privilegiato ad altri lavori
(Intervista 20). Questo tipo di misura sarebbe molto importante per le lavoratrici soggette a violenze e
molestie, che potrebbero in tal modo evitare di ricadere nello sfruttamento.




45
   G. Rosas, Introduzione a OIL, Eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro. Convenzione n. 190 e Raccomandazione
   n. 206, 2019
46
   Con la diffida, gli ispettori invitano i trasgressori a sanare un’inosservanza delle norme, sanzionabile a livello amministrativo,
   mentre la sospensione (in casi di violazioni più gravi) blocca l’attività di impresa in relazione alla frazione aziendale o
   produttiva in cui la violazione normativa è compiuta.
36                                       ▶ Conclusione e implicazioni




4.2 Protezione e assistenza

L’emersione dello sfruttamento delle donne è sempre proporzionalmente inferiore a quello degli uomi-
ni. La ragione principale va ricercata nella sottovalutazione della presenza delle donne in agricoltura,
e dunque in attività di ispezione e di outreach non mirate. Tuttavia, le cause sono connesse anche alla
difficoltà di presa di parola delle donne lavoratrici. Nell’emersione, il ruolo degli enti anti-tratta si è
rivelato fondamentale come veicolo di supporto personale e di servizi per le donne che decidono di
abbandonare una situazione di sfruttamento. Il sistema anti-tratta è l’unico dotato di un’attività struttu-
rata e capillare di outreach, fondata sulle unità di strada. Inoltre, il sistema si avvale della collaborazione
sistematica di mediatori e mediatrici culturali di perse nazionalità, che possono favorire il contatto,
il colloquio e la costruzione di una relazione di fiducia con le vittime, elementi indispensabili per una
presa di coscienza dello sfruttamento da parte della persona interessata, e per la ricerca di una soluzio-
ne di vita alternativa. Gli enti pubblici e del privato sociale che hanno realizzato percorsi di sostegno
nell’ambito dei progetti anti-tratta, anche grazie all’esperienza maturata nell’accompagnamento delle
donne vittime di violenza sessuale, hanno costantemente valorizzato l’agency e l’autonomia decisionale
delle donne, che è un aspetto essenziale per la riuscita delle prese in carico delle vittime. Una connes-
sione tra il “sistema anti-caporalato” in costruzione e il sistema anti-tratta deve costituire una priorità
istituzionale nel breve e nel medio periodo, e deve essere supportata da finanziamenti adeguati, anche
indirizzati agli enti anti-tratta che verranno chiamati a svolgere compiti nuovi ed aggiuntivi.

Un aspetto imprescindibile della protezione sociale risiede nella possibilità di accedere ai rimedi, vale
a dire a un ristoro economico adeguato per i salari non percepiti e per i danni subiti, sia materiali che
immateriali. In proposito si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di istituire una procedura
ad hoc, rapida e gratuita, che a seguito del riconoscimento di una situazione di sfruttamento da parte
delle reti territoriali, consenta alla persona interessata di ottenere i risarcimenti cui essa ha diritto
in tempi rapidi, ed indipendentemente dall’esistenza di un procedimento penale. Anche da questo
punto di vista, in un’ottica di genere è chiaro che il ricorso ai rimedi giurisdizionali, purché spediti e
gratuiti, costituisce un fattore decisivo di legal empowerment femminile. Infatti, dall’analisi è emersa una
generale carenza di forza contrattuale delle donne, che anche per questa ragione sono particolarmente
soggette ad abusi come il mancato pagamento delle retribuzioni, ovvero ai ricatti sessuali per ottenere
il pagamento.

Ai rimedi giurisdizionali dovrebbero affiancarsi dei sistemi di denuncia (complaint mechanisms) da istitui-
re in sedi decentrate e prossime ai luoghi di lavoro. Si tratta di procedure volte a consentire ai lavoratori
e alle lavoratrici di denunciare il mancato pagamento dei salari, la violazione delle norme sulla salute e
sicurezza, altre violazioni delle norme contrattuali, violenze e molestie, e di ricevere indennità adeguate
attraverso un procedimento di mediazione. Esistono al livello internazionale vari modelli di tali procedu-
re, che possono essere istituite dalle imprese, cogestite dalle imprese e dalle organizzazioni sindacali,
ovvero interamente affidate a queste ultime. In ogni caso vanno rafforzate le esperienze sindacali,
evitando che le associazioni datoriali siano competenti per la verifica della conformità contrattuale
concernente i/le dipendenti.



4.2 Reinserimento socio-lavorativo

La soluzione che si è rivelata finora la più adeguata ai casi di sfruttamento lavorativo, sia per le donne
che per gli uomini, è una presa in carico territoriale, che richiede la presenza e la continuità di collabo-
razione, attraverso protocolli formali di cooperazione, di tutte le istituzioni competenti in relazione ai
problemi da risolvere per dare risposte alle varie esigenze delle vittime. All’interno delle reti territoriali
dovrebbero operare team multidisciplinari con la presenza di esperti indicati dalle istituzioni, dalle
organizzazioni sindacali e dagli enti anti-tratta e di protezione sociale, che dovrebbero avere il compito
di identificare le vittime di sfruttamento, in base agli indici previsti dall’art. 603-bis del codice penale e
▶ Principali implicazioni per l’attuazione del Piano                                     37




utilizzando anche altri indicatori operativi prodotti da organizzazioni internazionali.47 Tale valutazione
non deve essere condizionata dall’inizio di un procedimento penale e dalla qualificazione giuridica dello
sfruttamento come reato da parte dell’autorità giudiziaria. Il riconoscimento del fatto che la persona
sia stata sottoposta a sfruttamento lavorativo in agricoltura o in qualsiasi ambito aziendale posizionato
lungo la filiera agro-alimentare, deve comportare il diritto della persona interessata di accedere alla
presa in carico dai servizi dedicati e ad un percorso di reinserimento socio-lavorativo. Per quanto ri-
guarda in particolare le donne, tre sono gli aspetti da prendere in considerazione per azioni mirate e
ispirate ad un approccio di genere.

In primo luogo, le donne che vengono sfruttate in agricoltura sono in grande maggioranza giovani.
Una delle priorità è dunque il sostegno alla genitorialità, poiché moltissime hanno figli minori, spesso in
età scolare, che vivono con loro in Italia o con i nonni o altri parenti in patria. In entrambi i casi devono
essere attivati interventi che consentano una conciliazione tra responsabilità di cura e attività lavorativa,
adeguati alla particolare situazione delle operaie agricole, ivi compresi i tempi di spostamento e gli
orari di lavoro, nonché il mantenimento di una relazione genitoriale valida anche in una situazione di
distanza fisica, anche attraverso accordi tra servizi sociali di persi paesi.

Per i figli e le figlie delle braccianti che vivono in Italia, sia nel caso di accoglienza in situazioni di comunità
sia di alloggio autonomo, i bambini e le bambine devono avere la possibilità di essere scolarizzate/i e
di trovare assistenza e cura mentre le madri sono al lavoro. Da questo punto di vista è essenziale la
presenza di asili nido con orari adeguati agli orari lavorativi delle madri, e un sistema di trasporti efficace.
Naturalmente le stesse risposte devono essere delineate anche nel caso di interi nuclei familiari con figli
in età prescolare e scolare. Una particolare attenzione va riservata alle ragazze straniere molto giovani,
che sono arrivate in Italia con i genitori o che sono nate in Italia. La famiglia talvolta le spinge a lavorare
per ragioni di sopravvivenza del nucleo, dove spesso vi sono fratelli e sorelle più piccole/i, e nonostante il
fatto che le ragazze abbiano seguito nel loro paese un regolare corso di studi, anche superiori. Pertanto,
la formazione finalizzata al reinserimento socio-lavorativo dovrebbe tenere conto della possibilità che
la giovane donna interessata prosegua gli studi scolastici curricolari ed eventualmente universitari,
con uno sbocco lavorativo che potrebbe eventualmente essere perso dal lavoro agricolo, ovvero che
potrebbe ricollocarle nel lavoro agricolo con mansioni più qualificate.

In secondo luogo, per tutte le donne il reinserimento lavorativo — qualora si indirizzi verso un settore
economico perso — non deve essere disegnato in base a stereotipi di genere, vale a dire che non deve
necessariamente puntare ai lavori tradizionali delle donne, ma deve avere possibilmente una valenza
trasformativa. Ciò implica che la formazione, i tirocini e le borse lavoro devono essere sorretti da una
visione lungimirante, che inpidui l’obiettivo del potenziamento delle competenze qualora non vi sia
altra soluzione se non un inserimento lavorativo di tipo tradizionale, ovvero prenda in considerazione
ipotesi alternative sia tenendo conto delle occasioni offerte dal mercato del lavoro, sia degli interessi e
delle aspirazioni della donna interessata.

In terzo luogo, è essenziale la rapidità degli interventi volti ad assicurare una soluzione lavorativa
alternativa. In generale, tutte le lavoratrici hanno un debito da pagare e/o una famiglia da mantenere,
e a tutte deve essere offerta una soluzione durevole in termini di vita, soggiorno, lavoro e inclusione
sociale. Il tipo di percorso può variare in relazione alla gravità dello sfruttamento subito dalla donna
interessata, alla circostanza che allo sfruttamento si siano accompagnate violenze fisiche, sessuali e
psicologiche, e ai traumi conseguenti; in questi casi la donna potrebbe avere bisogno di un tempo
più lungo, e talvolta anche molto più lungo, per recuperare la propria autonomia. Per questa ragione
i percorsi di empowerment devono essere flessibili, inpidualizzati ed attuati in base alle esigenze
concrete ed attuali della persona.




47
   Si vedano, a titolo di esempio, OIL: Hard to see, harder to count: Survey guidelines to estimate forced labour of adults and
   children (OIL, Ginevra, 2012); OIL e Commissione europea: Operational indicators of trafficking of human beings (OIL, Ginevra,
   2009).
38                                             ▶ Conclusione e implicazioni




Il sistema anti-tratta ha sviluppato nel corso di un ventennio una grande esperienza di accoglienza,
assistenza, empowerment e integrazione sociale delle vittime non solo di tratta ma anche di grave sfrut-
tamento sia sessuale che lavorativo. Questa esperienza deve essere messa a frutto anche per affrontare
la grande questione sociale dello sfruttamento strutturale. I progetti del sistema anti-tratta sono stati
già molto attivi nell’inpiduazione e nella presa in carico di casi di sfruttamento lavorativo in agricoltura.
Oggi si tratta di ripartire da questo prezioso patrimonio per affrontare la grande questione sociale dello
sfruttamento in tutti i suoi risvolti. L’attuazione del Piano triennale, e in particolare dell’azione relativa
alla protezione e assistenza delle vittime, deve essere l’occasione per mettere a frutto quelle esperienze
e per innovare l’intero sistema. In particolare, occorre tenere conto delle criticità che il percorso di pro-
tezione previsto dall’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione ha mostrato in relazione alla stretta
connessione tra permesso di soggiorno, programmi di assistenza e procedimento penale. In questa
occasione occorre ribadire che gli aspetti virtuosi dello stesso art. 18, considerati un benchmark a livello
internazionale, sono connessi soprattutto con il c.d. percorso sociale, pure previsto ma scarsamente
applicato, vale a dire la presa in carico da parte degli Enti anti-tratta indipendentemente dall’inizio del
procedimento penale, e dalla denuncia e/o testimonianza della vittima.

Per ottenere il risultato di una protezione sociale efficace e adeguata ai grandi numeri dello sfrutta-
mento strutturale, anche in agricoltura, sono necessarie alcune condizioni che riguardano le riforme
della normativa e una governance adeguata. In primo luogo, la normativa deve essere rivista allo scopo
di rendere più agevoli i percorsi di reinserimento socio-lavorativo, attraverso la garanzia di un alloggio
decoroso e di un lavoro non sfruttato. Da questo punto di vista si dovrebbero riformare l’art. 18 e l’art.
22 comma 12-quater del Testo Unico sull’Immigrazione, chiarendo che: (i) l’accesso ai programmi di
reinserimento è un diritto quando una persona si trova in una situazione di grave sfruttamento, anche
se non è stato iniziato un procedimento penale, ed indipendentemente dalla denuncia; (ii) all’accesso
al programma può accompagnarsi quando necessario un permesso di soggiorno che non richiede ne-
cessariamente il parere della Procura della Repubblica; (iii) tutte/i le presumibili vittime di sfruttamento
devono fruire di un permesso di soggiorno di almeno due anni, e preferibilmente più lungo, se è stata
riconosciuta una situazione di violenza e/o grave sfruttamento, indipendentemente dall’esistenza di
un pericolo attuale per l’incolumità della persona (come recita l’art. 18 citato), ovvero in considerazione
delle sue condizioni di vulnerabilità da valutare caso per caso, sulla scorta della casistica elaborata dalla
giurisprudenza in relazione all’applicazione dell’abrogato permesso per protezione umanitaria.

La seconda condizione è che tutte le amministrazioni competenti agiscano in coordinamento, in primo
luogo il Dipartimento delle pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero
del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell’interno e il Ministero degli affari esteri, mettendo a
regime un sistema di finanziamento certo e di programmazione delle azioni di prevenzione, protezione
sociale e reinserimento socio-lavorativo, oltre che delle azioni di prevenzione e contrasto.

La terza condizione è che gli Enti attuatori dei programmi anti-tratta, sia gli Enti pubblici territoriali
sia quelli del privato sociale, siano considerati non già soltanto erogatori di servizi ma partner delle
istituzioni nella programmazione ed attuazione delle relative politiche, insieme alle organizzazioni
sindacali e agli organi istituzionali competenti. In altri termini va istituito e/o rilanciato un sistema
multi-agenzia, sia al livello nazionale sia al livello locale, sistema che richiede una governance forte
a livello centrale, e reti territoriali stabili e fornite delle competenze necessarie ad accompagnare la
persona sfruttata in un percorso efficace di inclusione sociale. La governance centrale deve poter
interloquire costantemente con le reti territoriali, poiché gli interventi assumono più forza quando c’è
una conpisione bidirezionale alto/basso e basso/alto.

La quarta condizione è che venga istituito un organo indipendente di monitoraggio, valutazione e
proposta di interventi innovativi contro lo sfruttamento e la tratta, che potrebbe essere un National
Rapporteur — come previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tratta48 — che riferisca
annualmente al Governo e al Parlamento. Tale nuovo organo contribuirebbe a dare visibilità e centralità
politica al tema del contrasto allo sfruttamento in tutte le sue forme.




48
   Convenzione del Consiglio d’Europa contro la tratta di esseri umani, Varsavia, 2005, https://rm.coe.int/168047cd70
▶ Riferimenti bibliografici

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▶ Riferimenti bibliografici                                        41




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42  ▶ Riferimenti bibliografici
▶ Annesso I: Lista interviste e testimoni
 privilegiate/i

 Intervista 1 Cinzia Bragagnolo, Responsabile del Progetto NAVE, e Sabrina Scarone — Comune di
 Venezia

 Intervista 2 Carlotta Rossi e Elena Cirelli — Centro Donna — Ferrara

 Intervista 3 Cristina Falaschi — Progetto Oltre la strada — Forlì-Cesena

 Intervista 4 Rosanna Oropallo — Esperta della Rete Toscana — Pistoia

 Intervista 5 Elisabetta Parrinello — Esperta della Rete Toscana — Prato

 Intervista 6 Carmen Morabito — Cooperativa PARSEC — Roma

 Intervista 7 Sara Moutmir — FLAI CGIL — Salerno

 Intervista 8 Francesca Coleti — Segretaria Arci Campania

 Intervista 9 Ilaria Papa — Consorzio Nova — Lecce

 Intervista 10 Ilaria Chiapperino — Oasi 2 — Bari

 Intervista 11 Maria Rosaria Lamorte — CESTRIM — Potenza

 Intervista 12 Rosanna Liotti — Progetto Sud — Catanzaro

 Intervista 13 Elena Cerofolini — Esperta — Grosseto

 Intervista 14 Anju Bala — FLAI CGIL — Capaccio Scalo — Salerno

 Intervista 15 Samira Lofti Khah — FLAI GGIL — Caserta

 Intervista 16 Fabio Saliceti — Referente CNCA — Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza —
 Area Migrazioni, tratta e caporalato

 Intervista 17 Grazia Moschetti — Referente per i Programmi di giustizia sociale e politiche di genere in
 Puglia — ACTIONAID

 Intervista 18 Martina Sabbadini — Ricercatrice — IRES — Piemonte

 Intervista 19 Tiziana Bianchini — Responsabile Area Immigrazione della Coop. Lotta Contro l’Emargi-
 nazione — Milano

 Intervista 20 Lara Rampin — Responsabile area coordinamento e vigilanza — Direzione interregionale
 del lavoro — Venezia

 Intervista 21 Serena Mordini — Satistoscana — Segreteria Tratta — Viareggio, Elena Cerofolini, Giulia
 Coccoloni e Sara Giannini, Esperte della Rete Toscana.

 Intervista 22 Rosy Impalà — Piccola Opera Papa Giovanni — Reggio Calabria

 Intervista 23 Ausilia Cosentini — Coordinatrice Progetti Coop. Proxima — Ragusa
▶ Organizzazione Internazionale del Lavoro
Ufficio per l’Italia e San Marino

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