Codice Pari Opportunità_aggiornato 2021

D.L.vo 11 aprile 2006, n. 198. Codice
                delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6
della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 125 del 31
maggio 2006) (1) (2) (3) (4) .

(1) A norma dell’art. 1, comma 1, lett. a), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5, le espressioni «Ministro delle attività produttive» e «Ministero delle attività
produttive», ovunque ricorrano, sono state sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «Ministro dello sviluppo economico» e «Ministero dello sviluppo
economico».
(2) A norma dell’art. 27 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151, le espressioni «provinciali» e «provinciale» ovunque ricorrono sono state sostituite
rispettivamente dalle seguenti: «delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56» e «della città metropolitana e
dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56».
(3) A norma dell’art. 2, comma 4, del D.L. 1° marzo 2021, n. 22, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2021, n. 55, la denominazione
«Ministro della transizione ecologica» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, la denominazione: «Ministro dello sviluppo economico».
(4) A norma dell’art. 2, comma 4, del D.L. 1° marzo 2021, n. 22, convertito, con modificazioni, nella L. 22 aprile 2021, n. 55, con riguardo alle funzioni
di cui all’articolo 35, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 300 del 1999, come modificato dal medesimo decreto, la denominazione «Ministero
della transizione ecologica» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, la denominazione: «Ministero dello sviluppo economico».




                                 Libro I
                           Disposizioni per la promozione
                             delle pari opportunità
                              tra uomo e donna

                                   Titolo I
                                Disposizioni generali

Art. 1. (1) Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, nonché
integrazione dell’obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte le politiche e attività
1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul
sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o
l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni
altro campo.
2. La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli
dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione.
3. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del
sesso sottorappresentato.
4. L’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella
formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e
attività.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.




                                   Titolo II
                                 Organizzazione
                                per la promozione
                               delle pari opportunità

                                  Capo I
                            Politiche di pari opportunità

Art. 2. Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunità Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303,
articolo 5
1. Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari
opportunità, a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonché a consentire l’indirizzo, il coordinamento e il

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monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.
1 bis. Agli organismi di parità previsti dal presente decreto, nonché da altre disposizioni normative vigenti spetta il
compito di scambiare, al livello appropriato, le informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti ( 1) .

(1) Questo comma è stato inserito dall’art. 1, comma 338, lett. a), della L. 24 dicembre 2012, n. 228.




                                  Capo II
                                Commissione
                              per le pari opportunità
                               fra uomo e donna

Art. 3. (1) Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo
1
(Omissis) (2) .
1. La Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, istituita presso il Dipartimento per le pari opportunità,
fornisce al Ministro per le pari opportunità, che la presiede, consulenza e supporto tecnico-scientifico nell’elaborazione e
nell’attuazione delle politiche di pari opportunità fra uomo e donna, sui provvedimenti di competenza dello Stato, ad
esclusione di quelli riferiti alla materia della parità fra i sessi nell’accesso al lavoro e sul lavoro; in particolare la
Commissione:
  a) formula proposte al Ministro per l’elaborazione delle modifiche della normativa statale necessarie a rimuovere
  qualsiasi forma di discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti delle donne ed a conformare l’ordinamento
  giuridico al principio di pari opportunità fra uomo e donna, fornendo elementi informativi, documentali, tecnici e
  statistici, utili ai fini della predisposizione degli atti normativi;
  b) cura la raccolta, l’analisi e l’elaborazione di dati allo scopo di verificare lo stato di attuazione delle politiche di pari
  opportunità nei vari settori della vita politica, economica e sociale e di segnalare le iniziative opportune;
  c) redige un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche di pari opportunità;
  d) fornisce consulenza tecnica e scientifica in relazione a specifiche problematiche su richiesta del Ministro o del
  Dipartimento per le pari opportunità;
  e) svolge attività di studio e di ricerca in materia di pari opportunità fra uomo e donna.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.
(2) Questi articoli sono stati abrogati dall’art. 9, comma 1, del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.



Art. 4. (1) Durata e composizione della Commissione Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2
(Omissis) (2) .
1. La Commissione è nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni. Essa è composta da venticinque
componenti di cui:
  a) undici prescelti nell’ambito delle associazioni e dei movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano
  nazionale;
  b) quattro prescelti nell’ambito delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano
  nazionale;
  c) quattro prescelti nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della cooperazione femminile maggiormente
  rappresentative sul piano nazionale;
  d) tre prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli, in attività scientifiche,
  letterarie e sociali;
  e) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
  autonome di Trento e di Bolzano.
2. Almeno due volte l’anno, la Commissione si riunisce a composizione allargata, con la partecipazione di un
rappresentante di pari opportunità per ogni regione e provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste
e segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell’ambito delle competenze del sistema delle regioni e delle autonomie
locali.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.

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Art. 5. (1) Ufficio di Presidenza della Commissione Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3
(Omissis) (2) .
1. Con il decreto di cui all’articolo 4, comma 1, fra i componenti della Commissione vengono designati il Vicepresidente
ed il Segretario che, insieme al Ministro, che lo presiede, costituiscono l’ufficio di presidenza.
2. Al Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento dei lavori e la costante informazione
del Ministro circa le iniziative in corso di svolgimento.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.
(2)
Art. 6. (1) Esperti e consulenti Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4
(Omissis) (2) .
1. La Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in numero massimo di cinque, su problematiche attinenti
la parità fra i sessi, e di propri consulenti secondo quanto previsto dall’articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e
dall’articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
2. I consulenti di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di elevata
professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, delle politiche sociali e
dell’analisi delle politiche pubbliche.
3. Nel decreto di conferimento dell’incarico è determinato il compenso degli esperti e dei consulenti.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.



Art. 7. (1) Segreteria della Commissione Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5
(Omissis) (2) .
1. Per l’espletamento delle proprie attività la Commissione dispone di una propria segreteria nell’ambito del Dipartimento
per le pari opportunità.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lett. a), del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115.




                                Capo III
                              Comitato nazionale
                           per l’attuazione dei principi
                            di parità di trattamento
                           ed uguaglianza di opportunità
                            tra lavoratori e lavoratrici

Art. 8. Costituzione e componenti Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7
1. Il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e
lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell’ambito della competenza statale,
la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza fra uomo e donna nell’accesso
al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché
in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 ( 1) .
2. Il Comitato è composto da:
  a) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di
  presidente;
  b) sei (2) componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più (3) rappresentative
  sul piano nazionale;
  c) sei (4) componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei persi settori economici,
  comparativamente più (5) rappresentative sul piano nazionale;
  d) due componenti designati (6) unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento
  cooperativo più rappresentative sul piano nazionale;
  e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale

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  operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro che ne abbiano fatto richiesta (7) ;
  f) la consigliera o il consigliere nazionale di parità di cui all’articolo 12, comma 2, del presente decreto.
2 bis. Le designazioni di cui al comma 2 (8) sono effettuate entro trenta giorni dalla relativa richiesta. In caso di mancato
tempestivo riscontro, il Comitato può essere costituito sulla base delle designazioni pervenute, fatta salva l’integrazione
quando pervengano le designazioni mancanti (9) .
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
  a) tre esperti (10) in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro e politiche di
  genere (11) ;
  b) quattro rappresentanti, rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, del Dipartimento della funzione
  pubblica, del Dipartimento per le pari opportunità e del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza
  del Consiglio dei ministri (12) ;
  c) tre rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in rappresentanza delle Direzioni generali della
  tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali, per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la
  formazione, per l’inclusione e le politiche sociali (13) ;
  c bis) tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità, di cui uno
  indicato dalle organizzazioni dei dirigenti comparativamente più rappresentative (14) .
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per
ogni componente effettivo è nominato un supplente. In caso di sostituzione di un componente, il nuovo componente dura
in carica fino alla scadenza del Comitato (15) .
5. Il vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito dei suoi
componenti.

(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) La parola: «cinque» è stata così sostituita dalla parola: «sei», dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(3) La parola: «maggiormente» è stata così sostituita dalle parole: «comparativamente più», dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio
2010, n. 5.
(4) La parola: «cinque» è stata così sostituita dalla parola: «sei», dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(5) La parola: «maggiormente» è stata così sostituita dalle parole: «comparativamente più», dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L.vo 25 gennaio
2010, n. 5.
(6) Le parole: «un componente designato» sono state così sostituite dalle parole: «due componenti designati» dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 4), del
D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(9) Questo comma è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 5), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(11) Le parole: «e politiche di genere» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 6), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(12) Questa lettera, sostituita dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 7), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5, è stata da ultimo così sostituita dall’art. 28, comma 1,
lett. c), n. 2), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(15) Questo periodo è stato aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 9), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(7) Le parole: «che ne abbiano fatto richiesta» sono state inserite dall’art. 28, comma 1, lett. a), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(8) La parola: «2» è stata inserita dall’art. 28, comma 1, lett. b), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(10) Le parole: «sei esperti» sono state così sostituite dalle seguenti: «tre esperti» dall’art. 28, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L.vo 14 settembre 2015, n.
151.
(13) Questa lettera è stata da ultimo così sostituita dall’art. 28, comma 1, lett. c), n. 3), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(14) Questa lettera è stata soppressa dall’art. 28, comma 1, lett. c), n. 4), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 9. Convocazione e funzionamento Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6
1. Il Comitato è convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano
richiesta metà più uno dei suoi componenti.
2. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e, per lo svolgimento dei propri compiti, può costituire specifici
gruppi di lavoro (1) .

(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 29 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 10. (1) Compiti del Comitato
1. Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell’ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalità di cui
all’articolo 8, comma 1, ed in particolare:
  a) formula proposte sulle questioni generali relative all’attuazione degli obiettivi della parità e delle pari opportunità,
  nonchè per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di
  lavoro delle donne;

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  b) informa e sensibilizza l’opinione pubblica sulla necessità di promuovere le pari opportunità per le donne nella
  formazione e nella vita lavorativa;
  c) formula, entro il mese di febbraio di ogni anno, gli indirizzi in materia di promozione delle pari opportunità per le
  iniziative del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da programmare nell’anno finanziario successivo, indicando
  obiettivi e tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere. Sulla base di tali indirizzi il Ministero del
  lavoro e delle politiche sociali pubblica apposito bando di finanziamento dei progetti di azione positiva;
  d) partecipa attraverso propri rappresentanti alla commissione di valutazione dei progetti di azione positiva. Con
  decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della
  presente disposizione, sono definiti la composizione della commissione, i criteri di valutazione dei progetti e di
  erogazione dei finanziamenti, nonchè le modalità di svolgimento delle attività di monitoraggio e controllo dei progetti
  approvati. Ai componenti della commissione non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri
  emolumenti comunque denominati;
  e) collabora, su richiesta, alla stesura di codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi
  alla parità e a inpiduare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
  f) verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parità;
  g) elabora iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali, al fine di promuovere la parità di trattamento,
  avvalendosi dei risultati dei monitoraggi effettuati sulle prassi nei luoghi di lavoro, nell’accesso al lavoro, alla
  formazione e promozione professionale, nonchè sui contratti collettivi, sui codici di comportamento, ricerche o scambi
  di esperienze e buone prassi;
  h) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all’adozione di azioni positive per la
  rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione
  allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive;
  i) elabora iniziative per favorire il dialogo con le organizzazioni non governative che hanno un legittimo interesse a
  contribuire alla lotta contro le discriminazioni fra donne e uomini nell’occupazione e nell’impiego;
  l) può richiedere alle Direzioni interregionali e territoriali del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni
  sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della
  promozione professionale;
  m) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia
  di lavoro e formazione professionale;
  n) provvede allo scambio di informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti in materia di parità fra
  donne e uomini nell’occupazione e nell’impiego;
  o) promuove la rimozione, anche attraverso azioni positive, degli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra uomo e donna
  nella progressione professionale e di carriera, lo sviluppo di misure per il reinserimento della donna lavoratrice dopo la
  maternità, la più ampia diffusione del lavoro a tempo parziale e degli altri strumenti di flessibilità a livello aziendale
  che consentano una migliore conciliazione tra vita lavorativa e impegni familiari;
  p) svolge le attività di monitoraggio e controllo dei progetti già approvati, verificandone la corretta attuazione e l’esito
  finale.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 30 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 11. (1) Collegio istruttorio e segreteria tecnica Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7
(Omissis).(1)
1. Per l’istruzione degli atti relativi alla inpiduazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei pareri
al Comitato di cui all’articolo 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parità, è istituito un collegio istruttorio così composto:
  a) il vicepresidente del Comitato di cui all’articolo 8, che lo presiede;
  b) un magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimità o di merito;
  c) un dirigente o un funzionario (2) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  c bis) un dirigente o un funzionario del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri
  (3) ;
  c ter) un dirigente o un funzionario del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei
  Ministri (3) ;
  d) gli esperti di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a);
  e) la consigliera o il consigliere di parità di cui all’articolo 12.
2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b), c), c bis) e c ter) (4) del comma 1,
su richiesta del Comitato di cui all’articolo 8, possono essere elevati a due.


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3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio è
istituita la segreteria tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed è composta da
personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinato da un
dirigente generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica è determinata con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato.
4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalità di organizzazione e di funzionamento; per
lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato può deliberare la stipula di
convenzioni, nonché avvalersi di collaborazioni esterne:
   a) per l’effettuazione di studi e ricerche;
   b) per attività funzionali all’esercizio dei propri compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall’articolo
   10, comma 1, lettera d).

(2) Le parole: «o un funzionario» sono state aggiunte dall’art.1, comma 1, lett.f), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(3) Questa lettera è stata inserita dall’art.1, comma 1, lett.f), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(4) Le parole: «lettere b) e c)» sono state così sostituite dalle parole: «lettere b), c), c bis) e c ter)» dall’art. 1, comma 1, lett.f), n. 3), del D.L.vo 25
gennaio 2010, n. 5.
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 42, comma 2, del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.




                                 Capo IV
                              Consigliere e consiglieri
                                 di parità

Art. 12. Nomina Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1; articolo 2, commi 1, 3, 4
1. A livello nazionale, regionale e della città metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56
sono nominati una consigliera o un consigliere di parità. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresì alla nomina
di un supplente che agisce su mandato della consigliera o del consigliere effettivo ed in sostituzione della medesima o del
medesimo (1) .
2. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità.
3. Le consigliere e i consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7
aprile 2014, n. 56, effettivi e supplenti, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, su
designazione delle regioni, delle città metropolitane e degli enti di area vasta, sulla base dei requisiti di cui all’articolo 13,
comma 1, e previo espletamento di una procedura di valutazione comparativa ( 2) .
4. In caso di mancata designazione delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli
enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato o in caso
di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall’articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, nei trenta giorni successivi, indice una procedura di valutazione comparativa, nel rispetto dei requisiti di cui
all’articolo 13, comma 1, di durata non superiore, complessivamente, ai 90 giorni successivi alla scadenza dei termini per
la presentazione delle candidature (3) .
5. I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono
pubblicati sul sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali www.lavoro.gov.it (4) .

(1) Le parole: «che agisce su mandato della consigliera o del consigliere effettivo ed in sostituzione della medesima o del medesimo» sono state aggiunte
dall’art. 1, comma 1, lett. g), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 31, comma 1, lett. a), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 31, comma 1, lett. b), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(4) Le parole: «nella Gazzetta Ufficiale» sono state così sostituite dalle seguenti: «sul sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
www.lavoro.gov.it» dall’art. 31, comma 1, lett. c), del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 13. Requisiti e attribuzioni Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2, comma 2
1. Le consigliere e i consiglieri di parità devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in
materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro, comprovati da
idonea documentazione.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo


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dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro.
Nell’esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parità sono pubblici ufficiali ed hanno
l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.

Art. 14. (1) Mandato
1. Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all’articolo 12, effettivi e supplenti, ha la durata di quattro anni ed è
rinnovabile per una sola volta. In ogni caso, per la determinazione della durata complessiva del mandato si computano tutti
i periodi svolti in qualità di consigliera e consigliere, sia effettivo che supplente, anche non continuativi e anche di durata
inferiore a quattro anni. La procedura di rinnovo si svolge secondo le modalità previste dall’articolo 12. Le consigliere e i
consiglieri di parità continuano a svolgere le loro funzioni fino al completamento della procedura di cui all’articolo 12,
comma 4. Non si applicano, al riguardo, le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 15 luglio 2002, n. 145.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 32 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 15. (1) Compiti e funzioni
1. Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell’ambito delle competenze dello Stato, ai
fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici,
svolgendo in particolare i seguenti compiti:
  a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, anche in collaborazione con le direzioni interregionali e
  territoriali del lavoro, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni nell’accesso al
  lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera,
  nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonchè in relazione alle forme pensionistiche complementari
  collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
  b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l’inpiduazione delle risorse dell’Unione europea,
  nazionali e locali finalizzate allo scopo;
  c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi
  dell’unione europea e di quelli nazionali e regionali in materia di pari opportunità;
  d) promozione delle politiche di pari opportunità nell’ambito delle politiche attive del lavoro, comprese quelle
  formative;
  e) collaborazione con le direzioni interregionali e territoriali del lavoro al fine di rilevare l’esistenza delle violazioni
  della normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la
  progettazione di appositi pacchetti formativi;
  f) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui
  problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazione;
  g) collegamento e collaborazione con i competenti assessorati e con gli organismi di parità degli enti locali.
2. La consigliera nazionale di parità, nell’ambito delle proprie competenze, determina le priorità d’intervento e i
programmi di azione, nel rispetto della programmazione annuale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Svolge i
compiti di cui al comma 1 e può svolgere, avvalendosi delle strutture del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dei
relativi enti strumentali, inchieste indipendenti in materia di discriminazioni sul lavoro e può pubblicare relazioni
indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul lavoro.
3. Le consigliere e i consiglieri nazionale e regionali partecipano ai tavoli di partenariato locale e ai comitati di
sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013. Le
consigliere e i consiglieri regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta sono inoltre componenti delle
commissioni di parità del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi persamente denominati che svolgono
funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale, o in sua sostituzione la supplente o il supplente, è componente
del Comitato nazionale di cui all’articolo 8.
4. Le regioni forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di parità il supporto tecnico necessario: alla rilevazione di
situazioni di squilibrio di genere; all’elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui
all’articolo 46; alla promozione e alla realizzazione di piani di formazione e riqualificazione professionale; alla
promozione di progetti di azioni positive.
5. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni interregionali e territoriali del lavoro,
territorialmente competenti, acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle
condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri
di rilevazione indicati nella richiesta.

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6. Entro il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti
di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, presentano un rapporto sull’attività svolta, redatto sulla base di
indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, agli organi che hanno provveduto alla designazione e
alla nomina. La consigliera o il consigliere di parità che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia
provveduto con un ritardo superiore a tre mesi decade dall’ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione
dell’organo che ha provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
7. Entro il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parità elabora, anche sulla base dei rapporti di
cui al comma 6, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per le pari opportunità sulla
propria attività e su quella svolta dalla Conferenza nazionale di cui all’articolo 19. Si applica quanto previsto nell’ultimo
periodo del comma 6 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 33 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 16. (1) Sede e attrezzature
1. L’ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui
alla legge 7 aprile 2014, n. 56 è ubicato rispettivamente presso le regioni, le città metropolitane e gli enti di area vasta.
L’ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parità è ubicato presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali. L’ufficio è funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie e
idonee allo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari devono essere
prontamente assegnati dagli enti presso cui l’ufficio è ubicato, nell’ambito delle risorse esistenti e a invarianza della spesa.
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può predisporre con gli enti territoriali, nel cui ambito operano le
consigliere e i consiglieri di parità, convenzioni quadro allo scopo di definire le modalità di organizzazione e di
funzionamento dell’ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità, nonchè gli indirizzi generali per l’espletamento dei
compiti di cui all’articolo 15, comma 1, lettere b), c), d), e g).

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 34 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 17. (1) Permessi
1. Le consigliere e i consiglieri di parità, nazionale e regionali, hanno diritto per l’esercizio delle loro funzioni, ove si tratti
di lavoratori dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative mensili medie. Nella
medesima ipotesi le consigliere e i consiglieri di parità delle città metropolitane e degli enti territoriali di area vasta di cui
alla legge 7 aprile 2014, n. 56 hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di trenta ore lavorative
mensili medie. L’eventuale retribuzione dei suddetti permessi è rimessa alla disponibilità finanziaria dell’ente di
pertinenza che, su richiesta, è tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto in tal caso corrisposto per le ore di effettiva
assenza. Ai fini dell’esercizio del diritto di assentarsi dal luogo di lavoro di cui al presente comma, le consigliere e i
consiglieri di parità devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno tre giorni prima dell’inizio
dell’assenza. Le consigliere e i consiglieri di parità supplenti hanno diritto ai permessi solo nei casi in cui non ne
usufruiscano le consigliere e i consiglieri di parità effettivi.
2. L’ente territoriale che ha proceduto alla designazione può attribuire, a proprio carico, alle consigliere e ai consiglieri di
parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, che siano lavoratori
dipendenti, lavoratori autonomi o liberi professionisti, una indennità mensile, differenziata tra il ruolo di effettivo e quello
di supplente, sulla base di criteri determinati dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281. Il riconoscimento della predetta indennità alle consigliere e ai consiglieri di parità supplenti è limitato
ai soli periodi di effettivo esercizio della supplenza.
3. Alla consigliera e al consigliere nazionale di parità è attribuita un’indennità annua. La consigliera e il consigliere
nazionale di parità, ove lavoratore dipendente, usufruiscono, inoltre, di un numero massimo di permessi non retribuiti. In
alternativa a quanto previsto dal primo e dal secondo periodo, la consigliera e il consigliere nazionale di parità possono
richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato, percependo in tal caso un’indennità
complessiva annua. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, sono stabiliti, nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui all’articolo 18, i criteri e le
modalità per determinare la misura dell’indennità di cui al primo periodo, differenziata tra il ruolo di effettivo e quello di
supplente, il numero massimo dei permessi non retribuiti di cui al secondo periodo, i criteri e le modalità per determinare
la misura dell’indennità complessiva di cui al terzo periodo, le risorse destinate alle missioni legate all’espletamento delle


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funzioni e le spese per le attività della consigliera o del consigliere nazionale di parità.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 35, comma 1, del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 18. (1) Fondo per l’attività delle consigliere e dei consiglieri nazionali di parità
1. Il Fondo per l’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità nazionali, effettivi e supplenti, è alimentato dalle risorse
di cui all’articolo 47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144 e successive modificazioni. Il Fondo è
destinato a finanziare le spese relative alle attività della consigliera o del consigliere nazionale di parità, le spese per
missioni, le spese relative al pagamento di compensi per indennità, differenziati tra effettivi e supplenti, i rimborsi e le
remunerazioni dei permessi spettanti ai sensi dell’articolo 17, comma 1.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 35, comma 1, del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
A norma dell’art. 35, comma 2, del medesimo provvedimento, alle spese di cui al presente articolo, nel limite complessivo di 140.000 euro per tale anno
2015, si provvede mediante corrispondente riduzione per il medesimo anno del fondo di cui all’articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n.
190. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.




Art. 19. (1) Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità
1. La Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, che comprende tutte le consigliere e i consiglieri,
nazionale, regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, è coordinata
dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità, in collaborazione con due consigliere o consiglieri di parità in
rappresentanza rispettivamente delle o dei consiglieri regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta.
2. La Conferenza opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parità, di accrescere l’efficacia
della loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi. La Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento per le pari opportunità e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuovono iniziative
volte a garantire il coordinamento e l’integrazione degli interventi necessari ad assicurare l’effettività delle politiche di
promozione delle pari opportunità per i lavoratori e le lavoratrici.
3. Dallo svolgimento delle attività del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 36 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 19 bis. (1) Disposizione transitoria
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore dei
provvedimenti attuativi della legge 7 aprile 2014, n. 56, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del
Ministro degli affari regionali, sono inpiduate le città metropolitane e gli enti di area vasta presso cui collocare le
consigliere e i consiglieri di parità per lo svolgimento dell’attività di supporto già espletata dalle province.
2. Fino alla effettiva costituzione dei nuovi enti territoriali, in applicazione dell’articolo 1, comma 85, lettera f), della legge
7 aprile 2014, n. 56, le consigliere e i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, continuano a svolgere le funzioni che non
possono essere in alcun modo interrotte. Le disposizioni del presente capo si applicano alle consigliere e ai consiglieri di
parità in carica alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Ai fini della determinazione della durata
dell’incarico o del rinnovo dello stesso, si computano anche i periodi già espletati in qualità di consigliera e consigliere di
parità, sia effettivo che supplente, alla data di entrata in vigore della presente disposizione.

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 37 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 20. (1) Relazione al Parlamento
1. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, anche sulla base del rapporto di cui all’articolo 15, comma 7, nonchè
delle indicazioni fornite dal Comitato di cui all’articolo 8, presenta al Parlamento, ogni due anni, una relazione contenente
i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla

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valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto ( 2) .

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 38 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, della L. 5 novembre 2021, n. 162.




                                Capo V
                           Comitato per l’imprenditoria
                                femminile

Art. 21. (1) Comitato per l’imprenditoria femminile Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3
(Omissis) (2) .
1. Presso il Ministero dello sviluppo economico opera il Comitato per l’imprenditoria femminile composto dal Ministro
dello sviluppo economico o, per sua delega, da un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente, dal Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, dal Ministro dell’economia e delle finanze,
o da loro delegati; da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni
maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio,
dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo e dei servizi.
2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro dello sviluppo economico, su designazione delle
organizzazioni di appartenenza, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per l’adempimento delle proprie funzioni esso si avvale
dei personale e delle strutture messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 4 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 101.
(2) Questi articoli sono stati abrogati dall’art. 4 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 101.



Art. 22. (1) Attività del Comitato per l’imprenditoria femminile Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4
e5
(Omissis) (2) .
1. Il Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal libro III, titolo II;
promuove altresì lo studio, la ricerca e l’informazione sull’imprenditorialità femminile.
2. Per le finalità di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli opportuni collegamenti con il Servizio centrale per la
piccola industria e l’artigianato di cui all’articolo 39, comma 1, lettera a), della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e si avvale di
consulenti, inpiduati tra persone aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria
femminile.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 4 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 101.




                                  Libro II
                                Pari opportunità
                               tra uomo e donna
                             nei rapporti etico-sociali

                                  Titolo I
                               Rapporti tra coniugi

Art. 23. Pari opportunità nei rapporti fra coniugi
1. La materia delle pari opportunità nei rapporti familiari è disciplinata dal codice civile.

                                    Titolo II

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                              Contrasto alla violenza
                              nelle relazioni familiari

Art. 24. Violenza nelle relazioni familiari
1. Per il contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.

                                  Libro III
                                Pari opportunità
                               tra uomo e donna
                              nei rapporti economici

                                 Titolo I
                            Pari opportunità nel lavoro

                                  Capo I
                             Nozioni di discriminazione

Art. 25. Discriminazione diretta e indiretta Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2( 1)
1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o
comportamento (2) , nonchè l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, (3) che produca un effetto
pregiudizievole discriminando  le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale, ( 4) le lavoratrici o i lavoratori
in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro
lavoratore in situazione analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
patto o un comportamento, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro, ( 5) apparentemente
neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di selezione e ( 6) i lavoratori di un determinato sesso in una posizione
di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento
dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e
necessari.
2 bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle
condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare,
dello stato di gravidanza nonchè di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio
dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
  a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera ( 7) .
(Omissis) (8) .

(8) La disposizione omessa è riportata nella voce Lavoro delle donne e parità di trattamento con gli uomini.
(1) Il testo di questi articoli è riportato nella voce “Discrizionazione per ragioni di sesso, razza, etnia, ecc.”.
(3) Le parole: «, nonchè l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento,» sono state inserite dall’art. 8 quater, comma 1, lett. a), del D.L. 8 aprile
2008, n. 59, convertito, con modificazioni, nella L. 6 giugno 2008, n. 101.
(2) Le parole: «qualsiasi atto, patto o comportamento» sono sostituite dalle parole: «qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o
comportamento» dall’art. 1, comma 1, lett. p), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(7) Questo comma, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. p), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5, è stato così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. c),
della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(4) Le parole: « le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale,» sono state inserite dall’art. 2, comma 1, lett. a), della L. 5 novembre 2021,
n. 162.
(5) Le parole: «, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro,» sono state inserite dall’art. 2, comma 1, lett. b), della L. 5
novembre 2021, n. 162.
(6) Le parole: «i candidati in fase di selezione e» sono state inserite dall’art. 2, comma 1, lett. b), della L. 5 novembre 2021, n. 162.



Art. 26. Molestie e molestie sessuali Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2 bis, 2 ter e 2 quater (1)
1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per

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ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un
clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a
connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una
lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2 bis. Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un
lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti di cui ai commi 1 e 2 o di esservisi sottomessi ( 2) .
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei
comportamenti di cui ai commi 1, 2 e 2 bis (3) sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai
comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di
lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di
trattamento tra uomini e donne.
3 bis. La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia
sessuale poste in essere in violazione dei pieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato,
licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di
lavoro, determinati dalla denuncia stessa. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo.
Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, nonchè qualsiasi altra misura
ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Le tutele di cui al presente comma non sono garantite nei
casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia
o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia ( 4) .
3 ter. I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da
garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei
lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie
sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad
assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano
favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza ( 4) .
(Omissis) (5) .

(1) Le disposizioni omesse sono riportate nella voce Lavoro delle donne e parità di trattamento con gli uomini.
(1) Il testo di questi articoli è riportato nella voce “Discriminazione per ragioni di sesso, razza, etnia, ecc.”.
(1)
(5) La disposizione omessa è riportata nella voce Lavoro delle donne e parità di trattamento con gli uomini.
(2) Questo comma è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. q), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(3) Le parole: «commi 1 e 2» sono state così sostituite dalle seguenti: «commi 1, 2 e 2 bis» dall’art. 1, comma 218, lett. a), della L. 27 dicembre 2017, n.
205, a decorrere dal 1° gennaio 2018.
(4) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 1, comma 218, lett. b), della L. 27 dicembre 2017, n. 205, a decorrere dal 1° gennaio 2018.




                                  Capo II
                             Divieti di discriminazione

Art. 27. Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle
condizioni di lavoro (1) Legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125,
articolo 4, comma 3(2)
1. È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in
qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonchè la promozione,
indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della
gerarchia professionale, anche per quanto riguarda la creazione, la fornitura di attrezzature o l’ampliamento di un’impresa
o l’avvio o l’ampliamento di ogni altra forma di attività autonoma (3) (4) .
2. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:
  a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche
  adottive (5) ;
  b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma
  pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso.
3. Il pieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento,
aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento ( 6) , per quanto concerne sia
l’accesso sia i contenuti, nonché all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in

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qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali
organizzazioni.
4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente
pesanti inpiduate attraverso la contrattazione collettiva.
5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche
amministrazioni la prestazione richiesta dev’essere accompagnata dalle parole dell’uno o dell’altro sesso, fatta eccezione
per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
6. Non costituisce discriminazione condizionare all’appartenenza ad un determinato sesso l’assunzione in attività della
moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.
(Omissis).

(2) Il testo di questi articoli è riportato nella voce “Discrizionazione per ragioni di sesso, razza, etnia, ecc.”.
(1) Le parole: «, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro» sono state inserite dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 1), del
D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(5) Le parole: «, nonché di maternità o paternità, anche adottive» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 3), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n.
5.
(6) Le parole: «e aggiornamento professionale» sono sostituite dalle parole: «, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi
e di orientamento» dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 4), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(4) Le parole: «, anche per quanto riguarda la creazione, la fornitura di attrezzature o l’ampliamento di un’impresa o l’avvio o l’ampliamento di ogni
altra forma di attività autonoma» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 338, lett. b), della L. 24 dicembre 2012, n. 228.



Art. 28. Divieto di discriminazione retributiva Legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2
1. È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni,
per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale (1) .
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni
per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni ( 2) .

(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. s), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) Le parole: «ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 1, lett. s), n. 2), del D.L.vo 25
gennaio 2010, n. 5.



Art. 29. Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera (1) Legge 9 dicembre
1977, n. 903, articolo 3
1. È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni
e la progressione nella progressione di carriera.

(1) La parola: «carriera» è stata così sostituita dalle parole: «progressione di carriera» dall’art. 1, comma 1, lett. t), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.



Art. 30. (1) Divieti di discriminazione nell’accesso alle prestazioni previdenziali Legge 9 dicembre 1977, n. 903,
articoli 4, 9, 10, 11 e 12
1. Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il rapporto di
lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali ( 2) .
2. Nell’ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604, e
successive modificazioni, in deroga all’articolo 11 della legge stessa ( 3) .
3. Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere
corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il
lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le
maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.
4. Le prestazioni ai superstiti, erogate dall’assicurazione generale obbligatoria, per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti,
gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie
dell’assicurato o del pensionato, al marito dell’assicurata o della pensionata.
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonché in materia di
trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i

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superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od
esonerati dall’obbligo dell’assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
5. - 6. (Omissis).
6. Le prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e
della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della
lavoratrice.

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 275 del 29 ottobre 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui
prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l’onere di dare tempestiva
comunicazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto dalla pensione
di vecchiaia, e nella parte in cui fa dipendere da tale adempimento l’applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui
licenziamenti inpiduali.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. u), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(3) Questo comma è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. u), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.



Art. 30 bis. (1) Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari collettive. Differenze di
trattamento consentite
1. Nelle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, è vietata
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, specificamente per quanto riguarda:
  a) il campo d’applicazione di tali forme pensionistiche e relative condizioni d’accesso;
  b) l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;
  c) il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico,
  nonchè le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.
2. La fissazione di livelli differenti per le prestazioni è consentita soltanto se necessaria per tener conto di elementi di
calcolo attuariale differenti per i due sessi nel caso di forme pensionistiche a contribuzione definita. Nel caso di forme
pensionistiche a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi possono variare sempreché
l’ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell’utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda
del sesso all’atto dell’attuazione del finanziamento del regime.
3. I dati attuariali che giustificano trattamenti persificati ai sensi del comma 2 devono essere affidabili, pertinenti ed
accurati.
4. La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) esercita i suoi poteri ed effettua le attività necessarie, al fine
di garantire l’affidabilità, la pertinenza e l’accuratezza dei dati attuariali che giustificano trattamenti persificati ai sensi
del comma 2, anche allo scopo di evitare discriminazioni. Essa inoltre raccoglie, pubblica e aggiorna i dati relativi
all’utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente al Comitato nazionale di
parità e pari opportunità nel lavoro. Tali attività sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente.

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. v), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.



Art. 31. Divieti di discriminazione nell’accesso agli impieghi pubblici Legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma
1; legge 13 dicembre 1986, n. 874, articoli 1 e 2
1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza
limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2. L’altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell’accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici
ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire un limite di
altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri
interessati, le organizzazioni sindacali più rappresentative e la Commissione per la parità tra uomo e donna, fatte salve le
specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Art. 32. (1) Divieti di discriminazione nell’arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali Decreto legislativo
31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1
(Omissis) (2) .
1. Le Forze armate ed il Corpo della guardia di finanza si avvalgono, per l’espletamento dei propri compiti, di personale

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maschile e femminile.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 2268, comma 1, del D.L.vo 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 9 ottobre 2010.
(2) Questi articoli sono stati abrogati dall’art. 2268, comma 1, del D.L.vo 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 9 ottobre 2010.



Art. 33. (1) Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza
Decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2
(Omissis).
1. Il reclutamento del personale militare femminile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza è effettuato su
base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo quanto previsto per l’accertamento
dell’idoneità al servizio militare del personale femminile dai decreti di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 20 ottobre
1999, n. 380, e salve le aliquote d’ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della
legge medesima.
2. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e
i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della
guardia di finanza, nonché il personale femminile volontario di truppa in fase di addestramento e specializzazione iniziale,
è posto in licenza straordinaria per maternità a decorrere dalla presentazione all’amministrazione della certificazione
attestante lo stato di gravidanza, fino all’inizio del periodo di congedo di maternità di cui all’articolo 16 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo di assenza del servizio trascorso in licenza straordinaria per maternità non è
computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.
3. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e
i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della
guardia di finanza, posto in licenza straordinaria per maternità ai sensi del comma 2, può chiedere di proseguire il periodo
formativo con esenzione di qualsiasi attività fisica, fino all’inizio del periodo del congedo di maternità di cui all’articolo
16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L’accoglimento della domanda è disposto dal Comandante di corpo, in
relazione agli obiettivi didattici da conseguire e previo parere del dirigente del servizio sanitario dell’istituto di
formazione.
4. La licenza straordinaria per maternità di cui al comma 3 è assimilata ai casi di estensione del pieto di adibire le donne
al lavoro previsti dall’articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Al personale
femminile, nel predetto periodo di assenza, è attribuito il trattamento economico di cui all’articolo 22 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero, qualora più favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti dall’articolo
2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
5. Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all’Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza che, ai
sensi degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non possa frequentare i corsi previsti dalle relative
normative di settore, è rinviato al primo corso utile successivo e, qualora lo superi con esito favorevole, assume l’anzianità
relativa al corso originario di appartenenza.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 2268, comma 1, del D.L.vo 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 9 ottobre 2010.



Art. 34. (1) Divieto di discriminazione nelle carriere militari Decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e
5
(Omissis).
1. Lo stato giuridico del personale militare femminile è disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare
maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
2. L’avanzamento del personale militare femminile è disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare
maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
3. Le amministrazioni interessate disciplinano gli specifici ordinamenti dei corsi presso le accademie, gli istituti e le scuole
di formazione in relazione all’ammissione ai corsi stessi del personale femminile.

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 2268, comma 1, del D.L.vo 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dal 9 ottobre 2010.



Art. 35. Divieto di licenziamento per causa di matrimonio Legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6

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1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti inpiduali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano
comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per
non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal
giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione
stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima
confermate entro un mese alla Direzione della città metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n.
56 del lavoro (1) .
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma
3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
  a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la
  scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 è disposta la corresponsione, a
favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in
servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per
le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse
quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore
previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed inpiduali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

(1) A norma dell’art. 12 bis, comma 2, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella L. 11 settembre 2020, n. 120, le istruttorie
finalizzate al rilascio delle convalide di cui all’articolo 55, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e a questo
comma, nonché le altre procedure amministrative o conciliative di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro che presuppongono la presenza
fisica dell’istante, inpiduate con provvedimento del direttore, possono essere effettuate attraverso strumenti di comunicazione da remoto che
consentano in ogni caso l’identificazione degli interessati o dei soggetti dagli stessi delegati e l’acquisizione della volontà espressa. In tali ipotesi il
provvedimento finale o il verbale si perfeziona con la sola sottoscrizione del funzionario incaricato.




                                   Capo III
                                 Tutela giudiziaria

Art. 36. Legittimazione processuale Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5
1. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei pieti di cui al
capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione
professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche
complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ( 1) e non ritiene di avvalersi delle
procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi
dell’articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parità della città metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla
legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale territorialmente competente.
2. Ferme restando le azioni in giudizio di cui all’articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parità delle città
metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 e regionali competenti per territorio hanno
facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al
tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di
intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.

(1) Le parole: «ai sensi dell’articolo 25» sono state così sostituite dalle parole da: «poste in essere in violazione dei pieti...» fino a: «...di cui al decreto
legislativo 5 dicembre 2005, n. 252,» dall’art. 1, comma 1, lett. z), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.



Art. 37. Legittimazione processuale a tutela di più soggetti Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e

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1. Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere
nazionale rilevino l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo in
violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo o comunque nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella
formazione professionale, nelle condizioni compresa la retribuzione, nella progressione di carriera, nonché in relazione
alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 ( 1) , anche quando
non siano inpiduabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni, prima di
promuovere l’azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all’autore della discriminazione di predisporre
un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso
di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, le
associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è
considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parità promuove il tentativo di
conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in
funzione di giudice del lavoro.
2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parità, qualora
non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito negativo della
stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo
regionale territorialmente competenti.
3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a
provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all’autore della discriminazione di
definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le
rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di
categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità regionale
competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche
temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano.
4. Ferma restando l’azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono
proporre ricorso in via d’urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo
regionale territorialmente competenti. Il Tribunale in funzione di giudice del lavoro adito ( 2) , nei due giorni successivi,
convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto
motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale,
nei limiti della prova fornita, ordina all’autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e
adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l’ordine di
definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le
disposizioni del comma 3. Contro il decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione
avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
La tutela davanti al giudice amministrativo è disciplinata dall’articolo 119 del codice del processo amministrativo ( 3) .
5. L’inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3 e al comma 4 (4) , al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza
pronunciata nel relativo giudizio di opposizione è punita con l’ammenda fino a 50.000 euro o l’arresto fino a sei mesi ( 5)
e comporta altresì il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento da
versarsi al Fondo di cui all’articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all’articolo 41, comma 1.

(1) Le parole: «in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo o comunque nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione
professionale, nelle condizioni compresa la retribuzione, nella progressione di carriera, nonchè in relazione alle forme pensionistiche complementari
collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252» sono state inserite dall’art. 1, comma 1, lett. aa), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(5) Le parole: «con le pene di cui all’articolo 650 del codice penale» sono state così sostituite dalle parole: «con l’ammenda fino a 50.000 euro o
l’arresto fino a sei mesi» dall’art. 1, comma 1, lett. aa), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) Le parole: «Il giudice adito» sono state così sostituite dalle attuali: «Il Tribunale in funzione di giudice del lavoro adito» dall’art. 3, comma 19 bis,
lett. a), dell’allegato 4 al D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, così come inserito dall’art. 1, comma 3, lett. a), n. 5), del D.L.vo 15 novembre 2011, n. 195.
(3) Le parole: «La tutela davanti al giudice amministrativo è disciplinata dall’articolo 119 del codice del processo amministrativo.» sono state aggiunte
dall’art. 3, comma 19 bis, lett. b), dell’allegato 4 al D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, così come inserito dall’art. 1, comma 3, lett. a), n. 5), del D.L.vo 15
novembre 2011, n. 195.
(4) Le parole: «sentenza di cui al comma 3» sono state così sostituite dalle attuali: «sentenza di cui al comma 3 e al comma 4» dall’art. 3, comma 19 bis,
lett. c), dell’allegato 4 al D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, così come inserito dall’art. 1, comma 3, lett. a), n. 5), del D.L.vo 15 novembre 2011, n. 195.



Art. 38. Provvedimento avverso le discriminazioni Legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n.
125, articolo 4, comma 13
1. Qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo o di cui

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all’articolo 11 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o comunque discriminazioni nell’accesso al lavoro, nella
promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonchè in relazione alle
forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, su ricorso del
lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del
diritto o dell’interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità della città metropolitana e dell’ente di area vasta
di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro
del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, [o il tribunale amministrativo regionale competente,] (1) nei due
giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso,
oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina
all’autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del
comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti ( 2) .
2. L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio
instaurato a norma del comma seguente.
3. Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che
decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di
procedura civile.
4. L’inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punita con
l’ammenda fino a 50.000 euro o l’arresto fino a sei mesi ( 3) .
5. La tutela davanti al giudice amministrativo è disciplinata dall’articolo 119 del codice del processo amministrativo (4) .
6. Ferma restando l’azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione
inpiduale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega da un’organizzazione sindacale, dalle
associazioni e dalle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, ( 5) o dalla consigliera o dal consigliere
della città metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale di parità.

(1) Le parole: «Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le disposizioni di cui all’articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui
all’articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, su ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali, associazioni e
organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso o della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente
competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato,» sono state così sostituite dalle parole
da: «Qualora ...», fino a: «... o il tribunale amministrativo regionale competente,» dall’art. 1, comma 1, lett. bb), n. 1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
Le parole: «o il tribunale amministrativo regionale competente,» sono state poi soppresse dall’art. 3, comma 19 bis, lett. d), dell’allegato 4 al D.L.vo 2
luglio 2010, n. 104, così come inserito dall’art. 1, comma 3, lett. a), n. 5), del D.L.vo 15 novembre 2011, n. 195.
(3) Le parole: «con le pene di cui all’articolo 650 del codice penale» sono state così sostituite dalle parole: «con l’ammenda fino a 50.000 euro o
l’arresto fino a sei mesi» dall’art. 1, comma 1, lett. bb), n. 2), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(5) Le parole: «, dalle associazioni e dalle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso,» sono state inserite dall’art. 1, comma 1, lett.
bb), n. 3), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) Comma così modificato dall’art. 8 quater, D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito in L. 6 giugno 2008, n. 101.
(4) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 3, comma 19 bis, lett. e), dell’allegato 4 al D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104, così come inserito dall’art. 1,
comma 3, lett. a), n. 5), del D.L.vo 15 novembre 2011, n. 195.



Art. 39. Ricorso in via d’urgenza Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14
1. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall’articolo 410 del codice di procedura civile o da altre
disposizioni di legge (1) non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.

(1) Le parole: «o da altre disposizioni di legge» sono state aggiunte dall’art. 39 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 40. Onere della prova Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6
1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai
regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai
licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti
discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.

Art. 41. Adempimenti amministrativi e sanzioni Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre
1977, n. 903, articolo 16, comma 1
1. Ogni accertamento di discriminazioni in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque
discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione

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professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme
pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, poste ( 1) in essere da
soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti
di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla
direzione della città metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 del lavoro territorialmente
competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi
adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di
recipa, possono decidere l’esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore
concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si applica anche quando
si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione della città
metropolitana e dell’ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 del lavoro comunica direttamente la
discriminazione accertata per l’adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel
caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.
1. (Omissis).
2. L’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, è punita con
l’ammenda da 250 euro a 1500 euro (2) (3) .

(1) Le parole: «Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi degli articoli 25 e 26, posti» sono state così sostituite dalle
parole da: «Ogni accertamento di discriminazioni» fino a: «di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, poste» dall’art. 1, comma 1, lett. cc), n.
1), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.
(2) Le parole: «da 103 euro a 516 euro» sono sostituite dalle seguenti: «da 250 euro a 1500 euro» dall’art. 1, comma 1, lett. cc), n. 2), del D.L.vo 25
gennaio 2010, n. 5.
(3) Questo reato è stato depenalizzato a norma dell’art. 1, comma 1, del D.L.vo 15 gennaio 2016, n. 8 (G.U. Serie gen. n. 17 del 22 gennaio 2016).
A norma del medesimo art. 1, comma 5, la sanzione amministrativa pecuniaria è ora così determinata nella somma da euro 5.000 ad euro 10.000.

Ai sensi dell’art. 8, del medesimo provvedimento, le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle
violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con
sentenza o con decreto penuti irrevocabili. Se i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua
entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non
è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni
dell’articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale. Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non può essere
applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del
criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente
decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.




Art. 41 bis. (1) Vittimizzazione
1. La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in
essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una
qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. dd), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.




                                  Capo IV
                                  Promozione
                               delle pari opportunità

Art. 42. Adozione e finalità delle azioni positive Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2
1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di
pari opportunità, nell’ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l’occupazione femminile e realizzate
l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
  a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di
  carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
  b) favorire la persificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l’orientamento scolastico e
  professionale e gli strumenti della formazione;

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  c) favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle
  lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
  d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti persi, a seconda del sesso, nei
  confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera ovvero nel
  trattamento economico e retributivo;
  e) promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono
  sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
  f) favorire, anche mediante una persa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio
  tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;
  f bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile (1) .

(1) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 1, comma 1, lett. ee), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.



Art. 43. Promozione delle azioni positive Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3
1. Le azioni positive di cui all’articolo 42 possono essere promosse dal Comitato di cui all’articolo 8 e dalle consigliere e
dai consiglieri di parità di cui all’articolo 12, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e
aziendale, comunque denominati, dai centri per l’impiego, ( 1) dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di
formazione professionale, delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze
sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all’articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165.

(1) Le parole: «dai centri per l’impiego,» sono state inserite dall’art. 40 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 44. (1) Finanziamento
1. Entro il termine indicato nel bando di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c), i datori di lavoro pubblici e privati, le
associazioni e le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all’attuazione di progetti di azioni
positive presentati in base al medesimo bando.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita la commissione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera d),
ammette i progetti di azioni positive al beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative
spese. L’attuazione dei progetti di cui al comma 1 deve comunque avere inizio entro due mesi dal rilascio
dell’autorizzazione.
3. I progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale hanno precedenza nell’accesso al beneficio di cui al comma 1.
4. L’accesso ai fondi dell’Unione europea destinati alla realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad
eccezione di quelli di cui all’articolo 45, è subordinato al parere del Comitato di cui all’articolo 8.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 41 del D.L.vo 14 settembre 2015, n. 151.



Art. 45. Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale Legge 10 aprile 1991, n.
125, articolo 3
1. Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell’obiettivo di cui all’articolo 42, comma 1,
autorizzati secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal
Fondo sociale europeo, è destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall’articolo 25 della stessa legge,
determinata annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell’obiettivo di cui all’articolo 42, comma 1, viene
accertata, entro il 31 marzo dell’anno in cui l’iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l’impiego.
Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all’articolo 8.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è ripartita tra le regioni in misura proporzionale all’ammontare dei
contributi richiesti per i progetti approvati.



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Art. 46. Rapporto sulla situazione del personale Legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4
1. Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cinquanta dipendenti (1) sono tenute a redigere un rapporto [almeno]
(2) ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato
di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri
fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e
pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
1 bis. Le aziende pubbliche e private che occupano fino a cinquanta dipendenti possono, su base volontaria, redigere il
rapporto di cui al comma 1 con le modalità previste dal presentearticolo (3) .
2. Il rapporto di cui al comma 1 è redatto in modalità esclusivamente telematica, attraverso la compilazione di un modello
pubblicato nel sito internet istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmesso alle rappresentanze
sindacali aziendali. La consigliera e il consigliere regionale di parità, che accedono attraverso un identificativo univoco ai
dati contenuti nei rapporti trasmessi dalle aziende aventi sede legale nel territorio di competenza, elaborano i relativi
risultati trasmettendoli alle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, alla consigliera o al consigliere nazionale
di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del
Consiglio dei ministri, all’Istituto nazionale di statistica e al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. L’accesso
attraverso l’identificativo univoco ai dati contenuti nei rapporti è consentito altresì alle consigliere e ai consiglieri di parità
delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, con riferimento alle aziende aventi
sede legale nei territori di rispettiva competenza. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblica, in un’apposita
sezione del proprio sito internet istituzionale, l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e l’elenco di quelle
che non lo hanno trasmesso (4) .
3. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente disposizione, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità, definisce, ai fini della
redazione del rapporto di cui al comma 1:
  a) le indicazioni per la redazione del rapporto, che deve in ogni caso indicare il numero dei lavoratori occupati di sesso
  femminile e di sesso maschile, il numero dei lavoratori di sesso femminile eventualmente in stato di gravidanza, il
  numero dei lavoratori di sesso femminile e maschile eventualmente assunti nel corso dell’anno, le differenze tra le
  retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun
  lavoratore occupato, anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo
  parziale, nonchè l’importo della retribuzione complessiva corrisposta, delle componenti accessorie del salario, delle
  indennità, anche collegate al risultato, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione
  che siano stati eventualmente riconosciuti a ciascun lavoratore. I dati di cui alla presente lettera non devono indicare
  l’identità del lavoratore, del quale deve essere specificato solo il sesso. I medesimi dati, sempre specificando il sesso
  dei lavoratori, possono altresì essere raggruppati per aree omogenee;
  b) l’obbligo di inserire nel rapporto informazioni e dati sui processi di selezione in fase di assunzione, sui processi di
  reclutamento, sulle procedure utilizzate per l’accesso alla qualificazione professionale e alla formazione manageriale,
  sugli strumenti e sulle misure resi disponibili per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sulla
  presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e sui criteri adottati per le
  progressioni di carriera;
  c) le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali dell’azienda interessata,
  nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria ai sensi del presente decreto ( 5) .
3 bis. Il decreto di cui al comma 3 definisce altresì le modalità di trasmissione alla consigliera o al consigliere nazionale di
parità, entro il 31 dicembre di ogni anno, dell’elenco, redatto su base regionale, delle aziende tenute all’obbligo di cui al
comma 1, nonchè le modalità di trasmissione alle consigliere e ai consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e
degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, degli elenchi riferiti ai rispettivi territori, entro il 31 dicembre
di ogni anno (6) .
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del
lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro sessanta giorni. In
caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo
1955, n. 520. Qualora l’inottemperanza si protragga per oltre dodici mesi, è disposta (7) la sospensione per un anno dei
benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.
4 bis. L’Ispettorato nazionale del lavoro, nell’ambito delle sue attività, verifica la veridicità dei rapporti di cui al comma 1.
Nel caso di rapporto mendace o incompleto si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro ( 8) .

(4) Questo comma è stato, da ultimo, così sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. c), della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(1) Le parole: «oltre cento dipendenti» sono state così sostituite dalle attuali: «oltre cinquanta dipendenti» dall’art. 3, comma 1, lett. a), della L. 5
novembre 2021, n. 162.
(2) La parola tra parentesi quadrate è stata soppressa dall’art. 3, comma 1, lett. a), della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(3) Questo comma è stato inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), della L. 5 novembre 2021, n. 162.

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(5) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. d), della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(6) Questo comma è stato inserito dall’art. 3, comma 1, lett. e), della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(7) Le parole: «Nei casi più gravi può essere disposta» sono state così sostituite dalle attuali: «Qualora l’inottemperanza si protragga per oltre dodici
mesi, è disposta» dall’art. 3, comma 1, lett. f), della L. 5 novembre 2021, n. 162.
(8) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. g), della L. 5 novembre 2021, n. 162.



Art. 46 bis. (1) Certificazione della parità di genere
1. A decorrere dal 1° gennaio 2022 è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le
misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il pario di genere in relazione alle opportunità di crescita in
azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della
maternità.
2. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per le pari opportunità,
di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti:
  a) i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere da parte delle aziende di cui
  all’articolo 46, commi 1 e 1 bis, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di
  progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riguardo ai lavoratori occupati di
  sesso femminile in stato di gravidanza;
  b) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero
  del lavoro e delle politiche sociali;
  c) le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità
  regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, nel controllo e nella
  verifica del rispetto dei parametri di cui alla lettera a);
  d) le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.
3. È istituito, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, un Comitato
tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese, costituito da rappresentanti del medesimo Dipartimento
per le pari opportunità, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico, delle
consigliere e dei consiglieri di parità, da rappresentanti sindacali e da esperti, inpiduati secondo modalità definite con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico.
4. Dall’istituzione e dal funzionamento del Comitato tecnico di cui al comma 3 non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica. Ai suoi componenti non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o
altri emolumenti comunque denominati.

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 4, comma 1, della L. 5 novembre 2021, n. 162.



Art. 47. Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all’attuazione di progetti di azioni positive Decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1
1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle pari
opportunità e su indicazione del Comitato di cui all’articolo 8, determina, con apposito decreto, eventuali modifiche nelle
modalità di presentazione delle richieste di cui all’articolo 45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di
erogazione, nonché nei requisiti di onorabilità che i soggetti richiedenti devono possedere.
2. La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme eventualmente
già riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui valutazione è
effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.

Art. 48. Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma
5
1. Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non
economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall’articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
ovvero, in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell’ambito del comparto e dell’area di interesse, sentito inoltre, in
relazione alla sfera operativa della rispettiva attività, il Comitato di cui all’articolo 10, e la consigliera o il consigliere
nazionale di parità, ovvero il Comitato per le pari opportunità eventualmente previsto dal contratto collettivo e la
consigliera o il consigliere di parità territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad

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assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari
opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l’altro, al fine di promuovere l’inserimento delle
donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera
d), favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un pario
fra generi non inferiore a due terzi.
A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione
professionale tra candidati di sesso perso, l’eventuale scelta del candidato di sesso maschile è accompagnata da
un’esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata triennale. In caso di mancato
adempimento si applica l’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 57, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 49. Azioni positive nel settore radiotelevisivo Legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11
1. La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale,
promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparità tra i due sessi in sede di assunzioni, organizzazione
e distribuzione del lavoro, nonché di assegnazione di posti di responsabilità.
2. I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e
femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della
remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II,
capo II.

Art. 50. Misure a sostegno della flessibilità di orario
1. Le misure a sostegno della flessibilità di orario, finalizzate a promuovere e incentivare forme di articolazione della
prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall’articolo 9 della legge 8 marzo
2000, n. 53.

Art. 50 bis. (1) Prevenzione delle discriminazioni
1. I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi, per
prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali nel luogo del lavoro,
nelle condizioni di lavoro, nonché nella formazione e crescita professionale .

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. gg), del D.L.vo 25 gennaio 2010, n. 5.




                                 Capo V
                               Tutela e sostegno
                             della maternità e paternità

Art. 51. Tutela e sostegno della maternità e paternità
1. La tutela ed il sostegno della maternità e paternità è disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

                                 Titolo II
                           Pari opportunità nell’esercizio
                             dell’attività d’impresa

                                 Capo I
                               Azioni positive
                           per l’imprenditoria femminile

Art. 52. Principi in materia di azioni positive per l’imprenditoria femminile Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo
1, commi 1 e 2
1. Il presente capo indica i principi generali volti a promuovere l’uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra uomini e

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donne nell’attività economica e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:
  a) favorire la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;
  b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici;
  c) agevolare l’accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;
  d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;
  e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più
  innovativi dei persi settori produttivi.

Art. 53. Principi in materia di beneficiari delle azioni positive Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1
1. I principi in materia di azioni positive per l’imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:
  a) le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 60 per cento da donne, le società di
  capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di
  amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, nonché le imprese inpiduali gestite da donne, che
  operino nei settori dell’industria, dell’artigianato, dell’agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;
  b) le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale anche a capitale misto
  pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale
  o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a
  donne.

Art. 54. Fondo nazionale per l’imprenditoria femminile Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1
1. A valere sulle disponibilità del Fondo, istituito con l’articolo 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 215, con
apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico, possono essere concesse ai
soggetti indicati all’articolo 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento anche
comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:
  a) per impianti ed attrezzature sostenute per l’avvio o per l’acquisto di attività commerciali e turistiche o di attività nel
  settore dell’industria, dell’artigianato, del commercio o dei servizi, nonché per i progetti aziendali connessi
  all’introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;
  b) per l’acquisizione di servizi destinati all’aumento della produttività, all’innovazione organizzativa, al trasferimento
  delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all’acquisizione di nuove tecniche di
  produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché per lo sviluppo di sistemi di qualità.
2. Ai soggetti di cui all’articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere concesse agevolazioni per le spese sostenute per le
attività ivi previste.

Art. 55. Relazione al Parlamento Legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11
1. Il Ministro dello sviluppo economico verifica lo stato di attuazione dei principi di cui al presente capo, presentando a
tale fine una relazione annuale al Parlamento.

                                Titolo II bis (1)
                               Parità di trattamento
                               tra uomini e donne
                               nell’accesso a beni
                              e servizi e loro fornitura

(1) Questo titolo è stato inserito dall’art. 1, del D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.


                                  Capo I
                            Nozioni di discriminazione
                           e pieto di discriminazione (1)

(1) Capo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.


Art. 55 bis. Nozioni di discriminazione (1)


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1. Sussiste discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, quando, a causa del suo sesso, una persona è trattata meno
favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga.
2. Sussiste discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio o una prassi
apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio
rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una
finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
3. Ogni trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternità costituisce discriminazione
diretta, ai sensi del presente titolo.
4. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie, ovvero quei comportamenti
indesiderati, fondati sul sesso, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona e la creazione di
un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
5. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie sessuali, ovvero quei
comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale, aventi come oggetto
o conseguenza la lesione della dignità di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile,
degradante, umiliante o offensivo.
6. L’ordine di discriminare persone direttamente o indirettamente a motivo del sesso è considerato una discriminazione, ai
sensi del presente titolo.
7. Non costituiscono discriminazione, ai sensi del presente titolo, le differenze di trattamento nella fornitura di beni e
servizi destinati esclusivamente o principalmente a persone di un solo sesso, qualora siano giustificate da finalità legittime
perseguite con mezzi appropriati e necessari.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.



Art. 55 ter. Divieto di discriminazione (1)
1. È vietata ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura.
2. Il pieto di cui al comma 1 si applica a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che sono a
disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell’area della vita privata e familiare e delle transazioni ivi
effettuate.
3. Sono escluse dall’ambito di applicazione del comma 1 le seguenti aree:
  a) impiego e occupazione, anche nell’ambito del lavoro autonomo nella misura in cui sia applicabile una persa
  disciplina;
  b) contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità;
  c) istruzione pubblica e privata.
4. Resta impregiudicata la libertà contrattuale delle parti, nella misura in cui la scelta del contraente non si basa sul sesso
della persona.
5. Sono impregiudicate le disposizioni più favorevoli sulla protezione della donna in relazione alla gravidanza e alla
maternità.
6. Il rifiuto delle molestie e delle molestie sessuali da parte della persona interessata o la sua sottomissione non possono
costituire fondamento per una decisione che interessi la medesima persona.
7. È altresì vietato ogni comportamento pregiudizievole posto in essere nei confronti della persona lesa da una
discriminazione diretta o indiretta, o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere
la parità di trattamento.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.



Art. 55 quater. Parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi e altri servizi finanziari (1)
1. Nei contratti conclusi per la prima volta a partire dal 21 dicembre 2012 ( 2) , il fatto di tenere conto del sesso quale
fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non può determinare differenze
nei premi e nelle prestazioni.
2. [Sono consentite differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni inpiduali ove il fattore sesso sia determinante
nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati] (3) . In ogni caso i costi inerenti alla
gravidanza e alla maternità non possono determinare differenze nei premi o nelle prestazioni inpiduali.
3. L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) vigila sul rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, avuto


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riguardo alla tutela degli assicurati nonchè alla competitività e al buon funzionamento del sistema assicurativo. L’IVASS
esercita altresì i suoi poteri ed effettua le attività necessarie al fine di garantire che le differenze nei premi o nelle
prestazioni, consentite per i contratti conclusi prima del 21 dicembre 2012, permangano a condizione che siano state
fondate su dati attuariali e statistici affidabili e che le basi tecniche non siano mutate ( 4) .
4. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, secondo periodo, ( 5) costituisce inosservanza al pieto di cui
all’articolo 55 ter.
5. L’IVASS (6) provvede allo svolgimento delle attività previste al comma 3 con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.
(2) Le parole: «stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto,» sono state così sostituite dalle attuali: «conclusi per la
prima volta a partire dal 21 dicembre 2012,» dall’art. 25, comma 1, lett. a), della L. 30 ottobre 2014, n. 161.
(3) Questo periodo è stato soppresso dall’art. 25, comma 1, lett. b), della l. 30 ottobre 2014, n. 161.
(4) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 25, comma 1, lett. c), della L. 30 ottobre 2014, n. 161.
(5) Le parole: «commi 1 e 2» sono state così sostituite dalle attuali: «commi 1, 2 e 3, secondo periodo,» dall’art. 25, comma 1, lett. d), della L. 30 ottobre
2014, n. 161.
(6) Le parole: «L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo» sono state così sostituite dalle attuali: «L’IVASS» dall’art.
25, comma 1, lett. e), della L. 30 ottobre 2014, n. 161.




                                  Capo II
                            Tutela giudiziaria dei diritti
                            in materia di accesso a beni
                             e servizi e loro fornitura

Art. 55 quinquies. (1) Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a beni e
servizi e loro fornitura
1. In caso di violazione dei pieti di cui all’articolo 55 ter, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per
domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione ( 2) .
2. Alle controversie previste dal presente articolo si applica l’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150
(3) .
3. Il presidente del Tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, omessa
ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione
indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto ( 4) .
4. Il giudice provvede con ordinanza, immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda ( 4) .
5. Nei casi di urgenza il giudice provvede con decreto motivato, immediatamente esecutivo, assunte, ove occorre,
sommarie informazioni. In tale caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a sè entro un
termine non superiore a quindici giorni, assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione
del ricorso e del decreto. A tale udienza, il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati
nel decreto (4) .
6. Contro l’ordinanza del giudice è ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale, di cui non può far parte il
giudice che ha emanato il provvedimento, nel termine di quindici giorni dalla notifica dello stesso. Si applicano, in quanto
compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile( 4) .
7. Con la decisione che definisce il giudizio, il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno,
anche non patrimoniale. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno, dei comportamenti di cui all’articolo 55
ter, comma 7 (4) .
8. In caso di accertata violazione del pieto di cui all’articolo 55 ter, da parte di soggetti pubblici o privati ai quali siano
stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di
appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, il giudice dà immediata comunicazione alle
amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione dei benefici, incluse le agevolazioni
finanziarie o creditizie, o dell’appalto. Tali amministrazioni o enti revocano i benefici e, nei casi più gravi, dispongono
l’esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero
da qualsiasi appalto.
9. Chiunque non ottempera o elude l’esecuzione di provvedimenti, persi dalla condanna al risarcimento del danno, resi
dal giudice nelle controversie previste dal presente articolo è punito con l’ammenda fino a 50.000 euro o l’arresto fino a tre
anni (5) .


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(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 34, comma 36, lett. a), del D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150. A norma dell’art. 36 del medesimo
provvedimento tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Le norme abrogate o
modificate dal medesimo decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso (G.U. Serie gen. – n. 220
del 21 settembre 2011).
(3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 34, comma 36, lett. b), del D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150. A norma dell’art. 36 del medesimo
provvedimento tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Le norme abrogate o
modificate dal medesimo decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso (G.U. Serie gen. – n. 220
del 21 settembre 2011).
(5) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 34, comma 36, lett. c), del D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150. A norma dell’art. 36 del medesimo
provvedimento tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Le norme abrogate o
modificate dal medesimo decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso (G.U. Serie gen. – n. 220
del 21 settembre 2011).
(4) Questo comma è stato abrogato dall’art. 34, comma 36, lett. d), del D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150. A norma dell’art. 36 del medesimo
provvedimento tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso. Le norme abrogate o
modificate dal medesimo decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore dello stesso (G.U. Serie gen. – n. 220
del 21 settembre 2011).



Art. 55 sexies. (1) Onere della prova
1. Quando il ricorrente, anche nei casi di cui all’articolo 55 septies, deduce in giudizio elementi di fatto idonei a presumere
la violazione del pieto di cui all’articolo 55 ter, spetta al convenuto l’onere di provare che non vi è stata la violazione del
medesimo pieto.

(1) Questo articolo, aggiunto dall’art. 1 del D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196, è stato abrogato dall’art. 34, comma 36, lett. e), del D.L.vo 1 settembre
2011, n. 150. A norma dell’art. 36 del medesimo provvedimento tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di
entrata in vigore dello stesso. Le norme abrogate o modificate dal medesimo decreto continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di
entrata in vigore dello stesso (G.U. Serie gen. – n. 220 del 21 settembre 2011).



Art. 55 septies. Legittimazione ad agire di associazioni ed enti
1. Sono legittimati ad agire ai sensi dell’articolo 55 quinquies in forza di delega rilasciata, a pena di nullità, per atto
pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le
associazioni e gli enti inseriti in apposito elenco approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua
delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, ed inpiduati
sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell’azione.
2. Qualora il soggetto pubblico o privato ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo
e non siano inpiduabili in modo immediato e diretto i soggetti lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato
dalle associazioni o gli enti rappresentativi dell’interesse leso di cui al comma 1.




                                 Capo III
                             Promozione della parità
                              di trattamento (1)

(1) Capo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.


Art. 55 octies. Promozione del principio di parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura (1)
1. Al fine di promuovere il principio della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura, il Ministro per
i diritti e le pari opportunità favorisce il dialogo con le associazioni, gli organismi e gli enti che hanno un legittimo
interesse alla rimozione delle discriminazioni, mediante consultazioni periodiche.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.



Art. 55 novies. Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura (1)

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1. I compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro
fornitura, senza discriminazioni fondate sul sesso, sono svolti dall’Ufficio di livello dirigenziale generale della Presidenza
del Consiglio dei Ministri — Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, inpiduato ai sensi del comma 4. Tale ufficio
svolge, in modo autonomo e imparziale, nel predetto ambito, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi
forma di discriminazione fondata sul sesso.
2. In particolare, i compiti attribuiti all’Ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:
  a) fornire un’assistenza indipendente alle persone lese dalla violazione del pieto di cui all’articolo 55 ter;
  b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell’autorità giudiziaria, inchieste indipendenti in materia al
  fine di verificare l’esistenza di fenomeni discriminatori;
  c) promuovere l’adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli enti di
  cui all’articolo 55-septies, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare il prodursi di
  discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura;
  d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di
  sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul principio della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro
  fornitura e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;
  e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a
  beni e servizi e loro fornitura, nonchè proposte di modifica della normativa vigente;
  f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull’effettiva applicazione del principio di parità di trattamento
  nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura e sull’efficacia dei meccanismi di tutela e una relazione annuale al
  Presidente del Consiglio dei Ministri sull’attività svolta;
  g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e
  gli enti di cui all’articolo 55-septies, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti
  specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.
3. L’Ufficio ha facoltà di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le informazioni e di
esibire i documenti utili ai fini dell’espletamento dei compiti di cui al comma 2.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità, da
adottarsi entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è inpiduato, nell’ambito di quelli
esistenti, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l’Ufficio di cui al comma 1.
5. L’Ufficio può avvalersi di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, in servizio presso il
Dipartimento, nonchè di esperti e consulenti esterni, nominati ai sensi della vigente normativa.
6. Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonchè
nei settori della lotta alle discriminazioni di genere, della comunicazione sociale e dell’analisi delle politiche pubbliche.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.



Art. 55 decies. Relazione alla Commissione europea (1)
1. Entro il 21 dicembre 2009 e successivamente ogni cinque anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri — Dipartimento
per i diritti e pari opportunità, trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative
all’applicazione del presente titolo.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1, D.L.vo 6 novembre 2007, n. 196.




                                 Libro IV
                               Pari opportunità
                              tra uomo e donna
                            nei rapporti civili e politici

                                 Titolo I
                           Pari opportunità nell’accesso
                             alle cariche elettive

                                   Capo I

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                             Elezione dei membri
                            del parlamento europeo

Art. 56. Pari opportunità nell’accesso alla carica di membro del Parlamento europeo Legge 8 aprile 2004, n. 90,
articolo 3
1. Nell’insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia, successive alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei
due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le
candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima.
2. Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al comma 1,
l’importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, è ridotto, fino ad un massimo della
metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito. Sono,
comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di
candidati di entrambi i sessi.
3. La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 è erogata ai partiti o gruppi politici organizzati
che abbiano avuto proclamata eletta, ai sensi dell’articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive
modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita in misura
proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.

Art. 57. Disposizioni abrogate
1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
  a) la legge 9 gennaio 1963, n. 7;
  b) l’articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;
  c) gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;
  d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;
  e) l’articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
  f) la legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell’articolo 11;
  g) la legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;
  h) l’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
  i) il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
  l) il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell’articolo 10, comma 4;
  m) il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;
  n) l’articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.

Art. 58. Disposizioni finanziarie
1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.




Data ultima modifica: 2021/11/19
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