Molestie sessuali: che fare? Una ricerca promossa dal CUG dell'Università di Trieste

Molestie sessuali:
che fare?
Una ricerca
promossa dal CUG
dell’Università
di Trieste
a cura di
Patrizia Romito
      UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE




                CUG
      Comitato unico di garanzia per le pari opportunità,
la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni
© copyright Edizioni Università di Trieste, Trieste 2019


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Impaginazione
Verena Papagno



ISBN 978-88-5511-084-6 (print)
ISBN 978-88-5511-085-3 (online)

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Molestie sessuali:
che fare?
Una ricerca
promossa dal CUG
dell’Università
di Trieste
a cura di
Patrizia Romito




EUT EDIZIONI UNIVERSITÀ DI TRIESTE
sommario



Prefazione
Saveria Capellari                                     9

Molestie sessuali all’università: breve storia di una ricerca
Patrizia Romito, Natalina Folla                              13



        Molestie sessuali negli ambienti di lavoro e di studio.
       Ricognizione della legislazione e delle linee di indirizzo
      italiane ed europee, della casistica, anche giurisprudenziale,
            e indagine delle prospettive di riforma
                    Sara Perini


Introduzione 19

Capitolo I
Origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                  23
1. Le molestie sessuali: un fenomeno poliedrico                      23
1.1. Le conseguenze delle molestie sessuali sulle vittime                 26
1.2. Le indagini statistiche sulle molestie sessuali sui luoghi di lavoro e di studio   26
2. La nozione di molestia sessuale nell’ordinamento europeo                28
2.1. La Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione CEE
    e il Codice di condotta                               30
2.2. L’arresto e la ripresa dell’iniziativa comunitaria:
    le direttive di seconda generazione                         31
2.3. L’Accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza
    sul luogo di lavoro                                 34
2.4. I recenti interventi comunitari in materia di molestie sessuali           35
3. Le molestie sessuali nel diritto antidiscriminatorio:
le discriminazioni dirette e indirette                          36
3.1. La definizione di molestie sessuali nel Codice delle Pari Opportunità        39
Capitolo II
Prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile         43
1. Il ruolo della contrattazione collettiva e dei Codici di condotta      43
2. Le figure della Consigliera di Parità e del/la Consigliere/a di Fiducia
  a confronto                                 46
3. Gli strumenti di tutela per le vittime di molestie sessuali
  sul lavoro: procedura informale e formale                  47
4. I Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità            49
5. Il risarcimento del danno e l’onere della prova               51
6. La valutazioni dei rischi lavorativi da molestie sessuali          55
7. Le ulteriori e recenti tutele contro le molestie sessuali          58

Capitolo III
Molestie sessuali e tutela penale                       61
1. La mancanza di una norma penale sulle molestie sessuali           61
2. Violenza sessuale                              62
3. Molestia o disturbo alle persone                      67
4. Ingiuria e diffamazione                           69
5. Violenza privata                              70
6. Minaccia                                  71
7. Atti persecutori                              72
8. Maltrattamenti contro familiari e conviventi                74

Capitolo IV
Prospettive di comparazione                          79
1. Le molestie sessuali nel diritto francese                  79
2. Gli ordinamenti di Common law:
  la disciplina delle molestie nel Regno Unito                82
2.1. …(segue) e negli Stati Uniti d’America                  83
3. La recente introduzione del delitto di molestie sessuali in Germania    84
4. La disciplina delle molestie sessuali in Svizzera              86
5. Il reato di molestie sessuali in Spagna                   88

Conclusioni 89
Bibliografia 92
           Le molestie sessuali nelle voci delle vittime.
               Una ricerca qualitativa
                 Federica Anastasia


1. Definizioni                                   101
2. Conseguenze                                   102
3. Frequenza                                    104
4. Le molestie sessuali in ambito universitario                   105
5. Riconoscere le molestie: un processo complesso                  107
6. La situazione in Italia: assenza di uno strumento legislativo
specifico in un contesto di discriminazione                    108
7. Ricerca e metodo                                 110
7.1. Obiettivi                                   110
7.2. Procedura                                   111
7.3. Strumenti                                   112
7.4. Campione                                   113
8. Risultati                                    113
8.1. Esperienze quotidiane: dalle molestie di genere alle aggressioni sessuali   113
8.2. Le reazioni alle molestie                           124
9. Discussione e conclusioni                            138

Bibliografia 142
Sitografia 144
Allegati                  145
Allegato 1 – Presentazione della Ricerca 145
Allegato 2 – Ricorsi 146
Prefazione




                                    saveria capellari




Il libro Molestie sessuali: che fare? è il risultato di una ricerca promossa dal Comita-
to Unico di Garanzia per le pari opportunità, il benessere di chi lavora e contro le
discriminazioni (CUG) dell’Università di Trieste nell’ambito delle azioni di con-
trasto di ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, che costituiscono il
cuore del suo mandato e di cui le molestie sessuali sono un’espressione.
   Il tema delle molestie sessuali, nello spazio pubblico e in quello domestico, ha
assunto negli ultimi anni una eco mediatica e un’importanza sempre maggiore,
grazie anche al lavoro di denuncia e critica portato avanti da persi attori sociali.
Se la consapevolezza di questo problema e la sua presenza nel dibattito pubblico
sono certamente indice di un progressivo cambiamento culturale, le difficoltà
nell’agire in modo sistematico ed efficace per raggiungere delle soluzioni con-
crete permangono. Ciò accade non solo perché molti paesi non hanno ancora svi-
luppato norme e strumenti legali sufficienti a contrastare il fenomeno e tutelare
le vittime ma anche perché il riconoscimento stesso della molestia sessuale in
quanto abuso nei confronti di un’altra persona è stato a lungo contrastato da una
cultura della tolleranza e della normalizzazione di tali comportamenti.
   Nessuna organizzazione, nemmeno l’Università, può considerarsi immune
dal problema delle molestie sessuali (si considerino i dati esposti nell’ Introdu-
zione) anche se la percezione del suo livello di gravità è fortemente condizionato
dalla riconosciuta difficoltà delle vittime a parlarne, per vergogna e timore di ri-



                                           9
torsioni, difficoltà che cominciano dallo stesso riconoscere la molestia come tale
(“naming “ si veda il saggio di Anastasia in questo volume).
   La questione delle molestie sessuali non ha una rilevanza solamente indi-
viduale bensì sistemica. Oltre all’evidente contenuto discriminatorio di per sé
iniquo, che infligge sofferenze, spesso gravi, alle vittime generando un danno le-
galmente riconosciuto (S. Perini, in questo volume), le molestie sessuali sui luo-
ghi di lavoro impongono dei costi rilevanti anche sull’organizzazione all’interno
della quale vengono agite, minandone l’efficienza (Basu K., Journal of Economic
Perspectives, 2003).
   Nel caso dell’Università, un’organizzazione articolata e complessa, è necessa-
rio considerare gli effetti e i costi imposti su persi piani al suo buon funziona-
mento: quando minano il benessere e l’efficienza organizzativa dell’amministra-
zione, quando contrastano una competizione aperta sul piano delle carriere nella
ricerca, quando vengono agite nei confronti delle studentesse e degli studenti
nella formazione.
   Se in tutti i casi le molestie determinano una produttività inferiore a quanto al-
trimenti possibile, nei campi dell’amministrazione e della ricerca, gli effetti negati-
vi sono ancora maggiori quando le molestie vengono agite nell’ambito del rappor-
to docente discente. Questo caso è particolarmente grave, perché l’Università viene
meno a uno dei compiti più delicati che essa riveste nella società: quello di garanti-
re la trasmissione del sapere all’interno di un rapporto che, sebbene asimmetrico,
non deve avere connotazioni ulteriori rispetto a quelle professionali e deve essere
fondato sul rispetto della dignità degli studenti. È quindi fondamentale contrasta-
re l’abuso di potere che può instaurarsi fra docenti, figure istituzionali e studenti.
   La molestia sessuale, tuttavia, non viene agita solo nell’ambito di un rapporto
di potere, ma può coinvolgere anche i pari, con il risultato, anche qui, di minare la
libertà delle persone, creando ambienti ostili nei confronti delle vittime (donne,
ma non solo) dell’Università con ovvie conseguenze negative. In particolare, con-
siderando gli studenti, può indurre le vittime ad abbandonare il corso di studi o
il percorso formativo che stavano intraprendendo contribuendo a fenomeni di
segregazione e minando, di fatto, il loro diritto allo studio.
   L’azione di contrasto parte anzitutto dal sostegno che le vittime possono trovare
all’interno dell’Università- vale la pena ricordare che in Ateneo è vigente, dal 2017,
un codice di comportamento per la prevenzione delle molestie-. Se il CUG rappre-
senta sempre un punto di riferimento per segnalare problemi di discriminazione,
diretta e indiretta-, la/il Consigliera/e di fiducia rappresenta la figura centrale alla
quale rivolgersi quando si venga fatti oggetto di molestie. La/il Consigliera/e nella
totale riservatezza, ha il compito di ascoltare, consigliare e promuovere soluzioni,
in accordo con la vittima e nel rispetto pieno della riservatezza (sostenendo il pro-
cesso di “claming” “blaming”, si veda Anastasia in questo volume).
   Come illustrato nel saggio di Perini gli strumenti di tutela sotto il profilo
disciplinare, e poi giuridico, ci sono, sia a livello civile che penale, sia pure in
quest’ultimo caso, meno diretti.



                                           10
  L’azione di contrasto richiede tuttavia un crescere nell’organizzazione univer-
sitaria della consapevolezza del problema a tutti i livelli, sino ai suoi vertici che
favorisca l’emergere di un clima di diffusa attenzione e condanna dei comporta-
menti molesti.
  Su tutti questi piani l’attenzione al problema e la promozione di azioni volte
ad affrontarlo continuerà ad essere per il CUG un impegno costante.
  Non si può non chiudere questo breve testo ricordando che l’Università, nel
suo ruolo di produzione di conoscenza scientifica, ha un’influenza fondamentale
nello sviluppo culturale della società nella sua interezza e che l’analisi e la com-
prensione del fenomeno sono una pietra miliare di un percorso evolutivo verso
relazioni interpersonali e sociali che trovino il loro fondamento nell’autodeter-
minazione e nella consensualità.




prefazione                                    11
Molestie sessuali
all’università:
breve storia
di una ricerca
                                          patrizia romito
                                           natalina folla




Le molestie sessuali sono un fenomeno frequente, che si tratti di “molestie di
genere”, di contatti fisici indesiderati o di ricatti sessuali. Come altre forme di
violenza, restano ancora oggi poco visibili: le vittime raramente ne parlano, per
vergogna, senso di colpa o paura di vendette e ritorsioni ma pagano un prezzo ele-
vato, in termini di salute e di compromissione del percorso lavorativo o di studi.
  Le molestie sessuali sono molto frequenti anche all’Università e coinvolgo-
no studentesse e studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo. Secondo
uno studio in otto università negli Stati Uniti, per esempio, il 14,6% degli stu-
denti, il 21,5% delle studentesse e il 48,6% di coloro che appartengono a una mi-
noranza sessuale (gay, lesbiche o transessuali) hanno subito molestie da parte di
docenti o personale amministrativo; le molestie da compagni/e sono ancora più
frequenti1. In un altro studio nelle facoltà di Medicina, avevano subito molestie
sessuali il 30% delle docenti e il 3% dei loro colleghi2.
  Queste e altre ricerche hanno avuto un ruolo importante nel promuovere la
consapevolezza sulle molestie e nel motivare interventi informativi e preventivi. È
un percorso intrapreso anche in Francia: in questo paese, l’ultima inchiesta nazio-
nale sulle violenze ha incluso una parte specifica sull’università; già da alcuni anni,

1 Wood, L. et al. (2018), Sexual Harassment at Institutions of Higher Education: Prevalence, Risk, and
Extent, in “Journal of Interpersonal Violence”, 1–25.
2 Carr, P. et al. (2000), Perception of gender discrimination and sexual harassment in academic
medicine, in “Annales of Internal Medicine”, 132:889-896.


                                                 13
inoltre, associazioni femministe con il sostegno del Ministero dell’Educazione na-
zionale, dell’insegnamento superiore e della ricerca hanno redatto un Vademecum
sul tema delle molestie sessuali nell’insegnamento superiore e nella ricerca3.
  In Italia la consapevolezza sociale sul tema delle molestie sessuali è ancora
scarsa: mancano ricerche, linee guida, interventi sistematici di prevenzione;
manca anche una definizione giuridica di cosa sono le molestie sessuali in am-
bito penale. Il tema è raramente affrontato nelle Università; quando scoppiano
casi, che riguardano generalmente molestie di docenti su studentesse, i media ne
mettono in luce gli aspetti scandalistici e li presentano come dei fatti eccezionali.
Il fenomeno tuttavia non solo è molto più diffuso ma è anche strutturale a quel
sistema fortemente gerarchico che è l’università.
  Per questi motivi, il Comitato Unico di Garanzia dell’Università di Trieste, nel
mandato 2014-2018, ha promosso una serie di attività volte a promuovere la con-
sapevolezza sul tema delle molestie sessuali, tra cui un seminario internazionale,
un intervento sulle molestie a un convegno di Ateneo sulla sicurezza sul lavo-
ro4 e vari incontri sul tema con studenti e studentesse. È stata anche promossa
(2017) una Rete del benessere, per coordinare le varie persone o organi attinenti
al tema: CUG, Consigliera di fiducia, Garante, Collegio di disciplina e Servizio psi-
cologico di Ateneo dell’Ardiss.
  Nel documento “Structural change in research institutions. Enhancing excellen-
ce, gender equality and efficiency in research and innovation (EU, 2012) vengono
delineati i tre passi necessari per contrastare le discriminazioni di genere e pro-
muovere le pari opportunità nelle università e negli istituti di ricerca: conoscere l’i-
stituzione; avere il sostegno dei massimi dirigenti; sviluppare e implementare delle
pratiche efficienti. Anche seguendo queste indicazioni, nel 2017 il CUG ha deciso,
con il pieno sostegno del Magnifico Rettore, di promuovere uno studio sul tema
delle molestie sessuali in Università, affidandone l’esecuzione a due giovani studio-
se: Sara Perini, giurista, per gli aspetti legislativi e Federica Anastasia, psicologa, per
gli aspetti psico-sociali, con la supervisione scientifica, rispettivamente, di Natalina
Folla e di Patrizia Romito. I risultati del lavoro sono presentati in questo volume.
  È interessante notare che, già nella sua fase preparatoria, la ricerca ha prodot-
to qualche cambiamento. Il progetto è stato inviato a tutti i Dipartimenti e pre-
sentato e discusso in alcuni Consigli di Dipartimento: grazie a questo lavoro di
informazione, sono emerse alcune sitauzioni di molestie. Alcuni casi inpiduali
sono stati indirizzati alla Consigliera di Fiducia; in un’altra situazione (2019), gra-
zie alla collaborazione fattiva con una docente, si è deciso di discutere del tema
(in maniera ovviamente generale) in un incontro di Dipartimento, con la presen-


3 “Le harcèlement sexuel dans l’enseignement supérieur et la recherche. Vade-mecum à l’usage
des établissements” (Cromer et al., 2017). L’AVFT ha pubblicato anche una bella guida per i
datori di lavoro: “Violences sexistes et sexuelles au travail. Guide à l’attention des employers
(Trosième Edition, 2018). Vedi contact@avft.org.
4 Rispettivamente: “Sconfiggere la violenza contro le donne: le molestie sessuali nei luoghi di
lavoro e di studio” (2016); “La sicurezza sul lavoro in una prospettiva di genere” (2018).


                                               14
za di studenti e studentesse, di alcuni docenti, di rappresentanti del CUG e della
Consigliera di fiducia. In questa occasione, è stato anche presentato il “Codice di
comportamento per la prevenzione delle molestie nei luoghi di lavoro e di studio
dell’Università di Trieste a tutela della dignità della persona”, uno strumento im-
portante ma ancora poco conosciuto e utilizzato in Ateneo.
  I risultati della ricerca sono stati poi presentati (2019) nel corso di un incontro
di formazione per il personale tecnico e amministrativo e docente, caratterizzato
da un elevato livello di attenzione e di partecipazione.
  Questi segnali ci hanno confortato sulla strategia da seguire: è evidente che
una maggiore informazione promuove la consapevolezza di cosa sono le mole-
stie sessuali e dei possibili ricorsi e quindi l’emersione del fenomeno. Ora è ne-
cessario che venga delineato con chiarezza un percorso chiaro e facilmente acces-
sibile per chi voglia segnalare un caso di molestia: è importante che si sappia con
chiarezza quali comportamenti sono inammissibili, quali i percorsi e i sostegni
per le vittime e quali le possibili sanzioni per i molestatori.
  Più in dettaglio, una sintesi dei passi necessari potrebbe essere la seguente5:
  −− conoscere la propria organizzazione: analizzare i dati disponibili (per
   esempio sull’assenteismo o le domande di trasferimento); condurre ricer-
   che esploratorie (per esempio con focus group); fare una mappatura delle
   situazioni di rischio;
  −− una forte ed esplicita “dichiarazione di intenti” da parte dei massimi re-
   sponsabili, il loro impegno concreto ad opporsi alle molestie;
  −− una chiara indicazione di cosa si intende per “molestie sessuali”, inclusi i
   riferimenti normativi e le sanzioni;
  −− un percorso trasparente e facilmente accessibile all’interno dell’organizza-
   zione per chi volesse denunciare: chi sono le persone di riferimento; chi
   prende le decisioni; quali sono le sanzioni per quali comportamenti; come
   viene tutelata la riservatezza;
  −− informazione e formazione: innanzitutto dei/delle dirigenti e poi di tut-
   to il personale; le formazioni vanno ripetute a intervalli regolari e devono
   prevedere uno spazio per la discussione e per il lavoro in piccoli gruppi;
  −− sensibilizzazione dei “testimoni”: è necessario sapersi opporre alle mole-
   stie sessuali anche se non ci riguardano direttamente;
  −− sostegno psico-sociale alle vittime, indipendentemente dal percorso scelto;
   eventualmente, oltre alle sanzioni, intervento educativo con i molestatori;
  −− monitoraggio della situazione, dei progressi, degli eventuali passi indietro.
L’augurio è questa ricerca promossa dal CUG rappresenti un elemento utile in un
percorso tanto urgente quanto necessario.


5 Le fonti principali sono: Hoel, H. & Vartia, M. (2018), Bullying and sexual harassment at the
workplace, in public spaces, and in political life in the EU, in http://www.europarl.europa.eu/
RegData/etudes/STUD/2018/604949/IPOL_STU(2018)604949_EN.pdf, e Promundo-US.
(2018), What We Know: An Evidence Review of What We Know About Sexual Harassment and Dating
Violence. Washington: DC: Promundo-US.


molestie sessuali all’università: breve storia di una ricerca                15
Molestie sessuali
negli ambienti di
lavoro e di studio
Ricognizione della legislazione e delle
linee di indirizzo italiane ed europee,
della casistica, anche giurisprudenziale,
e indagine delle prospettive di riforma

Sara Perini
Introduzione




Dopo anni di silenzio assordante, il vaso di Pandora delle molestie sessuali sui
luoghi di lavoro e dell’abuso di potere si è aperto scatenando il panico nel mondo
del cinema, dello sport, del giornalismo e della politica.
  Il caso di Harvey Weinstein, l’ex boss della Miramax Films, accusato di molestie
sessuali e stupri da decine di donne e attrici, e dopo il quale hanno alzato il velo le
campagne social #quellavoltache e #metoo, è stato solo il primo di una lunga serie
di denunce a tanti nomi noti.
  A finire nel centro dello scandalo per (presunti) abusi è stato anche l’ONU. Le
Nazioni Unite, infatti, dal 1° luglio al 30 settembre 2017 hanno ricevuto ben tren-
tun accuse di sfruttamento e abusi sessuali da parte di membri dello staff ONU,
di cui dodici solo nel corso del 2017.
  Ad essere coinvolto è stato anche il Parlamento inglese, dove è spuntato un
dossier su casi di abusi imputabili a uomini vicini all’attuale premier Theresa
May. A breve distanza è stato poi il turno di Bruxelles, con denuncia da parte di
due ministre svedesi delle molestie subite nel corso di summit europei.
  Le molestie sessuali costituiscono, pertanto, un fenomeno sociale e giuridico
complesso da analizzare, in quanto all’interno del luogo di lavoro, come vedremo,
comportamenti qualificati come molestie sessuali – quali battute a sfondo sessua-
le o inviti a cena tendenziosi – possono provenire tanto dai colleghi quanto dal da-
tore di lavoro e possono colpire sia le donne che gli uomini, anche se quest’ultima



                                          19
situazione accade meno frequentemente. Le molestie sessuali, peraltro, sono in
grado di condizionare la vita di chi le subisce e causare danni psicologici, oltre che
avere pesanti risvolti sulla vita personale e lavorativa delle vittime.
   Il primo capitolo verrà, quindi, dedicato ad inquadrare a livello normativo e a
definire giuridicamente il complesso fenomeno delle molestie sessuali nei luo-
ghi di studio e di lavoro.
   La rilevanza giuridica nei confronti degli atteggiamenti qualificati come mo-
lestie sessuali sui luoghi di lavoro ha preso le mosse in ambito europeo a partire
dagli anni ’80 e, grazie all’impulso decisivo delle istituzioni comunitarie, l’analisi
del fenomeno si è concentrata nell’ambito delle politiche di sviluppo della pari-
tà di trattamento e delle pari opportunità fra uomini e donne, prima attraverso
interventi di soft law e successivamente anche attraverso interventi di hard law.
   Tuttavia, tale presa di posizione da parte degli organi comunitari non ha tro-
vato subito riscontro da parte del legislatore nazionale. Gli Stati Membri, e in
particolar modo l’Italia, hanno rimesso alla giurisprudenza e alla contrattazione
collettiva il compito di colmare questo vuoto normativo.
   La contrattazione collettiva sviluppatasi per recepire la normativa europea
ha svolto un ruolo molto importante durante gli anni ‘90, mediante l’ideazione
di Codici di condotta, la diffusione di informazioni, la formazione e sensibiliz-
zazione sul tema delle molestie sessuali. Anche la giurisprudenza ha ricoperto
un ruolo di supplenza rispetto al legislatore, registrando così un attivismo giu-
diziario crescente in ordine alle tecniche di tutela del lavoratore, riuscendo a far
cristallizzare l’idea che la tolleranza nei confronti di episodi di molestie sessuali
abbia avuto un costo elevato in termini sociali ed economici.
   Oggi, invece, l’attenzione alla tematica delle molestie sessuali assume sempre
maggior rilievo poiché è strettamente legata alla tutela della dignità del lavoratore
e del benessere sui luoghi di lavoro. Le molestie sessuali, infatti, incidono sulla
serenità – anche professionale – e sulla salute del lavoratore e ciò ha comportato
l’estensione della responsabilità a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087
c.c. per inosservanza dell’obbligo di tutelare la sicurezza psico-fisica del lavoratore.
   Con il secondo capitolo si analizzeranno, quindi, gli strumenti di tutela e i
rimedi che può mettere in atto chi è vittima di molestie sessuali sul luogo di lavo-
ro, partendo dalle procedure informali e formali previste dai Codici di condotta,
dal ruolo di prevenzione e di assistenza ai lavoratori vittime di molestie sessuali
svolto dalla Consigliera di Parità, dal/la Consigliere/a di Fiducia e dal Comitato
Unico di Garanzia, per soffermarsi, poi, sulle perse forme di tutela giurisdizio-
nale che potranno essere perseguite sia attraverso gli strumenti giuslavoristici
sia attraverso quelli civili del risarcimento del danno.
   Nel terzo capitolo si affronteranno, invece, le problematiche relative alla co-
pertura penale delle molestie sessuali. In assenza di un reato specifico che puni-
sca il fenomeno, la giurisprudenza riconosce la rilevanza penale dei comporta-
menti sessualmente molesti e li riconduce ad altre figure di reato esistenti nel
nostro codice penale. Ci occuperemo, pertanto, di offrire una panoramica sull’o-



                                           20
perato dei giudici, analizzando i singoli reati ai quali solitamente la giurispru-
denza ricorre per garantire una copertura penale alle molestie sessuali.
  Da ultimo, il lavoro volgerà uno sguardo al panorama comparatistico europeo
e ai Paesi di common law, esaminando la posizione di vari Stati in merito ai profili
giuridici e di tutela delle molestie sessuali.




introduzione                                   21
Capitolo I
Origine ed evoluzione della
nozione di molestia sessuale




Sommario: 1. Le molestie sessuali: un fenomeno poliedrico – 1.1. Le conseguenze
delle molestie sessuali sulle vittime – 1.2. Le indagini statistiche sulle molestie
sessuali sui luoghi di lavoro e di studio - 2. La nozione di molestia sessuale nell’or-
dinamento europeo – 2.1. La Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione
CEE e il Codice di condotta – 2.2. L’arresto e la ripresa dell’iniziativa comunitaria:
le direttive di seconda generazione – 2.3. L’Accordo quadro europeo sulle mole-
stie e la violenza sul luogo di lavoro – 2.4. I recenti interventi comunitari in ma-
teria di molestie sessuali – 3. Le molestie sessuali nel diritto antidiscriminatorio:
le discriminazioni dirette e indirette – 3.1. La definizione di molestie sessuali nel
Codice delle Pari Opportunità.


1. Le molestie sessuali: un fenomeno poliedrico

Le molestie sessuali nei luoghi di lavoro e di studio, come spesso altre forme di
violenza contro le donne, sono rimaste a lungo invisibili, perché considerate
come “esagerate” o talmente “normali” da passare quasi inosservate1.



1 Si veda, Ricci O., Toglimi le mani di dosso, Milano, 2015.



                                          23
  È vero che un complimento pesante può essere, a seconda del punto di vista,
uno scherzo innocuo o un’offesa che umilia. Tuttavia, il tema delle molestie ses-
suali non deve essere considerato come una questione di punti di vista.
  Che le molestie sessuali siano un tema difficile, di problematica regolazione,
fatto di intrecci delicati che si muovono lungo un terreno scivoloso è ormai un
dato acquisito. Tutto sta nel riuscire a distinguere atteggiamenti che denotano
familiarità, attrazione, mutuo consenso da comportamenti che sono, invece, ses-
sualmente molesti. Lo ricorda bene l’Organizzazione internazionale del lavoro
(OIL) quando afferma che

  le molestie sessuali consistono spesso in atti indesiderati, non reciproci ed imposti
  che possono avere gravi conseguenze per le persone (che ne sono vittime). Le molestie
  sessuali possono includere toccamenti, sguardi, atteggiamenti, scherzi, linguaggio
  sessualmente allusivo, allusioni alla vita privata delle persone o al loro orientamento
  sessuale, insinuazioni con contenuti sessuali, commenti sull’aspetto fisico o sull’abbi-
  gliamento, il fissare insistentemente una persona o parti del suo corpo2.

Definire le molestie sessuali significa, infatti, tracciare un concetto generale ed
astratto in grado di accomunare condotte tra loro persissime, ma ugualmente
riprovevoli, senza tuttavia sconfinare negli eccessi opposti della vaghezza ovvero
della repressione a tutti i costi.
  Tra le prime a studiare le molestie sessuali è stata la psicologa statunitense
Louise Fitzgerald3, la quale ha inpiduato tre principali tipologie: le molestie di
genere4, l’attenzione sessuale indesiderata5 e la coercizione sessuale6.
  In relazione alla forme di manifestazione esteriore, le molestie sessuali sono
state, altresì, classificate in fisiche, verbali e non verbali7, e comprendono tutti
quegli atteggiamenti che enfatizzano «il ruolo della donna come oggetto sessua-
le piuttosto che come collega di lavoro»8.


2 Milczarek M., EU-OSHA, Workplace Violence and Harassment: A European Picture, Lussemburgo,
2010, cit. in Romito P., Le molestie sessuali sul luogo di lavoro e di studio, in Romito P., Folla N.,
Melato M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Roma,
2017, 268.
3 Fitzgerald L.F., Sexual Harassment: The Definition and Measurement of a Construct, in Paludi
M.A. (a cura di), Ivory Power: Sexual Harassment on Campus, Albany, 1990, 21-44, cit. in Romito P.,
Le molestie sessuali sul luogo di lavoro e di studio, cit., 267.
4 Le molestie di genere possono includere commenti offensivi sulle donne, osservazioni
inappropriate sull’aspetto fisico, allusioni sessuali ed esposizione di immagini pornografiche.
5 Ad esempio, proposte insistenti di appuntamenti, contatti fisici indesiderati e che provocano
disagio.
6 Nella presente categoria vi rientrano le minacce e i ricatti o le aggressioni sessuali.
7 Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, Padova, 2000, 42.
8 Rubenstein M., La dignità della donna nel mondo del lavoro. Rapporto sul problema della molestia
sessuale negli stati membri delle Comunità europee, Brussels-Luxembourg, 1988, 13.



                                                      24
  Nella prima categoria vengono inclusi tutti quei casi di contatto fisico indeside-
rato e sgradito da parte del soggetto che li riceve, nonché gli atti volgari e osceni: si
pensi, ad esempio, ai palpeggiamenti del corpo altrui, alle carezze, agli abbracci, ai
baci, fino ad arrivare, nei casi più gravi, alle vere e proprie violenze sessuali.
  Nella seconda categoria vengono, invece, ricondotte le avances pesanti e non
ricambiate, e le proposte indecenti, le domande sulla vita intima, gli apprezza-
menti allusivi, i doppi sensi sgraditi, le esternazioni volgari sull’aspetto, le te-
lefonate oscene e di minaccia, gli scherzi di cattivo gusto a sfondo sessuale, le
richieste di appuntamenti in presenza di inequivoche manifestazioni di volontà
contrarie da parte della vittima.
  Infine, al terzo gruppo appartengono tutta una serie di condotte tra loro ete-
rogenee che vanno dagli atti di esibizionismo, agli sguardi maliziosi, sino ad arri-
vare alla distribuzione o all’affissione in ufficio di immagini pornografiche.
  Le molestie sessuali possono presentare, come sopra accennato, una pluralità
di manifestazioni esteriori che si riconducono alla bipartizione tipologica tra ri-
catto sessuale e molestia ambientale9.
  In particolare, nel ricatto sessuale l’intenzione di compiere una molestia è ac-
compagnata dalla minaccia di precludere alla vittima determinate opportunità
lavorative o di infliggerle delle sanzioni punitive, come il licenziamento, il tra-
sferimento o il demansionamento. Pertanto, ciò che denota il ricatto sessuale è
l’uso della coercizione come strumento per modificare o determinare le condi-
zioni di impiego e, per tale motivo, è denominata anche molestia coercitiva.
  Viceversa, nell’ipotesi di molestia ambientale, la condotta del soggetto agente
ha l’effetto di rendere l’ambiente di lavoro ostile, umiliante e degradante per il
soggetto passivo, finendo per pregiudicare il rendimento lavorativo e l’integra-
zione produttiva.
  La differenza tra le due tipologie è alquanto marcata: mentre nel ricatto ses-
suale la molestia è intenzionale ed esiste un nesso causale tra il rifiuto della pro-
posta sessuale e la perdita o la minaccia di perdita di un beneficio lavorativo, nel-
la molestia ambientale l’intenzionalità non rileva ai fini della sussistenza della
fattispecie illecita, incentrata sul clima ostile ed umiliante creato dalla reiterata
violazione della sfera sessuale della vittima10.


9 Tale bipartizione trae origine dalla dottrina e dalla giurisprudenza statunitensi. Sul punto,
vedasi Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, cit., 45, il
quale sostiene come tale distinzione non sia esaustiva «poiché non coglie un ulteriore aspetto
della molestia sessuale che è quella della molestia fine a se stessa, perpetrata nei luoghi di lavoro
ma che non si traduce in alcuna contromisura ai danni della lavoratrice, non provoca alcun
atto ad incidenza diretta sullo svolgimento del rapporto di lavoro. La molestia cioè solitamente
realizzata dal compagno di lavoro, dal pari grado o addirittura dal sottoposto».
10 Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, cit., 44;
Brancadoro M.D. – Manassero C., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi nei processi per
molestie sessuali ed il ruolo della consigliera regionale di parità contro le discriminazioni di genere, in
Giur. merito, 2010, 2, 292; Lensi C., Le molestie negli ambienti di lavoro, in de Marzo G. (a cura di),
Codice delle pari opportunità, Milano, 2007, 184.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                   25
1.1. Le conseguenze delle molestie sessuali sulle vittime

Il fenomeno delle molestie sessuali è pentato un problema cronico che causa
seri danni psicologici nelle vittime. Infatti, come riporta anche la Raccomanda-
zione 92/131/CEE11, «le molestie sessuali guastano l’ambiente di lavoro e possono
compromettere con effetti devastanti la salute, la fiducia, il morale e le prestazio-
ni di coloro che le subiscono».
  Le vittime di molestie manifestano perse conseguenze negative: ansia, de-
pressione, disturbi del sonno, disturbi alimentari, disturbo post-traumatico da
stress, abuso di droghe e alcool12.
  Le molestie sessuali possono avere un effetto demoralizzante anche sulle la-
voratrici e sui lavoratori che, pur non essendo direttamente vittime del compor-
tamento umiliante e molesto, ne vengano a conoscenza o ne siano testimoni.
  Gli effetti negativi delle molestie sessuali, oltre ad inficiare l’efficienza e la
produttività lavorativa del singolo lavoratore, finiscono per riflettersi anche
sull’organizzazione aziendale, minando la capacità competitiva dell’azienda di
stare sul mercato13.
  L’impresa, infatti, subisce un costo considerevole nel caso in cui accetti l’e-
sistenza di tali pratiche: oltre al calo di produttività delle persone colpite, alla
perdita di motivazioni personali, all’assenteismo, alle assenze per malattia, al di-
sagio organizzativo conseguente all’eventuale trasferimento o licenziamento, ai
costi di selezione e formazione del nuovo personale, vi sono anche i risarcimenti
dei danni alle vittime ed il conseguente pagamento delle spese giudiziarie14.


1.2. Le indagini statistiche sulle molestie sessuali sui luoghi di lavoro e
di studio

Le molestie sessuali rappresentano un’esperienza pervasiva e comune per molte
donne nel mondo15.

11 Raccomandazione Commissione CEE 27 novembre 1991, n. 131, in G.U. CEE del 24 febbraio 1992.
12 Così, Romito P., Le molestie sessuali sul luogo di lavoro e di studio, cit., 270.
13 In tal senso, vedasi l’art. 1, paragrafo 7 del Codice di condotta sui provvedimenti da adottare
nella lotta contro le molestie sessuali, allegato alla Raccomandazione Commissione CEE
27 novembre 1991, n. 131, cit., il quale recita: «Anche i datori di lavoro si trovano a subire le
conseguenze avverse di abusi a sfondo sessuale. Vi è infatti un impatto diretto sulla reddittività
dell’impresa nel caso in cui il personale si assenti per malattia o si licenzi perché esposto a
molestie sessuali. Ne risente inoltre anche l’efficienza economica dell’impresa in cui si registra
un calo di produttività dei lavoratori costretti ad operare in un clima in cui non viene rispettata
l’integrità personale».
14 Sul punto, Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, cit., 24.
15 Sul punto si veda la ricerca condotta da WORLD Policy Analysis Center, Preventing gender-
based workplace discrimination and sexual harassment: new data on 193 countries, Los Angeles, 2017,



                                                       26
   Nell’indagine condotta dall’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fonda-
mentali (FRA)16 emerge che una donna su cinque ha subito molestie in forma di
contatto fisico, abbracci o baci indesiderati dopo i quindici anni e il 6% di tutte le
donne ha subito questo tipo di molestie almeno sei volte da quando aveva quin-
dici anni. Inoltre, il 32% delle donne che hanno subito molestie sessuali almeno
una volta nella vita dall’età di quindici anni ha indicato come autore della violen-
za un collega, un diretto superiore o un cliente.
   I risultati dell’indagine indicano, altresì, che le molestie sessuali contro le donne
coinvolgono persi autori e possono includere l’uso di nuove tecnologie. Una don-
na su dieci, infatti, ha subito avance inopportune su social network o ha ricevuto
messaggi di posta elettronica o sms sessualmente espliciti. Ovviamente, queste mo-
dalità di molestie sessuali colpiscono in misura sproporzionata le donne più giovani.
   Inoltre, dall’indagine è emerso che circa il 75% delle donne professioniste o che
si trovano ai più alti livelli manageriali ha subito molestie sessuali nel corso della
propria vita e, di queste donne, una su quattro ha dovuto far fronte a molestie ses-
suali nei dodici mesi precedenti l’indagine. Tale dato potrebbe trovare spiegazione
nel fatto che le donne appartenenti a questa categoria siano esposte ad ambienti di
lavoro e situazioni ad aumentato rischio di abuso e vi è la possibilità che le donne
professioniste siano più attente verso ciò che costituisce molestia sessuale.
   In Italia, la recente indagine condotta dall’Istat17 ha stimato in 8 milioni 816 mila
(il 43,6%) il numero delle donne dai 14 ai 65 anni che nel corso della loro vita hanno
subito qualche forma di molestia sessuale. In particolare, le forme di molestia su-
bite con più frequenza dalle donne sono quelle verbali (il 24%); seguono gli episodi
di pedinamento (il 20,3%), le molestie con contatto fisico contro la propria volontà
(il 15,9%), il 15,3% ha subito atti di esibizionismo, mentre le telefonate o i messaggi
osceni a sfondo sessuale hanno coinvolto il 10,5% delle donne. Sono diffuse anche
le molestie attraverso il web: nel corso della propria vita il 6,8% delle donne ha avu-
to proposte inappropriate o commenti osceni attraverso i social network18.
   Per la prima volta sono state rilevate le molestie sessuali anche ai danni degli
uomini: l’indagine ha stimato che 3 milioni 754 mila uomini (il 18,8%) le abbiano
subite nel corso della loro vita.


che ha sottolineato come in oltre un terzo dei 193 Stati del mondo presi in considerazione –
esattamente 68 – non esistono specifici pieti sugli abusi e le molestie sessuali sul lavoro,
lasciando pertanto 235 milioni di lavoratrici in pericolo e prive di alcune tutele.
16 FRA-Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali, Violenza contro le donne:
un’indagine a livello di Unione Europea. Panoramica dei risultati, Lussemburgo, 2014.
17 Istat, Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro, Anni 2015-2016, Roma, 2018, in www.istat.it.
18 Sul punto, cfr. Istat, Le molestie sessuali, Anni 2008-2009, Roma, 2010, in www.istat.it. In particolare,
considerando solo le tipologie di molestie sessuali rilevate anche nell’indagine del 2008-2009
(escluse, pertanto, le molestie attraverso il web), il fenomeno delle molestie sessuali risulta in
sensibile diminuzione. Nel loro insieme le molestie sessuali sulle donne risultano in costante
diminuzione dal 1997-1998 ad oggi. Diminuiscono le vittime di esibizionismo, di telefonate oscene,
di molestie fisiche e, anche se in misura minore, le vittime di pedinamenti e di molestie verbali.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                  27
  Con riferimento agli autori delle molestie, l’indagine evidenzia come essi
siano in larga prevalenza uomini: lo sono per il 97% delle vittime donne e per
l’85,4% delle vittime uomini.
  Per quanto riguarda le molestie sessuali perpetrate sui luoghi di lavoro, è stato
stimato che siano 1 milione 404 mila (l’8,9%) le donne che hanno subito molestie
fisiche o ricatti sessuali. Relativamente ai soli ricatti sessuali è stato stimato che, nel
corso della vita, 1 milione 173 mila donne (il 7,5%) ne sono state vittima per essere
assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni di carriera.
  Le molestie sessuali sono, altresì, molto frequenti anche in ambito universi-
tario. In una ricerca svolta in Italia mediante un questionario anonimo rivolto a
più di 600 studentesse universitarie è stato rilevato come una ragazza su tre ab-
bia sentito la pressione “a essere carina” all’esame per ottenere un voto migliore;
il 5% riporta allusioni di carattere sessuale in sede di esame e il 3% afferma di aver
subito un ricatto sessuale da parte di un docente19.


2. La nozione di molestia sessuale nell’ordinamento europeo

Il tema delle molestie sessuali non ha mai avuto una considerazione adeguata
alla gravità che lo caratterizza. Per lungo tempo, infatti, le molestie sessuali poste
in essere nei luoghi di lavoro sono state per lo più ritenute
  «una naturale e quasi inevitabile conseguenza della subordinazione gerar-
chica, della dipendenza economica e della posizione di inferiorità delle donne
nel mercato del lavoro»20.
  Fino alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, il tema delle molestie ses-
suali sul luogo di lavoro è stato caratterizzato da un vuoto legislativo, al quale si è
iniziato a porre rimedio solo su impulso del legislatore europeo.
  Risale, infatti, al 1984 la Raccomandazione emanata dal Consiglio europeo af-
finché gli Stati membri eliminassero o, quantomeno, compensassero

  gli effetti negativi derivanti, per le donne che lavorano o ricercano un lavoro, da atteg-
  giamenti, comportamenti e strutture basati su una pisione tradizionale dei ruoli,
  all’interno della società, tra uomini e donne,

nonché adottassero, proseguissero ed incoraggiassero misure atte a favorire

  il rispetto della dignità delle donne sul luogo di lavoro21.



19 Così, Santinello M., Vieno A., La prevalenza delle molestie sessuali tra le studentesse
dell’Università: quale connessione con le norme sociali?, in “Risorsa Uomo”, 2004, 10, 317-329.
20 Lanotte M., Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Torino, 1998, 125.
21 Raccomandazione Consiglio CEE 13 dicembre 1984, n. 635, in G.U. CEE n. L. 331 del 19
dicembre 1984.



                                              28
Il primo atto comunitario che evidenzia l’esistenza di un problema di tutela della
dignità delle donne e degli uomini sul lavoro è la Risoluzione del Parlamento eu-
ropeo sulla violenza contro le donne dell’11 giugno 1986.
  In particolare, il Parlamento europeo ha invitato le autorità nazionali a cerca-
re di pervenire ad una definizione giuridica di molestia sessuale ed ha invitato i
governi degli Sati membri, le commissioni per l’uguaglianza delle opportunità e
i sindacati a svolgere concertate campagne di informazione volte a creare un’a-
deguata consapevolezza dei diritti inpiduali di tutti i lavoratori, raccoman-
dando, altresì,

  di considerare le molestie sessuali sul luogo di lavoro insieme come dispregio della
  dignità della persona e violazione del principio della parità di opportunità nella vita
  professionale in vista dell’elaborazione di precisi codici di condotta per difendere le
  vittime di tali molestie e per imporre adeguate sanzioni a quanti sfruttano le possibi-
  lità offerte da un ambiente di lavoro per abusare di impiegate e colleghe22.

Inoltre, il Parlamento europeo con la summenzionata Risoluzione ha incarica-
to un comitato di esperti di elaborare un rapporto sul fenomeno delle molestie
negli Stati membri. È stato quindi presentato il Rapporto Rubenstein che ha evi-
denziato la necessità di intervenire non solo sul piano sanzionatorio, ma anche
a livello di prevenzione, attraverso un intervento legislativo che riconoscesse la
molestia sessuale quale comportamento lesivo dei diritti della persona23.
  Sulla scia della Risoluzione del Parlamento europeo, il Consiglio CEE approva
due anni dopo una Risoluzione, nella quale veniva espressamente affermato che

  ogni comportamento a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di comportamento,
  basato sul sesso, compreso quello dei superiori e colleghi, che offenda la dignità degli
  uomini e delle donne nel mondo del lavoro è inaccettabile se: siffatti comportamenti
  siano indesiderati, irragionevoli ed offensivi per le persone che li subiscono; il rifiuto
  o l’accettazione da parte di una persona di siffatti comportamenti dei datori di lavoro
  (compresi i superiori o i colleghi) vengano utilizzati esplicitamente o implicitamente
  per motivare una decisione inerente all’accesso alla formazione professionale, l’assun-
  zione di un lavoratore, al mantenimento del posto di lavoro, alla promozione, alla re-
  tribuzione o a qualsiasi altra decisione inerente all’occupazione; e/o siffatti comporta-
  menti creino un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante per chi li subisca24.




22 Risoluzione Parlamento europeo 11 giugno 1986, in G.U. CEE, n. C 176 del 14 luglio 1986.
23 Rubenstein M., La dignità della donna nel mondo del lavoro. Rapporto sul problema della
molestia sessuale negli stati membri delle Comunità europee, cit., il cui rapporto ha rivelato come
le categorie più esposte fossero le donne in stato di porzio e di separazione, le più giovani e
le nuove assunte, le donne non tutelato da un contratto di lavoro regolare e fisso, le lavoratrici
che svolgevano professioni non specificamente femminili, quelle affette da menomazioni
o appartenenti a minoranze razziali. Anche gli omosessuali e gli uomini in giovane età
rientravano tra le categorie facilmente esposte a molestie sessuali.
24 Risoluzione Consiglio CEE 29 maggio 1990, in G.U. CEE, n. 157 del 27 giugno 1990.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale             29
2.1. La Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione CEE e il Codice di
condotta

Fondamentale importanza in materia ha avuto la successiva Raccomandazione
92/131/CEE della Commissione CEE sulla tutela della dignità delle donne e degli
uomini sul lavoro, nella quale, dopo aver ribadito che
   «ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro
tipo di comportamento basato sul sesso, compreso quello di superiori e colleghi,
che offenda la dignità degli uomini e delle donne sul lavoro è inammissibile e
in determinate circostanze può essere contrario al principio di parità di tratta-
mento ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del
9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio di parità di trattamento fra
le donne e gli uomini per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione e la
promozione professionali e le condizioni di lavoro»25,
   all’art. 1 si raccomandava, quindi, agli Stati membri l’adozione di misure
idonee a promuovere la consapevolezza che qualsiasi comportamento a conno-
tazione sessuale o altro tipo di comportamento basato sul sesso dovesse essere
considerato inammissibile se: (i) indesiderato, sconveniente o offensivo per la
persona che lo subisce; (ii) il suo rigetto o la sua accettazione venissero assunti
esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro o dai dipendenti a motivo di
decisioni inerenti all’accesso alla formazione, all’assunzione, al mantenimento
del posto di lavoro o di qualsiasi altra decisione attinente all’impiego; (iii) creasse
un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante.
   Con la medesima Raccomandazione si auspicava, pertanto, che gli Stati mem-
bri si adoperassero affinché nel settore pubblico venisse attuato il Codice di con-
dotta sui provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali, allega-
to alla Raccomandazione stessa, e che ciò potesse fungere da esempio nel settore
privato. Gli Stati membri venivano altresì invitati a incoraggiare i datori di lavoro
e i rappresentanti dei lavoratori a definire provvedimenti volti all’attuazione del
Codice di condotta.
   La Raccomandazione e il Codice di condotta allegato hanno assunto un ruolo
determinante poiché contengono una precisa ed articolata definizione di mole-
stia sessuale.

  Per molestia sessuale s’intende ogni comportamento indesiderato a connotazione ses-
  suale o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso che offenda la dignità
  degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti malaccetti
  di tipo fisico, verbale o non verbale.
  Pertanto, per definire la molestia sessuale va presa in considerazione tutta una serie
  di atteggiamenti persi. Essa penta inaccettabile qualora siffatti comportamenti si-
  ano indesiderati, sconvenienti e offensivi per coloro che li subiscono; qualora il rifiuto
  o l’accettazione della persona interessata di siffatti comportamenti vengano assunti

25 Raccomandazione della Commissione, del 27 novembre 1991, sulla tutela della dignità delle
donne e degli uomini sul lavoro, in G.U. CEE, n. L. 049 del 24 febbraio 1992.



                                             30
  esplicitamente o implicitamente dai datori di lavoro o lavoratori (superiori e colleghi
  inclusi) a motivo di decisioni inerenti all’accesso alla formazione professionale, all’as-
  sunzione di un lavoratore, al mantenimento del posto di lavoro, alla promozione, alla
  retribuzione o a qualsiasi altra decisione attinente all’occupazione e/o siffatti compor-
  tamenti creino un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o umiliante26.

Fondamentale il successivo passaggio del Codice di condotta, secondo il quale

  la caratteristica essenziale dell’abuso a sfondo sessuale sta nel fatto che si tratta di un
  atto indesiderato da parte di chi lo subisce e che spetta al singolo inpiduo stabilire
  quale comportamento egli possa tollerare e quale sia da considerarsi offensivo. Una
  semplice attenzione a sfondo sessuale penta molestia quando si persiste in un com-
  portamento ritenuto da chi è oggetto di tali attenzioni palesemente offensivo. È la na-
  tura indesiderata della molestia sessuale che la distingue dal comportamento amiche-
  vole, che invece è benaccetto e reciproco27.

La nozione di molestia sessuale elaborata dalla Commissione CEE è stata, tutta-
via, oggetto di forti critiche provenienti da una parte della dottrina italiana, in
quanto la soluzione accolta

  appare viziata da un eccessivo soggettivismo che rischia di incrinare comportamenti
  del tutto inoffensivi, ma percepiti come ingiuriosi a causa di una ipersensibilità della
  vittima28.



2.2. L’arresto e la ripresa dell’iniziativa comunitaria: le direttive di seconda
generazione

Questa prima fase degli interventi comunitari in materia è stata caratterizza-
ta, da un lato, dalla raggiunta presa di coscienza dell’illegittimità del fenomeno
delle molestie sessuali e della necessità di una presa di posizione di condanna
da parte dell’ordinamento giuridico; dall’altro, dalla convinzione secondo cui sia
sufficiente che il sistema comunitario svolga un ruolo di promozione dell’azione
legislativa da intraprendersi poi da parte dei singoli Stati membri, senza ricorre-
re a normative di immediata vincolatività29.
  Conclusa, pertanto, questa fase di costruzione di un modello regolativo di
soft law di riferimento per le legislazioni nazionali, l’iniziativa comunitaria si è



26 Art. 2 del Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le
molestie sessuali, allegato alla Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione, cit.
27 Art. 2 del Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le
molestie sessuali, cit.
28 Lanotte M., Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, cit., 125.
29 Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di tutela, cit., 56.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                   31
arrestata in attesa della risposta degli ordinamenti degli Stati membri, i quali,
tuttavia, sono rimasti inerti.
  Tale situazione di empasse ha indotto sia il Consiglio che la Commissione a
prendere atto della necessità di adottare uno strumento normativo dotato di
maggiore forza coercitiva e capacità armonizzatrice. Così, il Consiglio, nel quar-
to programma d’azione sulle pari opportunità uomo-donna (1996-2000)30 ha
menzionato fra i principali obiettivi la lotta alle molestie sessuali attraverso l’e-
manazione di una direttiva ad hoc, che recuperi le indicazioni contenute nella
Raccomandazione 92/131/CEE; la Commissione ha raccolto prontamente l’invito,
avviando la consultazione delle parti sociali in vista del raggiungimento di un
accordo collettivo europeo da recepire all’interno di una direttiva31.
  Nonostante gli ostacoli e le resistenze incontrare, a causa del parziale disinte-
resse delle organizzazioni sindacali e della mancanza di disponibilità al dialogo,
dall’altro, la Commissione, nel suo programma sociale per il biennio 1998-200032,
ha continuato a ribadire la necessità di sviluppare azioni a difesa delle donne, fra cui
quella relativa alle molestie sessuali e nella successiva Relazione al Consiglio, al Par-
lamento europeo, al Comitato economico sociale e al Comitato delle Regioni sulle
pari opportunità per le donne e gli uomini nell’Unione Europea relativa al 1999, ha
affermato che l’anno successivo sarebbe stato un anno di rafforzamento della poli-
tica comunitaria sull’uguaglianza di genere e che sarebbe stata emanata una nuova
direttiva contenente nuove disposizioni sulle molestie sessuali sul posto di lavoro33.
  A fronte dell’inerzia degli Stati membri, l’Unione Europea ha dunque deciso
di emanare nel 2000 due direttive volte a rafforzare le tutele contro le discrimi-
nazioni e ad attuare il principio di parità di trattamento – la Direttiva 2000/43/
CE34 e la Direttiva 2000/78/CE35 – con le quali le molestie sono state inquadrate,
per la prima volta, all’interno degli atti discriminatori, stabilendo che:

  Le molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo 1, una discriminazione in caso
  di comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente


30 Consiglio, Quarto programma d’azione sulle pari opportunità per le donne e gli uomini 1996-2000,
in G.U. CEE n. L335 del 30 dicembre 1995.
31 Più approfonditamente, si veda Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica
e tecniche di tutela, cit., 58 ss.
32 Commissione, Programma di azione sociale 1998-2000, 29 aprile 1998, COM (1998), 259 def.
33 Commissione, Relazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico sociale e al
Comitato delle Regioni sulle pari opportunità per le donne e gli uomini nell’Unione Europea 1999, 8
marzo 2000, COM (2000), 123 def.
34 Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità
di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in G.U. CE n.
L180, 19 luglio 2000.
35 Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale
per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in G.U. CE n.
L303, 2 dicembre 2000.



                                                 32
  lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio,
  ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di molestia
  può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri36.

Tuttavia, entrambe le direttive non prendono in considerazione le molestie ses-
suali, né danno una definizione precisa di molestie, limitandosi a considerarle
come una discriminazione qualora assumano determinate caratteristiche37.
  Successivamente, con la Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 settembre 2002 – sostituita poi dalla Direttiva 2006/54/CE38 –
oltre alla modifica della Direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazio-
ne del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto
riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le
condizioni di lavoro, vennero delineate fondamentali affermazioni di principio,
a cominciare dall’affermazione secondo cui

  il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione
  fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento
  allo stato matrimoniale o di famiglia39.

La Direttiva 2002/73/CE, all’art. 2, punto 3, afferma, altresì, che

  le molestie o le molestie sessuali, ai sensi della presente direttiva, sono considerate
  discriminazioni fondate sul sesso e sono pertanto vietate.
  Il rifiuto di, o la sottomissione a, tali comportamenti da parte di una persona non pos-
  sono essere utilizzati per prendere una decisione riguardo a detta persona.

La Direttiva, pertanto, fornisce delle definizioni specifiche di molestie e molestie
sessuali. In particolare, l’art. 2, al punto 2, delinea il concetto di molestie come la


36 Così, l’art. 2, paragrafo 3, della Direttiva 2000/43/CE, cit. Simmetricamente, l’art. 2, paragrafo 3,
della Direttiva 2000/78/CE afferma che: «Le molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo
1, una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per uno dei motivi
di cui all’articolo 1 avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un
clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di
molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri».
37 Sul punto, si veda De Simone G., Le molestie di genere e le molestie sessuali dopo la direttiva CE
2002/73, in Riv. it. dir. lav., 3, 2004, 399, il quale ha sostenuto che entrambe le suddette direttive
«sono state dunque ancora timide e hanno ancora una volta seguito la strada da tempo
imboccata dai vari atti comunitari non vincolanti che avevano tentato, senza apprezzabili
risultati, di indurre i Legislatori nazionali ad adottare nozioni omogenee di molestie sessuali».
38 Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante
l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e
donne in materia di occupazione e impiego, in G.U. CE n. L. 204, 26 luglio 2006.
39 Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che
modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità
di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione
e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, in G.U. CE n. L269, 5 ottobre 2002.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                33
  situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di
  una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona e di creare
  un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo

e di molestie sessuali come la

  situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione
  sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di
  violare la dignità di una persona, in particolare creando un clima intimidatorio, ostile,
  degradante, umiliante o offensivo.

Siamo dunque in presenza di due distinte tipologie di molestie: nella prima, il ses-
so assume il ruolo di movente della condotta, mentre nella seconda sono le moda-
lità di realizzazione di quest’ultima ad incidere sulla sfera sessuale della vittima.


2.3. L’Accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro

Significativo nel panorama giuridico comunitario è da considerarsi, altresì, l’Ac-
cordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro siglato il
26 aprile 2007 dalle parti sociali, in particolare dalle associazioni nazionali dei
sindacati (ETUC-CES), delle grandi imprese (BUSINESS EUROPE), delle imprese
medio-piccole (UEAPME) e delle aziende pubbliche (CEEP)40.
  L’obiettivo specifico dell’accordo consiste nel sensibilizzare i datori di lavoro, i
lavoratori e i loro rappresentanti sul problema delle molestie e della violenza sul
luogo di lavoro e nel fornire esempi di azioni concrete per inpiduare, prevenire
e gestire le situazioni che potrebbero verificarsi all’interno del luogo di lavoro.
  In particolare, l’accordo inpidua le molestie come

  l’espressione di comportamenti inaccettabili di uno o più inpidui e possono assume-
  re varie forme, alcune delle quali sono più facilmente identificabili di altre. L’ambiente
  di lavoro può influire sull’esposizione delle persone alle molestie e alle violenze. Le
  molestie avvengono quando uno o più lavoratori o dirigenti sono ripetutamente e de-
  liberatamente maltrattati, minacciati e/o umiliati in circostanze connesse al lavoro41.

Con tale accordo le parti sociali condannano ogni forma di molestia sul posto di
lavoro e inpiduano le differenti forme in cui le molestie possono presentarsi.
Queste, infatti, possono essere di natura fisica, psicologica e/o sessuale, costi-
tuire episodi isolati o comportamenti più sistematici, avvenire tra colleghi, tra
superiori e subordinati o da parte di terzi. Tali comportamenti possano riguarda-


40 Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro, 26 aprile 2007, allegato
alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, 8 novembre
2007, COM (2007) 686 def.
41 Art. 3 dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro, cit.



                                              34
re ogni categoria di lavoratore, a prescindere dalle dimensioni aziendali o dalla
forma contrattuale42.
  Inoltre, si ribadisce l’obbligo per i datori di lavoro di proteggere i propri la-
voratori da queste situazioni e si stabilisce che le imprese dovranno attuare una
politica di “tolleranza zero” verso tali comportamenti, inpiduando le procedure
più idonee a gestire eventuali situazioni delicate.
  L’accordo prevede, altresì, che le aziende elaborino una dichiarazione per af-
fermare la non tollerabilità di comportamenti riferiti a molestie o violenza, sta-
bilendo che quest’ultima possa includere una fase informale di risoluzione della
questione43.
  Infine, l’accordo dispone che i datori di lavoro possano adottare sanzioni di-
sciplinari nei confronti dell’autore della molestia e che la vittima dovrà essere
sostenuta ed assistita nel corso del processo di reinserimento44.
  L’accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro è
stato recepito, nel nostro Paese, il 25 gennaio 2016 mediante un’intesa siglata da
Confindustria ed i sindacati CGIL, CISL e UIL45.


2.4. I recenti interventi comunitari in materia di molestie sessuali

Un richiamo espresso alle molestie sessuali è contenuto nella Convenzione sulla
prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica –
meglio nota come Convenzione di Istanbul – adottata dal Consiglio d’Europa l’11
maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 201446.
   La Convenzione, siglata da 44 Stati parte del Consiglio d’Europa e dall’Unione
Europea – che l’ha firmata il 13 giugno 2017 – e ratificata da 27 Stati, tra i quali
l’Italia con Legge 27 giugno 2013, n. 77, è il primo strumento internazionale giuri-
dicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle
donne contro qualsiasi forma di violenza.



42 Art. 1 dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro, cit.
43 Art. 4 dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro, cit.
44 Art. 4 dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro, cit.
45 Confindustria, CGIL, CISL, UIL, Recepimento dell’Accordo quadro europeo sulle molestie e la
violenza nei luoghi di lavoro, 25 gennaio 2016, in www.cisl.it. Inoltre, Confindustria Friuli Venezia
Giulia e CGIL, CISL e UIL del Friuli Venezia Giulia, alla presenza della Consigliera Regionale di
Parità del Friuli Venezia Giulia, hanno siglato, in data 17 dicembre 2018, un accordo regionale
per il contrasto alle molestie e alla violenza nei luoghi di lavoro. In questo modo le principali
parti sociali del Friuli Venezia Giulia si sono allineate all’Accordo quadro europeo del 26 aprile
2007 e hanno dato seguito all’Accordo nazionale tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL del 2016. Si
veda, sul punto, Ganz. B., Accordo regionale anti molestie e violenza nei luoghi di lavoro per le aziende
del Friuli Venezia Giulia, in www.barbaraganz.blog.ilsole24ore.com, 17 dicembre 2018.
46 Per il testo integrale della Convenzione di Istanbul si veda il sito www.coe.int/conventionviolence.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                35
  In particolare, l’art. 40 della Convenzione stabilisce che:

  le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qual-
  siasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura
  sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente
  quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umilian-
  te o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali.

Più di recente, il 26 ottobre 2017, è stata approvata dal Parlamento europeo la Ri-
soluzione sulla lotta alle molestie e agli abusi sessuali nell’Unione Europea.
  La Risoluzione, arrivata dopo lo scandalo di molestie che ha fatto tremare anche
il Parlamento europeo, adotta una politica di “tolleranza zero”, condannando fer-
mamente qualsiasi forma di violenza sessuale o di molestia fisica o psicologica47.
  Il Parlamento europeo, in particolare, invita la Commissione a proporre una
strategia a livello europeo che preveda norme vincolanti per proteggere le don-
ne e le ragazze da violenza, molestie e abusi sessuali48. Per combattere gli abusi
servono, inoltre, campagne di sensibilizzazione, unite a misure per affrontare il
fatto che, spesso, le molestie non vengono denunciate, soprattutto dalle persone
più vulnerabili49.
  Il Parlamento europeo invita, infine, il Presidente e l’amministrazione del
Parlamento ad esaminare con urgenza le recenti accuse di molestie e abusi ses-
suali, ad introdurre corsi di formazione obbligatori per tutto il personale e per i
deputati sul rispetto e la dignità sul lavoro, a tenere un registro riservato dei casi
segnalati, ad istituire una task force di esperti indipendenti a cui conferire il man-
dato di analizzare la situazione delle molestie sessuali e degli abusi sessuale in
seno al Parlamento, nonché a migliorare le procedure e il sostegno per le vittime
sia nei procedimenti interni al Parlamento che presso la polizia locale50.


3. Le molestie sessuali nel diritto antidiscriminatorio: le discriminazioni
dirette e indirette

L’adempimento agli obblighi di adeguamento del diritto interno al diritto comu-
nitario ha condotto ad una riscrittura delle definizioni di discriminazione. Il re-
cepimento delle direttive comunitarie “di seconda generazione” si è compiuto in


47 Art. 1 della Risoluzione del Parlamento europeo sulla lotta alle molestie e agli abusi sessuali
nell’UE, 26 ottobre 2017, in www.europarl.europa.eu.
48 Si veda l’art. 11 della Risoluzione del Parlamento europeo sulla lotta alle molestie e agli abusi
sessuali nell’UE, cit.
49 Art. 14 della Risoluzione del Parlamento europeo sulla lotta alle molestie e agli abusi sessuali
nell’UE, cit.
50 Così, l’art. 17 della Risoluzione del Parlamento europeo sulla lotta alle molestie e agli abusi
sessuali nell’UE, cit.



                                                36
due fasi distinte: con i D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 21551 e 21652 sono state recepite le
Direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE relative a discriminazioni fondate, rispetti-
vamente, sulla razza e l’origine etnica, la prima e sulla religione, le convinzioni
personali, l’handicap, l’età e l’orientamento sessuale la seconda; con il D.Lgs. 30
maggio 2005, n. 14553 è stata, invece, recepita la Direttiva 2002/73/CE che ha no-
vellato la Direttiva 76/207/CEE relativa alle discriminazioni di genere.
  Il D.lgs. n. 145/2005, integrante le disposizioni già vigenti in materia di attua-
zione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne e di pro-
mozione della parità attraverso azioni positive, per quanto riguarda l’accesso al
lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro,
con particolare riferimento alla L. 9 dicembre 1977, n. 903 ed alla L. 10 aprile 1991,
n. 125, è stato poi trasfuso nel D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, ossia il Codice delle
pari opportunità tra uomo e donna54.
  I testi sopra richiamati distinguono le discriminazioni in due perse cate-
gorie: le discriminazioni dirette e le discriminazioni indirette, fornendone una
precisa definizione55.
  È presente una discriminazione diretta quando

  Per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto
  sia, sia stata o sarebbe stata un’altra in situazione analoga56

oppure quando

  per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento ses-
  suale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
  stata un’altra in situazione analoga57.


51 D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento
tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in G.U. 12 agosto 2003, n. 186.
52 D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento
in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in G.U. 13 agosto 2003, n. 187.
53 D. Lgs. 9 luglio 2005, n. 145, Attuazione della direttiva 2002/73/CE per la parità di trattamento
tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla
promozione professionale e le condizioni di lavoro, in G.U. 27 luglio 2005, n. 173.
54 D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma
dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, in G.U. 31 maggio 2006, n. 125-133.
55 Per un approfondimento sul nuovo diritto antidiscriminatorio si vedano Tarquini
E., Le discriminazioni sul lavoro e la tutela giudiziale, Milano, 2015; Giubboni S.-Borelli S.,
Discriminazioni, molestie, mobbing, in Marazza M. (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione,
vol. IV, tomo II, Padova, 2012, 1819; Corazza L., Mobbing e discriminazioni, in Pedrazzoli M.
(diretto da), Vessazioni e angherie sul lavoro. Tutele, responsabilità e danni nel mobbing, Bologna, 2007,
81; Barbera M., “Il nuovo diritto antidiscriminatorio: innovazione e continuità”, in Barbera M.
(a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Milano, 2007.
56 Così, art. 2 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, cit.
57 Art. 2 del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, cit.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                 37
E infine

  Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o
  comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici
  o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole
  rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga58.

Le discriminazioni dirette comprendono, pertanto, quei trattamenti differenzia-
ti che colpiscono il singolo inpiduo e che sono basati su condizioni soggettive
(sesso, razza, lingua, età, religione), privi, quindi, di qualsiasi altra giustificazio-
ne e, perciò, contrari al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
  Le discriminazioni indirette, invece, si hanno quando

  una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento appa-
  rentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine
  etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone59

oppure quando

  una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento appa-
  rentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata reli-
  gione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una
  particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantag-
  gio rispetto ad altre persone60.

E da ultimo

  Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione,
  un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri
  mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di
  particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso61.

Le discriminazioni indirette sono quelle attuate sul piano collettivo, quindi com-
portamenti apparentemente neutri ma che, di fatto, hanno l’effetto di svantag-
giare particolari categorie di persone senza alcuna giustificazione.
  Un altro testo contenente norme antidiscriminatorie è lo Statuto dei Lavora-
tori, il quale vieta l’esercizio arbitrario dei poteri datoriali, sancendo la nullità di
ogni atto o patto volto a ledere la posizione del lavoratore per motivi sindacali o




58 Così, art. 25 del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle Pari Opportunità), cit.
59 Art. 2 del D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, cit.
60 Così, art. 2 del D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, cit.
61 Art. 25 del D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle Pari Opportunità), cit.



                                              38
legati al sesso, politica, religione, razza, lingua, handicap, età, convinzioni perso-
nali e orientamento sessuale62.


3.1. La definizione di molestie sessuali nel Codice delle Pari Opportunità

La novità più rilevante introdotta dal nuovo diritto antidiscriminatorio è data
dall’equiparazione alle discriminazione delle molestie.
  In relazione alla nozione di molestia, il D.Lgs. n. 145/2005, i cui contenuti
sono poi rifluiti nel D.Lgs. n. 198/2006, prevede all’art. 26, comma 1, che

  sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamen-
  ti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto
  di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimida-
  torio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

I D.Lgs. n. 215/2003 e n. 216/2003 forniscono una definizione secondo la quale

  Sono altresì considerate come discriminazioni […] anche le molestie ovvero quei com-
  portamenti indesiderati, posti in essere per [motivi di razza, origine etnica, religio-
  ne, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale], aventi lo scopo o
  l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile,
  degradante, umiliante o [e] offensivo.

  Da ultimo la L. n. 67/200663 dà conto che

  Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie ovvero quei comporta-
  menti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la
  dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimida-
  zione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.

Il panorama si completa con la definizione di molestia sessuale contenuta all’art.
26, comma 2, del Codice delle Pari Opportunità:

  sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei com-
  portamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o
  non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un la-
  voratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Con l’entrata in vigore del Codice delle Pari Opportunità, la nozione di molestie
e molestie sessuali mantiene, pertanto, una sua peculiare struttura che la distin-
gue dalle altre forme di discriminazione, ferma restando, tuttavia, l’applicazione

62 Si veda l’art. 15, L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), così come modificato
dall’art. 13, L. 9 dicembre 1977, n. 903 e dall’art. 4, comma 1, D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 216.
63 Legge 1 marzo 2006, n. 67, Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità
vittime di discriminazioni, in G.U. 6 marzo 2006, n. 54.



capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale            39
dell’intera disciplina sanzionatoria e protettiva prevista per le discriminazioni64.
La particolare specificità delle molestie e delle molestie sessuali viene in rilievo,
nello specifico, nel momento in cui ci si pone l’obiettivo di spiegare se esse consi-
stono in una discriminazione diretta o indiretta.
In tal senso, appare immediato il collegamento con la discriminazione diretta,
poiché quest’ultima si caratterizza per il fatto di far derivare la violazione della
norma da una condotta di per sé lesiva. Tuttavia, è stato sostenuto che

  si può parlare di discriminazione solo quando la differenza di trattamento è prodotta
  rispetto a situazioni comparabili e giudicate simili, oppure quando a situazioni ogget-
  tivamente perse è praticato un trattamento identico65.

Nelle discriminazioni dirette66 il miglior trattamento riservato ad altri soggetti
costituisce uno degli elementi della fattispecie, mentre nelle molestie e nelle mo-
lestie sessuali, da un punto di vista fattuale, non viene in rilievo un trattamento
penalizzante nei confronti di un lavoratore accompagnato da un trattamento di
favore riservato a un lavoratore dell’altro sesso.
  Le molestie sono vietate dall’ordinamento giuridico in quanto lesive della di-
gnità dei soggetti che ne sono vittime e, per questo, a differenza di quanto avviene
per le discriminazioni, non è necessario ricercare un termine di comparazione; il
legislatore, infatti, ha escluso il richiamo al tertium comparationis – il trattamento di
maggior favore riservato al lavoratore dell’altro sesso – ed ha previsto unicamente
la rilevanza per la vittima dell’indesideratezza della condotta del soggetto agente.
  Analogo discorso va fatto per le discriminazioni indirette67, nelle quali ven-
gono ricompresi tutti quei trattamenti formalmente neutri da cui derivano con-
seguenze diseguali e pregiudizievoli per omessa considerazione delle disparità
fattuali esistenti tra gruppi sociali persi. Tale neutralità dei trattamenti mal si
concilia, tuttavia, con l’indesideratezza del comportamento molesto.
  Si ritiene, quindi, che le molestie e le moleste sessuali non vadano ricondotte
né alla nozione di discriminazione diretta né a quella indiretta, ma alle stesse
sono equiparate solamente ai fini dell’estensione delle tutele.
  Passando all’analisi delle espressioni utilizzate dal legislatore nelle nozioni
di molestie sessuali viene subito in rilievo la definizione delle medesime come
«comportamenti indesiderati»68.

64 Sul punto, Lazzeroni L., “Molestie e molestie sessuali: nozioni, regole e confini”, in Barbera
M., Il nuovo diritto antidiscriminatorio: il quadro comunitario e nazionale, Milano, 2007, 379-421.
65 Favilli C., “La nozione di discriminazione fra normativa comunitaria e leggi italiane”, in De
Marzo G. (a cura di), Il codice delle pari opportunità, Milano, 2007, 138. Si veda, altresì, Bruni M.,
“Molestie e molestie sessuali sotto l’ombrello della tutela del diritto antidiscriminatorio”, in De
Marzo G.-Capponi M. (a cura di), Contrastare le discriminazioni, Firenze, 2011.
66 Si veda l’art. 25 del D.Lgs. n. 198/2006, cit.
67 Per la nozione si veda sempre l’art. 25 del D.Lgs. n. 198/2006, cit.
68 Si precisa che in dottrina è stata ritenuta opportuna la scelta del legislatore di non tipizzare i
comportamenti indesiderati, così da non restringere troppo il campo di azione delle fattispecie.


                                                 40
  In primo luogo, occorre precisare che il legislatore ha utilizzato tale espressio-
ne con l’effetto di far ritenere non necessarie indagini probatorie sulle modalità
di estrinsecazione del comportamento da parte dell’offensore69.
  Quanto invece alle caratteristiche della indesideratezza, le molestie sessuali,
contrariamente alle molestie tout court, hanno una «connotazione sessuale» e
non una «connessione con il sesso». Questo significa che la qualificazione del
comportamento molesto è il risultato di un’operazione di inpiduazione della
motivazione del comportamento stesso che si fonda sulla differenza di genere
tra due soggetti, oppure in quella di razza, etnia, religione, handicap, etc., mentre
il comportamento sessualmente molesto – quindi a connotazione sessuale – è il
risultato di una qualificazione che viene data, non alle ragioni del comportamen-
to, bensì al comportamento stesso, finalizzato a ledere un diritto che trova diretto
collegamento con la sessualità della vittima70.
  La predetta persificazione fa sì che chiunque intenda agire in giudizio per
denunciare un caso di molestia sessuale debba provare solo l’indesideratezza
dell’atto, dato che è il comportamento stesso ad avere intrinsecamente una carat-
terizzazione di tipo sessuale che lo rende capace di intaccare una certa sfera del
soggetto destinatario della condotta.
  Pertanto, nel caso di molestie tout court il fattore differenziale serve ad indi-
viduare le ragioni del comportamento, mentre nel caso delle molestie sessuali
serve a qualificare e connotare i comportamenti che integrano la fattispecie.
  Inoltre, il legislatore persifica la molestia sessuale dalla semplice mole-
stia introducendo alcune altre modalità di estrinsecazione del comportamento:
«comportamenti espressi in forma fisica, verbale o non verbale»71.
  Tolte le descritte differenze tra le nozioni di molestia e di molestia sessuale, le
definizioni fornite nei tre decreti legislativi si connotano per il fatto di riprodur-
re pedissequamente la stessa espressione in virtù della quale i comportamenti
indesiderati devono avere, innanzitutto, «lo scopo o l’effetto di violare la digni-
tà» di una lavoratrice o di un lavoratore nel caso di molestie di genere o sessuali,


Sulla “indesideratezza”, si veda Scarponi S., “Le molestie sessuali sul luogo di lavoro: verso
nuove tecniche di tutela della dignità della lavoratrice”, in Cadoppi A. (a cura di), Commentario
delle norme contro la violenza sessuale, Padova, 1996, 466.
69 Ovviamente, riguardo alla portata della maggiore o minore indesideratezza, gravità ed
offensività dell’una o dell’altra forma di molestia sessuale, il tutto non potrà che costituire oggetto
di apposite indagini peritali, anche finalizzate alla successiva quantificazione del danno.
70 Per la dottrina che ha posto in evidenza questo dato differenzia, si veda, tra gli altri, Izzi D.,
Eguaglianza e differenze nei rapporti di lavoro: il diritto antidiscriminatorio tra genere e fattori di rischio
emergenti, Napoli, 2005, 191.
71 Lazzeroni L, Molestie e molestie sessuali: nozioni, regole, confini, cit., 390, la quale precisa che
«“espressi in forma fisica” si riferisce a comportamenti che creano, tra la vittima e l’offensore,
un contatto diretto più o meno incisivo o prolungato nel tempo, in ciò distinguendosi da
quelli posti in essere “in forma non verbale” i quali, pur rappresentandosi come esternazioni
o intrusioni fisiche, non realizzano un rapporto tattile fra vittima e offensore. Più immediato
definire i comportamenti “espressi in forma verbale” ovvero mediante l’uso del linguaggio».


capitolo i – origine ed evoluzione della nozione di molestia sessuale                   41
ovvero di una persona negli altri casi e, inoltre, di «creare un clima intimidato-
rio, ostile, degradante, umiliante e/o offensivo».
  Il legislatore, pertanto, non si è accontentato della sola indesideratezza del
comportamento, ma ha imposto, come dati di riscontro oggettivi o comunque
oggettivabili, la violazione della dignità e la creazione di un ben determinato cli-
ma lavorativo.
  In proposito, se da un lato tali elementi di oggettivazione del comportamen-
to servono a correggere l’eccessiva soggettivazione dell’indesideratezza, dall’altro
vanno a limitare il campo di azione della molestia e della molestia sessuale, che
nei fatti possono essere riconosciute come tali se conducono alla compromissione
di beni giuridici predefiniti, cioè la dignità e la vivibilità del contesto ambientale
di riferimento. La violazione della dignità e la creazione di un clima intimidatorio
vanno quindi ad oggettivizzare un concetto, quello di indesideratezza, che sareb-
be altrimenti scevro da valutazioni oggettivistiche, anche in sede processuale72.




72 Sul punto si veda Sella M., “I danni morali”, in Cendon P. (a cura di), Il diritto italiano nella
giurisprudenza, Milano, 2013, 140, il quale afferma: «Il mantenimento della forte connotazione
soggettiva della definizione di molestia – caratterizzata dalla percezione in termini di
indesideratezza del comportamento da parte della vittima – ha sollevato più di qualche
perplessità in relazione al rischio di attribuire rilevanza giuridica a comportamenti pressoché
innocui o scherzosi amplificati nel loro effetto da una particolare ipersensibilità della vittima
medesima. Tuttavia, occorre a tal proposito considerare che la normativa prevede, accanto
al rilievo soggettivo attribuito dalla vittima alla condotta, o che quest’ultima sia connotata
da un dolo specifico, vale a dire la volontà di violare la dignità della lavoratrice o creare una
determinata situazione ambientale, ovvero che tale ne sia l’effetto. Il rischio di ampliare
eccessivamente la gamma delle condotte giuridicamente rilevanti, dunque, appare scongiurato
proprio dall’ulteriore valutazione che deve essere operata in relazione all’elemento soggettivo
che ha sorretto il comportamento dell’autore delle medesime ovvero all’effetto concreto che
queste sono state in grado di produrre».



                                                42
Capitolo II
Prevenzione delle
molestie sessuali
sul lavoro e tutela civile



Sommario: 1. Il ruolo della contrattazione collettiva e dei Codici di condotta – 2. Le
figure della Consigliera di Parità e del/la Consigliere/a di Fiducia a confronto - 3. Gli
strumenti di tutela per le vittime di molestie sessuali sul lavoro: procedura infor-
male e formale – 4. I Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità – 5. Il risar-
cimento del danno e l’onere della prova – 6. La valutazione dei rischi lavorativi da
molestie sessuali – 7. Le ulteriori e recenti tutele contro le molestie sessuali.


1. Il ruolo della contrattazione collettiva e dei Codici di condotta


Nella lotta alle molestie sessuali si inserisce l’azione della contrattazione collet-
tiva, che si è mostrata, sin dagli anni novanta, più sensibile al fenomeno rispetto
al nostro Legislatore. Nel corso di quegli anni, infatti, inizia a svilupparsi una
certa consapevolezza attorno al tema delle pari opportunità tra uomo e donna e
circa l’opportunità di adottare nella prassi contrattuale collettiva previsioni volte
a contrastare il fenomeno delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro.
  La definizione di molestie sessuali viene introdotta nella contrattazione col-
lettiva italiana, per la prima volta, nel Contratto nazionale dei metalmeccanici nel
19901. Da allora la tematica delle molestie sessuali ha trovato sempre più spesso

1 CCNL Metalmeccanici – Industria, 14 dicembre 1990, in www.olympus.uniurb.it.


                                           43
cittadinanza nel panorama contrattuale italiano, anche se persi contratti han-
no finito per affrontare l’argomento nell’ambito di temi più ampi quali quelli del-
le norme comportamentali e dei doveri del dipendente, della difesa della dignità
della persona e dei codici disciplinari per il settore pubblico. Inoltre, nei contratti
collettivi di lavoro si passa da pure e semplici dichiarazioni di principio, che si
limitano a stigmatizzare comportamenti offensivi della dignità delle lavoratrici
e dei lavoratori, a più puntuali richiami alla normativa comunitaria, fino ad arri-
vare, per il settore del Pubblico impiego, all’adozione di un vero e proprio Codice
di condotta contro le molestie sessuali2.
  Nel complesso, comunque, il ruolo svolto dalle parti sociali durante gli anni
novanta non ha rivestito l’importanza che avrebbe dovuto ricoprire nella lotta
alle molestie, poiché nella maggior parte dei casi si è trattato di mere dichiarazio-
ni di principio volte a ribadire la necessità di un ambiente sicuro, ma rimaste poi
prive di concreta attuazione.
  Il formale riconoscimento del ruolo della contrattazione collettiva nonché
delle politiche di prevenzione delle molestie si è avuto grazie all’introduzione
nel Codice delle pari opportunità, da parte del D.Lgs. n. 5/2010, dell’art. 50-bis, il
quale stabilisce che

  I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di con-
  dotta, linee guida e buone prassi, per prevenire tutte le forme di discriminazione ses-
  suale e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali nel luogo di lavoro, nelle con-
  dizioni di lavoro, nonché nella formazione e crescita professionale.

L’esperienza più significativa e che ha permesso l’accelerazione nell’affrontare il
problema delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro è stata quella della società
italo-svedese Electrolux Zanussi, la quale ha dato inizio alla stagione dei Codici
di condotta contrattati nati dalla collaborazione tra operatori privati, pubblici e
organizzazioni sindacali.
  L’Electrolux Zanussi, in tale ambito, ha segnato un punto fermo ed altamente
innovativo, dal momento che è stata la prima azienda privata in Italia ad adot-
tare un Codice contro le molestie sessuali, denominato “Codice di Condotta per
la tutela della dignità delle donne e degli uomini in azienda”, entrato in vigore
il 21 luglio 1997 ed allegato al Testo Unico sul Sistema di Relazioni Sindacali e
di Partecipazione nel Gruppo Electrolux-Zanussi approvato dalla società e dalle
organizzazioni sindacali3.
  Il Codice adottato dalla Electrolux-Zanussi ha rappresentato, in quegli anni,
un modello unico nel panorama contrattuale di livello aziendale e la novità prin-


2 Sul punto, si veda Pizzoferrato A., Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di
tutela, cit., 216 ss.
3 Cazzaniga P., Un codice esemplare: i comportamenti delle persone nelle imprese non vanno
sottovalutati. Il caso del Codice di condotta per la tutela della dignità delle donne e degli uomini nelle
aziende del Gruppo Zanussi, 10 marzo 1998, in www.online.cisl.it.



                                                   44
cipale era racchiusa nella dichiarazione di principio contenuta nell’art. 1, con
cui le parti si impegnavano nella lotta alle molestie sessuali e si impegnavano
ad adottare tutte le iniziative necessarie alla prevenzione e alla rimozione di tali
comportamenti. Nel caso si fossero verificati casi di molestie sessuali, le parti si
impegnavano a fornire un’assistenza tempestiva, adeguata e imparziale a coloro
che ne fossero state vittime, nel rispetto della riservatezza dei soggetti coinvolti e
tutelando il soggetto denunciante e chiunque desiderasse rendere testimonian-
za da eventuali atti di ritorsione diretta o indiretta.
  La tematica delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro è stata affrontata negli
ultimi anni dalla contrattazione collettiva anche grazie all’entrata in vigore del
Codice delle pari opportunità che ha espressamente inpiduato i Codici di con-
dotta come gli strumenti più importanti per risolvere e prevenire le molestie sui
luoghi di lavoro. Nei contratti collettivi più recenti si è assistito all’adozione di
appositi articoli all’interno degli stessi contratti collettivi oppure all’adozione di
Codici di condotta allegati ai summenzionati contratti.
  Un esempio del primo approccio è il CCNL Commercio 2015-20174, il quale
colloca la tutela contro le molestie sessuali nella sezione seconda dedicata alla
“Tutela della Salute e della Dignità della Persona” e, nello specifico, all’art. 36, il
quale sancisce che

  Le parti si danno atto che con la presente disciplina sono recepiti i principi a cui si
  ispira il “Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le
  molestie sessuali” allegato alla Raccomandazione della Commissione Europea del 27
  novembre 1991, come modificato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 sulla tu-
  tela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro. Il codice si prefigge l’obiettivo
  della prevenzione delle molestie a sfondo sessuale sul luogo di lavoro e, nel caso in cui
  esse si verifichino, si pone a garanzia di un ricorso immediato e semplice a procedure
  adeguate ad affrontare il problema ed a prevenirne il ripetersi. Le parti concordano
  inoltre sull’esigenza primaria di favorire la ricerca di un clima di lavoro impronta-
  to al rispetto ed alla reciproca correttezza. Le parti ritengono inaccettabile qualsiasi
  comportamento a sfondo sessuale e qualsiasi altro comportamento basato sul sesso
  e lesivo della dignità personale. Al fine di monitorare il fenomeno e fermo restando
  il diritto alla privacy, gli organismi paritetici aziendali, ove concordati e costituiti, e
  territoriali, invieranno i dati quantitativi e qualitativi delle procedure informali e/o
  denunce formali e le soluzioni inpiduate alla commissione paritetica delle pari op-
  portunità nazionale.

Nella seconda tipologia rientra, invece, il “Codice di comportamento da adottare
nella lotta contro le molestie sessuali e il mobbing” allegato al CCNL per i dipen-
denti delle aziende operanti nei settori Legno, Sughero, Mobile ed Arredamento,
Boschivi e Forestali sottoscritto il 4 febbraio 20155.




4 CCNL Commercio 2015-2017, in www.ilcontratto.com.
5 CCNL Federlegno-Arredo, 4 febbraio 2015, in www.federlegnoarredo.it.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile        45
2. Le figure della Consigliera di Parità e del/la Consigliere/a di Fiducia a
confronto

Le lavoratrici o i lavoratori che ritengono di avere subito una discriminazione
diretta o indiretta oppure di essere vittime di molestie sessuali o di mobbing le-
gati alla loro identità di genere possono rivolgersi alle Consigliere di Parità per
ricevere consulenza e assistenza gratuita.
  Ci si può rivolgere alle Consigliere di Parità anche per vigilare sull’applicazio-
ne della normativa delle pari opportunità e per promuovere le politiche a favore
dell’occupazione femminile6.
  Le Consigliere di Parità – figure di prassi tendenzialmente femminili – hanno
una chiara ed espressa origine legislativa nel D.Lgs. n. 198/2006 e sono presenti
su tutto il territorio nazionale, essendo istituite a livello provinciale, regionale
e nazionale. Sono pubblici ufficiali con un ruolo esclusivo in materia di discri-
minazioni che viene esercitato attraverso gli strumenti della conciliazione/me-
diazione tra le parti, ma anche attraverso l’azione in giudizio sia direttamente
sia attraverso legali di fiducia e in modo assolutamente gratuito, grazie ai fondi
messi a disposizione dal Ministero del Lavoro per le attività istituzionali. La Con-
sigliera di Parità ha altresì potere di ricorrere in sede amministrativa, nonché di
costituzione di parte civile in sede penale7.
  Il Consigliere di Fiducia – a dispetto del nome – non è un organo consultivo
che dispensa pareri al management aziendale nel quadro di un rapporto fiduciario,
ma è una parte imparziale deputata a raccogliere nell’organizzazione lavorativa se-
gnalazioni riguardo atti di discriminazione, molestie sessuali e morali, vicende di
mobbing, e porre ad esse concreto rimedio mediante interventi di prevenzione e di
risoluzione, in applicazione del Codice di condotta aziendale che configura regole
sostanziali e procedurali dirette ad informare e guidare le sue azioni di assistenza8.
  A differenza della Consigliera di Parità, la figura del Consigliere di Fiducia
non ha fonte legislativa, non è un pubblico ufficiale (a meno che non sia un pub-
blico dipendente), gode di un più ampio spettro di azione sul piano funzionale,
nel senso che interviene in ogni caso di discriminazione e/o di molestia e non
solo per le diseguaglianze di genere. Il Consigliere di Fiducia, tuttavia, dispone di
un più limitato raggio di azione, poiché, non avendo valenza territoriale, opera
solo all’interno del ristretto ambito di una specifica Pubblica amministrazione o
di una specifica azienda privata da cui ha ricevuto mandato.
  Il Consigliere di Fiducia può essere indifferentemente uomo o donna e non
gode di autonoma potestà di azione in giudizio a protezione della persona mole-

6 Per un approfondimento sulla figura della Consigliera di Parità, vedasi Guarriello F., “Il ruolo
delle istituzioni e della società civile,” in Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio.
Il quadro comunitario e nazionale, Milano, 2007, 467 ss.
7 Si veda, Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2009, n. 16031, in Cass. pen., 2011, 2, 675.
8 Sul punto, Amiconi C., La figura del consigliere di fiducia nelle organizzazioni pubbliche: spunti
ricostruttivi, in www.altalex.com, 15 settembre 2015.


                                                    46
stata; tutt’al più, dopo aver espletato la prima assistenza al molestato, può eserci-
tare una funzione di difesa nell’eventuale procedimento disciplinare a carico del
molestatore, purché ciò sia previsto nel Codice di condotta interno.
  L’inpiduazione del Consigliere di Fiducia può avvenire all’interno dell’ente
tra esponenti che non ricoprono cariche gestionali o di governo e a cui si rico-
noscono doti di indipendenza e imparzialità oppure tramite selezione pubblica
o nomina presso albi o ordini tra soggetti esterni all’Amministrazione. In ogni
caso il Consigliere deve essere in possesso di esperienza e professionalità ade-
guata e idonea al compito da svolgere e il suo mandato ha di regola durata bien-
nale o triennale, eventualmente rinnovabile per medesima o inferiore durata9.
  Il Consigliere di Fiducia fornisce assistenza e consulenza alla vittima e su ri-
chiesta della persona interessata assume in trattazione il caso e la informa sulla
modalità più idonea per affrontarlo. L’assistenza e la consulenza alla persona de-
stinataria di attenzioni moleste deve comunque concludersi in tempi ragione-
volmente brevi in rapporto alla complessità del caso trattato.
  Nello svolgimento della sua funzione, il Consigliere di Fiducia agisce in piena
autonomia, così come può avvalersi, previa autorizzazione dell’Amministrazio-
ne, della collaborazione di esperti anche non appartenenti alla stessa. L’Ammini-
strazione deve garantire al Consigliere di Fiducia libero accesso agli atti relativi
al caso trattato, deve fornirgli tutte le informazioni necessarie per la definizione
del medesimo e deve, altresì, garantire risorse umane, un luogo specifico dove
svolgere la propria attività ed un equo compenso annuale di tipo forfettario.


3. Gli strumenti di tutela per le vittime di molestie sessuali sul lavoro:
procedura informale e formale

Il compito principale del Consigliere di Fiducia è di istruire una procedura in-
formale o formale al fine della cessazione della molestia. La prima è di regola un
contatto con il molestatore, mentre la procedura formale può condurre al proce-
dimento disciplinare nei confronti di questi.
  In ordine al rito informale, la persona che ha subito comportamenti lesivi
della dignità e integranti casi di discriminazione, molestie sessuali, molestie
morali o psicologiche o mobbing può rivolgersi pertanto informalmente al Con-
sigliere di Fiducia, che al fine di ottenere l’interruzione del comportamento osti-
le nei confronti della persona segnalante prende in carico il caso e la informa


9 Si veda, a riguardo, Università degli Studi di Trieste, Codice di comportamento per la
prevenzione delle molestie nei luoghi di lavoro e di studio dell’Università degli Studi di Trieste a tutela
della dignità della persona, in www.units.it, il cui art. 5 prevede che il/la Consigliere/a di Fiducia
sia nominato/a su designazione del Comitato Unico di Garanzia mediante esperimento di una
procedura di valutazione comparativa e scelto/a tra persone esterne all’Ateneo che possiedano
esperienza umana e professionale. È altresì prevista la durata in carica di due anni rinnovabili
per una sola volta.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile              47
sulle modalità più idonee per affrontarlo. Il Consigliere non può adottare alcuna
iniziativa senza averne prima discusso con la parte lesa e senza averne ricevuto
l’espresso consenso.
  Pertanto, il Consigliere di Fiducia: (i) sente l’autore dei comportamenti mole-
sti e acquisisce eventuali testimonianze di colleghi e di altre persone eventual-
mente informate sui fatti; (ii) accede ai documenti amministrativi; (iii) tende in
via conciliativa e di mediazione a promuovere incontri congiunti tra la persona
vittima della molestia e l’autore della medesima; (iv) vigila sull’effettiva cessazio-
ne del comportamento molesto10.
  Qualora lo ritenesse necessario per tutelare la vittima del comportamento
ostile, il Consigliere di Fiducia può proporre al dirigente competente il trasferi-
mento di una delle persone implicate nella vicenda.
  Ogni iniziativa deve essere assunta sollecitamente e la procedura informale
deve comunque definirsi in tempi ragionevolmente brevi dalla sottoscrizione
del consenso e in ogni momento della procedura la parte lesa può ritirare la sua
segnalazione11.
  Con riferimento alla procedura formale, invece, qualora la persona oggetto
di comportamento pregiudizievole ritenga inopportuni i tentativi di soluzione
informale del problema, ovvero qualora dopo tale intervento, il comportamento
indesiderato permanga e si protragga nel tempo, può essere azionata la procedu-
ra ufficiale e formalizzata.
  Tale procedura prende avvio con la denuncia scritta al vertice dell’ente, fatto
comunque salvo l’eventuale esercizio del diritto di difesa nelle competenti sedi
giurisdizionali. I vertici dell’ente o loro delegati incaricano per l’istruttoria e per
l’eventuale irrogazione di sanzioni i competenti uffici disciplinari, fermo restan-
do l’obbligo di trasmettere gli atti alla competente autorità giudiziaria in caso di
illecito penale12.

10 Si veda, ex plurimis, Inail, Codice di condotta da adottare nella lotta contro le molestie sessuali, in
www.inail.it; Comune di Trieste, Codice di condotta per la tutela della dignità delle lavoratrici e dei
lavoratori del Comune di Trieste e istituzione della/del Consigliera/e di Fiducia, in www.comune.trieste.it.
11 Si veda: Università degli Studi di Trieste, Codice di comportamento per la prevenzione delle
molestie nei luoghi di lavoro e di studio dell’Università degli Studi di Trieste a tutela della dignità della
persona, cit., il quale, all’art. 7, stabilisce che il termine di definizione della procedura informale
è di 120 giorni dalla sottoscrizione del consenso; persamente, Inail, Codice di condotta da
adottare nella lotta contro le molestie sessuali, cit., il cui art. 10 prevede che l’intervento del/la
Consigliere/a di Fiducia deve concludersi in linea di massima entro trenta giorni dalla richiesta
di intervento.
12 Sul punto, Comune di Trieste, Codice di condotta per la tutela della dignità delle lavoratrici e dei
lavoratori del Comune di Trieste e istituzione della/del Consigliera/e di Fiducia, cit., il quale prevede,
all’art. 7, che la segnalazione scritta deve essere indirizzata direttamente al Direttore/Segretario
Generale e, nel caso in cui il soggetto da segnalare sia un Amministratore, al Sindaco. Invece,
Università degli Studi di Trieste, Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie nei
luoghi di lavoro e di studio dell’Università degli Studi di Trieste a tutela della dignità della persona, cit.,
il quale, all’art. 8, stabilisce che la segnalazione scritta deve essere indirizzata al Rettore, che
provvederà a nominare una commissione di cinque membri, di cui fanno parte il Rettore o un



                                                      48
  Qualora richiesto, il Consigliere di Fiducia può assistere la vittima di com-
portamenti lesivi della dignità personale nella fase istruttoria dei procedimenti
disciplinari, fatta salva l’alternativa prerogativa riconosciuta alla vittima di farsi
assistere da un rappresentante delle organizzazioni sindacali e/o da un avvocato,
cui si conferisce mandato. In attesa della conclusione del procedimento discipli-
nare, su richiesta di uno o di entrambi gli interessati, l’Amministrazione potrà
adottare un provvedimento di trasferimento in via temporanea al fine di ristabi-
lire un clima lavorativo sereno.
  Nel caso sia dimostrata l’infondatezza della denuncia, l’Amministrazione,
nell’ambito delle proprie competenze, opera in forma adeguata al fine di riabili-
tare il buon nome della persona ingiustamente accusata.


4. I Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità

Il Comitato Unico di Garanzia, che ha sostituito i precedenti Comitati Pari Op-
portunità e i Comitati antimobbing previsti dalla contrattazione collettiva, trae
origine dalle nuove disposizioni introdotte dalla legge 4 novembre 2010, n. 18313,
meglio nota come c.d. Collegato Lavoro, la quale ha modificato alcune disposizio-
ni del D.Lgs. n. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego).
  Con la riforma in esame, emerge chiaramente come l’attenzione del legislato-
re si sia focalizzata non solo sul contrasto alla discriminazione basata sul sesso,
ma su qualsiasi forma di discriminazione sul luogo di lavoro14. L’idea di fondo
è che la lotta alla discriminazione in ambito lavorativo si possa perseguire solo
garantendo un ambiente di lavoro sano, che non lasci spazio all’insorgere di si-
tuazioni di conflitto e lesione dei diritti fondamentali dei lavoratori. Tale volontà
è esplicitata anche dal riformato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, e precisamente:

  Le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini
  e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al


suo delegato, il Direttore Generale o un suo delegato, il Consigliere e due membri del CUG, che
deciderà in merito alle azioni da intraprendere e ad eventuali segnalazioni disciplinari.
13 Legge 4 novembre 2010, n. 183, rubricata “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di
riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi
per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di
lavoro”, in G.U. 9 novembre 2010, n. 262.
14 All’indomani dell’istituzione dei Comitati Unici di Garanzia, il Ministro per le Pari
opportunità dichiarava infatti: «Da oggi la lotta contro le discriminazioni sul luogo di lavoro
si può avvalere di uno strumento più efficace e completo. I Comitati Unici di Garanzia,
infatti, lavoreranno per prevenire e battere le discriminazioni dovute non soltanto al genere,
ma anche all’età, alla disabilità, all’origine etnica, alla lingua, alla razza, e, per la prima volta,
all’orientamento sessuale. Una tutela che comprende il trattamento economico, le progressioni
di carriera, la sicurezza e che viene estesa all’accesso al lavoro».



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile           49
  genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità,
  alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di
  lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro.
  Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato
  al benessere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni
  forma di violenza morale o psichica al proprio interno.

Ai sensi del nuovo art. 57 del D.Lgs. n. 165/2001, il Comitato Unico di Garanzia è
stato, dunque, concepito per contribuire

  all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza delle
  prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto
  dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto a qualsiasi
  forma di discriminazione e violenza morale o psichica per i lavoratori.

Come sancito espressamente dall’art. 21, comma 3, della L. n. 183/2010, che ha
riformulato l’art. 57, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001, il Comitato Unico di Garan-
zia ha compiti propositivi, consultivi e di verifica. Tuttavia, esso non ha funzioni
repressive o di decisione su eventuali segnalazioni o denunce, né poteri di inter-
vento su singoli casi, né di ispezione e controllo sull’operato degli uffici.
  Tra le iniziative di proposta che il Comitato Unico di Garanzia può assumere
vi sono senz’altro: (i) la predisposizione di piani di azioni positive per favorire l’u-
guaglianza sul lavoro tra uomini e donne; (ii) la promozione e il potenziamento
di ogni iniziativa diretta ad attuare politiche di conciliazione vita privata-lavoro
e quanto necessario per consentire la diffusione della cultura delle pari oppor-
tunità; (iii) la diffusione di conoscenze ed esperienze, nonché di altri elementi
informativi sui problemi delle pari opportunità e sulle possibili situazioni adot-
tate da altre amministrazioni o enti, anche in collaborazione con la Consigliera
di parità del territorio di riferimento; (iv) azioni positive, interventi e progetti,
quali indagini di clima, codici etici e di condotta, idonei a prevenire o rimuovere
situazioni di discriminazioni o violenze sessuali, morali o psicologiche nell’am-
ministrazione pubblica di appartenenza; (v) la proposta di piani formativi per i
lavoratori e le lavoratrici15.
  Il Comitato Unico di Garanzia svolge, altresì, compiti consultivi, sotto forma
di pareri, su: (i) progetti di riorganizzazione dell’amministrazione di apparte-
nenza; (ii) piani di formazione del personale; (iii) orari di lavoro, forme di fles-
sibilità lavorativa ed interventi di conciliazione; (iv) criteri di valutazione del
personale; (v) contrattazione integrativa su temi che rientrano nelle proprie
competenze.
  Infine, i Comitati Unici di Garanzia svolgono verifiche su: (i) i risultati delle

15 Si precisa che l’elencazione dei compiti assegnati ai Comitati Unici di Garanzia – da non
intendersi come tassativa – è contenuta nella Direttiva “Linee Guida sulla modalità di
funzionamento dei Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione di chi
lavora e contro le discriminazioni” del Ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione
e ed il Ministro per le Pari Opportunità del 4 marzo 2011, in www.funzionepubblica.gov.it.



                                               50
azioni positive, dei progetti e delle buone pratiche in materia di pari opportu-
nità; (ii) gli esiti delle azioni di contrasto alle violenze morali e psicologiche nei
luoghi di lavoro; (iii) l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta o indi-
retta, anche relativa al genere, nell’accesso, nel trattamento e nelle condizioni
di lavoro, nella formazione professionale, negli avanzamenti di carriera e nella
sicurezza sul lavoro.
   È, inoltre, espressamente prevista la diretta interazione tra il Comitato Unico
di Garanzia e il vertice amministrativo dell’ente di appartenenza e il Comitato
potrà avvalersi delle risorse umane e strumentali che l’amministrazione metterà
a disposizione. Quanto all’ente di appartenenza, si precisa che l’amministrazio-
ne dovrà fornire al Comitato Unico di Garanzia tutte le informazioni necessarie
all’espletamento dei propri compiti, anche per quanto attiene lo scambio di dati e
notizie utili ai fini della valutazione dei rischi in ottica di genere e dell’inpidua-
zione dei fattori potenzialmente capaci di incidere negativamente sul benessere
organizzativo, in quanto derivanti da discriminazione, mobbing o molestie16.


5. Il risarcimento del danno e l’onere della prova

Le molestie sessuali sui luoghi di lavoro sono comportamenti illeciti di per sé,
anche se non qualificabili come discriminazione in senso stretto, purché abbia-
no violato un diritto fondamentale della persona – e nel qual caso sorgerà una re-
sponsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. – o una norma contrattuale – e nel
qual caso sorgerà una responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. in tutti i quei
casi in cui la molestia sessuale sia riconducibile direttamente o indirettamente
al datore di lavoro.
  La tutela in favore delle lavoratrici e dei lavoratori vittime di molestie trova,
infatti, il suo principale referente nella disposizione di carattere generale conte-
nuta nell’art. 2087 c.c., la quale impone al datore di lavoro non solamente l’ado-
zione di cautele in materia antinfortunistica ma, altresì, prevede l’obbligo per il
medesimo di vietare o comunque impedire il compimento di atti che mettano
direttamente in pericolo l’integrità psicofisica dei lavoratori.

  Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità (anche pro-
  fessionale) del lavoratore, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro
  ai sensi dell’art. 2087 c.c., sicché deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato al
  dipendente che abbia molestato sessualmente una collega sul luogo di lavoro, a nulla
  rilevando la mancata previsione della suddetta ipotesi nel codice disciplinare e senza
  che, in contrario, possa dedursi che il datore di lavoro è controparte di tutti i lavoratori,
  sia uomini che donne, e non può perciò essere chiamato ad un ruolo protettivo delle
  seconde nei confronti dei primi, giacché, per un verso, le molestie sessuali possono


16 Per un approfondimento, si veda Petrilli S., I Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità,
la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni, in “Azienditalia - Il Personale”,
2014, 12.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile              51
  avere come vittima entrambi i sessi e, per altro verso, il datore di lavoro ha in ogni caso
  l’obbligo, a norma dell’art. 2087 cit., di adottare i provvedimenti che risultino idonei a
  tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, tra i quali rientra l’even-
  tuale licenziamento dell’autore delle molestie sessuali17.

Né la circostanza che la condotta provenga da un altro dipendente posto in posi-
zione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima vale ad escludere la respon-
sabilità del datore di lavoro, su cui incombono altresì gli obblighi ex art. 2049
c.c., ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo,
dovendosi escludere la sufficienza di un mero e tarpo intervento pacificatore,
non seguito da concrete misure di vigilanza18.
  Il riconoscimento di una responsabilità contrattuale indiretta del datore di
lavoro ex art. 2087 c.c. pone immediatamente il problema del limite fino al quale
egli possa essere chiamato a rispondere del danno che si è prodotto, ma che non
ha direttamente cagionato.
  La soluzione che si ritiene più ragionevole è quella di riconoscere il datore di
lavoro direttamente responsabile ex art. 2087 c.c. soltanto in quei casi in cui egli
sapeva – o doveva ragionevolmente sapere – e non è intervenuto per far cessare
le molestie19.
  La persona vittima di molestie sessuali può ottenere tutela anche in forza
dell’art. 2043 c.c. 20. Questa norma può trovare applicazione soprattutto quando
a realizzare le molestie sessuali sia stato un collega della vittima di pari grado o
di grado inferiore, rispetto al quale non sarebbe esperibile un’azione sulla base
dell’art. 2087 c.c. che, come detto, è applicabile esclusivamente al datore di lavoro.
  Ma i due tipi di responsabilità non si differenziano solo per gli inpidui cui
si riferiscono. Diverso è anche il periodo di prescrizione cui sono soggetti. Po-
sto che il momento a partire dal quale si inizia a calcolare la prescrizione è, in
entrambi i casi, costituito dalla cessazione dell’ultimo atto molesto, i diritti ex
art. 2087 c.c. si prescrivono in un periodo di tempo di dieci anni, mentre quelli
derivanti dall’art. 2043 c.c. si prescrivono nel più breve periodo di cinque anni.



17 Cass. civ., sez. lav., 18 settembre 2009, n. 20272, in Riv. it. dir. lav., 2010, 2, II, 349.
18 Cass. civ., sez. lav., 9 settembre 2008, n. 22858, in Giust. civ., 2009, 11, I, 2412.
19 Sul punto, Lensi C., Molestie sessuali negli ambienti di lavoro: illiceità del fatto e risarcibilità del
danno come elementi autonomi della fattispecie, in www.diritto.it, aprile 2004, la quale sostiene
che «rinunciare a questa soglia minima di garanzia, getterebbe sul serio l’azienda in mano
al terrore psicologico, in cui, ad aggravare la situazione, avremmo anche un datore di lavoro
che, pur di non essere chiamato a rispondere di omessa vigilanza ai sensi dell’art. 2087 c.c.,
interferirebbe pesantemente nella vita privata dei suoi dipendenti, togliendo al luogo di lavoro
quella dimensione umana e relazionale che, invece, gli è propria e lasciando così aperta la
questione del quale sia il male minore tra probabilità di subire molestie sessuali e certezza di
ingerenze nella privacy, laddove non si arrivi addirittura alla messa in atto di intrusioni che
potrebbero, a loro volta, essere avvertite come forme di molestia».
20 Sella M., I danni morali, cit., 143.



                                                    52
   Del pari, le due responsabilità si distinguono anche sul versante probatorio,
richiedendo, l’art. 2087 c.c., la dimostrazione dell’inadempimento del contratto,
e l’art. 2043 c.c., la prova del fatto illecito, del dolo o della colpa, oltre che un nesso
di causalità tra i due. Anche in materia di molestie sessuali trovano, pertanto,
applicazione le norme generali in tema di responsabilità contrattuale ed extra-
contrattuale, per cui chi domanda un risarcimento ex art. 2043 c.c. dovrà provare
la condotta che ha determinato il danno, il nesso causale, la colpa o il dolo di colui
che è ritenuto responsabile; chi, invece, domanda un risarcimento ex art. 2087
c.c. dovrà provare la sussistenza dei comportamenti illegittimi, il danno e il nes-
so causale tra la condotta e l’evento lesivo, mentre graverà sul datore di lavoro, per
escludere la sua responsabilità, la prova di aver adottato tutte le misure necessa-
rie a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore21.
   In termini di competenza a decidere sulla controversia, oggi si tende a ricono-
scere in entrambi i casi la competenza del giudice del lavoro22.
   In merito al risarcimento dei danni patiti dalla vittima, le conseguenze pro-
vocate dalle molestie sessuali – come abbiamo trattato nel precedente capitolo
– possono essere numerose e devastanti. Esse si traducono in danni risarcibili
che possono essere di natura patrimoniale e non patrimoniale. Quanto ai pri-
mi vengono in considerazione i danni causati dalla perdita della possibilità di
promozione, dal demansionamento, ovvero dalle spese mediche per la cura delle
patologie derivanti dalle vessazioni e dalle molestie. Quanto ai secondi viene in
rilievo il danno biologico o morale derivante, ad esempio, da disturbi del sonno,
ansie, depressioni, dal calo di autostima, dall’insicurezza e dal disagio. Peculiari
delle molestie sessuali sono poi quelle tipologie di sofferenze riconducibili alla
categoria del danno esistenziale, come quello cagionato dalla cattiva qualità della
vita lavorativa cui è costretta una persona molestata sessualmente o dalla com-
promissione degli assetti relazionali o dall’alterazione delle abitudini di vita23.
   La giurisprudenza di legittimità, con riferimento ad una richiesta di risarci-
mento dei danni biologico, morale ed esistenziale sofferti da una ex-dipendente
a seguito delle molestie sessuali poste in essere dal legale rappresentante di una
società, ha affermato che

  la corte d’appello correttamente, accertando la lievità del danno biologico ma anche la
  particolare gravità ed odiosità del comportamento lesivo e quindi la sua notevole capa-
  cità di offendere i beni personali costituzionalmente protetti indicati come lesi dalla
  lavoratrice, ha proceduto ad una liquidazione equitativa del danno non patrimoniale


21 Giubboni S.-Borelli S., Discriminazioni, molestie, mobbing, cit., 1899 ss.
22 Si veda, Ferrari D., Molestie sessuali sui luoghi di lavoro, in www.filodiritto.com, 23 marzo 2018, 3.
23 Quanto ai danni non patrimoniali, nonostante la Cassazione a Sezioni Unite abbia sancito
nel 2008 (v. Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, nr. 26972 e 26973, in Resp. civ. e prev., 2009, 38)
l’unificazione dei persi profili di danno, una consolidata corrente giurisprudenziale continua
ad affermare la tripartizione del danno in biologico, morale ed esistenziale. Così, ex multis, Cass.
civ., sez. lav., 30 dicembre 2011, n. 30668, in Riv. it. dir. lav., 2012, 3, II, 587.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile             53
  sulla base di criteri che alludano esplicitamente, in particolare, per ciò che riguarda
  il c.d. danno morale da reato, alla menzionata odiosità della condotta lesiva, indotta
  soprattutto dallo stato di soggezione economica della vittima e per la parte concernen-
  te il c.d. danno esistenziale, al clima di intimidazione creato nell’ambiente lavorativo
  dal comportamento del datore di lavoro e al peggioramento delle relazioni interne al
  nucleo familiare della lavoratrice in conseguenza di esso24.

Infine, va ricordato che il D.Lgs. n. 145/2005, in attuazione della Direttiva
2002/73/CE, ha apportato una modifica all’art. 4, L. n. 125/1991 – il cui contenuto
è stato poi trasfuso nell’art. 26 del D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportu-
nità) – definendo le condotte moleste collegate al sesso delle vittime e ricondu-
cendole entro l’ambito delle discriminazioni di genere.
  Tale operazione, tuttavia, non determina una sovrapposizione tra le due fat-
tispecie, bensì un’equiparazione, dal momento che la suddetta parificazione
risulta essere funzionale all’estensione alle prime della disciplina e della tutela
previste per le seconde, in modo particolare, per quanto riguarda i meccanismi
processuali e sanzionatori25.
  L’importanza dell’equiparazione delle molestie alle discriminazioni si com-
prende, infatti, proprio in ragione del particolare regime probatorio contenuto
nel Codice delle pari opportunità. L’art. 40, infatti, pone a carico del convenuto
nel giudizio, l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, al-
lorché il ricorrente abbia fornito al giudice
  «elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico […], idonei a
fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti,
patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso».
  Pertanto, la lavoratrice o il lavoratore che si affermino molestati assolveranno
al loro onere probatorio allegando e dimostrando fatti dai quali possa presumersi
l’esistenza della molestia come fatto storico, potendo avvalersi, ai fini della prova,
anche di fatti estrinseci alle relazioni negoziali inter partes, ma relativi alle posi-
zioni di altri lavoratori o lavoratrici e costituenti dati di carattere statistico. Del
pari, l’onere gravante sul datore di lavoro si misurerà sull’inesistenza della mo-
lestia, giacché la qualificazione legale del comportamento come discriminazione
gli preclude la prova di una persa ragione lecita della condotta. Egli sarà tenuto,
quindi, a fornire una ricostruzione dei fatti, alternativa rispetto a quella del lavo-
ratore o della lavoratrice, ed avente i connotati della necessaria specificità26.

24 Così, Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 2010, n. 12318, in Guariniello R., Molestie e violenza anche
di tipo sessuale nei luoghi di lavoro, Milano, 2018, 9.
25 Di Noia F., Le molestie sessuali tra inversione e alleggerimento dell’onus probandi, in Lavoro nella
Giur., 2017, 2, 133.
26 Tarquini E., Le discriminazioni sul lavoro e la tutela giudiziale, cit., 40. Sul punto, si veda anche
Cass. civ., sez. lav., 15 novembre 2016, n. 23286, in Guariniello R., Molestie e violenza anche di tipo
sessuale nei luoghi di lavoro, cit., 8, la quale, nel caso sottoposto alla sua decisione, ha ravvisato
«la prova presuntiva delle molestie sessuali ai danni delle due lavoratrici sulla base di plurime
deposizioni che hanno riferito di molestie in loro danno, poste in essere dal datore di lavoro



                                                  54
6. La valutazioni dei rischi lavorativi da molestie sessuali

Le molestie sessuali rientrano tra i rischi lavorativi che le nostre leggi intendono
prevenire?
  Per dare una risposta affermativa a tale domanda è necessario partire dall’ana-
lisi del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Innanzitutto, l’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 afferma che «Il presente decreto
legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipo-
logie di rischio».
  Del pari eloquente è il concetto di “salute” previsto dall’art. 2, comma 1, lettera
o), D.Lgs. n. 81/2008: «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non
consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità.»
  Altresì rilevante è poi l’art. 2, comma 1, lettera n), D.Lgs. n. 81/2008, il quale
definisce la prevenzione come «il complesso delle disposizioni o misure neces-
sarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evita-
re o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e
dell’integrità dell’ambiente esterno».
  È significativo poi che la legge n. 205/2017 di Bilancio 2018, nell’art. 1, comma
218, richiamandosi all’art. 2087 c.c., abbia aggiunto un comma 3-ter all’art. 26 del
D.Lgs. n. 198/2016, il quale stabilisce:

  I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare
  condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavora-
  tori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di
  natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle
  molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavo-
  ratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro
  di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le
  relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza.

Svolte tali premesse, penta più agevole risolvere la questione sulla prevenzione
contro le molestie sessuali e, nello specifico, sulla conseguente valutazione dei
rischi, quale atto obbligatorio per il datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008.
  Dagli artt. 17, comma 1, lettera a) e 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 possiamo
desumere che debbono essere valutati tutti i rischi e, in particolare, tutti i rischi
per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa (art. 28, comma 2, lettera
a), D.lgs. n. 81/2008). Un’affermazione altamente significativa, in quanto fa in-

subito dopo l’assunzione di giovani lavoratrici», e che «tali deposizioni sono state considerate
corroborate dalla prova statistica fornita dall’Ufficio della Consigliera di Parità della Regione,
costituita da un serrato turn over tra le giovani dipendenti assunte dal datore di lavoro, che
dopo un breve periodo di lavoro si dimettevano senza apparente ragione». La Suprema Corte,
pertanto, ne desume che «si tratta d’un quadro complessivo che correttamente i giudici di
merito hanno ritenuto tale da imporre quell’inversione dell’onere probatorio a carico del datore
di lavoro (o mera attenuazione dell’onere gravante su parte attrice) prescritta dall’art. 40, D.Lgs.
n. 198/2006 in ipotesi di discriminazione di sesso».



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile          55
tendere che debbono essere valutati tutti i rischi che si profilano, non necessa-
riamente a causa dell’attività lavorativa, bensì durante l’attività lavorativa. L’art.
28 citato, inoltre, fa esplicito riferimento anche ai rischi riconducibili allo stress
lavoro-correlato, nella cui orbita ben possono rientrare le eventuali conseguenze
delle molestie sessuali sulla salute psicofisica del lavoratore.
  Inoltre, la valutazione dei rischi deve riguardare i rischi di molestie sessuali
ovunque l’attività lavorativa venga prestata e, quindi, anche all’esterno dei locali
dell’azienda27. Ma non solo. Il datore di lavoro è tenuto a valutare anche i rischi di
molestie potenzialmente presenti, non potendo limitare la valutazione ai rischi
che residuano dopo e malgrado l’attuazione delle misure di prevenzione28.
  Si deve, altresì, aggiungere che l’analisi dei rischi da molestie sessuali non può
essere generica, così come non può essere generica l’inpiduazione delle relative
misure di prevenzione e protezione. Come, infatti, insegna la Suprema Corte:

  Il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e inpiduare con il massimo grado di
  specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tec-
  nica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto
  riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione
  o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad ag-
  giornamento il Documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n.
  81/2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi
  di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori29.

Con un’avvertenza: che deve trattarsi di rischi ragionevolmente prevedibili, di
rischi, quindi, che possano essere inpiduati con la diligenza richiedibile al da-
tore di lavoro.
  In forza dell’art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, il Documento di valutazio-
ne dei rischi (DVR), oltre all’analisi dei rischi da molestie sessuali, deve conte-
nere l’inpiduazione delle misure di prevenzione e protezione adottate contro
tali rischi. Nella legislazione italiana, in materia di salute e sicurezza sul lavoro,
manca un’apposita disciplina delle misure tecniche, organizzative, procedurali,
anti-molestie. Tuttavia, nel novero delle misure atipiche – non previste, quindi,
da specifiche norme, ma desumibili dall’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c.
– si colloca un apposito codice aziendale del tipo prospettato dall’Accordo quadro
europeo del 2007 sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro30:


27 Così, Guariniello R., Molestie e violenza anche di tipo sessuale nei luoghi di lavoro, cit., 19.
28 Sul punto, si veda Cass. pen., 27 marzo 2017, n. 15124, in Guariniello R., Il T.U. Sicurezza sul
lavoro commentato con la giurisprudenza, X ed., Milano, 2018, 652, che afferma: «la valutazione
dei rischi attiene ai rischi insiti nelle attività, non ai rischi che permangono nonostante la loro
valutazione e l’adozione delle connesse misure».
29 Così, Cass. pen., 12 gennaio 2018, n. 1219, in Guariniello R., Molestie e violenza anche di tipo
sessuale nei luoghi di lavoro, cit., 21.
30 Art. 4 dell’Accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro, cit.



                                                   56
  Le imprese debbono elaborare una dichiarazione precisa che indichi che le molestie e
  la violenza non saranno tollerate. Tale dichiarazione deve specificare le procedure da
  seguire in caso di incidenti. Le procedure possono includere una fase informale in cui
  una persona che gode della fiducia tanto della direzione quanto dei lavoratori è dispo-
  nibile per fornire consigli e assistenza. È possibile che procedure preesistenti siano
  adeguate a far fronte ai problemi di molestie e violenza.
  Una procedura adeguata deve ispirarsi ma non limitarsi alle seguenti considerazioni:
  è nell’interesse di tutte le parti agire con la discrezione necessaria per tutelare la digni-
  tà e la vita privata di tutti;
  non vanno pulgate informazioni alle parti non implicate nel caso;
  i ricorsi debbono essere esaminati e trattati senza indebiti ritardi;
  tutte le parti coinvolte debbono fruire di un’audizione imparziale e di un trattamento
  equo;
  i ricorsi debbono essere sostenuti da informazioni particolareggiate;
  non vanno tollerate false accuse, che potranno esporre gli autori a misure disciplinari;
  può rivelarsi utile un’assistenza esterna.
  Ove siano state constatate molestie e violenza, occorre adottare misure adeguate nei
  confronti del/degli autore/i. Tali misure possono andare da sanzioni disciplinari al
  licenziamento.
  La/le vittima/e deve/devono ricevere sostegno e, se del caso, essere assistita/e nel pro-
  cesso di reinserimento.
  I datori di lavoro, in consultazione con i lavoratori e/o i loro rappresentanti, elabo-
  rano, riesaminano e controllano tali procedure, al fine di garantirne l’efficacia nella
  prevenzione dei problemi e nella loro risoluzione, ove essi sorgano.
  Se del caso, le disposizioni del presente capitolo possono essere applicate ai casi di
  violenza esterna.

Fondamentali per prevenire le molestie sessuali sono, altresì, le buone prassi
determinate da politiche aziendali e societarie che valorizzino un’adeguata in-
formazione e formazione dei lavoratori e, prima ancora, dei soggetti collocati in
posizione di vertice e di responsabilità. Come, infatti, rileva l’Accordo quadro eu-
ropeo del 2007,

  una maggiore consapevolezza e una formazione adeguata dei dirigenti e dei lavoratori
  possono ridurre le probabilità di molestie e di violenza sul luogo di lavoro31.

E già il Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro
le molestie sessuali allegato alla Raccomandazione 92/131/CEE della Commissio-
ne europea sottolinea che:

  Un mezzo importante per prevenire il verificarsi di comportamenti a connotazione
  sessuale e per risolvere efficacemente i problemi, qualora la molestia sessuale abbia
  luogo, è rappresentato da una giusta formazione in materia dei dirigenti e dei qua-
  dri. L’obiettivo di tale formazione dovrebbe consistere nell’inpiduare i fattori che
  contribuiscono a rendere un ambiente di lavoro esente da siffatti comportamenti e
  a sensibilizzare i partecipanti alle proprie responsabilità nell’ambito della politica del
  datore di lavoro e di qualsiasi problema essi possano incontrare. Inoltre, a coloro che


31 Così, l’art. 4 dell’Accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro, cit.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile           57
  svolgono un ruolo ufficiale nell’ambito delle procedure formali di denuncia delle mo-
  lestie sessuali andrebbe impartita la formazione specialistica di cui sopra. È inoltre
  consigliabile includere nei programmi di avviamento e di formazione informazioni
  circa gli orientamenti della gestione in merito alle molestie sessuali e alle procedure
  adottate32.

Abbiamo descritto i profili di responsabilità delle persone fisiche debitrici di si-
curezza anti-molestia, ma sempre di più la giurisprudenza si sta sviluppando an-
che su un altro fronte, cioè quello della cosiddetta responsabilità amministrativa
degli enti e delle società, prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, ed estesa dal D.Lgs. n.
81/2008 ai delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose gravi o gravissi-
me commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul
lavoro, ivi comprese, pertanto, le norme di protezione contro le molestie sessua-
li. In particolare, l’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede una causa di esclusione
di tale responsabilità – per i fatti commessi a interesse o vantaggio della società
dalle persone fisiche che rivestono posizioni apicali – per quegli enti che abbiano
adottato ed efficacemente attuato un idoneo modello di organizzazione, gestione
e controllo volto ad assicurare un sistema aziendale rispettoso di tutta una serie
di adempimenti, tra i quali possono farvi rientrare anche quelli volti a garantire
un buon clima nell’ambiente lavorativo33.


7. Le ulteriori e recenti tutele contro le molestie sessuali

La legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018)34 ha introdotto partico-
lari tutele in materia di molestie sessuali sul luogo di lavoro e violenza di genere.
Tale intervento si è reso maggiormente necessario allo scopo di incoraggiare la
denuncia da parte di coloro che, pur avendo subito tali abusi, temono pesanti
ripercussioni in ambito professionale in caso di pulgazione.
  Le misure introdotte dalla legge n. 205/2017 sono rivolte, in particolar modo,
alle donne vittime di violenza e, più in generale, ai lavoratori che subiscono mo-
lestie sessuali sui luoghi di lavoro, al fine di evitare azioni discriminatorie quali,


32 Art. 5 del Codice di condotta relativo ai provvedimenti da adottare nella lotta contro le
molestie sessuali, allegato alla Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione, cit.
33 Per un approfondimento si veda Nunin R., “Fonti normative, responsabilità, sanzioni: i MOG
tra cornice legislativa e pratica applicativa”, in Alessandrini B.-Nunin R.-Poles A.-Venturini
S.-Zuliani C. (a cura di), Modelli organizzativi e gestionali per la sicurezza sul lavoro. Analisi empirica e
prospettive applicative, Trieste, 2017, 37 ss.; Perini S., “Modelli organizzativi ex D.Lgs. n. 231/2001
e responsabilità degli enti”, in Alessandrini B.-Nunin R.-Poles A.-Venturini S.-Zuliani C.
(a cura di), Modelli organizzativi e gestionali per la sicurezza sul lavoro. Analisi empirica e prospettive
applicative, Trieste, 2017, 53 ss.
34 Legge 27 dicembre 2017 n. 205, Legge di Bilancio 2018, in Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre
2017, n. 302, supplemento ordinario n. 62. Per un approfondimento, si veda Grandelli T.-
Zamberlan M., Le principali novità in tema di personale degli enti locali, in “Azienditalia”, 2018, 2, 163.



                                                     58
ad esempio, demansionamenti, trasferimenti, licenziamenti e mobbing in caso
di denuncia.
  Così, l’art. 1, comma 218, della legge citata, introduce nell’art. 26, D.Lgs. n.
198/2006 un comma 3-bis, il quale prevede innanzitutto che:

  La lavoratrice o il lavoratore che agisca in giudizio per la dichiarazione delle discri-
  minazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei pieti di
  cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito
  o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti,
  sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa.

Nel caso in cui il datore di lavoro procedesse quindi con il licenziamento – chia-
ramente a scopo ritorsivo e discriminatorio del lavoratore che ha presentato de-
nuncia di molestia, il licenziamento sarà nullo, ovvero come mai posto in atto.
  Analogamente, sempre per effetto del contenuto dell’art. 1, comma 218, della
Legge di Bilancio 2018, saranno considerati nulli anche gli atti aventi per oggetto
il mutamento delle mansioni lavorative.
  Inoltre, in caso di riconoscimento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento
o del demansionamento o del trasferimento, il lavoratore denunciante avrà diritto
al reintegro nel posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno ed al versamento
dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dal datore di lavoro.
  Tuttavia, è altresì previsto che:

  Le tutele di cui al presente comma non sono garantite nei casi in cui sia accertata, an-
  che con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati
  di calunnia o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia.

Infine, ma non ultimo per importanza, l’art. 1, comma 220, della legge n. 205/2017
prevede l’attribuzione di un contributo a favore delle cooperative sociali che pro-
cedono con nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato del-
le donne vittime di violenza di genere, certificati dai servizi sociali del comune di
residenza o dai centri anti-violenza o dalle case rifugio. Concretamente, il contri-
buto sarà rappresentato dallo sgravio delle aliquote per l’assicurazione obbliga-
toria previdenziale e assistenziale dovute con riferimento alle nuove assunzioni
operate a favore delle lavoratrici vittime di violenza di genere.
  Tale previsione va ad affiancarsi e ad integrare un’altra tutela già prevista e
che è rappresentata dalla possibilità di congedo lavorativo indennizzato per le
donne vittime di violenza. In particolare, l’art. 24 del D.Lgs. n. 80/201535 ha previ-
sto la possibilità per la lavoratrice di astenersi dal lavoro per motivi connessi alla
partecipazione ad un percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi.



35 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in
attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della Legge 10 dicembre 2014 n. 183, in Gazzetta Ufficiale del 24
giugno 2015, n. 144, supplemento ordinario.



capitolo ii – prevenzione delle molestie sessuali sul lavoro e tutela civile              59
Capitolo III
Molestie sessuali
e tutela penale




Sommario: 1. La mancanza di una norma penale sulle molestie sessuali – 2. Vio-
lenza sessuale – 3. Molestia o disturbo alle persone – 4. Ingiuria e diffamazione
– 5. Violenza privata – 6. Minaccia – 7. Atti persecutori – 8. Maltrattamenti contro
familiari e conviventi.


1. La mancanza di una norma penale sulle molestie sessuali


Passiamo ora all’esame dei rapporti fra le molestie sessuali sui luoghi di lavoro
e la legislazione penale, al fine di delimitare i confini entro i quali la condotta
molesta assuma anche la qualificazione in termini di reato.
  Indispensabile premessa è rappresentata dalla constatazione che nel nostro
ordinamento, a differenza di altri ordinamenti europei, la molestia sessuale non
costituisce un’autonoma fattispecie penale.
  Nonostante numerose proposte legislative in tal senso, formulate soprattutto
nell’ambito del dibattito culturale e politico che ha preceduto l’approvazione del-
la legge 15 febbraio 1996, n. 66 di riforma dei reati sessuali, ed aventi l’obiettivo
di «evitare confusioni e questioni interpretative e soprattutto di evitare che il
giudice sia indotto, in molti casi, ad assolvere piuttosto che applicare una sanzio-



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ne che ritiene eccessiva rispetto alla reale entità del fatto»1, non esiste nel nostro
codice penale, né in leggi speciali, il reato di molestia sessuale.
  Inoltre, il nostro diritto penale è improntato al principio di legalità espresso
dall’art. 25 della Costituzione, che vieta di creare fattispecie di reato perse da quelle
espressamente previste dalla legge, nonché di ricorrere all’analogia in sede penale.
  Ciò premesso, occorre allora verificare se le condotte sessualmente moleste
siano penalmente lecite oppure rientrino – a seconda delle concrete modalità in
cui di volta in volta si esprimono e dei beni giuridici che ledono nel caso specifico
(libertà sessuale, onore, reputazione, tranquillità pubblica) – nella sfera di appli-
cabilità e di tutela di specifiche figure di reato, che parimenti sono poste a pre-
sidio della libertà della persona. Se le norme esistenti riescono a coprire tutte le
sfaccettature delle condotte illecite riconducibili alle molestie sessuali, si potreb-
be dedurre la non indispensabilità di una norma ad hoc. Viceversa, se si dovesse
riscontrare un’assoluta mancanza di norme applicabili, oppure un parziale deficit
di tutela, si ritiene più opportuno un intervento normativo volto all’introduzio-
ne di una nuova fattispecie incriminatrice2.


2. Violenza sessuale

Una delle modifiche più evidenti apportate dalla L. n. 66/1996 sembra essere
rappresentata dall’introduzione, all’art. 609-bis c.p., dell’unico delitto di violenza
sessuale, il quale nasce sulle ceneri della contestuale abrogazione dei previgenti
delitti di violenza carnale (art. 519 c.p.) ed atti di libidine violenti (art. 521 c.p.),
nonché di congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico
ufficiale (art. 520 c.p.). In particolare, il reato di violenza carnale contemplava il
caso della congiunzione carnale vera e propria, mentre gli atti di libidine ricom-
prendevano quelle condotte sessuali perse dalla congiunzione carnale, in en-
trambi i casi commesse sulla persona della vittima, o dal colpevole fatte compiere
alla vittima su se stessa, sulla persona del colpevole o di terzi.
  Pertanto, a seguito della riforma del 1996, l’art. 609-bis c.p. così recita:

  Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a
  compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

1 Così il d.d.l. 9 maggio 1996, n. 41, Norme penali e processuali contro le molestie sessuali, d’iniziativa
dei senatori Smuraglia, De Luca, Pelella e D’Alessandro Prisco, in www.senato.it, che aveva come
obiettivo quello di inserire nel codice penale, all’art. 613-bis, una fattispecie penale ad hoc per le
molestie sessuali: «Per molestia sessuale si intende ogni atto o comportamento indesiderato,
a connotazione sessuale, che leda la dignità e la libertà morale della persona, compresi anche
gli atteggiamenti puramente verbali o scritti». Era, altresì, prevista l’ipotesi aggravata nel
caso di molestia sessuale realizzata nei luoghi di lavoro da parte di un datore di lavoro o da
un superiore gerarchico, mediante forme di pressione o ricatto in relazione alle condizioni di
lavoro o comunque allo status di lavoratore o lavoratrice subordinati, nonché in occasione della
proposta o offerta di costituzione di un rapporto di lavoro.
2 Romano B., Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, 2016, 136.


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  Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
  1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al mo-
  mento del fatto;
  2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
  Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Sul piano interpretativo i principali nodi da sciogliere ai fini della riconduzione
di una fattispecie concreta nella fascia di punibilità dell’art. 609-bis c.p. sono la
nozione di «atti sessuali» e quella di violenza, minaccia o abuso di autorità (co-
strizione) o di abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica o di sostituzione
di persona (induzione).
  Preliminarmente, quanto all’applicabilità della nuova disciplina ad ipotesi
qualificabili anche in termini di molestia sessuale sul luogo di lavoro, va subi-
to osservato che la riforma della figura delittuosa in esame, introducendo nel-
la parte descrittiva dell’elemento oggettivo del reato una formula volutamente
aperta, quella di «atti sessuali», idonea a ricomprendere una grandissima varie-
tà di condotte di differente impatto lesivo sulla vittima, permette di ricondurre
astrattamente nell’ambito operativo della norma repressiva un gran numero di
comportamenti definibili come molesti3.
  Due sono in dottrina le interpretazioni di maggior rilievo circa la soglia mini-
ma, oltre la quale non vi è atto sessuale: una prima, secondo la quale il limite in-
feriore dell’odierna fattispecie di «atti sessuali» sarebbe inclusivo anche di tutti
i casi prima puniti ai sensi dell’art. 521 c.p. come «atti di libidine»4; una seconda,
invece, secondo la quale l’espressione «atti sessuali» sarebbe più restrittiva di
quella, abrogata, di «atti di libidine», nella quale venivano ricomprese ipotesi
caratterizzate dalla mera direzione della condotta verso l’eccitazione dei sensi
propri o della vittima. Secondo tale ultimo orientamento, l’espressione odierna
sarebbe infatti comprensiva dei soli atti oggettivamente connotati da una stretta
attinenza alla sessualità: perché l’atto sia di natura sessuale occorre il contatto fi-
sico tra una parte qualsiasi del corpo di una persona con una zona genitale, anale
od orale del partner5.
  La giurisprudenza, dal canto suo, ha innanzitutto precisato che l’atto sessua-
le deve necessariamente coinvolgere la sfera della corporeità della vittima. In
tal senso, non importa che vi sia un contatto fra il soggetto attivo o la vittima,


3 In verità, tale tecnica definitoria non ha mancato di sollevare perplessità e critiche, in relazione
alla paventata mancata osservanza del principio di determinatezza del precetto penale, critiche
sfociate in eccezione di illegittimità costituzionale della norma. Per tale orientamento:
Bertolino M., La riforma dei reati di violenza sessuale, in Studium iuris, 1996, 403; Musacchio
V., Il delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), Padova, 1999, 26; Ricci P.- Venditto M.O.- Bassi
S., Violenza sessuale e risposto istituzionale. Considerazioni critiche sulla nuova normativa penale in
materia, in Giust. pen., 1996, I, 373.
4 Musacchio V., La nuova legge sulla violenza sessuale, in Riv. pen., 1997, 3, 260.
5 Vizzardi M., “Commento all’art. 609-bis c.p.”, in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto da), Codice
penale commentato, tomo III, Milano, 2015, 332.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                           63
purché il corpo di quest’ultima risulti in qualche modo interessato dalla condot-
ta del reo: sono, pertanto, «atti sessuali», secondo la giurisprudenza, anche le
condotte autoerotiche, a cui il soggetto passivo è costretto o indotto dal soggetto
agente, ma non i comportamenti meramente voyeuristici del reo che la vittima è
costretta a subire6.
  Per altro verso, la giurisprudenza sembra aver accolto una nozione ampia di
«atti sessuali», sostenendo che assumono rilevanza penale i baci sul collo e sulla
guancia, il palpeggiamento dei glutei, i toccamenti fra le gambe che non attingo-
no alle zone genitali od anali, i toccamenti del ginocchio e gli “strofinamenti”7.
Tali atti potranno assumere, nel caso, la caratterizzazione come fatti di minore
gravità, con conseguente riduzione di pena, ovvero per l’ipotesi del reato tentato,
sempre che, ovviamente, ne sussistano tutti i relativi presupposti (si pensi all’uo-
mo che sollevi la gonna della vittima per toccarla nelle parti intime e, tuttavia,
non riesca per la reazione della stessa).
  Superata la questione del riconoscimento in un dato comportamento dei con-
notati di un «atto sessuale» ai sensi dell’art. 609-bis c.p., occorre valutare se l’atto
predetto sia stato posto in essere in una delle forme che rendono la fattispecie
penalmente perseguibile. Infatti, la norma incriminatrice prevede che l’atto ses-
suale sia punibile solo se commesso con violenza o minaccia o mediante abuso di
autorità (violenza sessuale per costrizione), ovvero con abuso delle condizioni di
inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, o traendo
la stessa in inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona (violenza
sessuale per induzione). Si deve, peraltro, precisare che, ai fini dell’attribuzione
della rilevanza penale all’atto sessuale non voluto non è ritenuto sufficiente il
mero dissenso della vittima.
  Tralasciando l’ipotesi della violenza sessuale per induzione dato lo scarso ri-
lievo della fattispecie in tema di molestie sessuali sui luoghi di lavoro, passia-
mo all’analisi delle singole ipotesi di costrizione di cui al primo comma dell’art.
609-bis c.p.
  Quanto alla violenza, essa consiste in qualsiasi atto che abbia coartato, anche
se non annullato, la volontà della vittima. Sussisterà violenza, dunque, quando il
colpevole abbia posto in essere azioni rapide e insidiose, o quando la vittima si sia
concessa solo per porre fine ad una situazione angosciosa o insopportabile, ovvero
quando l’autore abbia approfittato di una situazione di difficoltà o di diminuita re-
sistenza della vittima, o ancora quando la condotta avvenga in contesti di abituale




6 Si veda, ex multis, Cass. pen., sez. III, 15 giugno 2006, n. 33464, in Cass. pen., 2008, 9, 3289.
7 Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2011, n. 1397, in DeJure; Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 2011,
n. 45698, in DeJure; Cass. pen., sez. III, 9 luglio 2008, n. 38403, in Guida dir., 2008, 46, 104;
Cass. pen., sez. III, 26 gennaio 2006, n. 19808, in Guida dir., 2006, 37, 94; Cass. pen., sez. III, 14
dicembre 2001, n. 6010, in Riv. pen., 2002, 474.



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affidabilità8. Quanto alla minaccia, invece, essa consiste in qualsiasi prospettazio-
ne di un male futuro ingiusto ai danni della potenziale vittima o di terzi9.
  La costrizione può avvenire, infine, mediante abuso di autorità. Quest’ultima
modalità della condotta, che rappresenta una delle novità della riforma del 1996,
ricorrerà tanto nell’ipotesi in cui si abusi di autorità pubblica, tanto quando si
tratti di autorità privata, ma in entrambi i casi elemento caratterizzante della fat-
tispecie non potrà essere il solo abuso, occorrendo anche la costrizione richiesta
dalla norma incriminatrice. Inoltre, tale ipotesi si configurerà solo al di fuori dei
casi in cui la condotta sia posta in essere con violenza o minaccia10. L’abuso di au-
torità viene oggi spesso ravvisato nella posizione del datore di lavoro, o comun-
que di superiore gerarchico rispetto alla vittima. Si pensi, ad esempio, al caso del
rapporto sessuale subito dal dipendente nel timore di un licenziamento o di una
mancata promozione, pur in assenza di specifica minaccia.
  Con specifico riferimento alle molestie sessuali, esse sono, perlopiù, consi-
derate una forma residuale di violenza sessuale, «ipotesi di scarto della violenza
sessuale», che si trovano in quel «limbo» intermedio tra i fatti semplicemente
disturbatori della tranquillità della persona e quelli davvero lesivi della libertà
sessuale11. Anche la giurisprudenza conferma questa opinione quando differenza
la molestia sessuale dall’abuso sessuale, anche tentato, in quanto essa

  prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e normalmente si estrinseca o con petu-
  lanti corteggiamenti non graditi o con petulanti telefonate o con espressioni volgari,
  nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta12.

Dunque, se dalle espressioni e comportamenti volgari a sfondo sessuale o dai
corteggiamenti invasivi e insistenti si passa ai toccamenti fisici connotati ses-
sualmente, la condotta assume, a seconda della natura del contatto e delle cir-
costanze del caso concreto, la forma tentata o consumata del reato di violenza
sessuale13. Per violenza sessuale è stato condannato il datore di lavoro che aveva
fatto subire, mediante minacce e violenza consistita nell’impedirle movimenti,

8 Si vedano, tra le altre, Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 2011, n. 45698, cit.; Cass. pen., sez. III, 20
settembre 2007, n. 42979, in Foro it., 2008, 3, II, 164.
9 Si è precisato in giurisprudenza come la minaccia possa consistere anche nella prospettazione
dell’esercizio di un diritto, quando essa sia strumentalizzata al conseguimento di un profitto
ingiusto: così, Cass. pen., sez. III, 11 giugno 2008, n. 37251, in DeJure.
10 In verità, non è agevole enucleare situazioni in cui l’abuso prescinda da una minaccia, ma
in via esemplificativa può ipotizzarsi il caso in cui, pur senza una minaccia esplicita, la vittima
tema di poter subire un danno in caso di rifiuto delle proposte sessuali dell’autore.
11 Cadoppi A. (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia,
Padova, 2006, 556.
12 Così, Cass. pen., sez. III, 19 dicembre 2005, n. 45957, in DeJure.
13 Cfr. Cass. pen., sez. III, 12 maggio 2010, n. 27042, in Cass. pen., 2011, 4, 1446; Cass. pen., sez. III,
8 luglio 2008, n. 27762, in Cass. pen., 2009, 9, 3465.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                            65
atti sessuali realizzati con lo strusciarsi addosso a una dipendente toccandole il
seno e le varie parti del corpo, facendo procedere e seguire tali comportamenti da
parole e discorsi dal contenuto osceno14.
  Inoltre, secondo la Suprema Corte, anche un solo gesto, laddove invasivo della
sfera sessuale della vittima, può essere configurato come molestia ed inquadrato
tra le condotte illecite. Infatti, ad assumere rilevanza è l’incidenza della condotta
sulla sfera sessuale della lavoratrice. Infatti,

  «Erroneamente sono ritenute integrare solo il reato di ingiuria, anziché quello di vio-
  lenza sessuale, le moleste “avances” poste in essere sul luogo di lavoro dall’imputato
  nei confronti di una collega, concretantesi in discorsi ed espressioni volgari, nello
  sfioramento del corpo della donna, nell’esibizione di fotografie oscene, trattandosi di
  comportamenti violativi non soltanto dell’onore e del decoro della vittima, ma anche
  della sua fisica sfera sessuale. Ciò tenuto conto che l’ipotesi di violenza sessuale, nella
  sua configurazione attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p., non richie-
  de una particolare intrusività dell’azione, né il contatto con parti intime o spiccata-
  mente erogene della vittima, essendo sufficienti anche un toccamento o uno sfrega-
  mento sul corpo della vittima o abbracci, accompagnati da evidente concupiscenza,
  che, per le modalità con cui siano portati, sorprendano la sfera di vigilanza e di libera
  determinazione della vittima medesima»15.

In conclusione, può osservarsi, in primo luogo, che, se la nozione di atti sessuali
contenuta nella norma incriminatrice è idonea a ricomprendere tendenzialmen-
te ogni tipo di approccio fisico di natura sessuale posto in essere dall’offensore,
di contro non possono in essa farsi rientrare tutti quei comportamenti pur fina-
lizzati al soddisfacimento di un desiderio sessuale, e certamente fastidiosi, ma
esplicitati in forma non fisica, ad esempio verbale, gestuale, scritta. Ancora, an-
che nel caso in cui la condotta molesta assurga ad atto sessuale ai sensi dell’art.
609-bis c.p., ciò non è di per sé sufficiente a ritenere integrato il reato de quo, oc-
correndo che la condotta molesta sia anche violenta, o minacciosa o abusiva, tale
comunque da comportare un’effettiva costrizione della parte offesa, senza che sia
sufficiente ad integrare quest’ultima il mero dissenso della vittima.
  Tuttavia, in materia di molestie sessuali sui luoghi di lavoro, è invece frequen-
te che il comportamento molesto si espliciti in forme ugualmente insidiose e
sgradevoli, ma non violente, né minacciose, né abusive della posizione di au-
torità, con la conseguenza che in tali casi anche atti oggettivamente sessuali e
soggettivamente non voluti rimarranno privi della tutela penale fornita dall’art.
609-bis c.p.



14 Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2014, n. 24895, in DeJure. Nel caso in questione, i giudici di
legittimità ravvisarono anche i reati di cui agli artt. 586 e 590 c.p. per avere cagionato alla vittima
lesioni personali colpose, in particolare una malattia diagnosticata quale depressione reattiva
con elementi di disturbo post-traumatico da stress di durata superiore ai quaranta giorni.
15 Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2006, n. 23723, in Guida dir., 2006, 36, 86.



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3. Molestia o disturbo alle persone

Fra le contravvenzioni poste a tutela dell’ordine pubblico e della tranquillità pub-
blica16 spicca, con riferimento alla fattispecie della molestia sessuale, vista anche
la ricorrenza dell’identico richiamo terminologico, il reato previsto dall’art. 660
c.p., il quale punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda sino a euro 516
«chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono,
per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo».
  Si tratta di un reato di evento a forma libera: l’evento, infatti, consiste nella
molestia o nel disturbo che possono essere cagionate dall’agente con qualsiasi
mezzo, diretto o indiretto, e anche attraverso una condotta omissiva. Con il ter-
mine «molestia» l’art. 660 c.p. sanziona ogni condotta che alteri dolosamente,
fastidiosamente o in modo inopportuno lo stato psichico di una persona, sia in
modo diretto sia indiretto, sia durevolmente sia momentaneamente; il «distur-
bo» consiste, invece, nell’alterazione delle normali condizioni in cui si svolgono
determinate attività. Secondo l’orientamento tradizionale, trattandosi di reato
contro l’ordine pubblico, il parametro cui rapportare il comportamento dell’a-
gente ai fini della sua valutazione sarà quello della psicologia normale media:
non avrà rilevanza una particolare cresciuta sensibilità della persona offesa, così
come una particolare tolleranza da parte di questa17. Ciò che è sempre necessario
è che la molestia o il disturbo raggiungano una persona determinata e non il pub-
blico generalmente inteso o una parte di esso.
  Con riferimento ai concetti di «petulanza» e «biasimevole motivo», si ritie-
ne siano integrati, il primo, da ogni condotta arrogante, insolente, impertinente,
ovvero pressante, indiscreta; il secondo da ogni ulteriore movente riprovevole,
di per sé o per la qualità della persona molestata18. Quanto al ruolo di entrambi i
suddetti concetti nella struttura dell’art. 660 c.p., secondo un primo orientamen-
to essi atterrebbero esclusivamente all’elemento soggettivo, caratterizzando la


16 Tale orientamento tradizionale suscita alcune perplessità, per superare le quali una parte
della dottrina propende per un’interpretazione che emancipi l’art. 660 c.p. dal riferimento
all’ordine pubblico e riconosca come bene giuridico protetto dalla norma la tranquillità
personale. Sul punto, si veda, tra tutti, Flick G.M., Molestia o disturbo alle persone, in Enc. Dir., vol.
XXVI, Milano, 1976, 709.
17 Tale impostazione tradizionale è stata criticata da parte della dottrina e della giurisprudenza,
che preferisce intendere la formula “molestia o disturbo” come un’endiadi, con la quale si
descrive una interferenza, momentanea o durevole, nella sfera di tranquillità del soggetto
passivo che provoca disagio, fastidio o insofferenza per il proprio equilibrio fisico o psichico:
così Flick G.M., Molestia o disturbo alle persone, cit., 702. In giurisprudenza si veda Cass. pen.,
16 dicembre 2008, n. 46231, in DeJure: «per accreditata lezione giurisprudenziale ricorre
l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 660 c.p. allorché risulti provata un’insistente ed
inopportuna interferenza nell’altrui sfera di libertà, produttiva di una fastidiosa intromissione
nella vita privata della vittima».
18 Così, Cass. pen., 17 luglio 2008, n. 29971, in Leggi d’Italia; Cass. pen., 6 novembre 2007, n.
40748, in DeJure.



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contravvenzione in termini di dolo specifico. Un secondo, preferibile orienta-
mento, attribuisce invece a tali elementi una valenza oggettiva ed inpidua nel-
la petulanza e nel biasimevole motivo il parametro della rilevanza penale della
molestia e del disturbo19.
   Per quel che può rilevare al fine del presente lavoro, si può evidenziare come
la formulazione volutamente generica della norma de qua permetta di ricondur-
re la maggior parte delle condotte di molestia sessuale fra quelle astrattamente
punibili, risultando infatti integrati la petulanza e il biasimevole motivo richie-
sti dalla norma incriminatrice. Si è affermato, in giurisprudenza, che il continuo
ed insistente corteggiamento, chiaramente non gradito, ad una donna che si
estrinsechi in ripetuti pedinamenti e in continue telefonate integra il reato di cui
all’art. 660 c.p. 20. Come pure realizza il medesimo reato il seguire petulantemen-
te con automobili un gruppo di ragazze, richiamare la loro attenzione con suoni
volgari, rasentarle pericolosamente e costringerle a rifugiarsi in casa, suonare
insistentemente il clacson sotto le loro abitazioni21. Ancora, si configura il delitto
di molestia o disturbo alle persone commesso con il mezzo del telefono allorché
si assilli la vittima con ossessivi riferimenti alle abitudini sessuali di questa22,
oppure nell’ipotesi di ripetute e non gradite avances amorose per via telefonica23.
   Tuttavia, per la punibilità del fatto, la norma dell’art. 660 c.p. richiede che l’a-
zione avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico. Per luogo pubblico deve
intendersi quello, di diritto o di fatto, continuativamente accessibile a tutti o a
un numero indeterminato di persone; per luogo aperto al pubblico, invece, deve
intendersi ogni ambiente, anche privato, al quale un numero indeterminato di
persone, ovvero un’intera categoria di persone può accedere, senza limite o nei
limiti della capienza, ma solo in certi momenti o alle condizioni poste da chi eser-
cita un diritto sul luogo24.
   Pertanto, la limitazione della punibilità di tale condotte ai soli casi in cui que-
ste vengano poste in essere in luogo pubblico o aperto al pubblico impedisce di
fatto che la norma in esame possa trovare generica applicazione nei casi di mo-
lestie sessuali sui luoghi di lavoro, posto che in tali ipotesi le condotte moleste
si verificheranno prevalentemente in luogo privato. Tuttavia, pare non potersi
escludersi che la molestia sussista quando il comportamento indesiderato a sfon-
do sessuale, pur quando non avvenga fisicamente nel luogo di lavoro, sia ricon-
ducibile al rapporto di lavoro intercorrente tra le parti, creando nella vittima uno


19 Basile F., “Commento all’art. 660 c.p.”, in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto da), Codice penale
commentato, tomo III, Milano, 2015, 1459.
20 Così, Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 1992, in Cass. pen., 1993, 2527.
21 Cass. pen., sez. I, 23 gennaio 1990, in Cass. pen., 1991, 1231.
22 Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 1996, in Cass. pen., 1998, 115.
23 Così, Cass. pen., sez. I, 30 giugno 1992, in Cass. pen., 1994, 309.
24 Sul punto, vedasi Basile F., Commento all’art. 660 c.p., cit., 1460.



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stato di disagio nell’esplicazione dell’attività lavorativa: si pensi, ad esempio, a
telefonate sgradite effettuate sull’utenza intestata alla collega25.


4. Ingiuria e diffamazione

Con riferimento ad alcune delle condotte descritte nel precedente paragrafo, parte
della dottrina aveva ritenuto che il ricorso al delitto di ingiuria ex art. 594 c.p. – che
puniva chiunque offendesse l’onore o il decoro di una persona – fosse in grado di su-
perare certi limiti posti dalla contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. 26. Infatti, il delitto
di ingiuria non soffriva della limitazione spaziale ut supra indicata ed era a forma
libera. Inoltre, anche in tal caso, la presenza dell’offeso non era necessaria – come
stabilito dal secondo comma dell’art. 594 c.p. – se si commetteva il fatto mediante co-
municazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni diretti alla persona offesa.
  Peraltro, non tutte le condotte classificabili come molestie sessuali possono
costituire un’offesa all’onore o al decoro della persona e residuerebbe comunque
l’applicabilità di perse fattispecie penali. La Suprema Corte ha, infatti, sostenu-
to che il rivolgere frasi allusive a sfondo sessuale ad un vice procuratore onorario
di udienza non integra il reato di ingiuria, bensì il delitto di oltraggio a un magi-
strato in udienza ex art. 343 c.p. 27.
  Si è sostenuto, invece, che integrerebbe il delitto di diffamazione di cui all’art.
595 c.p. 28 la falsa attribuzione di fotografie osé o la creazione di un sito internet,
recante messaggi ed immagini dal contenuto erotico, al quale viene associato il
nome ed il recapito telefonico di persona realmente esistente, al fine di arrecarle
o di consentire a terzi molestie o nocumento alla reputazione29.
  Tuttavia, in attuazione dell’art. 2, comma 3, della L. 28 aprile 2014 n. 67, il
D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, ha abrogato, tra gli altri, il delitto di ingiuria, il quale
non costituisce più un illecito penale. Ora, quindi, una condotta lesiva della di-
gnità sociale di una persona, se è realizzata dolosamente, dà luogo ad un illecito
civile, che obbliga, oltre alle restituzioni e al risarcimento del danno in base alle
leggi civili, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria civile che è devoluta
alla cassa delle ammende.


25 Cass. pen., 11 giugno 1992, n. 6905, in Giur. it., 1993, II, 230.
26 Si riferisce al delitto di ingiuria per la punibilità di condotte riconducibili alle molestie
sessuali, tra gli altri: Moccia S., Il sistema delle circostanze e le fattispecie qualificate nella riforma del
diritto penale sessuale (l. 15 febbraio 1996 n. 66): un esempio paradigmatico di sciatteria legislativa, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 403.
27 Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2011, in Cass. pen., 2012, 1741.
28 L’art. 595, comma 1, c.p. stabilisce che: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo
precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa fino ad euro 1.032».
29 Così, Trib. Trani, sez. Molfetta, 18 febbraio 2003, in Cass. pen., 2003, 3959.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                              69
5. Violenza privata

Fattispecie “regina” della tutela del diritto di autodeterminazione dell’inpiduo
è senza dubbio il reato di violenza privata disciplinato dall’art. 610 c.p., secondo
cui «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omet-
tere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni».
  Affinché sia integrato il reato in questione, pertanto, è necessario che venga-
no posti in essere atti di violenza o di minaccia che abbiano l’effetto di costrin-
gere la vittima a fare, tollerare od omettere una determinata cosa. Esso, quindi,
si consuma ogni volta in cui l’autore, con la violenza o la minaccia, lede il diritto
del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente e lo costringe a tenere un
determinato comportamento che non avrebbe altrimenti voluto.
  Il reato – di evento e a forma vincolata – può essere commesso sia intervenen-
do sul processo formativo della volontà della vittima (c.d. coazione relativa), sia
impedendo alla vittima di agire come in realtà vorrebbe attraverso la frapposizio-
ne di ostacoli esterni insuperabili (c.d. vis absoluta)30.
  Per la configurabilità del delitto in esame, il requisito della violenza si iden-
tifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di
determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza propria, che si
esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza impropria, che si
attua attraverso l’uso di mezzi anomali, diretti ad esercitare pressioni sulla vo-
lontà altrui, impedendone la libera determinazione costringendo a fare, tollerare
od omettere qualcosa31.
  La violenza o la minaccia devono essere rivolte ad ottenere dal soggetto pas-
sivo una determinata azione o omissione, che devono però essere determinate,
altrimenti ricorrerà, nei congrui casi, il delitto di minaccia ex art. 612 c.p..
  Qui va ricordato che, anche a proposito del delitto di violenza privata, si è ri-
petutamente affermato in giurisprudenza, che non è necessaria una minaccia
verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteg-
giamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore
e a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere che,
mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od
omettere qualcosa32.
  Nel caso in cui le molestie sessuali assumano un taglio intimidatorio o ven-
gano utilizzate come arma di ricatto, in via sussidiaria, laddove non vi siano tutti


30 Viganò F., “Commento all’art. 610 c.p.”, in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto da), Codice penale
commentato, tomo III, Milano, 2015, 518.
31 Cfr. Cass. pen., sez. un., 18 dicembre 2008, n. 2437, in DeJure. Sul punto anche Viganò F.,
“Commento all’art. 610 c.p.”, cit., 518.
32 In particolare, la giurisprudenza ravvisa la minaccia anche in frasi equivoche od
implicitamente da un mero atteggiamento dell’agente, il cui significato sia reso evidente dalle
circostanze: così, Cass. pen., sez. V, 7 febbraio 2008, n. 9075, in DeJure.



                                               70
gli elementi integranti un più grave reato che abbia come elemento costitutivo la
violenza, il giudice potrebbe applicare il reato, meno grave, di violenza privata ex
art. 610 c.p. 33. In effetti, poiché la violenza sessuale comprende il compimento di
un atto sessuale, si potrebbe configurare il delitto di violenza privata solo in pre-
senza di “altre” condotte. Senonché – come è stato ritenuto – proprio qui consiste
il punto debole del ricorso alla norma sulla violenza privata in ipotesi ricollega-
bili ad una molestia sessuale e, cioè, nel voler punire una condotta sessualmente
connotata come se non lo fosse34.


6. Minaccia

Un altro reato contro la libertà inpiduale che può venire in considerazione con
riferimento alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro è il delitto di minaccia, po-
sto a tutela della libertà psichica della persona rispetto ad influenze intimidato-
rie esterne idonee ad impedire l’autonomo formarsi della volontà.
  In particolare, l’art. 612 c.p. stabilisce che

  Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa,
  con la multa fino a euro 1.032.
  Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p., la pena è della
  reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio.

Trattasi, anche in tal caso, di un reato a carattere sussidiario, in quanto sussisterà
tutte le volte in cui la minaccia non costituisca elemento costitutivo o circostanza
aggravante di altro reato.
  Per l’integrazione del reato è necessario che la minaccia – che può essere
diretta o indiretta, reale o simbolica, esplicita o allusiva, verbale, scritta o ge-
stuale – sia idonea a turbare la libertà psichica della vittima, ma, trattandosi di
reato di pericolo, non è necessario che tale turbamento si sia concretamente
verificato35.
  La minaccia ha per oggetto un danno, che può riferirsi alla lesione o alla mes-
sa in pericolo di qualsiasi bene personale o patrimoniale appartenente al sogget-
to passivo o ad altri allo stesso legati, e deve altresì trattarsi di un danno ingiusto,
laddove per ingiustizia si intende non solo il comportamento di per sé illecito,
ma anche quello lecito, se tuttavia utilizzato per finalità perse da quelle per il
quale è consentito36.


33 È stata ravvisata un’ipotesi di violenza privata nella condotta di colui il quale costringa taluno
a tollerare un bacio sulla guancia: Cass. pen., sez. II, 28 giugno 1957, in Giust. pen., 1957, II, 769.
34 Romano B., Delitti contro la sfera sessuale della persona, cit., 143.
35 Cass. pen., sez. V, 2 dicembre 2008, n. 46528, in DeJure.
36 Cass. pen., sez. V, 26 gennaio 2006, n. 8251, in Cass. pen., 2007, 5, 2068.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                          71
  Si noti, inoltre, che il delitto di minaccia non ricorrerà quando la stessa sia
posta in essere per l’ottenimento di un comportamento determinato da parte del
soggetto passivo: nel qual caso la condotta sarà riconducibile quantomeno all’i-
potesi di violenza privata prevista dall’art. 610 c.p.. Allo stesso modo, nel caso in
cui la minaccia sia esercitata per l’ottenimento di prestazioni di natura sessuale,
essa integrerà il delitto di violenza sessuale, tentata o consumata. Si badi, però, in
proposito, che la minaccia ben può essere condizionata, quando non miri all’ot-
tenimento immediato del comportamento richiesto37.
  Con riferimento all’applicabilità della norma in questione nel caso di mole-
stie sessuali sui luoghi di lavoro, si comprenderà dunque che lo stesso sussiste-
rà tutte le volte in cui l’agente pronunci un’espressione intimidatoria a sfondo
sessuale, senza pretendere nell’immediatezza un determinato comportamento:
così, in via esemplificativa, costituirà insieme molestia sessuale e delitto di mi-
naccia la condotta di chi, nell’ambiente lavorativo, rivolga alla vittima frasi del
tipo «ti licenzio se non hai un rapporto sessuale con me».


7. Atti persecutori

Il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, recante «misure urgenti in materia di sicurezza pub-
blica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», con-
vertito, con modificazioni, in L. 23 aprile 2009, n. 38, ha introdotto nel codice penale
l’art. 612-bis e, con esso, il delitto di atti persecutori, comunemente chiamato stalking.
   Pone in essere questo reato chi, salvo che il fatto costituisca più grave reato,

  con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perduran-
  te e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolu-
  mità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione
  affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Tale reato si sostanzia in condotte reiterate che – pur senza arrivare ad integrare
i reati di lesioni o maltrattamenti o altri reati più gravi di quello previsto dall’art.
612-bis c.p. – ingenerano nella vittima uno stato di continua paura o il fondato
timore di dover subire un male più grave oppure la costringano a mutare il pro-
prio stile di vita e le proprie abitudini per sfuggire alle continue ed insistenti
attenzioni dello stalker.
  Il bene giuridico tutelato dalla norma è la tranquillità inpiduale e – con rife-
rimento all’ipotesi relativa al costringimento della vittima a cambiare abitudini
di vita – la libertà di autodeterminazione38.


37 Sul punto, si veda Viganò F., “Commento all’art. 612 c.p.”, in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto
da), Codice penale commentato, tomo III, Milano, 2015, 543.
38 Valsecchi A., “Commento all’art. 612-bis c.p.”, in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto da), Codice
penale commentato, tomo III, Milano, 2015, 551.



                                               72
   Per quanto attiene all’elemento oggettivo, esso consiste nella reiterazione del-
le condotte di minaccia e molestia. Per minaccia si intende la prospettazione di
un male ingiusto il cui verificarsi o meno dipende dalla volontà dell’agente. La
nozione di molestia si identifica, invece, in un particolare effetto che la condotta
dell’agente ha prodotto nella psiche della vittima, sicché essa è considerata come
il risultato (il turbamento della tranquillità della persona) di un comportamento
qualsiasi (ad esempio: telefonate notturne, mute o anonime, un corteggiamento
non gradito e volgare, un pedinamento pressante, ecc.)39.
   Per espressa previsione dell’art. 612-bis c.p., la reiterazione della condotta di
minaccia o molestia è un requisito essenziale della fattispecie, che fa dello stalking
un reato abituale. Sul punto si è posto un delicato problema interpretativo con-
sistente nello stabilire quando la condotta possa dirsi reiterata. L’orientamento
più recente della giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto che per aversi
reiterazione è sufficiente che l’agente ripeta la condotta anche una sola volta40.
   Le condotte di minaccia o molestie reiterate devono, altresì, essere poste in
essere in modo da – alternativamente – cagionare un perdurante e grave stato di
ansia o di paura41, ovvero ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o
di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affet-
tiva, ovvero, ancora, costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
   Va, inoltre, sottolineato che il delitto di atti persecutori è stato modificato dal
D.L. 1 luglio 2013, n. 78, convertito con emendamenti dalla L. 9 agosto 2013, n. 94,
che si è limitato ad aumentare la pena prevista dal primo comma dell’art. 612-
bis c.p., elevandola da quattro a cinque anni di reclusione; mentre ulteriori e più
rilevanti modifiche si devono al D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito dalla L. 15
ottobre 2013, n. 119, il quale, oltre a modificare le circostanze aggravanti, è inter-
venuto anche sul regime di procedibilità, oltre ad aver inciso sull’ammonimento
del questore.
   Va, altresì, segnalato che, ai sensi dell’art. 8, D.L. n. 11/2009, fino a quando
non è proposta querela, la persona offesa può avanzare richiesta al questore di
ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. Il questore, assunte se
necessarie informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate
dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui

39 Cass. pen., 9 marzo 2009, in DeJure.
40 Così, Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2010, n. 25527, in Cass. pen., 2011, 3, 978. Recentemente, anche
la Corte Costituzionale, rigettando una questione di legittimità costituzionale della norma in
esame per violazione del principio di indeterminatezza, ha riconosciuto la sufficienza, ai fini
dell’integrazione della fattispecie, della commissione di almeno due condotte di minacce o
molestia: Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 172, in Foro it., 2014, 9, I, 2283.
41 Secondo i primi commentatori della norma, tale evento avrebbe dovuto essere inteso come
vero e proprio stato patologico, accertabile nel processo penale per mezzo di consulenze
tecniche: così, Bricchetti R.– Pistorelli L., Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir.,
2009, 10, 58. Viceversa, la Cassazione è orientata nel senso di considerare integrato tale evento
anche in assenza della prova della causazione di una patologia nella vittima: sul punto, Cass.
pen., sez. V, 9 maggio 2012, n. 24135, in Cass. pen., 2013, 1, 152.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                         73
confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta
conforme alla legge e redigendo processo verbale, copia del quale è rilasciata al
richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta, altresì,
i provvedimenti necessari in materia di armi e munizioni. Inoltre, come conse-
guenza ulteriore dell’intervenuto ammonimento, la procedibilità per il delitto di
atti persecutori penta d’ufficio e la pena è aumentata se il fatto è commesso da
un soggetto già ammonito.
  Infine, occorre ricordare che, per effetto dell’art. 1, D.L. n. 11/2009, è stato in-
trodotto nell’art. 576 c.p. un nuovo comma, il quale prevede la pena dell’ergastolo
nel caso di omicidio commesso dall’autore del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. nei
confronti della stessa persona offesa.
  Dunque, per quel che può rilevare al fine del presente elaborato, ove le mole-
stie sessuali siano di tale gravità da consistere in condotte reiterate, minacciose
o moleste, tali da cagionare alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di
paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un
prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da una relazione affettiva,
ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita, potrà appli-
carsi il delitto di stalking di cui all’art. 612-bis c.p. 42.


8. Maltrattamenti contro familiari e conviventi

L’art. 572 c.p. così descrive il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi:

  Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della
  famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui af-
  fidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio
  di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La L. 1 ottobre 2012, n. 172, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa
del 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale
(Convenzione di Lanzarote), ha apportato alcune significative modifiche al testo
dell’art. 572 c.p.. Il legislatore, oltre ad aver aumentato la pena prevista per tale de-
litto ed aver introdotto un’aggravante per il fatto commesso in danno di persona
minore di quattordici anni, ha ampliato il contesto all’interno del quale il delitto
può essere commesso, prevedendo un’esplicita tutela, oltre che della persona del-
la famiglia, anche della persona comunque convivente.
  Successivamente, peraltro, il D.L. 14 agosto 2013, n. 93 ha esteso l’operatività
di tale aggravante all’ipotesi in cui il fatto, oltre che commesso in danno di mino-
re, fosse commesso anche in presenza di minore degli anni diciotto. Tuttavia, la

42 Ad esempio, configura il delitto de quo la trasmissione, da parte dell’indagato tramite
facebook di un filmato che ritraeva un rapporto sessuale tra lui e una donna, tale da provocare
nella vittima un grave stato di ansia e di vergogna che la costringeva addirittura a dimettersi dal
lavoro sino ad allora svolto. Cfr. Cass. pen., sez. VI, 16 luglio 2010, in Cass. pen., 2011, 967.



                                                74
legge di conversione del 15 ottobre 2013, n. 119, ha abrogato tale ipotesi e ha di-
sposto che l’aggravante del fatto commesso in presenza o in danno di un minore
degli anni diciotto fosse inserita – insieme a quella del fatto commesso in danno
di persona in stato di gravidanza – fra le circostanze aggravanti comuni ex art. 61,
comma 11-quinquies, c.p..
  L’art. 572 c.p., collocato dal legislatore del 1930 in un autonomo titolo «Dei de-
litti contro la famiglia», in particolare nel Capo IV «Dei delitti contro l’assistenza
familiare», ha fatto ritenere che il bene giuridico tutelato dalla norma fosse da
inpiduare nella famiglia. Tuttavia, l’art. 572 c.p. non si rivolge solo alle persone
legate da un vincolo familiare (sia esso giuridico o di fatto), ma anche a persone
legate da altri rapporti (lavoro, istruzione, cura ecc.) e conviventi. Da ciò deriva
che l’oggetto della tutela non può essere solo la famiglia, bensì la dottrina e la
giurisprudenza dominanti ritengono che il bene giuridico tutelato sia l’integrità
psicofisica del soggetto passivo43.
  Il legislatore inpidua l’azione tipica attraverso il termine «maltrattare», il
quale richiede una pluralità di atti per la perfezione del delitto. Secondo l’opinio-
ne più diffusa, la pluralità degli atti va ricondotta al carattere abituale della con-
dotta44, la quale può comprendere sia atti che costituiscono di per sé reato, sia atti
di per sé privi di rilevanza giuridica45. Unico requisito della condotta è inpidua-
bile nella corretta idoneità offensiva rispetto al bene giuridico tutelato. Questo
significa che la fattispecie si perfeziona con il compimento di una pluralità di atti
– costituenti o meno autonomi reati – legati tra loro dal vincolo dell’abitualità,
cioè dalla continuità e ripetitività nel tempo46.
  Nel contesto lavorativo, la fattispecie di maltrattamenti è stata invocata per
reprimere condotte di mobbing. Fino a non molto tempo fa all’orientamento che


43 In dottrina, si veda, tra gli altri, Pisapia G., Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in
Noviss. Dig. It., X, 1993, 73; in giurisprudenza, Cass. pen., sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 20494, in
Foro it., 2010, 9, II, 441; Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2007, n. 22850, in Cass. pen., 2008, 9, 3315.
Tuttavia, un più recente orientamento dottrinale ritiene che non l’integrità psicofisica, bensì
la personalità dell’inpiduo sia il bene giuridico tutelato dalla norma in esame: la condotta del
maltrattare, infatti, per la sua durata e ripetitività, andrebbe a ledere l’intera personalità, mentre
il singolo atto (percossa, ingiuria, minaccia, ecc.) andrebbe a ledere l’integrità psicofisica. Di
questa opinione, Folla N., Maltrattamenti contro familiari e conviventi, in Pittaro P. (a cura di),
Reato e danno. Fattispecie criminose e ipotesi risarcitorie, Milano, 2014, 252; Pavich G., Luci ed ombre
nel “nuovo volto” del delitto di maltrattamenti, in www.penalecontemporaneo.it, 9 novembre 2012.
In giurisprudenza, sul punto, si veda Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2008, n. 27048, in Cass. pen.,
2009, 7-8, 2912.
44 Così, Pisapia G., Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, cit., 75; Coppi F., Maltrattamenti in
famiglia, Perugia, 1979, 273.
45 Cass. pen., sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 44700, in Guida dir., 2013, 47, 80; Cass. pen., sez. VI, 18
febbraio 2010, n. 20494, cit. In dottrina, tra gli altri, Pisapia G., Maltrattamenti in famiglia o verso
fanciulli, cit., 76; Coppi F., Maltrattamenti in famiglia, cit., 264.
46 Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 31121, in Foro it., 2014, 12, II, 664; Cass. pen., sez. VI, 27
maggio 2003, n. 37019, in Cass. pen., 2005, 3, 862.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                           75
affermava la configurabilità di questo reato47, si contrapponeva un orientamento
di segno opposto48. Questo orientamento restrittivo trovava conferma in quelle
sentenze che richiedevano il carattere della para-familiarità ai fini della sussumi-
bilità del mobbing ai maltrattamenti ed escludevano, dunque, a priori tali possi-
bilità nel contesto di grandi imprese49.
  Non appare, invece, conpisibile a chi scrive l’interpretazione più restritti-
va, poiché il bene giuridico tutelato dalla norma in esame può essere offeso da
condotte degradanti ed angherie, soprattutto quando queste siano ripetute nel
tempo all’interno del contesto lavorativo, così fondamentale per il sano sviluppo
della personalità di una persona50.
  In giurisprudenza appare delineabile un orientamento complessivamente
volto a ritenere inquadrabile le molestie sessuali all’interno della fattispecie giu-
ridica di cui all’art. 572 c.p.51. In tal senso, ad esempio, è stato configurato come
reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi il rifiuto da parte del datore
di lavoro di regolarizzare il rapporto di lavoro con la dipendente e la minaccia di
corrisponderle una retribuzione inferiore a quella risultante dalla busta paga, se
la stessa non avesse aderito alle sue reiterate avances sessuali. Nello specifico, la
Suprema Corte ha affermato:

  L’art. 572 del vigente codice ha ampliato la categoria delle persone che possono essere
  vittima di maltrattamenti, aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sot-
  toposta all’autorità dell’agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni d’istruzione,
  educazione, ecc. Sussiste il rapporto di autorità ogni qualvolta una persona dipenda
  da altra mediante un vincolo di soggezione particolare (ricovero, carcerazione, rap-
  porto di lavoro subordinato, ecc.). Invero non v’è dubbio che all’imprenditore o a chi
  lo rappresenti spetti l’autorità sui propri dipendenti riconosciuta da precise norme
  di legge (art. 2086, 2106 e 2134 c.c.). Il rapporto intersoggettivo che si instaura tra da-
  tore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e


47 Così, Cass. pen., sez. V, 29 agosto 2007, n. 33624, in Resp. civ. e prev., 2008, 132.
48 Così, Cass. pen., sez. VI, 29 agosto 2007, n. 26594, in Foto it., 2009, 10, II, 533.
49 Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53416, in www.penalecontemporaneo.it, 28 gennaio
2015, con nota di Zoli L., Sulla rilevanza penale del mobbing: i maltrattamenti sono configurabili
anche all’interno di imprese medio-grandi; Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2013, n. 19760, in www.
penalecontemporaneo.it, 22 settembre 2013, con nota di Ferri F.-Miglio M., La rilevanza penale del
mobbing nelle imprese di grandi dimensioni. Contra, Parodi C., Ancora su mobbing e maltrattamenti
in famiglia, in www.penalecontemporaneo.it, 3 ottobre 2012, 14, il quale afferma: «Più che
considerare da un punto di vista formale l’organizzazione aziendale nel suo complesso, pare
dunque opportuno indagare i rapporti tra chi esercita l’autorità e chi all’autorità è sottoposto: se
il primo maltratta il secondo, in altre parole, lo mobbizza, allora tale condotta potrà integrare il
delitto di maltrattamenti».
50 Di tale opinione, Miedico M., Commento all’art. 572 c.p., in Dolcini E.- Gatta G.L. (diretto da),
Codice penale commentato, tomo III, Milano, 2015, 2762.
51 Vedasi, Folla N., Le molestie sessuali sul luogo di lavoro tra prevenzione e repressione, in Romito
P., Folla N., Melato M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul
campo, Roma, 2017, 278.



                                                  76
  disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente,
  pone quest’ultimo nella condizione, specificamente prevista dalla norma penale te-
  sté richiamata di «persona sottoposta alla sua autorità», il che, sussistendo gli altri
  elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il
  reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente. La fattispecie in esame a
  differenza del maltrattamento in famiglia non richiede la convivenza ma la semplice
  sussistenza di un rapporto continuativo. In definitiva, gli atti vessatori, che possono
  essere costituiti anche da molestie o abusi sessuali, nell’ambiente di lavoro, oltre al
  cosiddetto fenomeno del mobbing, risarcibile in sede civile, nei casi più gravi, possono
  configurare anche il delitto di maltrattamenti52.

Tuttavia, secondo una parte della giurisprudenza, la possibilità di ricondurre alla
previsione dell’art. 572 c.p. condotte poste in essere all’interno dell’ambiente di
lavoro, anziché di quello familiare, incontra il limite rappresentato dalla tipolo-
gia dell’ambiente stesso:

  Non è possibile assimilare il fenomeno del mobbing ai maltrattamenti in famiglia di
  cui all’art. 572 c.p., al fine di riconoscere la responsabilità penale in capo al datore di
  lavoro a fronte di continui e sistematici comportamenti ostili, umilianti e lesivi del-
  la dignità personale del lavoratore, qualora tali situazioni si presentino all’interno di
  grandi strutture aziendali. L’analogia non può trovare applicazione in quanto l’artico-
  lata organizzazione aziendale non implica una stretta ed intensa relazione diretta tra
  datore e dipendente tale da determinare una comunanza di vita assimilabile a quella
  che caratterizza il consorzio familiare53.




52 Così, Cass. pen., sez. III, 5 giugno 2008, n. 27469, in Guida dir., 2008, 39, 102.
53 Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2009, n. 26594, in Guida dir., 2009, 38, 51.



capitolo iii – molestie sessuali e tutela penale                      77
Capitolo IV
Prospettive di comparazione




Sommario: 1. Le molestie sessuali nel diritto francese – 2. Gli ordinamenti di
Common law: la disciplina delle molestie nel Regno Unito – 2.1. …(segue) e negli
Stati Uniti d’America – 3. La recente introduzione del delitto di molestie sessuali
in Germania – 4. La disciplina delle molestie sessuali in Svizzera – 5. Il reato di
molestie sessuali in Spagna.


1. Le molestie sessuali nel diritto francese


L’introduzione della fattispecie di molestie sessuali (“Du harcèlement sexuel”)
nell’ordinamento francese avviene con l’entrata in vigore del nuovo codice pe-
nale nel 1994 e si deve all’iniziativa legislativa esercitata da alcune parlamentari,
per la maggior parte donne, le quali volevano introdurre un reato che contrastas-
se efficacemente le condotte moleste ed abusive sessualmente connotate dei su-
periori gerarchici (principalmente uomini) sui loro dipendenti (quasi sempre di
sesso femminile)1.


1 Macrì F., Verso un nuovo diritto penale sessuale. Diritto vivente, diritto comparato e prospettive di
riforma della disciplina dei reati sessuali in Italia, Firenze, 2010, 85.



                                                  79
  La versione originaria dell’art. 222-33 Code pénal, infatti, era un reato proprio
consistente nel fatto di «molestare qualcuno utilizzando ordini, minacce o coa-
zioni, allo scopo di ottenere favori di natura sessuale, da parte di una persona che
abusi dell’autorità conferitale dalle sue funzioni».
  La configurazione previgente, tuttavia, malgrado fosse tale da consentire
l’intervento penale unicamente in casi di sopraffazioni sessuali realmente con-
trassegnate da rilevanti fattori coartanti e, quindi, di indiscussa gravità, mal si
conciliava con la collocazione sistematica dell’harcèlement sexuel nella sezione del
codice intitolata “Delle aggressioni sessuali” tra le previsioni incriminatrici ge-
nerali in materia sessuale, stante la sua circoscrizione ad abusi sessuali in ambito
lavorativo.
  La legge n. 2002-73 del 17 gennaio 2002, conosciuta come la Loi de modernisa-
tion sociale, ha operato perciò una radicale riscrittura della disposizione dell’art.
222-33 Code pénal, eliminando ogni riferimento ai rapporti tra agente e vittima
e a modalità vincolate necessarie ai fini della sussistenza della molestia. Ciò che
la fattispecie incriminatrice nel suo testo attualmente vigente richiede è unica-
mente il fatto di molestare un’altra persona con la finalità di ottenere favori di
natura sessuale.
  Tale nuova formulazione è stata giustificata adducendo la necessità di rende-
re coerente la disciplina dell’harcèlement sexuel con quella dell’harcèlement moral
(molestie morali), eliminando quindi il limite rappresentato dalla necessaria
qualifica di superiore gerarchico che avrebbe dovuto ricoprire il soggetto attivo
del reato. Tuttavia, eliminando tale limite, si è andati ad eliminare anche ogni
riferimento alle modalità della condotta2.
  Il reato di molestie morali è stato, infatti, introdotto nel Code pénal francese
proprio nel 2002 con la Loi de modernisation sociale. Nell’ordinamento francese la
disciplina delle molestie morali corre su un doppio binario, essendo sanzionata
sia in ambito civile, nel codice del lavoro (“Code du Travail”), sia con un apposito
reato previsto dall’art. 222-33-2 Code pénal. Nonostante le definizioni di molestia
morale adottate in entrambi i codici siano praticamente identiche, dovendo in-
tendersi per harcèlement moral «ogni comportamento ripetuto di violenza mo-
rale che ha per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro
suscettibile di offendere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua sa-
lute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale», vi è una




2 Sul punto, Macrì F., Verso un nuovo diritto penale sessuale. Diritto vivente, diritto comparato e
prospettive di riforma della disciplina dei reati sessuali in Italia, cit., 86, il quale sostiene che «si è
così verificato che una fattispecie nata col precipuo scopo di contrastare adeguatamente ipotesi
particolarmente gravi di discriminazione sessuale sul lavoro si è trasformata in un ‘mostro
giuridico’ capace di inghiottire nelle sue ampie fauci penalistiche anche garbate manifestazioni
di interesse sentimentale verso altre persone, posto che non è richiesto alcun requisito
“delimitante” quale la reiterazione delle condotte moleste o l’evento della verificazione di
contatti sessuali sgraditi».



                                                    80
notevole differenza sia nella sanzione3 che nell’ambito di applicazione delle due
norme. La norma giuslavorista ha, infatti, una portata più ristretta, trovando ap-
plicazione solo nei confronti di quei soggetti che ricoprono la qualifica di lavora-
tore subordinato, escludendo quindi dalla sua applicazione le forme di mobbing
verticale ascendente, cioè quelle vessazioni perpetrate dal lavoratore subordina-
to ai danni del suo superiore gerarchico; viceversa, la fattispecie penale non pre-
senta questo limite ed è perciò applicabile a tutte le tipologie di mobbing4.
  Tornando alla nuova formulazione del reato di molestie sessuali, essendo
la fattispecie penale estremamente vaga, è stata oggetto di una questione pre-
giudiziale di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione su istanza del
difensore di un deputato condannato in secondo grado per aver commesso pe-
santi avances ai danni di tre donne. La questione, rimessa al Conseil Constitution-
nel, sosteneva l’incostituzionalità del reato di molestie sessuali in quanto norma
contraria al principio di legalità e ai principi di chiarezza e precisione della legge
penale. Con sentenza emessa il 4 maggio 2012 il Conseil Constitutionnel ha dichia-
rato incostituzionale l’art. 222-33 Code pénal, in quanto rende punibile il reato di
molestie sessuali senza che siano sufficientemente definiti gli elementi costitu-
tivi della fattispecie5.
  Il Conseil Constitutionnel, nel dichiarare incostituzionale la norma, non ha
però sancito il ritorno alla precedente definizione di harcèlement sexuel, statuendo
di contro l’efficacia immediata della decisione, con la conseguenza che fino all’a-
dozione da parte del legislatore di una nuova legge, le persone soggette a processi
in corso non potranno essere condannate per tale reato.
  Il Parlamento, spinto anche dalle pressioni e dal malcontento delle associazio-
ni in difesa dei diritti delle donne, ha iniziato subito i lavori preparatori, che si
sono conclusi con l’emanazione della legge n. 2012-954 del 6 agosto 20126, che ha
introdotto nel Code pénal una nuova formulazione del reato di harcèlement sexuel.
  Secondo la nuova formulazione, costituisce molestia sessuale «il fatto di im-
porre a una persona, in modo ripetuto, parole o comportamenti a connotazione
sessuale che, per il loro carattere umiliante o degradante, danneggino la sua di-
gnità o creino una situazione intimidatoria, ostile o offensiva».
  È assimilato poi alla molestia sessuale «il fatto, anche se non ripetuto, di uti-
lizzare qualsiasi forma di pressione grave con lo scopo reale o apparente di otte-
nere un atto di natura sessuale, a vantaggio dell’autore dei fatti o di un terzo».


3 L’art. 152-1-1 Code du Travail prevede che la condotta di molestie morali sia punita alternativamente
con un anno di reclusione o con 3.750 euro di multa, mentre l’art. 222-33-2 Code Pènal prevede
l’applicazione congiunta della reclusione di un anno e della multa di 15.000 euro.
4 Per un approfondimento si veda Nadalet S., La legislazione francese sull’Harcèlement moral, in
Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 29, 2006, 313.
5 Viganò F., Il Conseil Constitutionnel francese dichiara illegittimo per imprecisione il delitto di
molestie sessuali, in www.penalecontemporaneo.it, 14 maggio 2012.
6 Legge n. 2012-954 del 6 agosto 2012 relativa alle molestie sessuali, in www.legifrance.gouv.fr.



capitolo iv – prospettive di comparazione                             81
  La pena prevista per questo reato consiste nella reclusione fino a due anni e
nella multa di 30.000 euro. Il reato è, inoltre, aggravato se il fatto è commesso
con abuso di autorità o ai danni di minore di anni quindici o di una persona di
particolare vulnerabilità dovuta all’età, a una malattia, a una deficienza psichica o
fisica o alla precarietà della sua situazione economica o sociale.


2. Gli ordinamenti di Common law: la disciplina delle molestie nel Regno Unito

Nel Regno Unito le molestie sono previste e disciplinate in persi atti normativi.
   Di fondamentale importanza è il Protection from harassment act del 19977, che
all’art. 1 proibisce la realizzazione di condotte moleste, del cui carattere molesto
l’autore fosse a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo. Si ritiene che vi sia presun-
zione di conoscenza qualora l’azione sia ritenuta molesta da una persona ragione-
vole in possesso della stessa quantità di informazioni dell’autore della molestia.
Per poter parlare di condotta molesta è necessario che questa venga reiterata per
almeno due volte e che possano esservi incluse anche condotte verbali e azioni che
causano stress o preoccupazione alla vittima. Tale comportamento è sanzionabile
con la reclusione fino a sei mesi o con la multa. Inoltre, il giudice può emettere
un ordine di protezione a tutela della vittima, intimando all’agente l’immediata
cessazione delle condotte moleste. Sono, altresì, previsti rimedi anche di tipo civi-
listico, consistenti nel risarcimento dei danni patrimoniali e morali8.
   Il Dignity at work bill, emanato nel 2001 dalla House of Lords, sancisce che ogni
lavoratore ha diritto alla dignità sul lavoro e che deve essere introdotta un’ap-
posita clausola a tutela della dignità dei lavoratori all’interno di tutti i contratti
di lavoro. Inoltre, vieta le molestie, il mobbing e ogni altra condotta che possa
causare stress o preoccupazione, inclusi comportamenti offensivi o intimidatori,
ripetute critiche immotivate, punizioni imposte senza motivazione ragionevole
ed ingiustificato cambio di mansioni. Il lavoratore che subisce tali condotte può
ricorrere al Tribunale per chiedere il risarcimento dei danni causatigli dal datore
di lavoro, che saranno valutati tenendo conto anche della gravità e della frequen-
za dei comportamenti molesti. Nel caso in cui la molestia non sia stata posta in
essere direttamente dal datore di lavoro, bensì da un altro dipendente, il datore di
lavoro potrà essere esentato da responsabilità nel caso in cui riesca a dimostrare
di aver posto in essere tutte le misure preventive necessarie9.
   Un ulteriore documento di notevole rilevanza è la guida Preventing workplace
harassment and violence, redatta nel 2007 con il supporto della Commissione eu-
ropea. La guida stabilisce che si ha molestia quando un soggetto viene ripetuta-

7 Protection from harassment act 1997, in www.legislation.gov.uk.
8 Per un approfondimento, Rambaldi F., Il mobbing nei sistemi di common law, in Quaderni di
diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 29, 2006, 305.
9 Dignity at work bill, 3 dicembre 2001, in www.publications.parliament.uk.



                                            82
mente e deliberatamente abusato, minacciato, umiliato in situazioni relative al
lavoro, mentre di ha violenza quando uno o più lavoratori vengono aggrediti in
circostanze legate al lavoro. Sia la molestia che la violenza possono avere carat-
tere fisico, psichico o sessuale e possono essere realizzate sia tra colleghi che tra
lavoratore subordinato e superiore gerarchico10.


2.1. …(segue) e negli Stati Uniti d’America

Gli Stati Uniti sono stati i precursori della disciplina delle molestie e delle mole-
stie sessuali. I due principali documenti normativi in materia sono: da un lato, il
Civil rights act, emanato nel 1964 e successivamente emendato nel 1991, il cui tito-
lo VII proibisce la realizzazione da parte del datore di lavoro di condotte lesive ai
danni dei dipendenti; dall’altro, le Guidelines on sexual harassment, pubblicate nel
1980 dall’EEOC, cioè la Commissione per le Pari Opportunità Lavorative.
  In particolare, il titolo VII del Civil rights act11, oltre a statuire l’illegittimità
delle molestie sessuali, protegge i lavoratori dalle discriminazioni basate su raz-
za, colore della pelle, religione, sesso o nazionalità; le Guidelines on sexual haras-
sment12, invece, integrano il precedente documento, specificando la definizione
di molestie sessuali e i rimedi che possono essere applicati.
  Le Guidelines on sexual harassment inpiduano due tipologie di molestie: le co-
siddette quid pro quo harassment e hostile environment harassment. Le prime sono
una sorta di abuso di potere e si realizzano quando il datore di lavoro trae vantag-
gio dalla sua autorità per richiedere favori sessuali a un dipendente, minacciando
di adottare provvedimenti negativi in ambito lavorativo nel caso in cui questi si
rifiuti di accondiscendervi. In tal caso, al datore di lavoro è applicato un regime di
responsabilità oggettiva. Le seconde, invece, sono caratterizzate da condotte inde-
siderate che interferiscono con il lavoro della vittima e che creano un ambiente di
lavoro intimidatorio, ostile ed offensivo. Le condotte che possono integrare que-
sta fattispecie non sono solo quelle a carattere fisico e sessuale, ma anche quelle
verbali, volte a sminuire le capacità lavorative della vittima, creando un clima pe-
sante e volgare. Il datore di lavoro è responsabile se era al corrente della molestia
e non ha fatto nulla per porvi rimedio, a meno che non dimostri di aver adottato
tutte le misure necessarie a prevenire o contenere gli effetti delle molestie13.
  Infine, per quanto riguarda i possibili rimedi, il Civil rights act prevede che la
vittima di molestie possa essere tutelata attraverso varie tipologie di risarcimen-
to: back pay, che consiste nella restituzione del salario che il lavoratore avrebbe


10 Preventing workplace harassment and violence, 2007, in www.workplaceharassment.org.uk.
11 Si veda, Civil rights act, 1964, in www.eeoc.gov.
12 EEOC, Guidelines on sexual harassment, 1980, in www.eeoc.gov.
13 Sul punto, Rambaldi F., Il mobbing nei sistemi di common law, cit., 299.



capitolo iv – prospettive di comparazione                        83
guadagnato nel periodo intercorrente tra la mancata promozione, il licenzia-
mento o le dimissioni forzate ed il giudizio; compensatory damages, ovvero il ri-
sarcimento per i danni subiti dal lavoratore, siano essi patrimoniali o non patri-
moniali; punitive damages, risarcimento ordinato dalla Corte allo scopo di punire
il datore di lavoro per aver attuato un comportamento illecito.


3. La recente introduzione del delitto di molestie sessuali in Germania

Il legislatore tedesco ha recentemente proceduto ad una incisiva riforma della le-
gislazione penale sessuale: il 10 novembre 2016, infatti, è entrata in vigore un’in-
novativa disciplina dei «Delitti contro la libertà sessuale» di cui ai §§ 174 ss. del
codice penale tedesco (Strafgesetzbuch – StGB)14.
   La norma di maggiore impatto mediatico e giuridico è il § 177/1 StGB, che
sancisce – per la prima volta in un ordinamento di Civil law – la punibilità degli
atti sessuali «meramente dissensuali», cioè commessi «contro la volontà rico-
noscibile» della vittima, senza necessità di determinate modalità di costrizione
(violenza, minaccia grave, ecc.). Ulteriore profilo caratterizzante la menzionata
riforma legislativa è stata l’introduzione di una nuova fattispecie criminosa di
«Molestie sessuali» (§ 184i StGB, Sexuelle Belästigung), affiancata da una contro-
versa disposizione (§ 184j StGB) mirata ad estendere la punibilità di coloro che
partecipano a gruppi che inducano taluno alla commissione di un reato sessuale.
   Le motivazioni principali che hanno spinto il legislatore tedesco ad approvare,
in tempi molto celeri, una così importante modifica della normativa penale a tu-
tela della libertà sessuale vanno ricercate nelle proteste levatesi ad opera di ampi
settori della popolazione e, in primis, dai movimenti femministi, a seguito dell’on-
data di violenze e molestie scatenatesi durante la notte di Capodanno 2016 princi-
palmente nelle città di Colonia ed Amburgo. In tale notte, oltre 1.000 donne furono
vittime di aggressioni sessuali perpetrate da circa 2.000 aggressori, per lo più agen-
ti in gruppo, quasi tutti cittadini extracomunitari: tuttavia, a luglio 2016, solo 120
uomini risultavano indagati e solo 4 condannati, peraltro con pene molto lievi 15.
   Sotto il profilo della normativa penale, tali episodi evidenziarono come l’al-
lora vigente legislazione impedisse un’adeguata risposta penale, posto che non
era contemplata l’incriminazione delle aggressioni sessuali commesse mediante


14 Il codice penale tedesco, nel testo attualmente vigente, è consultabile sul sito www.gesetze-
im-internet.de.
15 Vedasi il rapporto della Polizia federale di luglio 2016, di cui ampi stralci possono trovarsi –
in lingua italiana – nell’articolo Colonia, violenze di Capodanno. Metà aggressori arrivati nel 2015,
pubblicato dal Corriere della Sera in data 11 luglio 2016. Stando al rapporto, a Capodanno furono
commessi in tutto 642 reati puramente sessuali, per i quali sono stati indagati 47 sospettati;
in 239 casi le molestie furono accompagnate da furti e borseggi, con 73 relativi indagati. Tali
gravissimi episodi, peraltro, avvennero, oltre che a Colonia e ad Amburgo, anche a Stoccarda,
Düsseldorf ed altre città.



                                                 84
sorpresa, in assenza di violenza o minaccia, mentre nella notte di violenza de quo
gran parte delle aggressioni avvenne con tali modalità.
  Pertanto, l’obiettivo dei movimenti tedeschi pro riforma era quello di otte-
nere una nuova legislazione penale sessuale che garantisse una tutela piena alla
libertà sessuale, attribuendo rilevanza solo al consenso del destinatario dell’ap-
proccio sessuale, pur in assenza di una caratterizzazione violenta o minacciosa
della condotta.
  L’intervento legislativo di riforma in esame ha introdotto, altresì, due nuo-
vi delitti di molestie sessuali (§§ 184i/1 e 184i/2 StGB). In particolare, il § 184i/1
StGB dispone la pena della reclusione fino a 2 anni, in alternativa alla multa, per
chiunque molesti un’altra persona toccandola fisicamente in maniera sessual-
mente connotata16. Il § 184i/1 StGB prevede, inoltre, una clausola di sussidiarietà,
in virtù della quale i reati in esame si applicano solo ove non possa trovare appli-
cazione i più gravi delitti sessuali disciplinati dai §§ 177 ss. Il § 184i/2 StGB, poi,
contempla una fattispecie aggravata di molestie sessuali, prevedendo la pena de-
tentiva da 3 mesi a 5 anni nei casi di particolare gravità, menzionando tra di essi
unicamente la commissione del fatto da parte di una pluralità di persone.
  Tuttavia, la disciplina in esame ha omesso l’incriminazione delle molestie
sessuali non caratterizzate dal coinvolgimento della corporeità sessuale della
persona offesa e non ha nemmeno tenuto conto del diffuso fenomeno delle mo-
lestie sessuali sui luoghi di lavoro17.
  La disposizione più discutibile è senz’altro quella prevista dal nuovo § 184j
StGB, dedicato alle molestie ed agli abusi sessuali commessi dal membro di
un gruppo. La suddetta norma prevede con una pena detentiva fino a due anni
chiunque contribuisca alla commissione di un reato sessuale partecipando ad un
gruppo di persone il quale spinga un’altra persona alla commissione di un reato
sessuale, a patto che tali condotte non integrino già di per sé un perso reato più
gravemente punito.
  La finalità della suddetta norma è quella di garantire una più adeguata repres-
sione delle aggressioni sessuali di gruppo verificatesi in contesti affollati come
quelli di Capodanno di Colonia e Amburgo, situazioni in cui è solitamente molto
arduo accertare le concrete condotte poste in essere da ciascun membro del gruppo.
  Sotto il profilo tecnico, tuttavia, la soluzione normativa adottata lascia quan-
tomeno perplessi: con tale figura criminosa il legislatore tedesco ha sancito la ri-
levanza penale della mera partecipazione indiretta ad un gruppo in seno al quale
poi uno o più membri vengano spinti a commettere molestie o abusi sessuali, po-

16 La condotta tipica è stata definita con una formula poco determinata, come peraltro è tipico di
quasi tutti gli ordinamenti che prevedono reati analoghi, vista l’eterogeneità dei comportamenti
sessualmente molesti: cfr., ad esempio, l’ipotesi di “Harcèlement sexuel” ex art. 222-33 del codice
penale francese o la norma di cui al britannico “Protection from Harassment Act” del 1997.
17 Macrì F., La riforma dei reati sessuali in Germania. Centralità del dissenso e “tolleranza zero” verso le
molestie sessuali tra diritto penale simbolico e potenziamento effettivo della tutela della sfera sessuale,
24 novembre 2016, in www.penalecontemporaneo.it, 29.



capitolo iv – prospettive di comparazione                                85
sto che la partecipazione diretta è già contemplata dalla disciplina sul concorso di
persone nel reato. È stato, dunque, ritenuto che una tale disposizione rappresenti
una strumentalizzazione simbolica del diritto penale, atteso che configura una
responsabilità penale per un fatto commesso da altri senza richiedere un legame
con la commissione del reato perso dalla mera partecipazione ad un gruppo18.


4. La disciplina delle molestie sessuali in Svizzera

Anche in Svizzera il datore di lavoro è tenuto a proteggere i lavoratori dalle discri-
minazioni sul posto di lavoro e a tutelare la loro dignità. Tale dovere discende da
perse disposizioni legislative del Codice delle obbligazioni e della Legge federa-
le sul lavoro del 13 marzo 1964:

  Nei rapporti di lavoro, il datore di lavoro deve rispettare e proteggere la personalità
  del lavoratore, avere il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare alla salvaguardia
  della moralità. In particolare, deve vigilare affinché il lavoratore non subisca molestie
  sessuali e, se lo stesso fosse vittima di tali molestie, non subisca ulteriori svantaggi19;

e ancora,

  A tutela della salute dei lavoratori, il datore di lavoro deve prendere tutti i provvedi-
  menti, che l’esperienza ha dimostrato necessari, realizzabili secondo lo stato della
  tecnica e adeguati alle condizioni d’esercizio. Deve inoltre prendere i provvedimenti
  necessari per la tutela dell’integrità personale dei lavoratori20.

Inoltre, la Legge federale del 24 marzo 1995 sulla parità dei sessi vieta la discri-
minazione dei lavoratori a causa del sesso e, in particolare, la discriminazione
attraverso abusi sessuali. Definisce, altresì, la molestia sessuale non solo come
lesiva della dignità umana, ma anche come un comportamento discriminatorio.
Infatti, essa stabilisce che

  Per comportamento discriminante si intende qualsiasi comportamento molesto di
  natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la
  dignità della persona sul posto di lavoro, in particolare il proferire minacce, promet-
  tere vantaggi, imporre obblighi o esercitare pressioni di varia natura su un lavoratore
  per ottenere favori di tipo sessuale21.


18 Si veda Macrì F., La riforma dei reati sessuali in Germania. Centralità del dissenso e “tolleranza zero”
verso le molestie sessuali tra diritto penale simbolico e potenziamento effettivo della tutela della sfera
sessuale, cit., 31, la quale pone seri dubbi sulla costituzionalità della norma in esame in relazione
al principio di personalità della responsabilità penale.
19 Art. 328, capoverso 1, del Codice delle obbligazioni, in www.admin.ch.
20 Così, art. 6, capoverso 1, della Legge federale sul lavoro nell’industria, nell’artigianato e nel
commercio del 13 marzo 1964, in www.admin.ch.
21 Art. 4 della Legge federale sulla parità dei sessi del 24 marzo 1995, in www.admin.ch.


                                                    86
La protezione dalle molestie sessuali rientra nell’obbligo di diligenza che il datore
di lavoro deve assolvere nei confronti dei propri dipendenti. Essa comporta, da un
lato, misure di prevenzione e, dall’altro, l’intervento qualora si verifichi un caso di
molestie sessuali. Infatti, nel caso di discriminazione mediante molestie sessuali il
Tribunale del Lavoro o, per i rapporti di lavoro di diritto pubblico, la competente au-
torità amministrativa può parimenti condannare il datore di lavoro ad assegnare al
lavoratore un’indennità, a meno che lo stesso provi di aver adottato tutte le precau-
zioni richieste dall’esperienza e adeguate alle circostanze, che ragionevolmente si
potevano pretendere da lui per evitare simili comportamenti o porvi fine. L’inden-
nità è stabilita considerando tutte le circostanze, in base al salario medio svizzero22.
  Il datore di lavoro può essere chiamato ad assumersi le proprie responsabilità
anche quando a molestare sono dipendenti temporanei, fornitori o clienti.
  Ogni indizio di molestia sessuale deve essere preso sul serio. In caso di so-
spetto o reclamo, la direzione o la persona da essa incaricata deve procedere con
rapidità, discrezione ed equità a tutti gli accertamenti del caso. In taluni casi il
conflitto può essere risolto per via amichevole in un colloquio tra le persone coin-
volte. Se per chiarire un caso concreto si rende necessaria un’indagine, la persona
molestata deve presentare reclamo. Con tale atto dà il suo consenso all’apertura di
una procedura formale. Il datore di lavoro può affidare l’indagine a una persona
qualificata all’interno dell’impresa, ma soprattutto nelle piccole aziende è spesso
più semplice per tutte le parti coinvolte ricorrere a servizi specializzati esterni.
  Se con la procedura interna non si perviene a una soluzione ci si può rivol-
gere all’ufficio cantonale di conciliazione, che cercherà di mediare un’intesa tra
le parti. In caso di mancato accordo, per far valere i propri diritti la parte che ha
promosso l’azione legale deve adire il tribunale entro tre mesi. In alcuni Cantoni
la procedura di conciliazione è obbligatoria per poter intentare una causa dinan-
zi a un tribunale23.
  La Legge sulla parità dei sessi prevede anche delle disposizioni riguardanti la
protezione dal licenziamento. Tale protezione vale per tutta la durata di una pro-
cedura interna all’azienda o di una procedura esterna in corso presso l’ufficio di
conciliazione o in tribunale. Essa cessa sei mesi dopo la conclusione della proce-
dura. Una procedura può essere avviata anche quando la vittima di molestie non
lavora più in seno all’azienda nella quale si sono verificati i fatti24.


22 Si veda l’art. 5, capoverso 3, della Legge federale sulla parità dei sessi, in www.admin.ch.
23 Ufficio federale svizzero per l’uguaglianza fra donna e uomo, Interventi in caso di
molestie sessuali, in www.ebg.admin.ch.
24 In particolare, l’art. 10 della Legge sulla parità dei sessi prevede che: «1. La disdetta del
rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro è impugnabile se, senza motivo giustificato,
è data in seguito a un reclamo sollevato all’interno dell’azienda per presunta discriminazione
o in seguito all’introduzione di una procedura di conciliazione o giudiziaria. 2. La protezione
dal licenziamento vale finché dura la procedura di reclamo in seno all’azienda, la procedura
di conciliazione o la procedura giudiziaria, nonché nei sei mesi successivi. 3. La disdetta deve
essere impugnata in tribunale prima della scadenza del termine di disdetta. Il tribunale può



capitolo iv – prospettive di comparazione                             87
Infine, il codice penale svizzero prevede che:

  Chiunque, sfruttandone lo stato di bisogno o profittando di rapporti di lavoro o co-
  munque di dipendenza, determina una persona a compiere o a subire un atto sessuale,
  è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria25.

Inoltre, l’art. 198 del codice penale svizzero, rubricato «Contravvenzioni contro
l’integrità sessuale», punisce chi commette molestie sessuali, stabilendo che:

  chiunque causa scandalo compiendo un atto sessuale in presenza di una persona che
  non se lo aspettava [e] chiunque, mediante vie di fatto, o, impudentemente, mediante
  parole, molesta sessualmente una persona, è punito, a querela di parte, con la multa.



5. Il reato di molestie sessuali in Spagna

Le molestie sessuali sono previste come reato anche nell’ordinamento spagnolo:
il reato di acoso sexual è stato collocato dal legislatore spagnolo del 1995 nell’art.
184 del Código penal spagnolo, in seguito modificato con la Ley Orgánica n. 11 del
30 aprile 1999.
  Secondo l’opinione di una parte della dottrina spagnola, il bene giuridico
attiene alla tutela anticipata della libertà sessuale in senso stretto, intesa quale
libertà decisionale del soggetto passivo in tale ambito, mentre, un perso orien-
tamento dottrinale ha affermato che, dopo le modifiche legislative intervenute
nel 1999, l’interesse protetto coincida con la tutela dell’integrità morale, poiché
gli elementi costitutivi del reato richiedono la produzione di uno stato di obietti-
va e grave intimidazione, ostile ed umiliante26.
  Mentre il testo originario dell’art. 184 prevedeva solo il c.d. acoso vertical, la
citata riforma del 1999 ha introdotto anche lo acoso horizontal y ambiental e previ-
sto un aggravamento di pena quando la vittima è una persona particolarmente
vulnerabile27.
  Pertanto, il nuovo reato di molestie sessuali non punisce soltanto chi solle-
cita favori di natura sessuale per sé o per altri approfittando di una situazione


ordinare la riassunzione provvisoria del lavoratore per la durata della procedura qualora le
condizioni per annullare la disdetta siano verosimilmente adempiute. 4. Durante la procedura,
il lavoratore può rinunciare alla continuazione del rapporto di lavoro e far valere in sua vece
l’indennità giusta l’articolo 336a del Codice delle obbligazioni. 5. Il presente articolo si applica
per analogia alle disdette pronunciate a causa di un’azione intentata da un’organizzazione
secondo l’articolo 7».
25 Così, l’art. 193, capoverso 1, del Codice penale svizzero, in www.admin.ch.
26 Per un approfondimento, si veda Di Maio A., La criminalizzazione delle molestie assillanti nel
nuovo codice penale spagnolo, tra l’esigenza di tutela della vittima ed il rispetto dei principi penali, in
www.lalegislazionepenale.eu, 29 luglio 2016, 17.
27 Sul punto, Romano B., Delitti contro la sfera sessuale della persona cit., 323.



                                                    88
di superiorità gerarchica nel campo del lavoro o dell’insegnamento, con la pro-
spettazione di cagionare alla vittima un danno nell’ambito dei riferiti rapporti
(art. 184, comma 2), ma colpisce anche colui che si limita a sollecitare favori di
natura sessuale nell’ambito di un rapporto lavorativo o scolastico o avente ad
oggetto una prestazione di servizi e con tale suo comportamento determina per
la vittima una situazione gravemente intimidatoria, ostile o umiliante (art. 184,
comma 1).
  Il delitto di acoso sexual presuppone, quindi, l’esistenza di un rapporto in
ambito lavorativo e scolastico, od avente ad oggetto una prestazione di servizi
tra il soggetto attivo che effettua la corrispondente richiesta di favori di natu-
ra sessuale ed il destinatario della medesima, con la conseguente esclusione di
quegli episodi criminosi verificatesi in una relazione di coppia o di convivenza,
tra condomini, amici o conoscenti. Inoltre, la richiesta illecita di favori di natura
sessuale deve essere non soltanto seria ed inequivoca, ma anche esplicita nell’i-
potesi in cui venga espressa verbalmente, per mezzo di scritti o segni, e deve pre-
supporre la sussistenza di uno scambio di relazioni sessuali tra l’autore del fatto
e la vittima del reato. Infine, con riferimento all’elemento soggettivo, il delitto di
molestie sessuali implica che il soggetto agente commetta il fatto tipico con la
coscienza e volontà di soddisfare la propria libidine e di realizzare oscenità nei
confronti del soggetto passivo28.


Conclusioni

Le molestie sessuali e, nello specifico, le molestie sessuali sui luoghi di lavoro
rappresentano un fenomeno grave e di dimensioni allarmanti, soprattutto in ri-
ferimento al mondo femminile.
  Il panorama normativo delle molestie sessuali, in generale e nei luoghi di la-
voro in particolare, presenta una fisionomia ancora disorganica e frastagliata e
non sempre corrispondente alle aspettative di tutela delle persone offese. Se gli
sforzi della giurisprudenza, la contrattazione collettiva e alcune fonti legislative,
anche di ispirazione europea, hanno in parte contribuito, in modo apprezzabile,
a colmare certi vuoti legislativi, tuttavia la fotografia della realtà attuale palesa
ancora oggettive difficoltà a inpiduare strumenti chiari e incisivi per contrasta-
re il fenomeno, e le controversie interpretative sul piano della prassi giurispru-
denziale ne sono una conferma.
  Per quanto riguarda la tutela penale contro le molestie sessuali, come si è vi-
sto nei capitoli precedenti, l’attuale panorama offerto dalle norme penali vicaria-
mente riconducibili alle molestie sessuali non è del tutto rassicurante.



28 Di Maio A., La criminalizzazione delle molestie assillanti nel nuovo codice penale spagnolo, tra
l’esigenza di tutela della vittima ed il rispetto dei principi penali, cit., 18.



capitolo iv – prospettive di comparazione                           89
  Infatti, si sono qua e là manifestati parziali vuoti di tutela ed una certa spro-
porzione di risposta sanzionatoria rispetto a comportamenti nella sostanza in
gran parte unitariamente leggibili.
  Inoltre, pare essere chiaro che le condotte di molestia sessuale sono altro dalla
violenza sessuale e, nelle loro sfaccettature, sembrano semmai cogliere il profilo
dell’altrui sentimento di riservatezza e discrezione sessuale, più che quello della
libera disponibilità del proprio corpo.
  Alla luce di quanto sin qui osservato, sembra dunque opportuna l’introduzio-
ne all’interno del nostro ordinamento di un reato di molestie sessuali.
  Tale incriminazione risponderebbe anche efficacemente alle numerose sol-
lecitazioni provenienti dall’Unione Europea, la quale più volte ha auspicato un
intervento concreto per circoscrivere e reprimere le molestie sessuali.
  Non è un caso, del resto, che in alcune recenti ricodificazioni europee sia stato
specificamente previsto il reato di molestie sessuali. Ci riferiamo, a titolo esem-
plificativo, all’introduzione del reato di molestie sessuali (harcèlement sexuel)
nell’art. 222-33 del nuovo Code pénal francese del 1993, ovvero nell’art. 184 del Có-
digo penal spagnolo del 1995, come modificato dalla Ley Orgánica del 1999, che
prevede il reato di acoso sexual.
  Quanto alla possibile formulazione del nuovo reato di molestia sessuale, in
primo luogo, sembrerebbe accettabile che qualsiasi contatto fisico dolosamente
procurato e non consentito dalla vittima costituisca, se non integra i requisiti
della violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., almeno molestia sessuale.
  In secondo luogo, potrebbe ragionevolmente richiedersi che tutte le condotte
non consistenti in contatti fisici possano integrare la molestia sessuale solo se
ripetute ed insistite. In tal modo, potrebbe escludersi, con sufficiente certezza,
che possa integrare il reato di molestie sessuali un semplice complimento, un
approccio isolato, un corteggiamento non insistito ed invasivo: in altri termini,
tutte quelle condotte, magari sessualmente connotate, che però non vadano oltre
i confini della mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale.
  Affrontare il problema delle molestie sessuali nei luoghi di studio e lavoro è
assolutamente necessario non solo in termini di tutela, ma anche – e soprattutto
– in termini di prevenzione. E non solo per questioni di giustizia nei confronti
delle vittime, ma anche per gli ingenti costi che le organizzazioni di lavoro devo-
no sopportare a causa degli episodi di molestie: la minore produttività non solo
della vittima, ma anche dei colleghi che si trovano a dover lavorare o studiare in
ambienti inquinati, i danni di immagine quando il problema penta di dominio
pubblico e i risarcimenti nei confronti delle persone offese.
  Adottare, pertanto, politiche per prevenire le molestie sessuali o intervenire
tempestivamente nel momento in cui emerge una situazione critica può essere
ritenuta una strategia win-win per tutti gli attori dell’organizzazione.
  A parere di chi scrive, gli enti, le Università e le società possono fare moltis-
simo per prevenire le molestie sessuali al loro interno. Per poter implementa-
re una politica efficace di tolleranza zero nei confronti delle molestie sessuali le



                                         90
summenzionate organizzazioni dovrebbero, innanzitutto, partire dai vertici, i
quali hanno il compito di trasmettere a ogni dirigente e capo intermedio i prin-
cipi e i valori etici cui si ispira la società e, nello specifico, che il rispetto delle
politiche di prevenzione e contrasto delle molestie sessuali è importante tanto
quanto il raggiungimento degli obiettivi di business.
  Inoltre, di fondamentale importanza è l’implementazione di un sistema di
denuncia delle molestie sessuali: chi subisce una molestia deve poter sapere a chi
può rivolgersi per segnalarla, quali informazioni fornire, cosa succede dopo la
segnalazione. Soprattutto, deve sapere che riceverà ascolto e comprensione e che
può effettuare la segnalazione nella più totale sicurezza, senza timore di subire
alcun tipo di ritorsione. Ogni organizzazione, pertanto, dovrebbe prevedere un
sistema per consentire le segnalazioni di molestie sessuali, che sia facilmente
accessibile, sicuro e appropriato per l’organizzazione stessa e i suoi membri.
  In conclusione, lo scandalo Weinstein e tutto ciò che ne è seguito hanno con-
tribuito ad un importante cambiamento nel modo in cui consideriamo il tema
delle molestie sessuali. Ora non rimane che continuare a tradurre questa nuova
consapevolezza in azioni concrete che possano ridurre in maniera significativa
l’incidenza di questo fenomeno e migliorare la qualità della vita all’interno e all’e-
sterno delle organizzazioni lavorative. Avere una conoscenza del fenomeno, di
quali sono i fattori che lo scatenano e quelli che lo facilitano, è il primo passo per
programmare e realizzare azioni efficaci di prevenzione e contrasto delle mole-
stie sessuali e degli altri abusi di poteri nei luoghi di lavoro e di studio.




capitolo iv – prospettive di comparazione                      91
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capitolo iv – prospettive di comparazione                    97
Le molestie sessuali
nelle voci delle vittime
Una ricerca qualitativa

Federica Anastasia
1. definizioni


Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, le molestie sessuali:

  spesso consistono in azioni ripetute, non gradite, non corrisposte e imposte che pos-
  sono avere un effetto molto grave sulla persona. Le molestie sessuali possono inclu-
  dere commenti, osservazioni, sguardi, atteggiamenti, battute o l’uso di linguaggio
  sessualmente orientato, allusioni alla vita privata di una persona, riferimenti all’orien-
  tamento sessuale, allusioni con una connotazione sessuale, osservazioni sull’abito o
  sulla figura, o sguardi insistenti rivolti a una persona o a una parte del suo corpo .

Le molestie possono includere anche comportamenti coercitivi, come le minacce
di licenziamento se non vengono concessi favori sessuali (qui pro quo)1. A queste
tipologie, si aggiungono oggi le molestie via informatica, come cyberbullismo e
revenge porn.

Lo stesso Codice di comportamento dell’Università degli Studi di Trieste, appro-
vato nel 2008, riporta:

  Si definisce molestia sessuale ogni comportamento indesiderato a connotazione ses-
  suale o qualsiasi altro tipo di discriminazione basata sul sesso che offenda la dignità
  degli uomini e delle donne nell’ambiente di studio e di lavoro, ivi inclusi atteggiamen-
  ti di tipo fisico, verbale o non verbale2.

Louise Fitzgerald3 ha sviluppato una definizione più operativa di molestie ses-
suali. Ha identificato tre principali categorie:

  – «molestie di genere», che includono commenti o opinioni inappropriati, discorsi
  sessuali o esposizione a materiale pornografico;
  – «contatti sessuali indesiderati», consistenti in contatti fisici indesiderati o inviti
  insistenti e non graditi;
  – «coercizione sessuale», consistente in situazioni di qui pro quo o di aggressioni
  sessuali.4

Le molestie sessuali possono essere viste nella prospettiva delle discriminazioni
di genere.


1 M. Milczarek, Workplace violence and harassment: An European picture. European Risk observatory
Report. European Agency for Safety and Health at Work (EU-OSHA), 2010.
2 ≤http://web.units.it/sites/default/files/nrm/allegati/Regolamento_136.pdf>; sito consulta-
to il 20/06/2019.
3 L. F. Fitzgerald, “Sexual harassment: the definition and measurement of a construct”, in: “Ivory
Power: Sexual harassment on Campus”, Albany, State University of New York Press, 1990, 21-44.
4 L. F. Fitzgerald, cit.



                                               101
  In Italia, il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.lgs. 11 aprile
2006, n.198, art. 26), affronta la questione in questi termini, che riguardano il
piano disciplinare interno all’Ente o all’Azienda:

  Molestie e molestie sessuali.
  1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei compor-
  tamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o
  l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima
  intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo;
  2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei
  comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale
  o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un
  lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo;
  3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o
  delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati
  in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono
  considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di
  lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere
  il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

Le molestie sessuali sono state tradizionalmente considerate un «problema fem-
minile», ma studi recenti indicano che anche gli uomini possono essere vittime
e le donne possono essere aggressori.5 Tuttavia, la situazione più frequente con-
siste in un molestatore di sesso maschile e in una vittima femminile6 7.


2. conseguenze

Le molestie sessuali sono frequenti nei luoghi di lavoro e di studio, con conse-
guenze negative sia per le donne e gli uomini che le subiscono, sia per l’istituzione
stessa: compromissione del benessere organizzativo, demotivazione al lavoro, ab-
bandono degli studi, nonché perdita di credibilità e spese legali, nel caso la vittima
decidesse di denunciare la molestia subita. Sono considerate una violazione del
principio di parità di trattamento tra uomini e donne e della sua realizzazione
pratica, e rappresentano, quindi, una discriminazione per motivi di sesso.

Le molestie sessuali hanno gravi conseguenze sulla salute delle vittime, sulla
loro carriera e sulla loro relazione con il lavoro. Effetti negativi sulla salute in-
cludono sentimenti di rabbia, ansia, impotenza; sintomi di depressione e della

5 S. Charlesworth, P. McDonald, S. Cerise, Naming and Claiming Sexual Harassment in Australia,
in: “Australian Journal of Social Issues”, 2011, 46(2, 2011, 141-161.
6 P. McDonald, Workplace Sexual Harassment 30 Years on: A Review of the Literature, in:
“International Journal of Management Reviews”,14 (1), 2011, 1-17.
7V.E. Sojo, R.E. Wood, A.E. Genat, Harmful workplace experiences and women’s occupational well-
being: A meta-analysis, in: “Psychology of Women Quarterly”, 40 (1), 2016, 10-40.



                                             102
sindrome da stress post traumatico; sintomi funzionali; strategie di coping mal-
sane come l’uso di alcol8 9. Studi su campioni di giovani donne mostrano forti
associazioni tra molestie, disturbi alimentari e problemi mestruali10 11. Anche le
forme non fisiche di molestie sessuali, solitamente considerate “meno gravi”,
possono essere dannose. Secondo una recente meta-analisi, esperienze meno
intense ma frequenti (come un clima organizzativo sessista, insinuazioni ses-
suali o commenti impropri) e meno frequenti ma più intense (come il contatto
indesiderato o il qui pro quo) hanno effetti negative paragonabili sul benessere
delle donne12.
  Le molestie sessuali hanno conseguenze dannose anche sul benessere pro-
fessionale delle vittime, in termini di perdita di fiducia in se stessi, riduzione
della produttività e delle prestazioni e alto assenteismo13. Se non sono supportate
dall’istituzione, le vittime possono decidere di rinunciare a una carriera o di la-
sciare il lavoro. L’assenteismo dovuto alle spese per malattia, l’elevato turn-over
del personale e i costi legati alle procedure giudiziarie in caso di reclamo rappre-
sentano importanti oneri anche per le imprese14. Più in generale, come affermato
dalla Raccomandazione della Comunità Europea sulla protezione della dignità
delle donne e degli uomini sul lavoro15:
  «Le molestie sessuali inquinano l’ambiente di lavoro e possono avere effetti
devastanti sulla salute, la fiducia, il morale e le prestazioni di coloro che ne sono
affetti. Le molestie sessuali possono anche avere un impatto dannoso sugli im-
piegati che non sono essi stessi oggetto di comportamenti indesiderati ma che
ne sono testimoni».




8 J. A. Richman, K. M. Rospenda, S. J. Nawyn, Sexual harassment and generalized workplace abuse
among university employees: prevalence and mental health correlates in: “American Journal of Public
Health”.89(3), 1999, 358-63.
9 V.E. Sojo, R.E. Wood, A.E. Genat, cit.
10 P. Romito, C. Cedolin, F. Bastiani, M. J. Saurel-Cubizolles, Disordered Eating Behaviors
and Sexual Harassment in Italian Male and Female University Students, in: “Journal of
InterpersonalViolence”, 2016,<doi: 10.1177/0886260516664315>, sito consultato il 20/06/2019.
11P. Romito, C. Cedolin, F. Bastiani, L. Beltramini, M.J. Saurel-Cubizolles Sexual harassment
and menstrual disorders among Italian university women: A cross-sectional observational study, in:
“Scand J Public Health”, Jul;45(5), 2017, 528-535.
12 V.E. Sojo, R.E. Wood, A.E. Genat, cit.
13 M. Milczarek, cit.
14 H. Hoel, M. Vartia, Bullying and sexual harassment at the workplace, in public spaces, and in political
life in the EU, 2018, <http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2018/604949/
IPOL_STU(2018)604949_EN.pdf> sito consultato il 20/06/2019.
15 <https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:51998DC0302&from=EN>



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                            103
3. frequenza

La frequenza delle molestie varia tra gli studi, anche a causa di problemi di defini-
zione e differenze dei metodi di ricerca16. In una meta-analisi di 74 studi naziona-
li europei, tra il 17% e l’81% delle donne occupate ha riferito di aver sperimentato
alcuni tipi di molestie sessuali sul posto di lavoro17.
  In un’indagine che ha coinvolto 42.000 donne in 28 paesi europei, il 45% del-
le intervistate ha subito almeno una delle forme più gravi di molestie sessuali
durante la vita adulta; in un terzo dei casi, la molestia si era verificato nel contesto
professionale18.

Secondo i dati nazionali italiani, il 7,5% delle donne aveva subito ricatti sessua-
li, definiti anche qui pro quo harassment19, nella loro vita lavorativa, soprattutto al
momento dell’assunzione; nel 30% di queste situazioni le molestie erano quoti-
diane o molto frequenti. Studi in contesti professionali più specifici forniscono
tassi ancora più alti di molestie: considerando solo gli ultimi 12 mesi, il 54% del
personale femminile in un ospedale italiano riportava almeno un tipo (ma in ge-
nere molti di più) di molestia da superiori, colleghi, o pazienti20.

Le molestie sessuali sono così diffuse che sembra difficile scoprire in quale tipo
di posto di lavoro siano più frequenti o quali caratteristiche delle lavoratrici rap-
presentino fattori di rischio per la vittimizzazione. I dati di ricerca sono in par-
te contrastanti. Il fenomeno è frequente in lavori tipicamente maschili (come le
costruzioni)21, ma anche in lavori tipicamente femminili (come lavori di servizio e
vendita al dettaglio). Sembra anche una costante nell’ospitalità (bar, ristoranti, al-
berghi), un ambiente altamente sessualizzato, dove spesso alle lavoratrici è richie-
sto di fare “lavoro estetico”, cioè l’aspetto fisico, anche la sensualità, sono richiesti
come parte del lavoro22 . Recentemente, anche grazie al movimento #metoo, è stata


16 P. McDonald, Workplace Sexual Harassment 30 Years on: A Review of the Literature, in:
“International Journal of Management Reviews IJMR”, 14 (1), 2011, 1-17.
17 G. Timmerman, C. Bajema , Sexual Harassment in Northwest Europe. A Cross-Cultural Comparison,
in: “European Journal of Women’s Studies”, vol.6, Issue 4, 1999.
18 European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) Violence against women: an EU-
wide survey Main results, Luxembourg, Publication Office of the European Union, 2015, <fra-
2014-vaw-survey-main-results-apr14_en>; sito consultato il 20/06/2019.
19 http://www.istat.it
20 P. Romito, T. Ballard, N. Maton, Sexual harassment among female personnel in an Italian
hospital, in: “Violence Against Women”, 10(4), 2004, 386-417.
21 J. H. Watts, Porn, pride and pessimism: experiences of women working in professional construction
roles.“Work, employment and society”, 21(2), 2007, 299-316.
22 L. Good, R. Cooper, “But it’s your job to be friendly”: Employees coping with and contesting sexual
harassment from customers in the service sector, in: “Gender, Work & Organization”, 23(5), 2016,



                                                 104
rivelata la drammatica frequenza delle molestie nel settore dell’intrattenimento,
del mondo dei media e della vita politica23. Le molestie sessuali sono riportate so-
prattutto da donne con un diploma universitario e da donne con professioni qua-
lificate: per esempio, secondo la ricerca europea già citata24, hanno subito molestie
sessuali durante la loro vita il 75% delle donne nella categoria di alta dirigenza,
rispetto al 44% delle donne nella categoria professionale “manodopera qualificata”
o al 41% delle donne che afferma di non aver mai svolto un lavoro retribuito25.
   Le vittime frequenti sono, quindi, donne o professioniste in posizione di
autorità26, ma anche lavoratrici precarie o illegali27. La maggior parte degli studi
concorda sul fatto che le donne più giovani, le donne socialmente vulnerabili (di-
vorziate, madri single, vittima della violenza del partner) o le donne appartenen-
ti a minoranze sessuali sono a maggior rischio di molestie28.


4. le molestie sessuali in ambito universitario

Anche in ambito universitario le molestie sessuali, nei confronti di studentesse e
studenti, docenti e personale amministrativo, sono frequenti.
  In una delle prime ricerche negli Stati Uniti, la metà delle studentesse inter-
vistate aveva subito una o più delle tre tipologie di molestie – commenti sessisti,
attenzioni indesiderate o ricatti sessuali- da parte di docenti29. Nello stesso paese,
in un campione di 3.332 docenti in 24 Facoltà di Medicina, il 52% delle donne e il
5% degli uomini riportava di aver subito molestie sessuali nella sua carriera uni-
versitaria. In particolare, il 30% delle docenti riportava molestie pesanti, inclusi
ricatti sessuali30.
  Ricerche più recenti, confermano l’estensione del fenomeno. In un’inchiesta
che ha coinvolto 27 università, sempre negli Stati Uniti, l’11,7% degli studenti
e studentesse intervistate aveva subito un’aggressione sessuale (incluso lo stu-


447-469; S. Kensbock, J. Bailey, G. Jennings, A. Patiar, Sexual harassment of women working as
room attendants within 5 star hotels, in: “Gender, Work & Organization”, 22(1), 2015, 36-50.
23H. Hoel, M. Vartia, cit.
24 European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) Violence against women: an EU-
wide survey Main results, 2015.
25 Ibidem.
26 Ibidem.; P. Romito, T. Ballard, N. Maton, op.cit.; J. H. Watts, cit.
27 V. Ducret, Qui a peur du harcèlement sexuel: des femmes témoignent. Genève, Georg, 2010.
28 P. McDonald, cit.; P. Romito, T. Ballard, N. Maton, cit.
29 L. Cortina, S. Swan, L. Fitzgerald, C. Waldo, Sexual harassment and assault. Chilling the
climate for women in academia, “Psychology of Women Quarterly”, 1998, 419-441.
30 P. L. Carr, Faculty perceptions of gender discrimination and sexual harassmentin academic medicine.
“Annals of Internal Medicine” 6;132(11), 2000, 889-96.



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                          105
pro) dal momento in cui si erano iscritte/i. Le aggressioni erano più frequenti
tra le studentesse e tra coloro che si identificavano nell’universo LGBT, nonché
tra le/gli undergraduated. Per esempio, tra gli/le undergraduated, il 23% delle ra-
gazze, il 24% di chi si identificava come LGBT e il 5% dei ragazzi avevano su-
bito aggressioni sessuali. Le molestie sessuali (commenti impropri o offensivi,
sguardi, materiale pornografico, inviti insistenti, esclusi contatti fisici) erano
ancora più frequenti e riguardavano il 47,7% degli intervistati, ma ben il 61.9%
tra le studentesse undergraduatde. Gli aggressori erano principalmente studenti,
ma, tra le studentesse graduated, il 22,4% era stato molestato da un appartenente
al corpo docente31.

In Francia, la recente inchiesta nazionale sulla violenza (VIRAGE)32 ha incluso
anche un approfondimento sulle violenze all’Università (dati non ancora pub-
blicati). Qui, l’attenzione al tema è elevata e alcune associazioni pubblicano re-
golarmente, con il sostegno del Ministero dell’Educazione Nazionale, dell’Inse-
gnamento superiore e della Ricerca, un Vademecum sur l’Harcélement sexuel dans
l’enseignement supérieur et la recherche33.
  In Italia le ricerche affidabili sono rare. In una grande università del nord, più
di 600 studentesse universitarie hanno risposto a un questionario anonimo, che
riguardava due tipologie di molestie da docenti, la “Corruzione sessuale” - pres-
sioni e richieste di comportamenti legati alla sfera sessuale facendo balenare van-
taggi vari e il “Ricatto sessuale” - pressioni per attività sessuali con la minaccia di
sanzioni34. Nell’insieme, una ragazza su tre ha sentito la pressione a “essere cari-
na” all’esame per ottenere un voto migliore e il 5% riporta allusioni di carattere
sessuale in sede di esame; il 3% ha subito un ricatto sessuale da un docente. Questi
comportamenti erano particolarmente frequenti alla Facoltà di Medicina35.
  Anche le situazioni più “lievi”, come la pressione a “essere carina”, sono for-
temente discriminatorie nei confronti dei ragazzi o delle ragazze che non si sot-
tomettono, e finiscono per inquinare il clima universitario; nelle situazioni più
gravi, come il ricatto sessuale, le studentesse, in assenza di un forte appoggio
dall’istituzione, possono prendere decisioni fortemente penalizzanti: rimandare
l’esame, cambiare direttore di tesi o lasciare l’Università.




31 D. Cantor, Report on the AAU Campus Climate Survey on Sexual Assault and Sexual
Misconduct. 2017.
32 Violences et Rapports de Genre (VIRAGE), France, 2015.
33 Le harcélement sexuel dans l’enseignement supérieur et la recherché – une guide pratique <http://
clasches.fr/wp-content/uploads/2017/07/Guide.pdf>
34 M. Santinello, A. Vieno, L. Dallago, Valutare gli interventi psicosociali, Carocci, 2004.
35 Ibidem.



                                                106
5. riconoscere le molestie: un processo complesso

Gli inpidui spesso non riescono a riconoscere certi comportamenti abusivi come
molestie sessuali. Le reazioni comuni sono di cercare di evitare il molestatore; in al-
tri casi le vittime elaborano forme di coping interpretativo e finiscono per conpide-
re la narrazione dominante delle molestie come “barzellette” o normali interazioni
eterosessuali o per minimizzarle come comportamenti infantili. Questa strategia
permette alla vittima di non sentirsi umiliata per quanto ha subito, ma non le dà
strumenti per modificare la situazione. In altre situazioni ancora, se le molestie sono
“pesanti” e continuano e se queste strategie sono insufficienti, le vittime possono
decidere di lasciare il lavoro o di interrompere gli studi36. Come conclude Olga Ricci
(2015)37 nella sua testimonianza: «Per sottrarsi alla violenza, la maggior parte delle
donne preferisce lasciare il posto di lavoro» (p.121). Le denunce non sono frequenti:
in una rassegna internazionale, è stato stimato che solo tra il 5% e il 30% delle vitti-
me presenta un formale consenso e meno dell’1% partecipa a procedimenti legali38.
   Secondo la ricerca europea già citata39, tra tutte le donne che hanno descritto
casi gravi di molestie sessuali accaduti loro, il 35% ha nascosto l’accaduto e non
ne ha parlato a nessuno, il 28% ne ha parlato un/a amico/a, il 24% con un fami-
liare o un parente e il 14% ha informato il proprio partner. Solo il 4% di donne ha
denunciato alla polizia, il 4% ha parlato con un datore di lavoro o un superiore e
meno dell’1% consultato un avvocato, un’organizzazione di supporto alle vittime
o un rappresentante sindacale40.
   In Italia, tra le lavoratrici che hanno subito vessazioni e qui pro quo, la maggio-
ranza ha taciuto e quasi nessuna ha intrapreso azioni formali41.

Il modello detto della “consapevolezza legale” delinea come sono modellate le
percezioni delle molestie e la probabilità di successive risposte42. Ci sono tre pas-
saggi: “nominare” (naming) (l’esperienza è percepita come dannosa), “incolpare”
(blaming) (un’altra persona è ritenuta responsabile), e “reclamare” (claiming) (si
chiede un rimedio, e quando un reclamo viene respinto, può seguire un reclamo
formale). Il “nominare” è il primo passo: se la molestia non è riconosciuta e no-


36 P. McDonald, cit.
37 Ricci, O. Toglimi le mani di dosso. Una storia vera di violenze e ricatti sul lavoro, Milano,
Chiarelettere, 2015
38 P. McDonald, cit.
39 European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) Violence against women: an EU-
wide survey Main results, 2015
40 Ibidem.
41 http://www.istat.it
42 S. Charlesworth , P. Mcdonald, S. Cerise, (2011). Naming and Claiming Sexual Harassment
in Australia. Australian Journal of Social Issues, 2011, 46(2), 141-161.



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                       107
minata in quanto tale, gli altri passi non potranno seguire. Rifiutando l’etichetta, si
rifiuta di protestare, come sintetizzato da Thomas e Kitzinger43.

Le molestie avvengono in un contesto di relazioni di potere; un fermo rifiuto del
comportamento inappropriato, una protesta o una denuncia possono causare ri-
torsioni, dal ridicolizzare la donna al mobbing e al licenziamento. Con il coping
interpretativo e il rifiuto di nominare, le vittime proteggono la loro autostima,
che potrebbe essere infranta dal riconoscimento della loro impotenza a reagire.
Questi meccanismi dovrebbero essere visti nel contesto sociale dominante, dove
la confusione tra scherzare o flirtare e molestie è ancora pervasiva e dove prese in
giro e allusioni sessuali possono essere considerate normali e piacevoli, anche da
alcune donne, in molti luoghi di lavoro. Cairns44 ha spiegato il meccanismo attra-
verso il quale si perpetua il silenzio: in un contesto patriarcale, le donne sono psi-
cologicamente svantaggiate, finendo per accettare forme di femminilità definite
dall’uomo. Alla fine, le donne possono essere spinte a credere che le loro esperienze
non sono “reali”, che sono nel torto e dovrebbero vergognarsi. In questa situazione
contraddittoria e confusa, il silenzio e la negazione pentano atti di resistenza, un
punto sottolineato anche da Watts45. Inoltre, alcune giovani donne possono rifiu-
tarsi di identificarsi come vittime della violenza, nel contesto di una confutazione
generale delle interpretazioni femministe delle relazioni uomo-donna46.

Da questi modelli emerge l’importanza del contesto sociale: la storia, la cultura, il
mercato del lavoro, la legge, i media, influenzano chiaramente le relazioni di gene-
re e lavorative e modellano la percezione di ciò che potrebbe essere definito mole-
stia, quali reazioni sono appropriate e quali azioni possono o devono essere prese.


6. la situazione in Italia: assenza di uno strumento legislativo specifico in
un contesto di discriminazione

In Italia, il contrasto alle molestie sessuali avviene attraverso una serie di stru-
menti disciplinari (contenuti nei codici di condotta) o civili (attraverso il risarci-
mento del danno).
  Non c’è una fattispecie penale specifica che punisca con la reclusione (e/o con
una pena pecuniaria) le molestie sessuali in generale e nemmeno quelle realiz-
zate nei luoghi di lavoro.

43 A. M. Thomas, C. Kitzinger (1997). Sexual Harassment: Contemporary Feminist Perspectives, Ed.
Alison M. Thomas and Celia Kitzinger, 1997.
44 K. Cairns, “ ‘Femininity’ and women’s silence in response to sexual harassment and coercion”,
in: Sexual harassment. Contemporary feminist perspectives, Philadelphia, Open University Press, 91-112.
45 J.H. Watts, cit.
46 D. Lee, “He didn’t sexually harass me, as in harassed for sex… he was just horrible”: Women’s definitions
of unwanted male sexual conduct at work, in: “Women’s Studies International Forum” 24(1), 25-38.


                                                   108
  Siccome, però, le condotte di molestie possono manifestarsi con modalità di-
verse, esse possono essere, eventualmente, ricondotte ad altre fattispecie di reato
che sono presenti nel codice penale:
  −− per i comportamenti che implicano un contatto fisico, anche se blando,
   come il contatto o il bacio indesiderati, le vittime possono fare appello alla
   legge sulla violenza sessuale, nel codice penale (art. 609 bis).
  −− se ad essere leso è il bene giuridico della pubblica tranquillità delle per-
   sone, si ravviserà il reato di molestia o disturbo alle persone, art. 660 c.p.;
  −− se prevarrà la componente della minaccia, si potrà configurare proprio il
   reato di minaccia, di cui all’art. 612 c.p., e così via.
Pur non essendoci una fattispecie penale specifica, in Italia, l’articolo 26 del Codi-
ce delle pari opportunità (D.lgs. 11 aprile 2006, n.198) rubricato “Molestie e mole-
stie sessuali” introduce quanto segue:
  1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei com-
    portamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi
    lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e
    di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
  2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovve-
    ro quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in
    forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la
    dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimida-
    torio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
  3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei la-
    voratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1
    e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione
    ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni
    quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono
    una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del
    principio di parità di trattamento tra uomini e donne».
Il Codice Civile pone specifiche norme a protezione del benessere del prestatore
di lavoro, nonché l’obbligo da parte del datore di lavoro di adottare le misure ne-
cessarie a tutelarne l’integrità fisica e morale. Le violazioni che riguardano l’area
delle molestie sessuali che possono produrre un danno fisico o morale alla vittima
possono essere perseguite legalmente e la vittima può ottenere un risarcimento.
  Oltre agli aspetti già menzionati (confusione, vergogna, paura di ritorsioni
della vittima) il fatto che, in Italia, i comportamenti indesiderati connotati ses-
sualmente non costituiscano una fattispecie giuridica autonoma è un altro osta-
colo al processo di «nominare, incolpare, reclamare».
  Nel nostro paese, la discriminazione contro le donne è ancora grande. Secon-
do il Gender Equality Index (2017)47, l’Italia è al 14° posto tra i 28 paesi dell’Unione

47 Gender Equality Index (2017) <https://eige.europa.eu/publications/gender-equality-index-
2017-measuring-gender-equality-european-union-2005-2015-report>.


le molestie sessuali nelle voci delle vittime                     109
Europea. I punteggi italiani sono particolarmente bassi per quanto riguarda la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro, una delle più basse in Europa.
  Dato questo contesto, è forse sorprendente che, in Italia, i tassi di varie forme
di violenza di genere siano inferiori alla media europea. Per quanto riguarda le
molestie sessuali (non limitate al posto di lavoro), la media europea è del 45%,
mentre in Italia è del 37%; il 29% delle donne in Europa, ma il 21% in Italia riferi-
sce di essere stato toccato o baciato contro la loro volontà48. Un altro studio, citato
da Hoel e Vartia49, indica che Italia, Romania e Bulgaria presentano i tassi più
bassi di molestie sessuali in Europa; Hoel e Vartia50 commentano che i tassi sono
bassi laddove il fenomeno è poco riconosciuto. Ciò è confermato dalle reazioni al
movimento #metoo (chiamato in Italia #quellavoltache): pochissime donne han-
no pubblicamente denunciato episodi di molestie sessuali e una di loro, l’attri-
ce Asia Argento, è stata brutalmente attaccata da molti media, e anche da donne
giornaliste. Da molti punti di vista, l’Italia è ancora un paese misogino51.


7. Ricerca e metodo

7.1. Obiettivi

Consapevole della gravità e inaccettabilità delle molestie sessuali, il Comitato
Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi
lavora e contro le discriminazioni - CUG dell’Università di Trieste, nel solco di
quanto affermato dal Codice Etico di Ateneo52, ha promosso uno studio sulle mo-
lestie sessuali in ambito universitario.
  Lo scopo di questo studio è di esplorare e conoscere meglio un fenomeno che
viene spesso taciuto per fornire strumenti che permettano di sviluppare un pro-
gramma di prevenzione e di sostegno alle vittime di molestie.
  Considerata la scarsità di studi e conoscenza in Italia su tale argomento, si
è scelto di utilizzare la metodologia di ricerca di tipo qualitativo-esplorativo 53e
l’intervista semi-strutturata per la raccolta dei dati.

48 European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) Violence against women: an EU-
wide survey. Main results, Luxembourg, Publication Office of the European Union, 2015
49 Hoel, Vartia, cit.
50 Ibidem
51 C. Volpato, Psicologia del maschilismo, Roma, Laterza, 2013.
52 Il regolamento è consultabile sul sito internet dell’ Università di Trieste all’indirizzo <http://
web.units.it/sites/default/files/nrm/allegati/Regolamento_136.pdf>.
53Le indagini di tipo qualitativo rendono possibile una comprensione della vita sociale (Babbie,
2013), permettendo di indagare in profondità un tema, facendo emergere il punto di vista dei
partecipanti, il significato che attribuiscono alle esperienze, il sistema valoriale annesso, e
pentando materiale utile al fine dell’aumento della conoscenza del mondo sociale. Uno dei
punti di forza della ricerca qualitativa sul campo è la possibilità di indagare in profondità la
realtà sociale, “immergendosi” in essa.

                                                110
7.2. Procedura

Lo studio consiste in una raccolta di testimonianze di persone - studentesse e
studenti, personale tecnico e amministrativo, docenti, altro personale- che abbia-
no subito molestie in ambito universitario, anche in passato. Le testimonianze
sono state raccolte con un colloquio, svolto in condizioni di anonimato e riserva-
tezza. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico di Ateneo.

La ricerca ha coinvolto persone che afferiscono all’Università degli Studi di Trie-
ste; solo alcune interviste hanno riguardato persone che afferiscono ad altre isti-
tuzioni scientifiche del territorio.

Finora, e sopratutto in Italia, le esperienze di molestie sono state tenute celate:
le vittime temono di non essere credute, di essere colpevolizzate o di subire ri-
torsioni. Anticipavamo, quindi, difficoltà nel reperire un numero sufficiente di
persone da intervistare. Per questo motivo, i componenti del CUG si sono attivati
in vari modi per pulgare le informazioni sulla ricerca e incoraggiare le persone
a conpidere la loro esperienza, in condizioni di tutela della riservatezza e dell’a-
nonimato. In particolare:
  −− la ricerca è stata presentata in alcuni incontri con studenti e studentesse;
  −− la Presidente del CUG ha inoltrato ai Direttori e Direttrici di Dipartimento
   un messaggio con una sintesi del progetto e l’invito a informare il persona-
   le, anche in occasione dei Consigli di Dipartimento; la Presidente è inter-
   venuta di persona in tali contesti, in particolare presso i Dipartimenti di
   Fisica e di Scienze Chimiche e Farmaceutiche;
  −− locandine di presentazione della ricerca sono state preparate e affisse nelle
   varie sedi dell’Università.
Grazie a questo intenso lavoro di informazione e promozione, le persone interes-
sate a partecipare hanno preso direttamente contatto con la ricercatrice.
La ricerca si è concretamente svolta secondo perse fasi:
  I. Predisposizione di una pagina informativa riepilogativa della ricerca e del
    progetto e inclusive di una lista di possibili ricorsi, da lasciare alle persone
    intervistate (vedi allegato 1).
  II. Predisposizione del modulo di Consenso Informato, come da normativa e
    Codice Etico.
  III. Contatto da parte delle persone interessate, via email, per introdurre
    prima telefonicamente il progetto, poi, per prendere appuntamento per
    presentare il progetto di persona. La spiegazione della ricerca e dell’anoni-
    mato, è avvenuta già dal primo contatto telefonico.
  IV. In seguito, sono stati fissati gli appuntamenti, singolarmente, con le perso-
    ne che hanno manifestato la volontà di partecipare. Le interviste sono state
    registrate.
  V. Trascrizione delle registrazioni e analisi dei testi.


le molestie sessuali nelle voci delle vittime                   111
Per le interviste è stato scelto un luogo neutrale, ove la ricercatrice ha accolto la
persona. Il contatto è iniziato con una spiegazione della ricerca e la firma del con-
senso informato, specificando la disponibilità della ricercatrice per ogni eventua-
lità ed in qualsiasi momento54.
  La durata delle interviste variava da 20 a 60 minuti.
  Lo studio è stato condotto in conformità con le Linee guida etiche per la ricer-
ca sulla violenza contro le donne pubblicate dall’Organizzazione mondiale della
sanità (2001)55 nonché delle direttive italiane, espresse dal Codice dell’Associazio-
ne Italiana Psicologi e dal Comitato Etico di Ateneo.
  La ricerca si è svolta da settembre a dicembre 2017.
  I Contatti con potenziali soggetti sono superiori alle interviste effettivamen-
te svolte: alcune vittime di molestie temevano ritorsioni o provavano comunque
disagio nel parlarne.
  Così, per esempio, una studentessa ha preso contatto con la ricercatrice a pro-
posito di molestie di un docente, ma poi ha declinato la partecipazione.
  In un altro caso, una addetta ai servizi esterni ha preferito non fare l’intervi-
sta, nonostante numerosi contatti preparatori.
  Ciò indica che ancora oggi sono le vittime ad avere timore e a provare disagio.


7.3. Strumenti

Lo strumento utilizzato per la raccolta dei dati è stata l’intervista qualitativa,
che, partendo da una domanda di apertura e da una griglia di temi, permette ai
partecipanti di esprimere il proprio punto di vista, il proprio pensiero anche ri-
spetto a tematiche magari inizialmente non previste56. Le interviste qualitative
si basano su un’interazione tra intervistatore e soggetto intervistato. È necessaria
una conoscenza approfondita, da parte dell’intervistatore, delle domande e delle
tematiche, proprio per procedere in modo naturale, fluido e scorrevole. La con-
versazione continua con l’approfondimento dei temi che il rispondente stesso
porta. L’intervistatore deve saper ascoltare, pensare e parlare quasi contempora-
neamente, il tutto con empatia, capacità di gestire il silenzio, auto-osservazione,
in un atteggiamento e postura accogliente ed in assenza di giudizio57. Uno dei
principali punti di forza dell’intervista qualitativa è la flessibilità di cogliere an-
che gli aspetti contraddittori dell’esperienza degli intervistati.




54 Tutte le interviste sono state svolte dalla dott.ssa Federica Anastasia.
55 OMS, World Report on Violence and Health, OMS – Switzerland, 2002.
56 J.C. Kaufmann, L’intervista, Bologna, Il Mulino, 2007.
57 E. Babbie, Ricerca sociale, Rimini, Maggioli, 2008.



                                         112
Come afferma Kaufmann58:

  L’opinione di una persona non è un blocco omogeneo. I pareri che possono essere rac-
  colti tramite interviste sono molteplici per una stessa domanda, persino contradditto-
  ri, e strutturati in modo non aleatorio a persi livelli di coscienza. (…) Per raggiungere
  le informazioni essenziali, l’intervistatore deve avvicinarsi allo stile della conversazio-
  ne senza lasciarsi andare a una vera conversazione: l’intervista è un lavoro, che recla-
  ma uno sforzo continuo.



7.4. Campione

Nella ricerca sono state intervistate 17 persone, 2 uomini e 15 donne.
  Premettiamo che la descrizione delle caratteristiche delle persone intervista-
te e di chi ha compiuto molestie sarà estremamente scarna, così da proteggere al
massimo l’anonimato e la riservatezza delle/degli intervistati.
  Si tratta, nella maggior parte dei casi, di appartenenti al corpo studentesco: 12
studentesse, neo-laureate o dottorande e uno studente (una dei quali Erasmus)
hanno riferito episodi di molestie a cui sono stati sottoposti. Le altre interviste
con le vittime di molestie hanno riguardato docenti, ricercatrici e un/a dipen-
dente tecnico-amministrativo.
  Chi sono i molestatori? Solo in un caso si è trattato di una donna, negli altri 16
casi erano uomini. Essi provengono dai vari ambiti dell’Ateneo: in 6 casi si tratta
di studenti o dottorandi; in 8 casi di docenti ricercatori strutturati; e in due casi
di personale tecnico-amministrativo (alcune vittime hanno citato più di una mo-
lestia e più di un molestatore).
  Oltre alle esperienze personali, le persone intervistate hanno anche descritto
esperienze in cui altre persone hanno subito molestie, sempre in ambito univer-
sitario: in questi “riferiti”, la tipologia delle vittime è ancora più varia, in quanto
include anche, per esempio, un’addetta ai servizi di pulizia dell’Ateneo.

Al momento dell’intervista, le persone intervistate avevano dai 21 ai 65 anni (età
media: 33 anni).


8. Risultati

8.1. Esperienze quotidiane: dalle molestie di genere alle aggressioni sessuali

In questa prima parte del rapporto, presenteremo, con le parole delle persone
intervistate, alcune delle esperienze di molestie vissute59. Queste testimonianze

58 J.C. Kaufmann, cit.
59 I risultati sono stati presentati come brani di interviste, utilizzando la prospettiva narrativa.
Le citazioni sono in corsivo, omettendo delle parti di discorso quando ripetitive o non pertinenti,


le molestie sessuali nelle voci delle vittime                         113
sono organizzate in tre grandi categorie: esperienze vissute da giovani donne (e
un giovane uomo): studentesse, neolaureate o dottorande; esperienze vissute da
lavoratrici e lavoratori (personale docente e tecnico-amministrativo): e una cate-
goria eterogenea, quella delle “molestie assistite” e riferite, in cui le testimoni e
le vittime hanno status persi.
  Le esperienze riportate sono molto perse. Seguendo la tipologia di Lou-
ise Fitzgerald60, le persone intervistate riportano: “molestie di genere”, e cioè
l’esposizione a un ambiente maschilista, sessista o omofobo, attraverso parole,
comportamenti o sguardi; “attenzioni sessuali indesiderate”, caratterizzate da
proposte o inviti indesiderati; e vere e proprie “aggressioni sessuali” (un caso
di aggressione fisica e due di esposizione a esibizionisti); non è stato invece ri-
portato nessun caso di ricatto sessuale esplicito. Bisogna tuttavia precisare che i
confini tra le tre categorie sono labili e che la stessa vittima può aver subito più
tipi di molestie dallo stesso autore o da autori persi. Come si è già indicato, la
maggioranza delle vittime è di sesso femminile (solo due vittime sono uomini),
mentre tutti i molestatori, tranne una, sono di sesso maschile.
  Una nota importante: l’impegno con le persone intervistate è stato di garan-
tire non solo l’anonimato ma anche la massima riservatezza. Dalle citazioni sono
state omesse le informazioni e i dettagli che avrebbero potuto permettere di
identificare persone e luoghi coinvolti. Da notare inoltre che alcune citazioni ri-
portano esperienze vissute alcuni anni fa, il che rende ulteriormente impossibile
l’identificazione delle persone coinvolte.

Studentesse, neo-laureate, dottorande

La maggior parte delle esperienze di molestie è stata riportata da studentesse, ne-
olaureate o dottorande, e, in un caso, da uno studente. I molestatori sono altri stu-
denti, docenti e anche dipendenti tecnico-amministrativi dell’Istituzione. Si tratta
di esperienze molto perse: esposizione a commenti offensivi o volgari riguardan-
ti le donne; “corteggiamenti” insistenti (fino a configurarsi quasi come stalking) da
parte di studenti; comportamenti impropri a carattere sessuale da parte di uomini
(docenti o personale). Alcune intervistate riportano anche gli incontri, avvenuti
negli spazi universitari, con “esibizionisti”, sempre uomini sconosciuti.

Iniziamo con alcune citazioni che riguardano l’esposizione a commenti volgari,
offensivi o discriminanti nei confronti delle donne, degli omosessuali o di per-
sone di altri paesi:


e indicando questa omissione di testo con […]. Tra parentesi vengono anche riportati sentimenti
o comportamenti dei soggetti intervistati (per esempio: tono arrabbiato, silenzio, sospira),
rilevati dagli intervistatori al momento del colloquio o riascoltando la registrazione.
60 L.F. Fitzgerald, Sexual harassment: Violence against women in the workplace, “American
Psychologist”, 48 (10), 1070-1076, <http://dx.doi.org/10.1037/0003-066X.48.10.1070≥.



                                             114
  È una cosa che mi è successa l’anno scorso… in un ufficio con persi colleghi e… ehm…
  uno faceva battute scurrili su tutti e tutte, come se avesse la sindrome di Tourette,
  quella sindrome per cui si dicono oscenità in continuazione, non so se ce l’abbia dav-
  vero o no, ma comunque il suo comportamento è accettato! Faceva le battute persino
  sulle figlie di questa mia collega che hanno 5 e 10 anni, che quando crescono se le sco-
  pa! E sua madre che non gli diceva niente! Vabbè, ok, non ne facciamo una questione
  di stato, perché lui… cioè io non è che mi permetto di dire certe cose, scusa…

Faceva battute anche su voi che eravate in ufficio?

  Ma certo, sì sì! Mi ha dato fastidio invece una sua battuta, che per me era … non era
  accettabile su qualcun altro, quando è arrivato un collega… un nuovo ragazzo, uno
  studente cinese nel nostro ufficio per un paio di settimane… Io lo conoscevo già,…
  quindi, quando l’ho visto, gli ho detto: «Hi! sei arrivato, ciao», l’ho abbracciato, come
  fan tutti. E lui che stava lì mi guardava, fa: «Che schifo!», perché secondo lui i cinesi
  puzzano, perché l’ho abbracciato e lui ha detto: «Che schifo!» e poi… un altro giorno
  che questo ragazzo era lì, ha fatto un’altra battuta sui cinesi che adesso non ricordo
  esattamente, ma con lui lì presente, in italiano, pensando che tanto non capiva e io
  gli ho detto: «Sei proprio un coglione! cioè non hai rispetto»… e lui mi ha risposto:
  «Ah, allora ti piace questo, perché non te lo scopi. Vuoi dare una bella leccata di palle
  cinesi?», al che sono esplosa, cioè, non …io ho detto questo…cioè, non hai rispetto!
  (dottoranda02).

La stessa dottoranda ricorda inoltre che:

  «Oh Dio! Adesso che mi ci fai pensare», sì, avevo due professori in università che era-
  no veramente… si lasciavano andare a battute sessiste con le ragazze, cioè si, facevano
  anche apprezzamenti sulle ragazze che si presentavano a dare gli esami… e alla fine…
  era… anche quello era accettato, nessuno interveniva!

Le battute maschiliste, le aspettative che le ragazze siano meno capaci, meno bril-
lanti, si riscontrano anche in altri contesti di studio:

  Si sente, si percepisce un ambiente comunque molto maschilista, nel senso che le don-
  ne fanno molta fatica ehm…a raggiungere il successo ma anche banalmente… non so…
  se fai bene una cosa… c’è quasi stupore che tu riesca a farla bene… se scrivi una cosa bel-
  la, si fa…c’è stupore appunto, ci si stupisce che tu riesca a farla… un altro episodio che
  mi ha dato molto fastidio…ehm… ero vestita… avevo una di quelle camicie sai un po’
  maschili larghe ehm…sempre questo insegnante mi ha detto: «Eh, ma hai passato la
  notte col tuo ragazzo che hai la sua camicia?». Si...sono cose un po’ così… ehm… non lo
  so, battute su delle belle ragazze, magari anche un po’ spinte… però penso sia… non so…
  tipo se passa una bella ragazza: «Ah, che bella figa!» cose così ehm… (studentessa13).

Una studentessa che stava svolgendo il tirocinio in ambiente medico universitario ha
riportato molestie verbali (e non solo, come vedremo poi) particolarmente pesanti:

  Da parte di personale medico nostro, che ci tratta proprio come... le sue cameriere [...]
  sì, a me è capitato, che c’era questo medico assieme ad un’altra dottoressa, la dottoressa
  valuta che ha bisogno dell’ecografo per fare delle indagini più approfondite, e…chiede



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                      115
  al suo collega per favore di andare a prendere l’ecografo, lui si rifiuta, la guarda e le fa,
  riferito a noi infermiere, «È pieno di sciacquette qui, manda una di loro!» (studentes-
  sa/tirocinante08).

Uno studente racconta di aver subito commenti offensivi e discriminatori nei
confronti degli omosessuali:

  Nei corridoi delle aule studio dell’edificio H3 spesso ho avuto occasione di ascoltare battute
  discriminatorie nei confronti degli omosessuali. Soprattutto da parte di persone, uomini e
  donne, della facoltà di Ingegneria. Una volta è avvenuto anche nei miei confronti, alle mie
  spalle: mi è stato riferito da un amico. Spesso le battute pronunciate venivano utilizzate
  come “insulto amichevole” fra compagni: «frocio» e «culattone». (studente03).

Molte delle studentesse intervistate riportano episodi di stalking da parte di al-
tri studenti. Una studentessa ha riportato una storia durata a lungo, di richieste
insistenti e appostamenti da parte di un altro studente, avvenuti all’università o
nel tragitto casa-università, tali che l’hanno obbligata a cambiare orari e luoghi
di studio. Nell’episodio riportato qui sotto, il ragazzo l’ha aggredita anche fisica-
mente, senza che gli astanti intervenissero:

  In università, rientrando insieme ai miei amici, ero sempre con i miei amici, è suc-
  cesso che c’era folla dove stavamo rientrando, ehm… hanno iniziato a salire le scale io
  sono rimasta un pelo indietro, mi sono ritrovata lui davanti che ha iniziato a stratto-
  narmi per le spalle, urlandomi che dovevo uscire con lui, però cioè io non ho reagito
  più di tanto se non pincolandomi e dicendogli di smetterla insomma… così e poi
  sono andata via e sta scena a me aveva colpito, (sorride con imbarazzo) perché cioè…
  era passata totalmente inosservata! Ma c’era un sacco di gente! (studentessa06).

Un’altra studentessa racconta il disagio di sentirsi osservata insistentemente
quando studiava in biblioteca e di essere sfiorata (casualmente o intenzional-
mente?), quando ne usciva:

  Ti metti a sedere a studiare a leggere… e ti sembra di sentire diecimila occhi puntati [...]
  oppure questa cosa, che non era una sensazione, ma era concretamente così, nell’in-
  gresso dalle scale… insomma… c’era sempre proprio un gruppo, fisso lì… e quindi avevi
  il momento in cui tu dovevi passare… cioè sai, un po’ si faceva spazio un po’ no, quindi,
  sembrava quasi fatto apposta, ovviamente sono… cioè sensazioni, però non era faccio
  spazio e entri libera, no! Faccio spazio e sento che se passo… sfiori qualcuno, qualcuno
  ti sfiora, così… no? Quella… situazione… che ti sembra che devi passare in mezzo ad un
  corridoio, 5 da una parte 5 dall’altra… dà fastidio… no così… il fatto di sentire occhiate
  mentre studi, squadrata… vai a prendere il caffè ti trovi la persona attaccata lì… cioè…
  cercano di… a me era capitato spesso, poi, che mi arrivavano richieste di amicizia su Fa-
  cebook da gente che non avevo la più pallida idea di chi fosse e, poi, vedevo che le facce
  erano quelle, dici “no”, insomma… non li conosco neanche! (studentessa12).

In alcuni casi, le studentesse riportano comportamenti molesti da altri studenti
e li attribuiscono a differenze culturali (oltre che di genere):



                                              116
  Vissuto assieme a me comunque da altre mie compagne, forse c’è stato qualche epi-
  sodio di un ragazzo che provava insistentemente, non…cioè…violando un po’ anche
  la privacy in quella che era la Casa dello studente…quindi, bussare …avere comunque
  comportamenti non opportuni, da qualche studente per lo più straniero. Sono entrata
  in Casa dello studente, in quella in cui c’era la maggior concentrazione di stranieri
  ehm…ed eravamo tipo in un piano ragazze ed altri stranieri…per differenze culturali
  magari tante volte è stato frainteso il comportamento di qualcuna, quindi, qualche
  molestia, per lo più nel bussare nel proprio appartamento nel momento non opportu-
  no, nell’insistere ad uscire… di fronte ad un “no”! (studentessa16).

L’università dovrebbe essere un luogo sicuro per tutti, in particolare per le stu-
dentesse. Due testimoni raccontano tuttavia di aggressioni sessuali vissute pro-
prio negli spazi esterni dell’Ateneo, nei pressi di una Casa dello studente:

  Io ho subito un’aggressione ma esterna, quando vivevo in Casa dello studente ma da
  una persona esterna, quindi, non da un… da un pari… cioè da uno studente o comun-
  que…da un professore [...] (fatica un po’ a parlarne)… ho subito un’aggressione ed un
  tentativo di violenza sessuale… questo è stato il motivo per cui poi non ho più allog-
  giato in Casa dello studente [...] stavo scendendo le scale, quelle che dalla mensa vanno
  sotto fino all’ingresso ed era un periodo in cui l’amministrazione non illuminava, ave-
  va deciso di non... di non illuminare insomma la zona [...] ed era nascosta una persona
  che aveva… insomma... uno studente non un professore, una persona con disturbi che
  ha tentato di afferrarmi ehm… son riuscita a scappare…cioè sono scappata in direzione
  opposta… c’era una ragazza che aspettava un’amica che scendeva dalla stessa scala, ho
  cercato di entrare lei mi ha fatta entrare in auto, l’altra ragazza che scendeva è stata
  avvisata, è stata vista anche la persona fuggire, ehm…insomma bon questo è stato poi
  il motivo per cui nei mesi successivi ho deciso di… di… insomma… di andare in un
  appartamento privato ecco… (studentessa16).

  Io ho avuto uno stalker e non solo io, molte altre mie amiche, uno studente di ingegne-
  ria…conosciuto, noto, sai… [...] erano le dieci , le 22 e dovevo prendere l’autobus, la 17 che
  mi portava in centro a casa alle 22.15 e stavo facendo sempre quella maledetta discesa…
  sto stronzo non esce da non so…non l’ho visto da dove è uscito, io ero intenta come una
  scema a camminare tranquilla a prendere col buio… a prendere l’autobus, mi sbuca
  all’improvviso, avevo una maglia a righe… a quadri e mi fa «Ma che bella» ( si blocca un
  po’) mi prende la valigia e mi dice ti do un passaggio io, che aveva la macchina. «No!»
  Mi sono messa a urlare, perché gli ho detto restituiscimi la valigia! Brutto stronzo, re-
  stituiscimela! XXX (un amico), che era fuori a fumare la sigaretta con… in sedia a rotelle,
  per fortuna mi ha sentita e si è messo ad urlare «XXX!» chiamandomi… (studentessa15).

Alcune studentesse hanno avuto, negli spazi interni o esterni del campus univer-
sitario, degli incontri ravvicinati con esibizionisti, situazioni che spesso induco-
no uno choc nelle ragazze che le subiscono.

  Avevo parcheggiato il motorino qua sotto, dalla parte delle scalette esterne che arri-
  vano giù… ehm… piovigginava, ho detto: «Ok, son le dieci, vado a casa». Nell’allonta-
  narmi da qui, andando verso il motorino, e ho trovato un ragazzo inginocchiato sugli
  scalini, con i pantaloni abbassati che si stava masturbando, e che quando mi ha… e…
  perché… era una curva cieca, quindi, quando io l’ho visto ero anche in fianco a lui, cioè…
  l’ho proprio… ero vicinissima, e lui mi ha preso la caviglia, al che io istintivamente in



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                        117
  quella situazione gli ho tirato un calcio, con tutta la mia forza e sono scappata e mi ri-
  cordo che mentre scappavo per le scale dicevo, non vado a prendere il motorino perché
  di sicuro succederà che… tutututututu… parte (come a simulare dei botti di qualcuno
  che le corre dietro, con la voce), e ho continuato a correre tantissimo, perché proprio
  mi ero spaventata molto. (studentessa14).

  Mentre facevo le scale che collegano da economia al piazzale in basso...incontro scontro
  questo…giovane, ragazzo ehm… che era seduto inginocchiato a terra e con… la maglietta
  alzata e i pantaloni abbassati e che penso stesse… insomma… praticando autoerotismo...
  non penso, stesse praticando autoerotismo! Io mi spavento… salto… ma io non lo vedevo
  da sopra perché se l’avessi visto mi sarei girata prima, quindi, appena mi giro incontro
  questo… e non so come ho fatto, salto, torno indietro, mi metto ad urlare …perché resto…
  scioccata… corro indietro e…verso la biblioteca generale [...] per fortuna non ho avuto
  nessun contatto fisico, io ho avuto lo shock di vedere…a parte …di colpo questo signore…
  gli stavo andando proprio fisicamente addosso perché non c’era spazio per… (mostra,
  mima lo scansare qualcuno)… il che mi ha fatto molto molto senso… (studentessa15).

Se i casi più frequenti raccontati dalle studentesse riguardavano molestie o ag-
gressioni da parte di ragazzi della loro età, ci sono anche situazioni in cui la diffe-
renza di età o di potere rappresenta il cuore del problema.
  In una lunga citazione, una studentessa, rappresentante del corpo studen-
tesco in un organo accademico, racconta dei comportamenti impropri messi in
atto da uno degli amministrativi che seguono quell’organo. La citazione è par-
ticolarmente interessante perché, presi singolarmente, questi comportamenti
potrebbero sembrare abbastanza innocui: ma la loro ripetizione, il fatto che ven-
gano da un uomo adulto con un ruolo preciso nell’Università nei confronti di
una giovane ragazza, li rendono inopportuni, problematici e sicuramente fonte
di disagio per chi li subisce:

  Praticamente, quando son stata in XXX, c’è un… amministrativo che è responsabile…,
  manda le convocazioni, l’ordine del giorno, qualsiasi problema hai lo chiami. Già all’i-
  nizio, quando ci arriva la prima convocazione, lui mi scrive questa email di convoca-
  zione… dicendomi: «Mi raccomando l’abito lungo» per questa prima riunione del XXX
  [...] Mi sembra una battuta veramente stupida e lui mi risponde: «Potresti arrivare
  in tiro» e là finisce il discorso. Comunque mi sembrava una battuta un po’ così. [In
  un’altra occasione] io esco dal XXX prima, perché ho un esame e lui durante la riunione
  mi scrive via email: «Eh ma come è andato l’esame, l’hai passato?» e io rispondo: «No,
  sono qui ancora in corridoio che aspetto». E lui mi risponde: «Vuoi che vengo a farti
  compagnia?” una cosa così…parliamo di una persona che avrà 55/60 anni! [...] [Anco-
  ra in un’altra occasione] gli mando uno screenshot della mia pagina dell’università
  bloccata, lui mi risponde «… ma non hai niente di meglio da farmi vedere». E io non
  gli ho risposto, e a quel punto sono andata dalla professoressa YYY. [...] Lui è sempre
  lì… è sempre lì, tra l’altro ce l’ho di fronte… quindi io già mi son sentita abbastanza a
  disagio con uno che mi risponde una roba del genere…perché uno che mi risponde…
  per l’amor del cielo, son quelle battute molto border, secondo me, che poi comunque
  continui a capire e non capire… [...] «Cos’hai da mostrarmi? non hai niente di meglio
  da mostrarmi» allora… mi vien da risponderti: «Cosa vuoi che ti mostri!» [...] Poi una
  cosa che mi son chiesta: ma sei talmente idiota che lo fai dalla mail dell’ufficio! Per-
  ché… voglio dire, basta che… sulla mail cioè io le ho anche stampate… (studentessa11).



                                            118
La prossima citazione riguarda invece un comportamento inappropriate da par-
te di un docente nei confronti di una studentessa:

  Quindi…mmm…corso di XX (nome materia), dove c’era questo professore, dove io
  avevo iniziato ad appassionarmi… ehm e… ricordo che andai nella… come si chiama,
  nella sala ricevimento del professore, che era una stanza molto piccola, ehm piena di
  cose, poi, mi ricordo c’era questa sedia, e lui, per chiedere delle cose, perché non avevo
  capito, cioè, per me era stato un atto di coraggio, perché ero una ragazza timida, pen-
  savo di non essere capace a far… le solite cose, sicché prendo coraggio e vado e quan-
  do arrivo là, lui è molto seduttivo nei miei confronti ehm…mi dà un manoscritto, un
  dattiloscritto, che lui stava scrivendo questo libro, addirittura ci sono i pezzi ritagliati
  ed attaccati… nel senso, proprio la prima copia, e incomincia a dirmi, «No, perché tu
  secondo me, potresti… guarda qua… lo guardiamo insieme» e si avvicinava sempre di
  più, si avvicinava sempre di più, fino a che proprio si è appoggiato a me, completamen-
  te al mio corpo, dicendo: «Ma guarda secondo me, questa cosa la possiamo vedere a
  casa, intanto tu portatela pure via, vedi è il manoscritto, unico no?». Cioè la sensazione
  era che lui mi stava anche facendo capire che mi dava qualcosa che avrei avuto solo io
  tra le mani, la prima lettrice del suo libro ed io ingenua, anche piccolina, nel senso pri-
  ma esperienza universitaria…non so reagire, sto lì così…sento sensazioni di fastidio...
  di disagio di ehm…e lui mi dice di venire a casa sua, ed io gli dico sì sì, certamente e
  … guarda proprio ieri… no, la scorsa settimana, son andata a casa di mia mamma, che
  continua a dirmi: «Puoi liberare questa roba dell’università che non ne posso più, cosa
  te ne fai?» e allora ho buttato via un sacco di cose, tra cui ho trovato questo manoscrit-
  to che io non ho…che io a casa sua non ci sono mai andata e non l’ho mai più rivisto e
  non glielo neanche più riportato questo benedetto manoscritto, perché proprio avevo
  avuto la sensazione di essere in pericolo e quindi mi sono sottratta… tant’è che poi
  quei corsi dove c’era lui io ho smesso di frequentarli, li ho fatti da non frequentante e
  tutto quello che poi ha riguardato la XX l’ho completamente tolto dal mio percorso di
  studi perché era pentata una situazione… cioè io non mi sentivo più… se vuoi anche
  esagerando, sbagliando, però quella era l’età… quello era il momento… (studentessa14).

Il rapporto docente-studente/essa è al cuore della situazione di insegnamento
all’università. Il/la docente rappresenta la persona che detiene un sapere specifi-
co, che può aprire un mondo di conoscenze alle persone più giovani e rappresen-
tare un modello di lavoro intellettuale: queste caratteristiche ne fanno, spesso,
una figura piena di fascino. Il/la docente è anche una figura gerarchicamente su-
periore: più grande, più esperto/a, detiene, sullo studente/essa, un potere rea-
le, rispetto all’esame, alla possibilità di una tesi, di un tirocinio, di una borsa di
studio. Data la struttura gerarchica dell’università, nel corpo docente, soprattutto
nei livelli più elevati, la maggioranza dei docenti sono, per l’appunto, di sesso
maschile: la situazione docente-studentessa è informata quindi anche della ge-
rarchia di genere oltre che dalla gerarchia sociale e professionale. Per tutti questi
motivi, le molestie subite da un docente possono essere particolarmente destabi-
lizzanti per una studentessa e avere conseguenze anche gravi.

La situazione può essere ulteriormente complicata se coinvolge una studentessa
straniera, che può avere dei dubbi sulla comprensione di quello che è veramente
successo e sulle abitudini e le pratiche culturali dell’Università italiana.


le molestie sessuali nelle voci delle vittime                       119
  I was taking an exam… during my exchange… ehm… student exchange, so… I was pas-
  sing it in a foreign language, in English, it was supposed to be in Italian but he helped
  me using English, I didn’t know all the expressions, it was already the second test,
  because he didn’t make me pass during the first exam… so, I was very very nervous
  but I knew the exam… was very very well…and I passed and the professor was very
  nice, and… so I was very happy back home and then…I am not sure how it happened
  [...] but I’m not sure, really, I’m not sure … but anyway, he got my (telephone) number
  yes? Without asking me directly…(sorride imbarazzata). I thought that he forced the
  secretary to have my id-number or so… to get my number… and so, I was just walking
  back home after the exam and somebody call me… and it turned out that it was the pro-
  fessor… ehm… from the exam and he was asking me the questions like «Hello! Are you
  going back home». And … I was so completely confused and… he was Italian and I was
  not sure if I was understanding well everything, so… I was completely confused…and I
  said…ehm… well…I’m going back home … I don’t know, on... let’s see… Tuesday yes? Or
  next week?... and he said: «You know, because I was thinking… that maybe you could
  come to my place, to have a dinner […] he proposed to come to his place, to his house,
  outside of the city… to have a dinner… yes! To spend a nice time…. so, I was…I said… (like
  shocked): «Mi scusi ma non ho capito!» (detto in italiano) (studentessa Erasmus01).

Una docente intervistata riporta un episodio avvenuto anni fa, quando era anco-
ra una neo-dottorata. Sorprendentemente, il meccanismo è identico a quello che
la studentessa Erasmus ha vissuto solo pochissimo tempo fa.

  Sono episodi che non ho mai dimenticato, ecco ... ti domandi mah, sono molestie? Non
  sono molestie? Ma sì, sono molestie! [...] Allora, mi ricordo per esempio, io ho lavorato,
  ho fatto anche il dottorato all’estero e, quindi, poi, son tornata in Italia e non conoscevo
  quasi nessuno, perché ero partita tempo prima [...] ho tentato anche ingenuamente
  di andare in giro con il mio curriculum, presentandomi, perché avevo questo dotto-
  rato, pensavo che sarei stata interessante per…per…così…per l’università italiana, [...]
  comunque ero andata al…nella mia facoltà di riferimento, a portare il curriculum a
  quello che era allora il direttore o preside, c’era un altro professore, di un’università
  vicina, di Padova, molto conosciuto, già all’epoca, io non sapevo neanche chi era, quin-
  di, probabilmente ci siamo incrociati in corridoio, poi, io probabilmente ho chiesto a
  qualche collega giovane, chi è questo, dice: «Ah, è il professor tal dei tali, ordinario».
  Ok… e la sera mi ha telefonato a casa (sorriso imbarazzato) e poi mi ha telefonato un
  paio di volte, altre due tre volte, per invitarmi a cena fuori, per vedersi…ehm io sono
  rimasta sconvolta! Naturalmente, uno che non vive queste cose dice, ma perché sei ri-
  masta sconvolta? Mi ha veramente turbata perché quest’uomo che era… forse… era un
  più grande di me, ma soprattutto era più potente di me, io andavo… io cercavo lavoro,
  e lui era professore, non so se associato o ordinario, che io non conoscevo, che nessuno
  mi aveva mai presentato, che evidentemente aveva chiesto in giro il mio numero di te-
  lefono e mi son… mi son sentita molestata, forse, senza usare questo termine, e anche
  impaurita…che è una cosa ridicola no? Uno pensa…impaurita [...] comunque questo è
  un episodio che mi è rimasto bene in mente, di questo stronzo. (docente10).



Docenti, ricercatrici e personale tecnico-amministrativo

Nei due casi presentati qui sotto le molestie prendono la forma di un “corteggia-
mento” insistente e chiaramente sgradito. In entrambi i casi, le relazioni di po-


                                             120
tere non sono chiaramente determinate: si tratta di colleghi, anche se in un caso
il molestatore è più anziano e più autorevole; nel secondo caso, la molestatrice è
una donna.

  (Inizia con un sospiro) Allora, dipende un po’ da cosa si intende per molestie, se mi
  chiedi se ho mai ricevuto molestie sessuali nel vero senso della parola, purtroppo
  devo anche dire di sì! E anche piuttosto recentemente, quindi, quando io ero già, tra
  virgolette, grande, non quando ero una bambinetta, perché uno dei miei capi ha pen-
  sato che io potessi (sorride in imbarazzo) anzi ha dato per scontato che… lui pensava
  che io fossi interessata, il che non è successo niente perché io gli ho detto NO! (con
  forza). Perché eravamo in missione [...] lui era arrivato il giorno prima, io sono ar-
  rivata un po’ tardi , eravamo in alberghi persi però ha detto…beh, andiamo a cena
  assieme, ha detto, mah stiamo in albergo da me, ha detto: «Ma perché non resti qua
  in albergo da me?» Insomma, ha insistito parecchio, ehm… ha insistito un po’ trop-
  po ehm…poi il giorno dopo mi prendeva la mano, io cercavo un po’ di fuggire. [...]
  “No!”, ho detto: “No!” Anche perché mi hanno sempre detto tutti i miei colleghi che
  io proprio, si vede che queste cose proprio… Sono felicemente sposata! E lui: «Sì ma
  anch’io, ma non centra». Ed io: «Eh per me c’entra!». E la cosa che mi ha fatto molto
  strano è la mia mente, no, perché va bene, a parte la difficoltà, perché io sono stata
  totalmente spiazzata, proprio non me lo aspettavo e quindi io non sapevo come rea-
  gire, non…veramente ero totalmente imbranata ehm… io mi sentita… ehm… cioè… la
  mia reazione che… mi sono resa conto che ero inerme e quindi…era una stranissima
  sensazione e poi mi son sentita anche… e ancora mi ha fatto più strano, responsabile
  in qualche maniera quando io credo di non aver mai dato adito a queste sensazioni, a
  questo… ha continuato! Ha continuato! Ha continuato per un periodo ha continuato!
  (docente05).

  In realtà è una cosa abbastanza… blanda… nel senso che niente di particolarmente
  ehm… scabroso… però secondo me è stata una cosa che mi ha… come dire, dato abba-
  stanza fastidio… nel tempo questa cosa è pentata davvero sempre più pressante [...]
  questa persona così che… era anche imbarazzante in alcune situazioni… poi sono in-
  cominciate ad arrivare i messaggi… sono incominciati ad arrivare in ufficio dei piccoli
  doni… il cioccolatino piuttosto che la lettera con il pensiero [...] messaggi, San Valen-
  tino [...] era San Valentino… l’occasione era quella… mi ricordo che ero la sera con mia
  moglie in casa e mi arriva un sms di auguri di San Valentino anche insomma abbastan-
  za espliciti… il punto è che comunque è parecchio invasivo…[...] se è un numero di la-
  voro non mi mandi i messaggini coi bacini e roba del genere… se è un numero privato
  tanto meno [...] non è che veniva lì salutava e poi andava via o comunque scambiava
  due parole cioè… era lì…era sempre un po’ tipo il condor che… che…sulla spalla col fiato
  sul collo… è stata una cosa abbastanza… come dire fastidiosa al punto che …in cui ho
  detto …ad un certo punto le ho scritto proprio mi dispiace lascia…se devi chiamarmi
  per questioni di lavoro non c’è nessun problema… colleghi eccetera… però ti prego di
  non… di non insistere. La cosa che è stata interessante è che l’ho dovuto ripetere 3 vol-
  te… nel giro di un mese e mezzo l’ho dovuto ripetere 3 volte, perché ad un certo punto
  era da mesi che andava avanti in un crescendo, perché all’inizio ho fatto finta di nien-
  te…quando mi è successa sta roba io son stato male, perché intanto mi scoccia essere
  scortese. (personale tecnico amministrativo04).

Un altro caso riguarda una giovane ricercatrice che, dopo un periodo passato
all’estero, aveva cercato di inserirsi nel mondo universitario in Italia. Seguendo



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                     121
le categorie di Fitzgerald61, si tratta di un caso di “molestie di genere”: di fronte a
un curriculum di buon livello, l’autorevole docente esprime l’idea che solo com-
portandosi da “prostituta” la giovane donna poteva aver conquistato tanti titoli.

  C’era un concorso per ricercatore e mi hanno consigliato, ovviamente avevo mandato
  il curriculum, diciamo, per le vie formali, mi hanno consigliato di andare a parlare con,
  ehm… il… direttore di… il boss della faccenda, quindi, chiedo un appuntamento, insom-
  ma, vado [...] lui mi guarda, lui aveva già avuto il mio curriculum, perché glielo avevo già
  mandato prima, lui mi guarda e mi dice… ah, cioè, sono molto contento che lei sia venuta
  a trovarmi, e… sì… dice perché… adesso la vedo… naturalmente ero vestita, immagino,
  gonna blu, camicia bianca, così ad occhio, cioè vestita da… da… da insomma da persona
  tranquilla normale eccetera e dice: «Sì sì, perché altrimenti vedendo il suo curriculum…
  avrei pensato che lei era una prostituta!» [...] Sì, così si è espresso, questo è indimentica-
  bile! «Che lei era una prostituta» questo non lo dimenticherò mai! [...] Il colloquio, na-
  turalmente è finito in niente, però mi ricordo lacrime di rabbia, di rabbia! (docente10).

La stessa testimone racconta di un’altra esperienza, sempre in occasione di un
concorso universitario.

  [Un collega] Mi ha detto di non fare il concorso, perché doveva essere vinto dall’aman-
  te in carica del preside. Ehm… e anche lì penso che mi abbia spiegato un po’ di cose, e io
  probabilmente gli ho detto, eh ma io ho un curriculum meglio, sicuramente meglio di
  quello della tizia, e lui mi ha detto «guarda, lei deve vincere, e vincerà, a questo concor-
  so, tutti in Italia lo sanno, quindi, a questo concorso ci siete lei e te, solo voi due, perché
  in tutta Italia si sa che non bisogna farlo, lei deve vincerlo… quindi, se non c’è nessuno
  lo vincerà e bon, se ci sei tu, li obblighi a fare delle cose, talmente spaventose per…
  azzerarti che tu mai più, mai più potrai avere un posto in un’università italiana! Te la
  faranno pagare!» Poi, ha pensato un attimo e ha detto: «E poi, ti taglieranno anche le
  ruote della macchina!» (sorride con disagio). E io non l’ho fatto questo concorso, quin-
  di, mi sono ritirata… non mi sono presentata e l’ho vissuta come un commerciante che
  paga il pizzo! (docente10).



I “riferiti”: i casi di “molestie assistite”62

Durante lo svolgimento della ricerca sono emersi anche dei “riferiti”: situazioni a
cui le persone intervistate hanno assistito, in quanto testimoni di molestie. Data
la difficoltà a raccogliere testimonianze su questo tema, includere anche i “riferi-
ti” è una pratica legittima in questo ambito di ricerca.

In questo caso un componente del personale tecnico amministrativo racconta
episodi a cui ha personalmente assistito:


61 Ibidem
62 Utilizziamo questa formula analoga al concetto ormai acquisito, di “violenza assistita”, che
indica la situazione di minori che assistono alla violenza tra genitori o di un genitore su un
altro figlio/a o su un animale domestico.



                                               122
  Son stato testimone di vero e proprio harassment! Un collega, tanto per essere chiari!
  [...] La prima persona che è stata vittima delle maniere, delle attenzioni molto pesanti
  di questa persona eee… le metteva le mani addosso per dire! Fisiche, fisiche, palpeggia-
  menti! La persona è andata da all’epoca preside della facoltà, e…e… ha detto: «O voi fate
  qualcosa o vado in polizia». Quindi hanno ben pensato di spostare uno che era un mo-
  lestatore, non solo verbale, in un posto dove non c’è mai il pubblico (lo dice in senso
  ironico, sarcastico) cioè il banco prestiti di una biblioteca. Questa, non è la prima volta
  che lo vedo fare, cioè, invece di intervenire disciplinarmente e magari anche di più,
  come sarebbe necessario, si sposta. Qualcun altro si prende la rogna [...] La convivenza
  è stata costante, io qui, lui là e lui che chiede i numeri di telefono alle studentesse…
  e che quando la studentessa mette il libro lì per restituirlo mette la mano e questo e
  quell’altro e quel terzo e queste cose io le ho viste… allora il problema è che non veniva-
  no mai denunciate… io poi ad un certo punto sono arrivato ad un punto tale di scontro,
  ma proprio con lui, per cui sono andato dal nostro responsabile e ho detto: «Senti, o tu
  intervieni, oppure io qualcosa devo fare...» (e il responsabile) «Ah, beh!» Capito? E la
  settimana dopo mi han chiesto se volevo andare in un altro ufficio [...] La storia è finita
  così, perché questo è stato talmente intelligente da scrivere sulla lista di distribuzione
  interna, pensando di scrivere ad una sola persona… una lettera di improperi contro il
  proprio responsabile… cioè è andato giù pesante… pesante… e quindi a questo punto,
  ancora, invece di una cosa disciplinare… perché eravamo al limite della diffamazione
  su alcune cose, è stato rispostato (personale tecnico amministrativo04).

  Un collega che anche facendo il furbo… pensando di fare il furbo era abbastanza appic-
  cicoso con le colleghe… e… abbracci… commenti… e… contatto e anche commenti ab-
  bastanza… apprezzamenti, si è beccato anche uno schiaffo ad un certo punto da una…
  però non è che abbia smesso… ha continuato [...] Il palpeggiamento è grave secondo
  me, e parecchio anche, anche la parola però peggio ancora, no! (personale tecnico am-
  ministrativo04).

Ecco un episodio riferito da una studentessa:

  Facevo il primo anno di medicina, era stato allontanato un infermiere, per palpeggia-
  menti vari agli studenti dell’anno prima di me, e studentesse… quindi dell’anno prima
  di me… sì, sì, durante i tirocini! (studentessa06).

Una docente ha avuto testimonianze da studentesse e dottorande/laureande e
ha conpiso tali contenuti, riportati rispettando la riservatezza e omettendone,
quindi, talune parti:

  Io ho saputo di tante ragazze che non si son potute né laureare né dottorare se non
  avessero accettato certi compromessi. I compromessi arrivavano fino all’atto sessuale
  vero e proprio. Io so di cene fatte a casa di una persona, cene… che all’inizio contavano
  5 o 6 studentesse e dopo, quando… la cena successiva: «Ah, si venga a cena a casa mia»
  e la persona credeva di essere circondata insieme ad altre, invece si ritrovava sola,
  sola a casa di questa persona… e là (silenzio) non entro nel… nel… cioè… non entro
  nelle dinamiche perché non le comprendo. Dinamiche che dopo hanno portato ad un
  certo tipo di decisioni. So solo che se certe decisioni in merito a fornire prestazioni
  sessuali non venivano prese quella studentessa non si laureava con quel professore
  (docente07).




le molestie sessuali nelle voci delle vittime                      123
Gli episodi di molestie sessuali non coinvolgono esclusivamente studenti/esse e
docenti o personale tecnico e amministrativo, ma anche personale che si occupa
dei servizi nell’ateneo. In questo caso, la studentessa intervistata ha raccolto di-
rettamente la testimonianza delle lavoratrici occupate nei servizi di pulizie, che
da tempo vivono episodi di molestie e che per paura di ritorsioni hanno preferito
non raccontare direttamente. La paura è pervasiva, tanto che le lavoratrici hanno
chiesto uno spostamento di edificio/luogo di lavoro nell’Ateneo, nel tentativo di
mettersi al riparo da ulteriori molestie. Ecco un estratto:

  È un riferito, ma è dalle signore delle pulizie... molestie da… studenti nei confronti del-
  le signore delle pulizie […] ho invitato queste persone a poter lasciare direttamente la
  loro testimonianza ma non se la sentivano… quello che accadeva... siccome loro hanno
  dei giri (lavorativi nei vari edifici) molto metodici ed abitudinari, praticamente a due
  di loro e soprattutto in particolare ad una, succedeva che andava a pulire i bagni e tro-
  vava il ragazzo che usciva da lì, c’era sai il tentativo di strusciamento, dopo lei lo met-
  teva al suo posto e allora sono arrivati gli insulti, quindi, erano proprio denigrazioni...
  trattare la persona come fosse una pezzetta da piedi, sporcare apposta… non so, appena
  ha pulito il cestino, ti ributto giù le carte sul pavimento… tutte queste cose qua ed era-
  no abbastanza… erano pentate insomma abbastanza frequenti, poi, loro han chiesto
  un’inversione di turni con chi faceva pulizie in un altro edificio (studentessa12).



8.2. Le reazioni alle molestie

In questa seconda parte dei risultati, presenteremo le reazioni e i vissuti emersi
dalle parole delle persone intervistate. Le reazioni alle molestie, anche a quelle
che, dall’esterno, potrebbero sembrare “lievi”, sono sempre negative. La vittima
prova disagio, si sente male, svalutata e denigrata; a questi sentimenti possono
seguire collera e rabbia:

  Per come sono fatta io, soprattutto dal punto di vista dell’orgoglio professionale, since-
  ramente mi son sentita male, perché io vedo che non mi sento considerata come una
  professionista quale sono, punto primo, cioè sul lavoro mi manchi proprio di rispetto
  come professionista. Poi, come donna, anche, ti senti proprio svalutata, ti riescono a
  far sentire una merda in quel momento, no, ti riescono a far sentire un po’ insignifi-
  cante, perché poi invece di dire, di capire che razza di persone hai davanti (si riferisce
  al medico molestatore), e dire…cioè… NO! È una cavolata quella che dice lui, io valgo,
  ti svaluti tu. Cioè ti viene… almeno per me… viene una cosa automatica. All’inizio lui
  riesce a farmi sentire… piccolissima… poi quando razionalizzi eccetera... (studentessa/
  tirocinante08).

  Mi sentivo molto male. Svalutazione personale, senso di non appartenenza all’univer-
  sità di estraneazione a tutto il contesto, rabbia, impotenza. (studente03).

Va anticipato che solo in rari casi le vittime hanno reagito con determinazione,
difendendosi o chiedendo un sostegno. Le due studentesse che hanno avuto un
“incontro ravvicinato” con degli esibizionisti e la studentessa che è stata aggredi-



                                             124
ta hanno chiesto aiuto e segnalato o denunciato il fatto: va precisato che in tutti
questi casi il molestatore era uno sconosciuto. Un’altra studentessa, esposta ai
commenti sessualizzati e inopportuni da parte di un impiegato dell’istituzione
si è rivolta a una docente, nota per il suo impegno su questi temi. In altri casi, le
vittime hanno subito la situazione, confidandosi a volte con amiche o con il/la
partner; spesso hanno taciuto fino al momento dell’intervista.


La confusione e il senso di colpa

Molteplici le esperienze di molestie e molteplici le emozioni, le sensazioni anche
contrastanti che ne derivano. Uno dei denominatori comuni, che contribuisce a
spiegare la scarsità di reazioni, è un vissuto di confusione: quello che sta succe-
dendo è talmente sorprendente e inopportuno che la vittima ne ricava un senti-
mento di confusione, e tende a misconoscere e a minimizzare l’accaduto. Questa
confusione può poi aprire la strada all’auto colpevolizzazione.
  Nella citazione qui sotto, la studentessa Erasmus, si sente confusa e smarrita
e finisce per chiedersi se la molestia sessuale sia “normale” e “accettabile” nelle
università italiane:

  I didn’t know if I don’t understand Italian, or I don’t know what he is talking about…or:
  «Am I completely confused? Or maybe I … maybe it’s normal in Italy to invite the stu-
  dents to their… to professor’s house… I must understood badly (sorride imbarazzata)…
  then I was feeling a little bit shame… (studentessa Erasmus01).

La confusione va di pari passo, a volte, col sentirsi isolate, non comprese o come
se la causa dell’accaduto fosse da cercare dentro sé e non nell’autore di molestia.
Ecco alcuni estratti che evidenziano queste reazioni:

  Ero completamente isolata, nessuno mi ascoltava! [...] Io mi sentivo completamente
  isolata e triste. Poi, mi sentivo addirittura una brutta persona, perché dico, anche se
  non ha un senso logico, ma perché tu (riferito a se stessa) riesci sempre… ti isoli sem-
  pre e loro sono così tanto amici… (dottoranda02).

  Sicuramente il vissuto era di grande disagio, sì, molto a disagio mi ha messo anche
  in disagio ritornare in dipartimento, perché ti senti come se avessi fatto tu qualcosa
  (docente10).

  E io non l’ho fatto questo concorso, quindi, mi sono ritirata…non mi sono presentata,
  e l’ho vissuta come un commerciante che paga il pizzo! Ho ceduto alla mafia! Mi son
  sentita malissimo, proprio mi son sentita io una merda e…ed è vero che, poi, poi mi
  sono messa in fila e dopo 10 anni ho vinto un posto di ricercatore, quindi, questo è…
  (docente10).

La confusione include un senso di incertezza: «non son sicura di aver capito
bene». Si crea un territorio di confine in cui chi agisce molestie sessuali si muove



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                     125
agilmente, ma in cui per la vittima è ancora più difficile dare un nome al feno-
meno. I segnali, anche interni, ci sono, segnali che indicano che qualcosa “stona”,
“graffia”; tuttavia risulta difficile leggerli e dar loro voce:

  Non era gentilezza, e soprattutto il fatto che ci fosse una tensione sotto… non espressa
  e non… non… non mi è piaciuta (personale tecnico amministrativo04).

  E la cosa che mi ha fatto molto strano è la mia mente, no, perché va bene, a parte la
  difficoltà, perché io sono stata totalmente spiazzata, proprio non me lo aspettavo e
  quindi io non sapevo come reagire, veramente ero totalmente imbranata ehm…io mi
  sentita… ehm… cioè… la mia reazione che… nonostante sia senior, mi sono resa conto
  che ero inerme e quindi… era una stranissima sensazione e poi mi son sentita anche…
  e ancora mi ha fatto più strano, responsabile in qualche maniera quando io credo di
  non aver mai dato adito a queste sensazioni, a questo… impreparata… sì… sotto shock!
  (docente05).

  Eh appunto, poi è molto opinabile, lui mi può comunque dire: «Eh, ma era una battu-
  ta!» e io però ero molto a disagio tra l’altro… (studentessa11).

  L’altra situazione non l’ho raccontata, non l’ho raccontata perché non sapevo come rac-
  contarla…cioè nel senso… era nebulosa, come dire, confusa, io non capivo se magari
  avevo frainteso… cioè di fatto (il docente molestatore) si era solo appoggiato fisica-
  mente a me, e quindi, forse lo stava facendo per mostrarmi il manoscritto che girava
  tra le mie mani, io ero seduta così lui… cioè ero confusa, quindi, questa cosa è sempre
  rimasta una percezione che ho lasciato (studentessa14).

  Quindi sì, alla fine tendi a sminuire…dici: «Vabbè è una battuta, passerà!» (studentessa13).


Il contesto: sostegno, indifferenza o connivenza?

Gli episodi di molestie sessuali, come accade più in generale per tutti gli agiti
di violenza, vedono spesso come co-partecipi, oltre all’autore ed alla vittima, dei
testimoni, che spesso invece di agire a sostegno di chi ha subito, tendono a mi-
nimizzare o banalizzare l’accaduto, aumentando così la confusione della vittima
e la difficoltà di riconoscere la molestia in quanto tale. Si crea così, di fatto, un
clima di omertà e connivenza con il molestatore:

  In ufficio [...] se ne fregavano che la cosa potesse disturbare, quindi, io… tutti stavano
  sempre zitti, la cosa veniva accettata, sembrava che fosse normale ma per me non era
  normale (dottoranda02).

  Io ero continuamente in tensione, perché non sapevo mai se questa (collega che po-
  neva in atto molestie sessuali) arrivava… devo dire…che i miei colleghi mi prendevano
  pure in giro all’inizio… perché non capivano che per me la cosa era veramente pesan-
  te… sì, ci sono una serie di stereotipie, che peraltro a me han sempre dato MOLTO
  (sottolineato dall’intervistato) fastidio… a prescindere cioè… no è che visto che si ap-
  plicano a me mi dan fastidio e ad altri no, son delle cose che mi han sempre dato noia
  […] insomma scherzi… battute scherzose… su… ecco qua il Don Giovanni… le conquiste



                                             126
  di xx… insomma... mediamente questo… niente di tanto più pesante…più o meno il te-
  nore era quello… eh… (sorride imbarazzato)… adesso mi vien da ridere ovviamente […]
  alla fine io gli ho dovuto dire… guardate ragazzi, che per me è un problema …perché ad
  un certo punto hanno incominciato ad aumentare… invece che diradare…ad aumen-
  tare il livello dei lazzi e dei frizzi… quando hanno visto che io andavo… mi irrigipo...
  no… ad un certo punto gli ho dovuto dire, guardate ragazzi, scusate per me non è una
  roba per niente pertente, non rido affatto […] a me ha fatto passare veramente uno o
  due mesi… brutti! Brutti! (personale tecnico amministrativo04).

Nella citazione qui sotto, la studentessa Erasmus aveva raccontato a degli amici,
studenti dell’ateneo, dell’invito a casa ricevuto da un docente, scoprendo che tale
comportamento era noto ma che nessuno aveva mai reagito:

  You know, it was very safe, and I did n’t feel very dangerous anything, because it was
  just one call and then he didn’t call me anymore and… for me, it was just ridiculous, a
  bit, yes? But this professor... this is… yes… when you were asking me now, and this… is
  really strange… that… they (amici) really mention that he is known for that, and that
  he’s trying with students… but people were more… ehm… they didn’t take it very se-
  riously, yes? It was more about… about… like… like funny, yes? So, this is strange be-
  cause this is not funny! yeah? And… some part of students… I don’t know… they should
  take care of the topic if it’s happening, yes? (studentessa Erasmus01).

Notare che “nessuno fa niente”, come se i comportamenti molesti fossero “social-
mente accettabili” invece che condannabili, aumenta il sentimento di incredulità:

  Mah, ero un po’ frastornata, anche perché... lì davanti a tutti e mi sembrava ancora più
  assurdo che nessuno facesse niente! (studentessa06).

Nella citazione qui sotto, il molestatore è un medico, noto sia per le molestie ses-
suali sia per altri comportamenti inappropriati, tali da portare alcune persone a
dimettersi dalla struttura:

  Il primario sa di tutti i problemi che ci sono, oltre ai problemi da questo punto di vista,
  comunque proprio a livello comportamentale lui (il medico) è un cafone, crea pro-
  blemi di vario tipo, e il primario ha detto che non c’è modo di mandarlo via. Non so
  se lui ha conoscenze o cosa, ma ha fatto qualcosa di così tanto eclatante, tante volte
  non l’hanno neanche denunciato… il primario ci ha detto che se volessimo mandarlo
  via, servirebbero delle lettere in Direzione, che una o due son troppo poche, quindi,
  bisognerebbe che fossimo in abbastanza per un numero adatto, però poi se poi siamo
  troppe sembra una congiura fatta apposta e non va neanche bene… in sostanza, non c’è
  la volontà di prendere una posizione […] sì che purtroppo ormai è entrato nella quoti-
  dianità, per cui dici, sai che è così, lo lasci proprio… tipo: «Si, parla, fai quello che vuoi
  e non mi interessa». Cioè, ci vai oltre ormai…perché lui proprio ti fa percepire in ogni
  cosa che dice, che lui considera le donne inferiori, punto! [...] Ad un certo punto… ti fai
  uno scudo e vai oltre… finché non sono, poi, ovviamente, vedi il caso di questa ragazza
  che se n’è andata, arrivi a un limite forse, se supera quel limite non puoi, o te ne vai tu
  o lo ammazzi, due son le cose… (studentessa/tirocinante08).




le molestie sessuali nelle voci delle vittime                        127
Anche in altri casi, i comportamenti molesti erano agiti alla luce del sole ed erano
noti a tutti:

  Sì sì sì! Lo sapevano tutti …e dicevano: mah, l’università italiana fa schifo! E questi sono
  dei nostri, dei mafiosi, il sistema è così, il sistema è così! ehm…No…non ho avuto, di-
  ciamo, grande sostegno, ma pensa che sono riuscita a parlarne con i colleghi… solo
  da pochi anni, perché è una cosa che... tutti sapevano, nel mio dipartimento… nella
  mia… chiamiamola facoltà no… tutti sapevano ma… tra l’altro poi, quando i due hanno
  rotto, molto male tra l’altro, probabilmente si sono anche pestati, si son… insomma è
  stata una rottura molto pesante, lei è stata praticamente allontanata, cioè è stato messo
  in moto tutto un meccanismo per cui lei si è trasferita liberamente, ma ovviamente
  non era così libera, in un’altra università dove gli altri… colleghi dell’altra università,
  sapendo che dovevano gestire… come dire, per rispondere alla richiesta del preside
  nostro che no… che voleva togliersela di mezzo, e ha detto: «Io o lei» praticamente!
  (docente10).

Se le reazioni del contesto sono principalmente di normalizzare e banalizzare
l’accaduto, non deve sorprendere che per le vittime di molestie sia difficile aprirsi
nell’ambiente di lavoro, confidarsi, chiedere aiuto:

  Ero completamente isolata, nessuno mi ascoltava! [...] Avevo pensato di cambiare uf-
  ficio, però mi dava fastidio un po’ dargliela vinta [...] Quando ne ho provato a parlarne
  con un ragazzo che era nel mio stesso ufficio ma un po’ più educato, mm… tanto erano
  tutti consenzienti a questa situazione e mi ha detto:«Non so che dirti». Cioè, perché
  io gli avevo parlato a proposito di queste battute sui cinesi, gli ho detto: «Ma ti sembra
  normale?». E lui: «Eh, ma xxx è così, che ci vuoi fare… se ti dà fastidio digli di piantar-
  la»… non mi ha dato nessun aiuto. Fa: «Eh, sì hai ragione», ma poi, di fatto, nessuno
  faceva niente! Sì, cioè mostrava comprensione però niente! (dottoranda02).

  Era proprio questa mia reazione a posteriori no? Di sentirmi impreparata, di sentirmi
  un po’ sporca, non è successo assolutamente niente, però nel sentirmi sporca, nel sen-
  tirmi ehm… di non poterlo dire a mio marito ehm… e poi c’ho pensato, io con mio ma-
  rito ci conosciamo da quando siamo bambini, è anche il mio migliore amico oltre ad
  essere mio marito… e quindi a pensare se potevo dirglielo o non potevo dirglielo, come
  se potesse essere in qualche maniera colpa mia, per cui la prima cosa che ho fatto ne ho
  parlato con un mio collega, che mi è molto vicino, per vedere la sua reazione, e lui, la
  sua reazione…che è uno poi che ogni tanto viene accusato, è uno molto… molto libero...
  nel senso che dice papale papale quello che pensa, e lui mi ha detto: «Ma sei pazza,
  non è possibile» (sorride imbarazzata). «Sei pazza, non è possibile!» (e lei) «vuoi che
  ti mostro poi le mail che sono succedute?» [...] Ero assolutamente sballata, mi ricordo
  che poi per tornare in albergo non sapevo neanche dove andare, ero completamente
  persa … non… ho detto… che caspita succede? (docente05).

  Non ho conpiso queste reazioni con nessuno, se non con il mio amico che frequen-
  tava la facoltà di ingegneria. (studente03).

Solo alcune delle vittime si sono confidate con il/la partner, trovando comprensione:

  Io ne ho parlato con mia moglie... vabbè insomma… mia moglie è un po’ particolare,
  per cui…come dire… è sportiva [...] ehm… è sportiva ma poi, siccome, conosce la perso-



                                             128
  na… [...] Insomma ha capito che la questione era più un problema più per me che per
  lei… nel senso che, io sinceramente stavo a disagio e basta! (personale tecnico ammi-
  nistrativo04).

  Sì, con il mio partner sì. Ne ho parlato... sì, si è innervosito… Con la famiglia evito per-
  ché poi creerei ansie inutili… (studentessa/tirocinante08).



Sfiducia nelle possibilità di un intervento efficace

Come abbiamo visto, confusione e senso di colpa sono frequenti delle vittime di
molestie, indotte o rafforzate dal contesto circostante. Non c’è da stupirsi quindi
che le reazioni siano rare e la fiducia nella possibilità di giustizia sia scarsa:

  Sì, sapevo che c’erano… la Consigliera di fiducia… e… però… sì… (sospira). Un po’ sentivo
  che la situazione comunque non sarebbe migliorata, se anche lei avesse dovuto, avesse
  detto qualcosa a queste persone, sicuramente loro avrebbero capito che ero stata io,
  sicuramente! Perché ero l’unica a cui questa situazione non stava bene e mi sarei sen-
  tita ancora più isolata, emarginata, la più rompi balle, perché sicuramente l’avrebbero
  capito… (dottoranda02).

  Sì, e a livello di segnalazione, io ero comunque rappresentante degli studenti, è stato
  messo…la luce è stata ripristinata per un periodo ma poi… per un periodo, poi, dopo è
  tornata la situazione di fatto (studentessa16).

  Sai cos’è , il problema è che molti colleghi, docenti e non docenti, allo stesso modo, han-
  no perso la fiducia che si possa fare qualcosa. (personale tecnico amministrativo04).



Ripercussioni e cambiamenti sulla vita delle vittime

Dalla ricerca sono emerse le ripercussioni sulla sfera privata, professionale e
accademica delle vittime: sono cambiamenti che hanno toccato spesso profon-
damente la loro vita anche in termini di riduzione della libertà personale. Un
aspetto non trascurabile è la paura, che inizia a pervadere perse aree della sfera
privata/personale:

  La paura di tutto. Cioè… io andavo in giro e qualsiasi rumore, qualsiasi… cioè anche in
  pieno giorno, se ero sola intorno, una paura di non so cosa, però paura! E tra l’altro sta
  cosa cioè… adesso non ci avevo pensato, ci ho pensato momento che si è verificata nello
  stesso identico periodo dell’anno scorso… è durata poco, due tre settimane… però ehm…
  non so perché questi stati di ansia e panico perenne… che io… non è da me insomma…
  ehm…paura di tutto, del buio, del camminare da sola…dello spazio chiuso, anche in mez-
  zo…ero…mi ricordo che ero andata in Cavana, se non erro, ed ero tipo passata in una
  piazzetta che era… non c’era nessuno, sì ma in pieno giorno, ed ero terrorizzata da questa
  cosa che non ha nessun senso…[...] La concentrazione assolutamente! Cioè questa cosa
  me la ricordo anche bene, e che ovviamente ero lì sempre nella stessa aula studio, è che
  non riuscivo a prendere parte di quello che stavo studiando insomma… (studentessa06).



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                       129
  Nell’immediato è stata proprio una sensazione di paura, come se avessi incontrato un
  leone, tachicardia, non ho più parcheggiato lì il motorino, ci son stati dei cambiamenti
  nel mio comportamento… non ho più studiato la sera in università, ho scelto di studia-
  re a casa dagli amici…no? Sì, quindi, ha sicuramente disturbato... se vuoi non in manie-
  ra... cosciente, nel senso… ho fatto delle scelte successivamente che mi sono sembrate
  sotto il mio controllo quindi non gli ho dato… (studentessa14).

  H3 quarto piano comunque un gruppetto di sempre maschi, che comunque vedono
  che stai là e ti guardano… ti guardano, e io stavo proprio curva (per studiare) (mi mima
  la posa) in modo che come con una barriera nessuno poteva disturbarmi, cioè, mi dava
  proprio fastidio lo sguardo! Mi pesava! E non riuscivo a concentrarmi… proprio lo
  sguardo e magari anche il fatto che magari era uno, poi vedevi l’altro poi vedevi che
  tipo si comunicavano qualcosa e allora dicevi «cavoli, ma allora non è uno da solo,
  sono tipo tanti» e quindi questa rete era come più potente ancora… no? Quindi questo
  sì… non è proprio molto carino… [...] Sicuramente c’era un disagio (silenzio), beh… fisi-
  co, proprio anche a livello di… non so... non dico battito ma proprio fisiologico, sudore,
  comunque una cosa che sentivo somatizzare anche no? Un peso… proprio mi iniziavo
  a curvare… (mi mostra come si metteva) disagio fastidio non so se paura, sicuramente
  anche rabbia o impotenza, ehm… come dire anche un senso… non so se è un’emozione
  o non è un’emozione… (studentessa09).

  Quello che era lampato a me era proprio la paura di chissà cosa poteva succedere se…
  parlavo… se dicevo qualcosa… (studentessa12).

Spesso le ragazze che hanno subito aggressioni o molestie insistenti da compa-
gni di studio o da stalkers sono obbligate a modificare la loro vita quotidiana per
proteggersi:

  Ha iniziato a seguirmi ovunque io andassi anche questo qua, e mi ricordo che io in
  quel periodo ero andata più volte a ballare, lui era sempre lì sotto di me, che mi fissava,
  fermo, cioè anche fermo! Sì e al bar e di qua e di là e su e giù e io ho cambiato casa! E
  poi il profilo di Facebook io da quella volta l’ho cambiato 4 volte, e l’ho sempre bloccato
  (studentessa06).

  Era una limitazione fisica anche più importante, io posso dire… bon… mi ha dato limi-
  tazioni?… che limitazioni? Beh, in effetti, se penso, io alcuni posti non è che poi… cioè
  se potevo evitare non ci andavo! Da un lato uno dice ma non è giusto, dovrei essere
  libera di gironzolare dove voglio senza… (studentessa12).

  Allora, per un periodo non ho fatto le scale, perché fino a quando non… non ho fatto le
  scale… in quella situazione lì ho provato paura, adrenalina…mi sono messa a correre e
  lui non mi ha raggiunto, quindi, sì, non riuscivo a fare le scale… e… ho provato proprio
  paura… l’immagine purtroppo si è impressa molto bene! E non dimenticherò la maglia
  color bordeaux, i suoi pantaloncini abbassati color cammello… mai dimenticherò sto
  stronzo! (studentessa15).

  Ah, beh, io ho subito un’aggressione… ho subito un’aggressione ed un tentativo di vio-
  lenza sessuale, ehm… questo è stato il motivo per cui poi non ho più alloggiato in Casa
  dello studente (studentessa16).




                                             130
Come abbiamo visto, la situazione di molestie può determinare forme di discri-
minazione professionale o nella carriera accademica. Ecco alcuni esempi:

  Avrei potuto vincere quel concorso lì, quindi avevo un posto di lavoro due o tre anni
  prima di quello che poi è successo, e tra l’altro quegli ultimi due o tre anni son stati
  terribili, io veramente ero disperata perché tornavo appunto dall’estero, dove avevo
  fatto un dottorato, ho pubblicato un libro e poi cominciavo ad essere anche conosciu-
  ta internazionalmente e qui c’era un muro e quindi non c’era verso di penetrare in
  questo mondo universitario italiano in cui e… se non sei… magari … non voglio dire
  che sia necessario per tutte andare a letto col capo, però, devi essere dentro… no? Ti
  devi essere laureata lì… hai fatto le cose lì… sei sempre stata lì… io venivo da fuori con
  un’autonomia scientifica e non dovevo dire niente, non dovevo dire grazie a nessuno!
  Questo era insopportabile… quindi la mia carriera è stata segnata anche da questa cosa
  qua, certo! (docente10).
  (La molestia dal docente) Mi ha fatto sentire… inadeguata come… in quel momento e
  anche successivamente, già non ero una che riusciva ad alzare la mano e fare delle do-
  mande, quindi, andare a ricevimento per me era uno spazio più sicuro… dove non mi
  esponevo davanti alla platea di gente che mi ascoltava… e quindi… ha rinforzato il mio
  senso di insicurezza… questo non lo riesco dire, certo è che ha influito impedendomi
  di andare a fare domande e quindi a fidarmi dei professori, ed io avevo bisogno di im-
  parare a studiare, perché io avevo fatto l’XX (una scuola tecnica) e non avevo sviluppato
  delle abilità allo studio quindi... quei momenti coi professori, il fatto che mi indicasse-
  ro la bibliografia, il fatto che mi dicessero guarda studia… era un momento che poi ho
  riscoperto con XX (altra docente), perché lì ho ricominciato ad andare a ricevimento
  , che in realtà avevano tanti strumenti da darmi, per aiutarmi a cambiare percorso,
  quindi…vedi … anche adesso… mi commuovo a raccontartelo perché mi fa incazzare!
  (Sorride ironicamente) Cioè… ho perso un’occasione! [...] Un po’ da un punto di vista
  mi fa arrabbiare! (studentessa14).

Anche in situazioni in cui le molestie sono soprattutto “di genere” e non impli-
cano quindi né contatti indesiderati né aggressioni o ricatti, ci sono delle conse-
guenze che creano disagio e interferiscono con il senso di sé come (futura) pro-
fessionista:

  Mi sembra di dover fare il triplo di quello che fanno gli altri miei compagni, ad esem-
  pio [...] Molto spesso mi è capitato di essermi trovata come l’unica XXX (tipo di profes-
  sione) donna… ehm…mi ha fatto dire tante volte: «Oh Dio! Mi vesto…come mi vesto?»
  che sembra una sciocchezza, però tante volte non volevo essere troppo elegante o trop-
  po carina per non venir presa come quella frivola e stupida, però non è neanche giusto
  che non posso mettermi un bell’abito per… capito? Quindi…questa cosa qua è capitata
  più di qualche volta, e magari non è così, magari è un mio pensiero però se ce l’ho, un
  motivo c’è… quindi sì! (studentessa13).

Più in generale, sono esperienze che minano il senso di sicurezza e il senso di
fiducia negli altri:

  Mah, allora…(sospira) l’unica sensazione che ho provato sempre costantemente è stata
  di insicurezza, e… perché ovviamente cioè… ovviamente, prima cosa un’insicurezza
  fisica perché nel momento in cui io mi fossi ritrovata con questa persona da sola, per



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                      131
  carità, magari non sarebbe successo niente, però... magari sarebbe successo qualcosa…
  (studentessa06).

  This is something like that… I think that it can have a bad consequence on later… later
  life, and... like …with the trust (studentessa Erasmus01).



Subire molestie fa star male: l’impatto sulla salute

Nelle citazioni precedenti è già emerso l’impatto che queste situazioni hanno
avuto sulla salute psicologica e fisica delle vittime. Eccone ulteriori esempi: su-
bire molestie fa star male chi le subisce, che siano donne o uomini, a volte anche
a lungo.

  Io lavoravo comunque però mi sentivo triste, e… isolamento… incomprensione… (silenzio) il
  fatto che sapevo che magari parlavano alle mie spalle… difficoltà a dormire… per un periodo ho
  preso anche degli antidepressivi (dottoranda02).

  Non rido affatto, per me è una roba pesante, perché vuol dire che io ogni giorno c’ho l’ansia di
  questa (collega) che mi venga qua… ogni giorno… più volte al giorno [...] Io andavo a lavorare
  con l’ansia, con l’ansia veramente! All’inizio io veramente andavo a lavorare col magone [...]
  non dormivo molto bene… no pessimo… io ho avuto… ho aumentato il livello di ansia generale e
  anche di capacità di concentrazione che in quel periodo era crollata, e avevo pochissima voglia
  di fare quasi tutto, perché avevo poca voglia di andare al lavoro, qualsiasi cosa… (personale
  tecnico amministrativo04).

  Mamma mia! Io volevo morire! Volevo morire (sospira ndr) a parte che… mi ricordo che quan-
  do ho deciso di… di accettare questo ricatto, che poi il ricatto è venuto subito, mi hanno offerto
  un posto di professore a contratto, no? Che era un modo di… e quindi io l’ho accettato e lì ho ac-
  cettato il ricatto sostanzialmente…[...] Io ho avuto un periodo di depressione molto molto lun-
  go… molto pesante, non legato in maniera specifica solo a questo episodio ma all’impossibilità
  di… di… di… di farmi strada nel mondo universitario italiano! Quindi, sì, è stato pesantissimo!
  (docente10).

  Non ho… cioè non sono più… non ho più frequentato lezione, ho avuto un’alterazione del sonno
  veglia…e insomma mi sono rivolta ai servizi perché non… avevo delle situazioni di panico, ecco…
  non riuscivo a dormire perché ripercorrevo la situazione in cui mi prendeva e… potevo essere
  rovinata per la vita ecco, cioè la sensazione che hai è quella, mi prende, succede, mi rovina per
  la vita… (studentessa16).



«E se così lo rovino?» Quando la vittima si preoccupa per il molestatore

La confusione prodotta dalla situazione di molestie – strategie del molestatore,
scarso riconoscimento della gravità dell’accaduto e scarso sostegno da parte del
contesto - producono a volte un risultato paradossale: la preoccupazione della vit-
tima per la sorte dell’aggressore, nel caso essa decidesse di reagire e di segnalare
l’accaduto.


                                                132
Negli estratti che seguono ne proponiamo alcuni esempi:

  Non l’ho detto ad altri…perché credo, credo che avrebbero potuto… schierarsi un po’
  troppo nettamente dalla mia parte, credo che poteva crearsi dei problemi all’interno
  nei suoi confronti… fratture lavorative nei confronti suoi, per cui so di sicuro che se io
  avessi detto ad una persona che mi era vicina, mi avrebbe sicuramente creduto e que-
  sto avrebbe potuto avere un impatto abbastanza negativo su… in generale, sul lavoro...
  per cui… (docente05).

  Sì anche per capire come fare molte volte, perché appunto… sì… a me viene in mente,
  parlo con questo insegnante gli dico che la sua battuta è stata sgradevole, però come
  posso farlo senza ripercussioni poi? Anche appunto… è un faro… però come si fa a dire
  qualcosa senza rovinarlo? (studentessa13).

  Sono stata in questura e mi hanno detto che ti posso denunciare… lui si è spaventato
  tanto e lì sai che mi è dispiaciuto vederlo soffrire in quel modo…però sono rimasta
  ferma! Lui quella volta... ha… ha… diminuito… (studentessa15).

A volte è un familiare a consigliare prudenza e a far balenare il rischio di “rovina-
re la vita” al molestatore.

  Ho parlato, beh, con mia mamma, mia mamma mi ha detto, beh, stai attenta, magari
  prima di rovinare la vita ad una persona e denunciare una cosa del genere, pensaci un
  attimino e cerca di... valutare tutte le strade che hai prima… di andar a parlar con qual-
  cuno eccetera… (studentessa11).



Il percorso di consapevolezza e i sentimenti a posteriori

Riuscire a dare un nome all’accaduto non è né semplice né immediato. Di solito,
è più facile farlo a distanza di tempo dall’accaduto, quando si può riuscire a “rive-
dere” la situazione da un altro punto di vista, con più lucidità e chiarezza, senza
dubbi interpretativi, e con una maggiore consapevolezza dell’accaduto e dei sen-
timenti vissuti. Dalle interviste, emerge comunque che rabbia e amarezza non si
esauriscono con il passare del tempo.

  But for me, what was more important was the fact that… I was right! I didn’t… so, I re-
  ally… because I was sure, if I’m doing…if I’m thinking right that… he… maybe… it’s not
  my imagination (studentessa Erasmus01).

  Faceva pensare a quanto queste persone devono essere fondamentalmente deboli, che
  pur di farsi una risata, di adeguarsi al branco… facessero passare per normali… uno
  che dice «ah, quando cresce tua figlia me la scopo!» che aveva 5 anni (sospira, ndr).
  Per carità... però… boh… mi fa un po’ di tristezza che la gente lo lascia passare così!
  (dottoranda02).

  Però una cosa è rispondere, riuscire a mettere i paletti, quando già hai 40 anni dopo
  anni che ti sei laureata… e non hai più no… non hai chi ti deve valutare, un’altra cosa è,




le molestie sessuali nelle voci delle vittime                      133
  arrivi in università, hai … quant’è, 18, 19, 20 anni e ti trovi davanti questo abuso di po-
  tere che tu non riesci a bloccare, fronteggiare in alcuna maniera… e non è detto che tu
  abbia un vissuto tale che ti ha permesso di fortificarti ed essere in grado di dire di no!
  [...] Le altre… ti ripeto… sì… perché… se tu sai già che un dato sistema funziona così, e ci
  entri, e lo accetti e non fai nulla per cambiarlo, quanta… quanta può essere tua respon-
  sabilità, quanto il tuo giudizio può essere libero, scevro da condizionamenti? Quanto
  puoi essere tra virgolette, incolpata, se decidi di accettare? (docente07).

  Amarezza! (Silenzio). Amarezza, e poi ti resta sempre il senso di colpa di non aver fatto
  scoppiare la bomba no? perché in fondo io con quest’uomo, con questo preside, poi,
  quando, dopo tanti anni, ho finalmente vinto il concorso, ho avuto delle relazioni pro-
  fessionali normali... non è che lo guardavo e gli dicevo «tu, brutto stronzo!» quindi…
  ti… resta anche il senso di colpa per non aver reagito in maniera più… beh, non aver
  reagito, beh, io non ho reagito in nessun modo se non accettando il ricatto, quindi,
  mi sento in colpa io, non tanto in colpa... come dire… mi dà fastidio no… non aver…
  (docente10).



E se accadesse alla tua migliore amica?

Appena l’intervistata prova a immedesimarsi nella situazione di un’amica/o che
si rivolge a lei per raccontare un vissuto di molestia sessuale e chiedere aiuto
emerge un radicale cambiamento di prospettiva. In questo caso ipotetico si at-
tivano risorse, si scoprono canali disponibili, emerge la spinta all’azione, anche,
bisogna dire, in assenza di informazioni e conoscenze precise e affidabili. Alcune
intervistate sottolineano tuttavia l’importanza di ascoltare la vittima, crederle,
ma non imporle nulla. Sembra comunque più facile riconoscere le molestie in
quanto tali, identificare con chiarezza chi è la vittima e reagire quando si tratta
di un’altra persona.

  “I think […] try to explain that is not her fault, and I would suggest “tell about this to
  somebody in the company or university”yeah… now… yes… but now… yes, I have more
  work experience, and I know that it’s not acceptable (studentessa Erasmus01).

  Uno, non è colpa tua! (sorride), due, vai a parlare con chi di dovere, forse anzi prima
  vai a parlare con chi di dovere… quindi prima Consigliera di parità ehm… non è l’unica
  eh, la Consigliera di parità… ehm… perché ci sono altri organismi a livello regionale
  e provinciale… ehm…e poi si… con la persona invece è più difficile… quindi, direi di
  andare dalle persone giuste, sperando poi che loro abbiano gli strumenti adatti per
  proteggere… perché non è detto! (docente05).

  Io ad esempio, mi sentirei subito in dovere di vedere se posso fare qualcosa, o starle
  vicino, magari se lei non vuole parlarne, o addirittura bypassarla, anche se magari è
  sbagliato, andrei a denunciare io la cosa, non so poi, se ha lo stesso valore, cioè se ha
  valore se è un terzo che racconta appunto… cercare di spronarla a parlarne e magari
  servirebbero più punti di riferimento per gli studenti o lavoratori, non so, un punto
  di riferimento, non so, tipo uno sportello di psicologia o qualcosa, sempre in forma
  anonima, ma che appunto sai che puoi andare lì. (studentessa/tirocinante08).




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  Vabbè, innanzitutto cercherei di capire… allora… innanzitutto le crederei! Che è già
  una cosa importante, poi, cercherei di capire che cosa si sente di fare, quindi, cercherei
  di capire che cosa le dà sicurezza, quindi a seconda di qual è il mio ruolo farei delle
  scelte, nel senso che se fossi un docente cercherei di dire che dentro la mia istituzione
  succedono delle cose, cioè istituzione intendo dentro l’istituto in cui lavoro, succedo-
  no delle cose che a me non mi vanno bene! Pur proteggendo l’anonimato se questa
  persona non vuole parlarne… certo se ci fossero dei luoghi dove lei potesse, anche in
  maniera anonima, no, poter condannare… cioè denunciare questo comportamento e
  segnalarlo affinché si possa evitare che ci… perché qual è il problema tra l’altro, che poi
  ci possono essere altre vittime! (studentessa14).

  L’accompagnerei volentieri comunque a fare la segnalazione, perché serve! Che se la
  denuncia… sì, il mio non era neanche un reato perché non era riuscito a farmi del male,
  però una segnalazione di una persona nascosta che faceva così, ha tentato di afferrar-
  mi non mi ha afferrato quindi non era perseguibile in nessun modo, però comunque
  la segnalazione va fatta, e si parla anche con le autorità perché comunque insomma…
  misure di sicurezza come luci o una maggior attenzione la notte da parte dei portinai
  o del… ma sia delle case dello studente che anche delle portinerie dell’università, può
  essere di aiuto (studentessa16).

Una docente, tuttavia, esprime dubbi sull’esito di tali percorsi.

  Guarda, è una domanda terribile, perché io nel mio ruolo oggi dovrei avere delle rispo-
  ste, (sospira) allora… (respiro profondo) allora, è un disastro! È un disastro perché a un
  livello inpiduale se fai un percorso (sospiro profondo) … fammi fare un passo indie-
  tro… (silenzio) Allora se la persona se la sente, e io l’appoggerei, farei un percorso pri-
  ma interno e poi esterno, quindi prima interno, vuol dire, Consigliera di fiducia… io…
  la sosterrei a portare avanti. (sospira) Non è detto che vada a finir bene! (docente10).


Che fare? Idee e suggerimenti per prevenire le molestie e tutelare le vittime

L’ultimo tema proposto alle persone intervistate è stato quello delle idee o pro-
poste per migliorare la situazione. I suggerimenti sono ricchi e articolati e si
raggruppano in alcune categorie principali. Molte delle persone intervistate in-
dicano la necessità di maggiore informazione sul tema delle molestie ma anche
delle sessualità, attraverso varie modalità, dai semplici volantini agli ateliers di
discussione. Si tratta di “dare un nome alle cose”, aumentare la consapevolezza e
anche far conoscere strumenti come il Codice di comportamento (che tutti do-
vrebbero sottoscrivere), la Consigliera di fiducia e il CUG. Altre sottolineano la
necessità di avere a disposizione un supporto psicologico, a oggi disponibile solo
per studentesse e studenti, anche se non tutti ne sono al corrente. C’è anche la
richiesta di uno “sportello”, che, in effetti, esiste, nella forma della Consigliera di
fiducia, anch’essa forse poco conosciuta. Da altre interviste emerge la necessità di
formare, e non solo informare, docenti e personale amministrativo dell’Ateneo;
sarebbe anzi fondamentale che i vertici si esprimessero chiaramente e con forza
in merito all’inaccettabilità delle molestie. Per concludere, benché già esistano



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                      135
dei ricorsi (Consigliera di fiducia e, fuori dall’Ateneo, Consigliera di parità) sareb-
be necessario che l’istituzione garantisse e pubblicizzasse un percorso chiaro e
accessibile per chi vuole segnalare o denunciare un caso di molestia.

Riportiamo qui alcuni estratti di questi suggerimenti, che lasciano trasparire la
passione che questo tema ha suscitato nelle persone intervistate.

  Some kind of campaign about it, just a campaign to show ehm…that you see the pro-
  blem, yes? Because otherwise, it is only the topic of gossip, or jokes, or I don’t know… or
  … for the victims … not even the topic to talk with anybody, yes… and… it’s not normal,
  yes, this kind of situations, and then have the possibility to go to some kind of psycho-
  logist there or counsellor, just to give a contact yes? If you note some uncomfortable si-
  tuations between you and somebody from the university, you can contact this person,
  even in anonymity… without giving a name, you can explain the situation and they
  will give you advices, yes? For example, it’s like a green line yes? And…you can decide
  if you want tell for example somebody more about it, after this conversation, or try to
  solve by yourself, yes! (studentessa Erasmus01).

  È importante aumentare la consapevolezza… forse più che le telecamere… è importan-
  te forse una presa di posizione e una formazione anche… avere il coraggio di dirlo sul
  sito alle matricole e… attenzione che! Magari non proprio così altrimenti siamo tut-
  ti paranoici… e siamo tutti così… però bisogna studiarla bene… perché non possiamo
  neanche sortire l’effetto contrario, che la paranoia non fa bene agli altri, la paura… la
  paura dell’altro non aiuta! (studentessa15).

  Una pesante opera di sensibilizzazione e PROPAGANDA (sottolineato dall’intervi-
  stato) per distruggere pregiudizi, evitando di creare una cultura omosessuale che si
  opponga a quella eterosessuale. Evitare di mettere in mano la faccenda a enti LGBT-
  friendly e associazioni simili e gestire internamente il problema.
  Punti cardine:
  – insegnare ai giovani a vivere liberamente la propria emotività e sessualità, senza
   parlare di omosessualità, eterosessualità, pansessualità, magari creando collabora-
   zioni fra feste studentesche e istituzione universitaria;
  – spingere al ragionamento analitico e alla comprensione dei sensi tramite ateliers
   piuttosto che conferenze;
  – coinvolgere professionisti della psicologia esterni all’università che abbiano pratica
   clinica alle spalle;
  – creare un mese di eventi dedicati alla scoperta della sessualità e dell’emotività.
  Scopo: sradicare i pregiudizi presenti all’interno del contesto universitario nei con-
  fronti dell’omosessualità e della bisessualità e soprattutto far capire a coloro che non
  riescono a viverla apertamente che questo invece è possibile (studente03).

  Secondo me, uno sportello potrebbe aiutare… cioè un posto fisico dove una persona
  sa che può trovare quel determinato organo, non dico ogni giorno… ma già il fatto
  che sulla porta ci sia scritto riceviamo una volta alla settimana, due volte al mese…
  secondo me, il posto fisico è un attimino più facile…anche da…perché sono andata
  dalla professoressa XXX, perché sapevo che il suo ufficio era al piano di sopra e non
  dovevo fare il giro dell’università per cercare, o sul sito internet che è quello che è…
  (studentessa11).




                                             136
  Mah, forse parlarne esplicitamente! Ehm… io avrei voluto tanto farlo però non ho avu-
  to magari il coraggio o la voglia semplicemente, però, appunto anche dire agli inse-
  gnanti… guardate che queste battute qua a lungo…cioè dopo un po’ stancano, oppure
  influiscono più di quanto pensiate! Forse risolverebbe già molte cose, anche perché ti
  ripeto sono persone molto cordiali, molto brave, persone anche di una certa cultura,
  quindi, sono in grado di capire magari non ci pensano… quindi, fare in modo che ci
  pensino! (studentessa13).

  Ah, è fondamentale, infatti il CUG lavora su questo, perché è assolutamente fonda-
  mentale diffondere, deve cambiare la nostra mentalità… deve cambiare la nostra men-
  talità [...] è importante per educare le persone, perché noi non siamo ancora educati a
  questo…io mi son sentita sporca e quindi vuol dire che non ero educata, ed il fatto che
  ancora la gente continui a dire che in parte è colpa… è colpa delle donne, insomma, fa
  parte di questa educazione! Quindi dare il nome alle cose potrebbe abbastanza aiuta-
  re in questo senso, sì io essendo donna io vedo…e secondo me, essendo donna leader
  vedo immediatamente come si comportano i maschi. (docente05).
  Allora (sospira ndr) sicuramente è utile un’organizzazione di supporto a livello univer-
  sitario però il problema qual è, tipo anche nel mio caso, io non lo sapevo, sicuramente
  se lo avessi saputo mi sarei rivolta, perché tanto non sapevo che pesci pigliare, tanto
  valeva provare! No? Ehm… secondo me, il fatto è che bisogna fare un tipo di pubblici-
  tà molto banale, cioè, va benissimo il volantino con scritto: «Hai problemi di questo
  tipo? Rivolgiti a… punto» senza tanti giri perché purtroppo, uno la gente non ha voglia
  di leggere, questo è il primo, due la gente spesso non capisce qual è il significato, o lo
  sottovaluta, quindi, secondo me, tra l’altro mi è venuto in mente proprio mentre me
  lo dicevi, cioè, se faceste, dico così, proprio una propaganda, a volantino banalissimo,
  come quello del degli aperitivi che trovi in centro… secondo me sarebbe molto utile!
  o anche a manifesto… senza dover spendere tanto e far spreco di alberi e carta, cioè a
  manifesto, non solo in università però, perché ci siamo anche noi di Cattinara, c’è il
  polo di Valmaura, c’è il Maggiore, quindi, ehm…così in aule studio, biblioteche, uno sa
  a chi rivolgersi… (studentessa06).

  Beh, allora come ti ho detto prima, innanzitutto, questo codice di comportamento è
  bellissimo, però deve essere fatto firmare a tutti i docenti a tutto il personale dell’u-
  niversità. Tutti! Dal primo all’ultimo! E se qualcuno non lo vuole firmare insomma…
  avete… incomincerete credo ad avere un sacco di nomi da cui partire… no? (docente07).

  Io credo, a parte il fatto di vabbè…dare più strumenti a chi subisce questa cosa, credo
  che bisognerebbe darli anche a chi le agisce, non so come dire, quindi ai professori,
  ai docenti, ai rettori e non so quali altre figure… cioè nel senso che si mettano nella
  posizione di condanna, cioè che ci sia, perché che non può essere sempre la vittima
  che fa qualcosa no? Deve essere anche l’istituzione che condanna fortemente questi
  comportamenti e che dà dei chiari segnali di condanna, perché anch’io se ci fossero
  stati, se la mia istituzione, quella volta, avesse avuto delle locandine, dei layout, dei nu-
  meri di telefono, che dicevano che condannava questi comportamenti, e se qualcuna si
  fosse trovata, quindi li rendeva plausibili, no, cioè possibili, perché se tu scrivi questo
  vuol dire che forse io avrei chiamato qualcuno…forse io avrei raccontato quello che mi
  succedeva e avrei chiesto, cosa facciamo?… Quindi una chiara presa di posizione, che
  possono essere questi o anche a livello più ampio, come statistiche… ehm… come… di-
  scorsi di apertura durante l’anno… dove questo tema non viene negato ma viene citato!
  Quindi…siccome succede, può succedere… sappiate che siamo in ascolto… cioè banal-
  mente, in 3 secondi lo può mettere un rettore a dire questa cosa no? (studentessa14).
  Per cominciare! Io credo che (sospira) servirebbe che l’amministrazione...che i vertici



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                       137
  facessero uno statement, cioè richiamassero tutti e dicessero anche in maniera rude e
  poco diplomatica e poco… baronale ma nella maniera utile: «Non verranno tollerati che
  sia chiaro, questo va da sé, vogliamo che sia ben chiaro che non verranno tollerati questo
  tipo di comportamenti... per cui… invitiamo ovviamente a denunciare presso i responsa-
  bili preposti ma qualora non si sortisse effetto o la risposta fosse molto lenta, invitiamo
  a trasferire la denuncia anche a livello più elevato, perché interverremo decisamente e in
  maniera drastica». Già dire questo… è un’altra cosa! [...] Io penso che va bene queste cose
  qui, culturali, però secondo me, se non sono affiancate da un set di strumenti anche di-
  sciplinari, anche giuridici e magari anche di supporto psicologico [...] magari anche terzo,
  cioè voglio dire, fai una convenzione con l’azienda sanitaria… non …cioè ti costa meno, dà
  maggiori garanzie di terzietà rispetto alla persona [...] cercar di vedere dal punto di vista
  del suo benessere psicologico, se lui o lei ha bisogno di una forma di sostegno, esterno,
  anche perché io ho visto con molta chiarezza che se uno sta male poi è difficile che si di-
  fenda…però arrivare al momento in cui dice: «Mo’ adesso gliela faccio vedere e mi tolgo
  sta roba dallo stomaco», devi avere forza! (personale tecnico amministrativo04).

  Beh, guarda… diciamo che le cose devono andare a tenaglia, cioè da una parte ci vuole
  più consapevolezza e più coraggio anche, diciamoci la verità, da parte di chi queste
  cose le subisce, che ad un certo punto deve capire che sono molestie, perché non è
  scontato e deve… e… assumersi la responsabilità ed anche il rischio, perché capisco che
  può essere difficile, di perlomeno di… di dirlo, insomma, di fare un passo, ma con-
  testualmente contemporaneamente deve esserci l’attivazione di un percorso molto
  chiaro e una formazione da parte dei docenti [...] però insomma stiamo parlando di
  un… fenomeno che ha radici molto solide… molto antiche per cui… noi sappiamo che
  c’è e però le persone non parlano! (docente10).

Concludiamo con un apprezzamento dell’utilità di questo lavoro:

  I hope this project has good consequences, just even the awareness of the problem,
  that’s a good start, yeah, because anyway, let’s say... I didn’t have a very terrifing situa-
  tion (di molestie) but from my experience I had three of them, so is a lot… (silenzio)
  (studentessa Erasmus01).



9. Discussione e conclusioni

In questa ricerca qualitativa, quindici donne e due uomini hanno conpiso, nel
corso di un colloquio di ricerca, le loro esperienze di molestie sessuali avvenute
in ambito universitario. È bene precisare che non si tratta di un quadro esausti-
vo della situazione, né è possibile inferire dati sulla frequenza del fenomeno a
partire dalle testimonianze raccolte: la ricerca qualitativa ha piuttosto il ruolo di
esplorare temi poco conosciuti, a volte censurati, e di mettere in luce alcune ti-
pologie. Sarà il compito di lavori futuri, con un approccio metodologico perso,
stabilire frequenza e correlati delle molestie in Ateneo. Va sottolineato tuttavia
che in Italia, a differenza di altri paesi, la ricerca sulle molestie, all’Università o
in altri contesti lavorativi, è ai suoi inizi: questo lavoro rappresenta quindi un
primo passo nella conoscenza di un problema finora scarsamente riconosciuto.
I risultati di questa ricerca portano alla luce un quadro complesso: le molestie


                                              138
sessuali sono trasversali e riguardano i persi gruppi presenti in Ateneo, anche
se la maggior parte è riportata da donne, studentesse o dottorande, mentre i mo-
lestatori sono quasi sempre uomini, altri studenti, docenti o personale tecnico o
amministrativo. Indipendentemente dalle caratteristiche della vittima e dell’ag-
gressore, le molestie avvengono, nella maggior parte dei casi, in situazioni in cui
è presente un dislivello gerarchico o di potere: che si tratti della diseguaglianza
legata ai ruoli di genere, all’età o al potere vero e proprio, come nel caso delle re-
lazioni docente-studentessa. Molto chiaro è il rapporto tra i generi: nelle testi-
monianze raccolte, tutte le vittime, meno due, sono di sesso femminile; tutti i
molestatori, eccetto un caso, sono di sesso maschile.
  Le persone intervistate hanno riportato esperienze molto perse. La maggior
parte rientrano, secondo la tipologia di Fitzgerald, nella categoria delle molestie
di genere e dei contatti sessuali indesiderati; in un caso, uno studente ha riferito
molestie omofobe nei suoi confronti. In altri casi, le esperienze si configurano
come stalking; in altri casi ancora, emergono vere e proprie aggressioni sessuali,
vissute negli spazi interni del campus, luogo che dovrebbe essere fonte di sicu-
rezza per coloro che studiano e vivono negli alloggi universitari. Queste ultime
situazioni sono state vissute in maniera traumatica dalle ragazze che le hanno
subite, ma non bisogna concludere che le “molestie di genere” (commenti ne-
gativi sulle donne e sulle loro capacità intellettuali o professionali, osservazio-
ni inopportune sull’aspetto fisico, allusioni sessuali) siano banali o irrilevanti.
Il canale social emerge come ulteriore mezzo attraverso il quale il molestatore
perpetra le molestie.
  Un discorso a parte meritano le molestie da parte di un docente/ricercatore
anziano nei confronti di una studentessa/dottoranda o ricercatrice più giovane,
che prefigurano situazioni di ricatto sessuale, anche se non sempre esplicitato.
Per una studentessa (o per uno studente), per una ricercatrice a inizio carriera,
il docente o il collega più esperto dovrebbero rappresentare un faro, una guida
lungo un percorso ricco di criticità e sfide, quale quello accademico. Dalle testi-
monianze emerge invece la facilità, verrebbe da dire la “naturalezza”, con cui le
molestie trovano spazio in questi rapporti gerarchicamente connotati, e quanto,
proprio in funzione della particolarità del rapporto, pentino destabilizzanti per
la vittima, con conseguenze anche gravi sul suo benessere e sul percorso di studi
o professionale. In questo contesto, merita attenzione la testimonianza di una
studentessa straniera, in Italia per l’Erasmus: essere straniera ha complicato ul-
teriormente la situazione, aumentando la sua confusione e insicurezza rispetto
a quanto aveva vissuto e portandola a chiedersi se tali comportamenti fossero
normali in un’Università italiana.

Le reazioni delle vittime variano secondo la tipologia delle molestie e le caratte-
ristiche del molestatore. Le studentesse che hanno subito aggressioni sessuali da
sconosciuti o da persone estranee nel campus hanno reagito subito, chiedendo
aiuto, segnalando o denunciando. Hanno protestato anche le studentesse “im-



le molestie sessuali nelle voci delle vittime                   139
merse” in un contesto in cui le molestie di genere sono quotidiane anche se, va
precisato, le loro proteste sono rimaste senza risultato. Ha reagito, riuscendo a far
capire alla molestatrice il suo fastidio, anche l’unico uomo vittima di “contatti in-
desiderati”. La situazione tuttavia è più complessa per le giovani donne, studen-
tesse, dottorande o ricercatrici, vittime di molestie da parte di uomini più grandi
e più autorevoli, appartenenti al corpo docente ma anche al personale tecnico am-
ministrativo. Una sola ragazza, che aveva ricevuto allusioni inopportune da parte
di un dipendente dell’amministrazione, si è rivolta ad una docente per chiedere
aiuto. Va detto che è il caso più recente, avvenuto nel periodo in cui il CUG pro-
muoveva questa ricerca: la studentessa ha sentito che c’era una via di uscita da una
situazione che le provocava un pesante disagio. Negli altri casi, tuttavia, le vittime
appaiono “bloccate”: dalla confusione, perché non è immediatamente chiaro cosa
stia succedendo; dall’imbarazzo e dai sensi di colpa, perché resta il dubbio di aver
in qualche modo provocato o lasciato succedere tali comportamenti; dalla paura di
una rappresaglia, che può avvenire sotto varie forme (non essere creduta, essere
ridicolizzata, ma anche non superare un esame o non vincere un concorso). Il sen-
timento di paura non va sottovalutato: la studentessa Erasmus temeva ritorsioni
anche dopo alcuni anni dal fatto e a centinaia di chilometri di distanza dal mole-
statore; alcune persone hanno preso i primi contatti per partecipare alla ricerca,
poi hanno mostrato esitazione e infine hanno deciso di non fare il colloquio.
  Va precisato che i testimoni delle molestie – compagni/e o colleghe/i- non
sempre sostengono le vittime o si mettono dalla loro parte. Questa indifferenza,
che a volte penta collusione, è confermata dal fatto che in molti casi gli aggres-
sori sono molestatori seriali, i cui comportamenti (anche gravissimi, come nel
caso del medico ospedaliero) sono stati, per anni, sotto gli occhi di tutti. Non c’è
da stupirsi. quindi, che la maggior parte delle vittime esprima sentimenti di sco-
raggiamento in merito.
  Dalla ricerca sono emerse numerose ripercussioni delle molestie sulla sfera
personale, professionale e accademica delle vittime. In alcuni casi, il disagio o la
paura hanno portato a cambiamenti profondi nella loro vita, anche in termini di
limitazione della libertà personale. Alcune giovani donne hanno cambiato luogo
di studio o di lavoro, lasciato la Casa dello studente, hanno smesso di frequentare
le lezioni, rinunciato a una tesi, evitato di uscire la sera da sole. In alcuni casi, le
donne hanno pagato un prezzo elevato in termini di carriera.
  Le testimonianze evidenziano anche l’impatto delle molestie sulla salute. Le
vittime riportano tristezza, disturbi del sonno, ansia generalizzata e attacchi di
panico, vissuti di angoscia, insicurezza e diminuzione dell’autostima e della fidu-
cia in sé; per far fronte a sintomi spesso invadenti, alcune intervistate riportano
l’assunzione di psicofarmaci. Queste conseguenze sono in linea con quanto rile-
vato da studi più ampi. Spazio e tempo sembrano non aiutare a superare l’espe-
rienza, né a garantire una “messa in sicurezza”. Le testimonianze evidenziano
vissuti di rabbia, frustrazione, disagio e paura nelle vittime, anche a distanza di
anni dal fatto.



                                          140
L’ultimo tema proposto nelle interviste riguardava idee e proposte per migliora-
re la situazione. I contributi sono ricchi e articolati: le persone intervistate sotto-
lineano soprattutto la necessità di fare informazione e formazione a tutti i livelli
e con varie modalità: si tratta di “dare un nome alle cose”, aumentando la consa-
pevolezza su cosa sono le molestie e sulla loro inaccettabilità e di far conoscere
strumenti come il Codice di comportamento, la Consigliera di fiducia e il CUG.
Viene inoltre considerata necessaria una chiara ed esplicita presa di posizione
dell’Ateneo nei confronti delle molestie stesse. Per finire, benché già esistano dei
ricorsi, come la Consigliera di fiducia e, fuori dall’Ateneo, la Consigliera di parità,
sarebbe necessario che l’istituzione garantisse e pubblicizzasse un percorso chia-
ro e accessibile per chi vuole segnalare o denunciare un caso di molestia.
  Concludiamo con le parole di apprezzamento per la ricerca da parte di una
studentessa intervistata:

  Bello, molto bello e molto… e mi è sembrato di fare qualcosa di utile, comunque mi
  sembra che forse... mi fa pensare sul fatto che effettivamente si può, si deve fare qual-
  cosa per cambiare questa situazione! (studentessa13).




le molestie sessuali nelle voci delle vittime                     141
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Allegati

Allegato 1 – Presentazione della Ricerca




le molestie sessuali nelle voci delle vittime  145
Allegato 2 – Ricorsi




            146
Finito di stampare nel mese di novembre 2019
da Rubbettino print – Soveria Mannelli (CZ)