Consigliere di Fiducia
IL CONSIGLIERE DI FIDUCIA TRA NUOVI RISCHI, CODICI DI CONDOTTA E BUONE PRASSI
di Laura Calafà
Professore associato di diritto del lavoro nell’Università di Verona
Coordinatrice del Corso di perfezionamento universitario per Consiglieri di fiducia
1. Premessa
In Italia esistono una cinquantina di Consiglieri di fiducia nominati ed operativi in enti e
istituzioni pubbliche1, sono stati adottati un centinaio di codici di condotta e risultano operativi una
miriade di comitati antimobbing le cui attività sono difficilmente valutabili allo stato attuale di
un’esperienza solo di recente avviata dalla contrattazione di comparto.
In questa sede vorrei soffermarmi sulla figura del Consigliere di fiducia, delineandone la
fisionomia. L’obiettivo, però, occorre ammetterlo da subito, risulta solo apparentemente definito.
La realtà nella quale si cala l’attività del Consigliere di fiducia è plasmata dal codice di riferimento
adottato, che ne definisce i confini di competenza e l’ambito di operatività della sua azione; e
questa stessa realtà deve confrontarsi, direttamente o indirettamente, anche con lo sviluppo di
quegli strumenti di prevenzione collettiva del disagio al lavoro che sono rappresentati dai comitati
antimobbing, istituti di partecipazione collettiva paritetica non completamente valorizzati dagli
studi specialistici in materia2. Il tutto collocato in un contesto normativo in continua modificazione
che considera congiuntamente aree tematiche tradizionalmente disgiunte nella scienza giuridica
lavoristica. Semplificando, possiamo ammettere che il legame tra codice, consigliere/a e comitato, è
quasi ontologico, almeno nella lettura offerta da chi vi scrive, una lettura che tende a prediligere la
centralità dell’atto di normazione ad hoc (il codice di condotta), rispetto alla descrizione dell’attività
prestata dal soggetto incaricato di attuarlo (il/la Consigliere/a).
Davanti ad un gruppo di persone sicuramente informate dei fatti, la domanda che vorrei
porre potrebbe apparire banale: chi è il Consigliere di fiducia?
Ancora oggi i dubbi e le perplessità, facilmente misurabili dalle errate risposte fornite da
alcuni addetti ai lavori, rendono comunque tale domanda meritevole di una risposta articolata.
Si tratta di una figura atipica i cui connotati sono ancora compiutamente da definire3. In
questa sede si cercherà di tracciare un identikit compiuto del Consigliere di fiducia abbandonando
la tecnica definitoria meramente “negativa” seguita in altre occasioni pubbliche4, l’unica tecnica
praticabile quando ancora non avevo personalmente maturato quattro anni di attività di
coordinamento di un Corso di perfezionamento universitario dedicato alla formazione degli
1
Se la ricerca dei codici di condotta approvati nel nostro Paese non può che effettuarsi attraverso la rete e non
garantisce pienamente della bontà dei risultati ottenuti, lo stesso dicasi per i Consiglieri di fiducia nominati: oltre ai dati
della rete, il numero è ricavato dai contatti diretti e indiretti collegati al Corso di perfezionamento organizzato sullo
specifico tema. Una parte sempre più consistente di Consiglieri di fiducia operativi proviene dal Corso stesso.
2
Sul punto si legga il contributo di A. Loffredo, in F. Amato, M.V. Casciano, L. Lazzeroni, A. Loffredo, Il mobbing, 2002,
Giuffrè, Milano..
3
Usualmente si confondono i/le Consiglieri/e di fiducia con i/le Consiglieri di parità o con i/le Consulenti del lavoro.
4
Il consigliere di fiducia (che vi presenterò tra breve) non è un sindacalista, né un rappresentante dei lavoratori, non è
un componente dei comitati pari opportunità, non è un rappresentante per la sicurezza e nemmeno un medico del
lavoro, anche se un medico del lavoro potrebbe pentare un terminale sensibile delle situazioni di disagio. Si rinvia a L.
Calafà, Dal genere al benessere: presentazione di un laboratorio di ricerca e didattica su benessere e prevenzione
fenomeni complessi (discriminazioni, molestie, mobbing), in (a cura di) Guaglianone, Malzani, Come cambia l’ambiente
di lavoro: regole, rischi, tecnologie, Giuffrè. 2007 (p. 97‐107).
1
interessati/e a rivestire tale ruolo ed ancora non avevo compiuto un intero ciclo di attività come
Consigliera di fiducia presso un grande ente di ricerca italiano5.
Già da questi brevi premesse, si intuisce che l’unico metodo per trattare dei Consiglieri di
fiducia sia quello di ricomporre le variabili dell’esperienza in corso, sistematizzandole. L’approccio al
tema non può che essere, quindi, pragmatico, ma non per questo privo di rilevanza teorica. Se lo
spessore teorico delle singole questioni proposte dall’istituzione della figura dei Consiglieri di
fiducia non risulta immediatamente percepibile, il complesso delle interrelazioni tra persi fattori
di sistematizzazione appare la vera novità dell’esperienza che merita, anche solo per questa
ragione, di essere studiata e approfondita.
Nella sua breve vita, il Consigliere di fiducia vanta già un dignitoso passato. Sono almeno tre
le fasi evolutive che oggi possono già compiutamente delinearsi. I connotati di questa evoluzione
saranno tracciati nel presente contributo consapevoli che le tessere del mosaico da ricomporre non
sono sempre di immediata evidenza. Solo ricomponendole ci pare di poter adeguatamente
perseguire la finalità ultima del presente contributo quella di trattare il tema della formazione,
preferibilmente universitaria, dei Consiglieri stessi.
2. Le fasi evolutive
Nell’attivare la quinta edizione del Corso di perfezionamento per Consiglieri di fiducia, per
descrivere l’obiettivo formativo specifico del Corso, abbiamo deciso di utilizzare questa formula di
sintesi: “La figura del Consigliere di Fiducia è stata prevista nella Raccomandazione della
Commissione europea 92/131 relativa alla Tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro
e dalla Risoluzione A3‐0043/94 del Parlamento europeo. Un cenno al Consigliere di Fiducia viene
fatto anche nell’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro correlato dell’8 ottobre 20046. La fase
di recepimento delle direttive comunitarie antidiscriminatorie (dir. 2000/43, 2000/78, 2002/73) e
l’approvazione del testo unico di salute e sicurezza (d.lgs. 81/2008), hanno reso sempre più
evidente la centralità di una simile professionalità chiamata ad attuare un c.d. codice di
comportamento e di prevenzione adottato da un datore di lavoro pubblico o privato. Il/La
Consigliere/a di fiducia è uno/a specialista chiamato/a ad affrontare il tema delle molestie (non solo
sessuali) sui luoghi di lavoro e, di recente, del mobbing. In particolare tali esperti sono chiamati a:
prevenire, gestire, risolvere efficacemente i casi di molestie, mobbing e discriminazioni laddove
esista un codice di comportamento approvato dall’Ente o dall’impresa di riferimento. I compiti
del/della Consigliere/a di fiducia sono vari e compositi e tendono ad aumentare nel periodo attuale
in cui ampio risalto nella normativa vigente viene dato ai rischi stress‐lavoro correlato e/o alle
nuove tipologie di rischio legati alle differenze di genere, di nazionalità e di contratto di lavoro”.
5
Ogni informazione relativa al Corso può trovarsi sul sito www.giurisprudenza.univr.it.
6
Nel punto 6 dell’Accordo dedicato a Prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress da lavoro si trova scritto che
sono perse le misure che possono prevenire, eliminare o ridurre i problemi derivanti dallo stress e che queste misure
possono essere collettive, inpiduali o entrambe, possono misure concrete oppure politiche sullo stress. Il riferimento
al Consigliere di fiducia è indiretto dato che l’Accordo scrive che qualora “la presenza di esperti all’interno dei luoghi di
lavoro dovesse risultare insufficiente, possono essere designate consulenze esterne, nel rispetto della legislazione
europea e nazionale, degli accordi e delle pratiche collettive”. Il riferimento è, in effetti, alquanto labile: anche il
successivo Accordo interconfederale siglato da Cgil, Cisl, Uil e rappresentanti di alcuni datori di lavoro il 9 giugno 2008
rinvia a generici “esperti esterni” laddove non ci siano professionalità adeguate in azienda.
2
Questa ricca definizione dettata nell’ambito di una esperienza di ricerca collegata ad una di
didattica‐applicata, consapevole di un dato oramai acquisito e cioè che i fenomeni patologici
complessi hanno multiple dimensioni che trovano una risposta appagante solo nella logica multi‐
disciplinare, fornisce una sintesi estrema di tre momenti evolutivi precisi della figura del Consigliere
e del contesto giuridico nel quale opera. Il tracciato evolutivo si evidenzia nell’oggetto mutante
dell’interesse (e quindi della relativa competenza) del/della Consigliere/a: dalle molestie sessuali al
mobbing, passando attraverso le discriminazioni, per arrivare, genericamente, a forme perse di
disagio al lavoro che possono comprendere stress, burn‐out e altre figure non completamente
tipizzate dalle scienze competenti.
2.1. La prima e la seconda fase: l’incentivazione soft all’adozione di codici di
condotta
L’introduzione della figura del Consigliere non può essere disgiunta dall’approvazione di un
codice di condotta da parte dell’ente/azienda interessato/a. Per quanto riguarda i codici di
condotta, questi sono atti di carattere volontario, assunti del datore di lavoro (pubblico e privato)
al fine di promuovere un clima favorevole al rispetto della dignità della persona che lavora. Il codice
si integra, affianca e supporta le regole contenute nei contratti collettivi e nelle leggi. Ha specifiche
funzioni di prevenzione dei comportamenti vietati, crea procedure utili alla soluzione delle vicende
rientranti nel suo campo d’applicazione, favorisce l’emersione delle situazioni latenti e cerca, nel
contempo, di formare ed informare. La procedura di applicazione delle eventuali sanzioni, in
particolare, con gli anni si è standardizzata in due specifici tronconi: la procedura informale (che
vede come soggetto attivo il Consigliere di fiducia, con funzioni di ascolto, consulenza e
mediazione) e la procedura formale (che rimane regolata dalla disposizioni del contratto collettivo
applicabile e dalla legge).
Il codice di condotta – essendo un atto di auto normazione ‐ viene approvato dal datore di
lavoro (pubblico e privato), facendo riferimento alle perse regole operative nei due settori; il
codice è preferibilmente il risultato di un processo di elaborazione partecipata, aperto alle parti
sociali, ai comitati di parità o antimobbing (laddove esistenti) e/o ai dipendenti e alle loro
rappresentanze.
La Comunità europea negli anni Novanta ‐ con una serie di atti non vincolanti – cercò di
incentivare l’introduzione di codici di condotta per reprimere e prevenire le molestie sessuali nei
luoghi di lavoro e l’affermazione del ruolo del Consigliere di fiducia, chiamato a gestire un simile
codice. Il codice di condotta e la figura del Consigliere di fiducia sono stati, in effetti, previsti:
- nella Raccomandazione della Commissione europea 92/131 relativa alla Tutela della
dignità delle donne e degli uomini sul lavoro;
- dalla dichiarazione del Consiglio del 18.12.1991 relativa alla applicazione della
raccomandazione stessa con la quale si invitano gli Stati membri a sviluppare e ad applicare
politiche integrate volte a prevenire e a lottare contro le molestie sessuali nel mondo del lavoro;
- dalla Risoluzione A3‐0043/94 del Parlamento europeo;
- dalla Risoluzione del Parlamento europeo A5‐0283/2001;
La Risoluzione del Parlamento europeo A5‐0283/2001, in particolare, dopo aver consigliato
agli Stati membri di completare e rivedere la normativa in materia di mobbing, raccomanda “la
messa a punto di un’informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di
inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore
3
pubblico; ricorda a tale proposito la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia
alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi”.
I codici di condotta – da allora e laddove approvati (in Italia se ne contano numerosi,
soprattutto nel settore pubblico) – hanno registrato una progressiva estensione dell’oggetto della
propria competenza dalle molestie sessuali nei luoghi di lavoro fino alla repressione e prevenzione
di ogni atto rivolto a violare la dignità di chi lavora (comprese le discriminazioni e il mobbing).
Ad oggetto variabile, rimane immutata la struttura del codice di condotta così come si era
prefissato lo stesso legislatore comunitario predisponendo un “modello di codice” da riprodurre
nelle singole realtà aziendali. E così è stato fatto: si ricordi, ad esempio, che l’esperienza di
codificazione dei comitati pari opportunità costituiti ex contratto di comparto a partire dalla tornata
del 1998, ha avuto a disposizione un fac‐simile di codice di condotta allegato al contratto nazionale
stesso.
Il quadro normativo fissato dall’Unione europea si arricchisce – dal 2000 – di una serie di
direttive c.d. antidiscriminatorie che si integrano alle regole di natura soft appena ricordate,
creando un raccordo tra discriminazioni e molestie, senza modificare la parte del codice di condotta
e del Consigliere di fiducia; le tornate della contrattazione collettiva di comparto a partire del
quadriennio 2002‐2005 hanno, come poco sopra anticipato, anche affrontato il tema facendo
rientrare tra le competenze dei costituendi comitati antimobbing anche quella di proporre codici di
condotta specifici che verranno poi presentati alle Amministrazioni per i conseguenti adempimenti
specifici. Tra questi adempimenti conseguenti, la clausola standard presente in tutti i contratti di
comparto, elenca la costituzione e il funzionamento di sportelli di ascolto, nell’ambito delle
strutture esistenti e l’istituzione del figura del consigliere/a di fiducia.
Dal punto di vista dei contenuti, ci si limita a segnalare, nell’impossibilità di trattarla
adeguatamente, la questione della molestia ambientale e del suo legame con il fenomeno del
mobbing. La molestia c.d ambientale è una discriminazione vietata ex d.lgs. 215 e 216 del 2003, e
d.lgs. 198/2006 e concerne la creazione di un “ambiente di lavoro ostile, degradante, umiliante e
offensivo” in ragione della razza e origine etnica, dell’età, della disabilità, delle convinzioni personali
o religiose e del genere.
Questa seconda fase risulta ricca di sollecitazioni importanti in tema che vanno, appunto
sistematizzate. Presenta caratteristiche specifiche: al diritto promozionale soft della Comunità delle
origini si aggiunge la contrattazione collettiva e un diritto antidiscriminatorio non semplicissimo da
comprendere, ma estremamente importante come supporto all’intera attività di progettazione dei
codici e di promozione del Consigliere di fiducia. Basti ricordare il valore della disposizione relativa
all’obbligatorietà dei piani triennali di azioni positive per la pubblica amministrazione transitata dal d.lgs.
196/2000 al d.lgs. 198/2006. E’ grazie all’azione progettuale avviata con i piani triennali che trovano spazio
approvati numerosi codici nella Pubblica amministrazione italiana (art. 48 del d.lgs. 198/2006 c.d. codice
della pari opportunità). L’ampliamento dell’oggetto della codificazione “oltre le molestie sessuali” fa
contemporaneamente mutare il ruolo rivestito dal Consigliere. Anche senza conoscere in modo
approfondito il significato e le specifiche differenze tra le varie figure oggetto di codificazione – non
è questa la sede opportuna – appare evidente quanto tali fenomeni siano accumunati dalla loro
natura “patologica” nel senso che appaiono comunque lesivi del benessere inteso – nella sua
accezione più semplice – come ricerca di un equilibrio positivo tra dimensione fisica e psichica della
persona che lavora, privilegiato soggetto dell’attenzione organizzativa. E’ questa intersezione tra
promozione della dignità e strumenti di innovazione legati al perseguimento delle pari opportunità
a rappresentare il collante della seconda fase appena descritta. L’idea di approvare un codice e di
nominare un consigliere concorre a costruire specifiche competenze chiamate ad affrontare simili
situazioni di disagio appare come una delle risposte possibili al perseguimento di strategie
4
innovative del personale della pubblica amministrazione. A partire dalla prevenzione/repressione
speciale di fenomeni di patologica violazione della dignità delle persona (le molestie), la seconda
fase si caratterizza per un oggetto ampliato e fortemente condizionato da una graduale centralità
assunta dai sistemi di valorizzazione del benessere della persona che lavora ancora non
generalizzata, ma potenzialmente in grado di riqualificare l’intera esperienza avviata. Il confronto
ancora in corso con la comparsa di nuovi soggetti di partecipazione come i comitati antimobbing è
uno delle novità che hanno reso necessario un ripensamento degli equilibri definiti.
2.2. La terza fase: tecniche integrate di prevenzione del rischio psico‐sociale in
azienda
Il/la Consigliere/a di fiducia è una figura atipica e non certo una figura anomala. Dal quadro
appena tracciato emerge chiaramente che nell’ordinamento sono rinvenibili i presupposti di
legittimità che giustificano (anche se in termini di mera volontarietà) la scelta del datore di lavoro
pubblico e privato di organizzarne il servizio previa approvazione di un codice di condotta.
L’apporto ideale fornito dalla sede materiale in cui si organizza il Corso di perfezionamento che
coordino (una Facoltà di Giurisprudenza) mi pare proprio questo: la valorizzazione estrema della
centralità del codice di condotta nella definizione delle fisionomia del Consigliere di fiducia,
importante sia in termini di fissazione delle competenze, che in termini di definizione dello schema
operativo (attività svolta). Nonostante le modificazioni, questo dato possiamo considerarlo
costante.
Nelle prime due fasi tracciate è emersa una mappatura variegata e puntiforme di figure
potenzialmente rilevanti per un codice di condotta del fenomeno del disagio al lavoro, che si
manifesta attraverso perse figure quali le molestie (sessuali e non, ambientali, morali), il mobbing
e il suo collegamento con le c.d. costrittività organizzative, il burn out, finanche lo stress. A partire
dalla lesione del bene della dignità della persona mediante le molestie sessuali, si è arrivati
gradualmente e non uniformemente, a proiettare il codice di condotta e il ruolo del Consigliere di
fiducia a quello del benessere della persona che lavora e alla tutela della salute della stessa in
termini di equilibrio psico‐fisico.
L’ambito tematico generale è quello descritto nel documento della Commissione europea
Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la
salute e la sicurezza 2002‐2006 (Commissione Ce, 11/3/2002), in cui si sottolinea come i
“cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, in particolare le modalità più flessibili di
organizzazione dell’orario di lavoro e una gestione delle risorse umane più inpiduale e
maggiormente orientata al risultato hanno un’incidenza profonda sui problemi legati alla salute sul
luogo di lavoro (…) e sul benessere sul luogo di lavoro”. La strategia comunitaria in materia di salute
ha un triplice carattere innovativo: si caratterizza per l’impostazione globale legata al benessere, si
cerca il consolidamento della cultura della prevenzione, si collega una politica sociale ambiziosa con
la competitività dell’impresa.
Se la terza fase, quella attuale, arriva a caratterizzarsi per un decisa valorizzazione della
salute di chi lavora, non possono non rappresentare delle suggestioni da approfondire quelle
derivanti dall’approvazione del d.lgs. 81 del 2008 (così come modificato nell’agosto 2009, con il
d.lgs. 3 agosto, n. 106). Il legame tra un sistema di responsabilità sociale delle imprese, la
valorizzazione delle buone prassi e dei codici di condotta, ed, infine, un testo come quello dell’art.
28 che inserisce nell’elenco dei rischi da valutare in azienda, anche quello collegato allo stress
lavoro correlato, al genere e alla persa provenienza geografica, oltre che quello derivante
dall’atipicità al lavoro, modifica in modo significativo il contesto nel quale si trova ad operare il
5
Consigliere di fiducia. Anche se in termini alquanto approssimativi, possiamo riconoscere che
sull’attualità del Consigliere di fiducia incidono una crescente complessità dell’oggetto (o del campo
oggettivo del codice), l’ampliamento dei soggetti interessati al funzionamento dello stesso (che si potrebbe
descrivere come la moltiplicazione delle figure della prevenzione) e la conpisione del metodo di
elaborazione di un codice che pare non poter più essere se non “integrato”. Nel senso di unico nell’impianto
concettuale e variabile nelle regole a seconda degli obiettivi da raggiungere che l’ente o l’azienda si sono
prefigurati. Non si può non ricordare la specificità dell’esperienza maturata da alcune Università che hanno
approvato (come Camerino) un codice etico. A ben vedere, tale codice, non è che un Codice integrato di
regole volte a focalizzare l’attenzione su una pluralità di aspetti considerati rilevanti nell’Università e per
l’Università.
3. L’identikit del/la Consigliere/a
Una delle questioni pratiche che più frequentemente sono poste è la seguente: si può
nominare un Consigliere prima dell’approvazione del codice? La domanda cela una questione più
ampia: è nato prima il codice o prima il Consigliere? Viste le premesse poco sopra esplicitate, non si
può che riconoscere che sono arrivati (e devono arrivare) prima i codici e poi gli eventuali
Consiglieri chiamati ad attuarli dopo una selezione e previa nomina e firma dell’incarico di
collaborazione (se esterni) o dell’accettazione della designazione (se interni): le originarie
caratteristiche della loro attività vengono indirettamente definite dall’intero assetto di regole
esistenti nei loro minimali contenuti originari.
Essendo dotati solo di blandi connotati identificativi ricavabili dai codici di stretta impronta
comunitaria, l’esperienza applicativa seguente ne arriva a plasmare la fisionomia anche
evidenziando le eventuali carenze delle regole di riferimento come dimostrano alcuni semplici
esempi pratici.
- Nel modello di codice di condotta proposto si segnalava la distinzione basica tra procedura
formale e informale cui il Consigliere partecipa. I primi codici hanno definito le
caratteristiche minimali di entrambe le procedure che, nel tempo, sono state aggiornate e
risultano nel complesso migliorate. La procedura formale e quella informale così come
pensate nel modello del codice di condotta comunitario degli anni Novanta, però, mal si
adattano ad essere applicate ad altre situazioni solo più di recente comprese nell’ambito di
operatività del codice di condotta. In particolare mal si adattano alla trattazione delle
questioni di mobbing.
- Una migliore o solo persa definizione delle regole delle contrattazione collettiva dedicate
alle sanzioni disciplinari, soprattutto nel pubblico impiego come incide sui codici più vecchi
approvati? Tali regole potrebbero risultare non compatibili con quelle ridefinite nel codice
nell’ambito della procedura formale autonomamente regolata.
- Inoltre: definite le caratteristiche del Consigliere/a, può lo stesso partecipare alla procedura
formale dopo aver coordinato quella informale.
Quid iuris in queste situazioni (e in molte altre che si evitano di descrivere)? Nel primo caso il codice
penta velocemente obsoleto in quanto non dotato di regole contenenti strumenti utili a suggerire
al Consigliere le perse strade praticabili; nel secondo caso il codice, se non rispetta le fonti
gerarchicamente superiori (fonti eteronome, come la legge, o dettate dall’autonomia collettiva,
come il contratto collettivo) può risultare illegittimo .
E cosa dire, ancora, della violazione potenziale del principio di riservatezza insita nella
partecipazione del Consigliere come persona informata sui fatti nella procedura disciplinare? La
domanda è senza una risposta univoca, serve a ricordarci i requisiti del Consigliere di fiducia che
possono ricavarsi dalla lettura della Risoluzione (ma altresì dalla concreta esperienza nella codificazione
6
successiva) sono: riservatezza, terzietà, autonomia e indipendenza di giudizio, oltre alla provata competenza.
Occorre ricordare che pare preferibile nominare Consigliere di fiducia una persona non dipendente dell’ente
o dell’azienda, ma un terzo, esterno alla stessa, meno soggetto a potenziali ricatti da parte della dirigenze e,
comunque, meno sottoposto a tensioni organizzative delle aziende. A prescindere dalla sua provenienza, il
Consigliere , dovrà avere una piena legittimazione ad intervenire nei singoli casi sottoposti alla sua
attenzione.
E’ chiaro che il ruolo del Consigliere varia a seconda del tipo imprese in relazione alle loro dimensioni
e alle loro specificità: amministrazioni pubbliche, piccole imprese o multinazionali. E’ importante anche che
abbia a disposizione gli strumenti necessari per svolgere la sua funzione, nonché protezione contro le
eventuali rappresaglie di cui potrebbe essere oggetto quando aiuta le vittime (di discriminazioni, di mobbing,
di molestie sessuali). In termini generali, il Consigliere forma, informa, progetta, organizza o concorre a
realizzare una rete coordinata di soggetti che collaborano alla prevenzione del rischio psico sociale in
azienda e, soprattutto, tratta i casi che vengono sottoposti alla sua attenzione.
Le funzioni e i mezzi a disposizione del Consigliere di fiducia sono quelli previsti dal Codice di
riferimento. In tutti i codici è previsto che il Consigliere si possa avvalere dell’opera di esperti utili alla
soluzione del caso. Avrà, in particolare, funzioni di prevenzione, di ascolto, di informazione e formazione.
Chiunque sia la persona designata, dovrà avere una formazione adeguata sul modo migliore di
risolvere i problemi per poter svolgere il suo compito con efficacia. Al riguardo il Corso di perfezionamento
ha costruito un percorso didattico che – partendo dalla costruzione del contesto giuridico di riferimento
della tematica – affronta la dimensione organizzativa, medica, psicologica e aiuta ad introdurre alle
tematiche del c.d. counselling. Parte integrante del metodo formativo – insieme all’approccio
pluridisciplinare – è l’interazione teorico‐pratica: dopo aver ricostruito il significato e la portata del codice di
condotta, ad esempio, viene concretamente costruito un codice di condotta in via di esercitazione.
In particolare, sembrano 3 gli approfondimenti tematici necessari alla costruzione di tale composita
professionalità.
Centrale importanza assume la comprensione del contesto giuridico di riferimento della figura che
comprende lo studio delle discriminazioni, molestie, mobbing e dei codici di condotta. A ciò si affianca
l’approfondimento del tema delle sanzioni disciplinari nel lavoro pubblico e privato (utile alla comprensione
della differenza tra procedura formale e informale di gestione dei casi).
Strettamente consequenziale alla comprensione del contesto giuridico di riferimento della figura è lo
studio dell’organizzazione del lavoro o, almeno, di alcuni suoi specifici aspetti: la distinzione tra
organizzazione del lavoro pubblico e del lavoro privato, il ruolo e la centralità delle c.d. analisi di clima e degli
strumenti eventualmente esistenti per effettuarle (ci si riferisce in particolare al Programma Cantieri del
Dipartimento della funzione pubblica).
A questa parte di studio prettamente organizzativo occorre aggiungere il tema della prevenzione
della salute e sicurezza a partire dall’inpiduazione del ruolo del medico competenze (e del supporto che lo
stesso può dare al Consigliere di fiducia) e l’importanza che assume la valutazione dei rischi psico‐sociali e
l’inpiduazione delle c.d. costrittività organizzative.
Completamente persa (ma altrettanto fondamentale) la competenza necessaria per la gestione dei
casi che vengono sottoposti all’attenzione del Consigliere. Al riguardo pare utile conoscere le tecniche di
ascolto, la metodologia del colloquio e il conselling e la mediazione.
La storia della figura del Consigliere e il fatto che rappresenti un’invenzione comunitaria (regolata
dalla legge in Belgio, trasformato in un vero e proprio mediatore in Francia)7 ci spiega il collegamento con la
dimensione di genere: nel nostro Paese, privo ancora di una legislazione specifica in tema di mobbing, il
percorso di ricerca e didattica viene ricostruito a partire dalla valorizzazione del tema delle pari opportunità
tra donne ed uomini visto e valutato anche come strumento di innovazione organizzativa (sia del lavoro
pubblico che del lavoro privato) attraverso strumenti quali le azioni positive e/o i piani triennali obbligatori
per le pubbliche amministrazioni. Tale percorso, almeno nella fase attuale, si scopre inesorabilmente
attratto dalle prospettive innovative di cui è portatore il testo unico di sicurezza.
7
S. Nadalet., La legislazione francese sullo harcèlement moral, in Mobbing, organizzazione, malattia professionale, in
Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2006, Torino, p. 313.
7
Sul raggiungimento di un equilibrio rassicurante tra le complesse interazioni tracciate in questo
intervento gravano una serie di ipoteche di non poco conto. La prima è riconducibile all’assenza di ogni
supporto istituzionale che concorra a meglio identificare la collocazione del Consigliere in azienda. In assenza
di ogni regolamentazione generale si rischia di non poter impedire iniziative opinabili come la costituzione di
albi dei Consiglieri di fiducia con legge regionale, per attività da prestare potenzialmente in tutto il territorio
nazionale.
La seconda ipoteca che grava sull’intero percorso proposto è quella di una formazione adeguata e
rispettosa di una premessa non esplicitata: formare un professionista non significa concorrere a
trasformare l’esercizio dell’attività di Consigliere di fiducia in una “professione” in senso stretto.
Sarebbe fuorviante: il corso “perfeziona” le competenze già acquisite arricchendole di conoscenze
mediante didattica applicata e di esercizi pratici. Chi si iscrive al Corso è avvocato, medico, addetto
alle professioni sanitarie, psicologo e psichiatra, dirigente e/o dipendente pubblico con compiti
organizzativi negli ambiti trattati.
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