Welfare ed Empowerment di Comunità

          WELFARE ed empowerment di COMUNITA’ :
           teorie, strumenti, meccanismi generativi

      Selezione ponderata di letteratura, studi a cura di Francesca Lazzari ( *)

Premessa
Già la crisi del 2008/2012     aveva messo a nudo tante fragilità del sistema economico
internazionale, mettendo in discussione paradigmi affermati quali la globalizzazione, determinando
effetti pesantissimi per le economie occidentali e riduzioni sostanziali al sistema di welfare dando
nuova diffusione a vecchi problemi che consideravamo ormai risolti dopo anni di stabilità
economica, quali una massiccia disoccupazione soprattutto giovanile e femminile, l’insicurezza del
posto di lavoro e drastici tagli nel livello di copertura del fabbisogno di beni e servizi primari come
la salute, l’istruzione e i servizi sociali. La crisi ha avuto un impatto particolarmente grave sulle
finanze pubbliche e, conseguentemente, anche sui servizi di protezione sociale e sulle fasce più
vulnerabili della popolazione.
Tutto ciò è reso ancora più drammatico dall’emergenza Covid 19.

Il terzo settore ha assunto da qualche tempo la consapevolezza che da una situazione così grave si
esce solo ricercando soluzioni che vadano nella direzione di un deciso cambiamento di prospettiva
in grado di superare l’abituale visione meramente ridistributiva.
Il cambiamento di prospettiva passa attraverso la proposta di un Welfare di comunità: bisogna
creare spazi in cui si genera valore conpiso come luogo in cui gli interessi dei singoli attori si
posizionano e si intrecciano .
Questo approccio, prevedendo il coinvolgimento dei differenti attori della società - Stato, mercato,
Terzo Settore, cittadini - pone al centro le politiche di welfare come infrastruttura
fondamentale per costruire un modello che permetta da un lato di uscire dalla crisi e
dall’altro di garantire migliori prospettive future sia da un punto di vista economico
che sociale.
La carenza di relazioni e di legami sociali e, quindi, una diminuzione dei livelli di capitale sociale, è
una delle maggiori difficoltà cui la nostra società si trova a far fronte, mancanza che può essere la
principale causa dell’esclusione sociale di grandi gruppi di popolazione al seguito del verificarsi di
situazioni determinate dalle cosiddette trappole di povertà, ovvero “condizioni di vita in cui è
relativamente facile entrare, ma difficile uscire, in quanto, una volta che si verificano, tendono a
produrre o a rafforzare una serie di caratteristiche (minore credibilità verso l’esterno, perdita di
fiducia e di motivazione, bassa autostima, ecc.) che rendono meno frequenti od efficaci i
comportamenti inpiduali che consentirebbero l’uscita dalla povertà stessa” . La povertà così
intesa si carica di nuove caratteristiche: non significa solo ristrettezza dei beni materiali, ma
situazione generale di debolezza, di dipendenza in modo permanente o anche transitorio. Significa
vivere in uno stato di umiliazione, di emarginazione da ogni partecipazione attiva alla vita pubblica
e alla considerazione sociale.

Anche l’Italia e la nostra regione hanno risentito e ancora risentono dell’impatto delle crisi
mondiali, e dell’incertezza economica e sociale prodotte dalla pandemia , lasciando aperti i dubbi
su quando avrà luogo davvero l’ effettiva ripresa dei sistemi economici.
Dai dati, vediamo che anche per la nostra regione la crisi ha avuto effetti negativi sul sistema del
lavoro e dell’occupazione, anche se il sistema, pur messo in atto con ottica di emergenza, degli
ammortizzatori sociali e il sistema di welfare hanno attutito l’impatto sui cittadini. In Veneto il
Welfare più rossimo e piùpersonalizzato, lo fanno soprattutto le famiglie e le reti del Terzo settore.
Questo però non basta, occorre agire in discontinuità con il passato e mettere in campo nuove
strategie e nuove politiche, che consentano di intercettare in maniera anticipatoria il cambiamento
sociale ed essere in grado di dare risposta ai nuovi bisogni che la nostra società in continua
evoluzione esprime.

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Il cambiamento più importante di cui abbiamo bisogno in questa fase di profonda “metamorfosi”
che stiamo attraversando, riguarda proprio la necessità di superare la visione monocentrica dello
sviluppo e, ancor più, della comunità centrata sull’impresa, profit o non profit che sia.
La reinterpretazione della responsabilità sociale di Comunità su basi territoriali e relazionali penta
ancora più rilevante in contesti produttivi di piccola impresa, come nel caso Italiano e Veneto in
particolare, ma anche europeo.
In contesti produttivi così caratterizzati, se non si parte dalle dimensioni territoriale (entro cui le
piccole imprese sono radicate) e dalla rete di relazioni, adeguando di conseguenza anche le scelte
di sviluppo sostenibile, per riorientare l’azione “di rete” degli attori chiamati ad agire non più come
stakeholder, ovvero come portatori di interessi contrapposti e corporativi, ma come community-
holder motivati a convergere verso un sistema di valori conpiso, volto a perseguire la coesione
sociale come uno dei principali obiettivi di sviluppo sostenibile, si rischia l‘involuzione sociale, la
crescita della disuguaglianza, la decadenza econoica e il ristagno dei territori.
Nuovi bisogni dei cittadini e delle famiglie comportano la strutturazione di nuovi servizi, il che
richiede di mettere in campo, in modo totalmente perso e innovativo il rapporto con le imprese,
riformulando il paradigma di posizionamento del pubblico con il mondo del privato sociale e
aprendo ad una maggior partecipazione dei beneficiari.
Questa è una sfida epocale, soprattutto quando le condizioni di contesto sono così difficili: già
abbiamo detto della crisi, ma bisognerebbe anche parlare dei pesanti tagli alla spesa pubblica del
degli ultimi venta’anni che hanno depauperato esperienze locali e presidi territoriali importanti.
Oggi l’emergenza Covid ha fatto esplodere questa contraddizione ( vedi la crisi del sistema
sanitario territoriale di base, sistema scolastico e formativo, proposte educative e di aggregazione
diffuse,...)
Si deve pensare a un perso ruolo del pubblico, che deve agire in chiave sussidiaria e flessibile
lungo l’intero arco della filiera del welfare, dalla co-progettazione con i beneficiari delle strategie e
delle politiche, fino alla erogazione dei servizi finali; questo nella convinzione che solo in questo
modo si possono dare risposte convincenti, che mettono davvero al centro dell’attenzione i
cittadini, le persone e la comunità nel suo insieme.
In altre parole, la sfida è coniugare politiche più efficaci, altamente capacitanti, creando processi
generativi virtuosi tali per cui il welfare non rappresenti più solo un costo per il territorio,
l’economia e la società nel suo insieme, ma l’opportunità per ridisegnare il futuro.

1. Rilevanza delle organizzazioni dell’economia sociale
È opinione diffusa che le organizzazioni dell’economia sociale rappresentino soggetti rilevanti per lo sviluppo
sostenibile socio-economico delle società avanzate.
Una prima autorevole indicazione a tale riguardo ci arriva dall’Europa, a partire dalla Risoluzione del
Parlamento Europeo “Rapporto sull’Economia Sociale”, approvata già il 19 febbraio 2009 che chiede
espressamente alla Commissione di riconoscere il ruolo essenziale dei soggetti dell’Economia Sociale e di
adottare misure volte a semplificare il processo di costituzione e a garantire il sostegno finanziario di tali
tipologie di imprese, al fine di sostenerne lo sviluppo.
La forza di tale affermazione risiede nello specifico riconoscimento dell’apporto che l’economia sociale
garantisce alle moderne società, ossia quello di sviluppare la qualità della dimensione sociale della sfera
pubblica, tramite l’erogazione di servizi di pubblica utilità ed il rafforzamento del tessuto fiduciario della
comunità, consolidandone ad un tempo la dimensione economica.
Il focus sulla capacità di sviluppo economico e sociale delle organizzazioni dell’economia sociale èripreso
anche nel più recente Single Market Act della Commissione Europea ( Communication from the Commission
to the European Parliament, the Council, the Economic and Social Committee and the Committee of the
Regions, Single Market Act - Twelve levers to boost growth and strengthen confidence "Working together to
create new growth").
L’obiettivo di costruire un mercato unico avanzato a livello europeo prevede, negli intenti della Commissione,
un ruolo decisivo delle organizzazioni dell’Economia Sociale ed in particolare dell’imprenditorialità sociale.
Sono, infatti, proprio queste imprese che, più di altre, si avvicinano al concetto di sviluppo
sostenibile quale paradigma di riferimento sottostante l’agire economico e sociale.



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2. Welfare e nuovi bisogni
Il crescente riconoscimento della rilevanza sociale ed economica delle organizzazioni dell’economia sociale,
va posto in relazione con l’esigenza di definire nuove ed efficaci politiche di Welfare, finalizzate in particolare
al superamento della crisi del modello dualistico Stato-Mercato.
Le ragioni di questa crisi risiedono nell’agire combinato di due cause:
- la crescente difficoltà a dare risposte attraverso erogazioni monetarie centralizzate, che ha fatto emergere
in pochi anni l’inadeguatezza dei sistemi di welfare come quello italiano (e più in generale dell’Europa
continentale), incentrati più su aiuti monetari diretti alla domanda (pensioni, sussidi vari, redditi di
cittadinanza, ecc.) che sull’offerta di servizi innovativi, diffusi ed efficaci;
- la crescente differenziazione dei bisogni (a tutti i livelli: per fasce d’età, genere, ambiti territoriali, culture,
etc.) che ha reso via via sempre più inefficaci le risposte standardizzate offerte dalle pubbliche
amministrazioni.
Con riguardo a questo ultimo punto, va considerata in particolare l’evoluzione demografica, che svolge una
funzione di traino sui nuovi bisogni. L’invecchiamento della popolazione e la progressiva erosione della quota
di popolazione attiva sono i fenomeni che più impatteranno sul welfare futuro : in 20 anni saranno 4 milioni
di persone non attive in più, a fronte di una diminuzione di 2 milioni di attivi.
L’aumento del tasso di dipendenza degli anziani innescherà crescenti squilibri sui contributori e beneficiari
del sistema pensionistico, che verrà sottoposto a nuove sfide di compatibilità. A taleprocesso, si accompagna
una forte crescita della domanda di assistenza, oggi pari al 6,7% della popolazione e che si prevede, per il
2040, pari al 10,7% (6,7 milioni di persone).
All’evoluzione demografica, si affianca una modificazione dei bisogni di natura qualitativa. In particolare si
osserva una maggiore complessità, derivante dalla crescente importanza degli aspetti immateriali di questi,
con particolare riguardo alla dimensione identitaria e relazionale.
Una delle trasformazioni più rilevanti e sorprendenti riguarda, in effetti, le modalità di percezione e
formazione del benessere delle persone. In particolare la variazione della ricchezza non rappresenta più il
determinante principale della variazione della felicità inpiduale riportata dalle persone.
L’influenza dell’economia sul benessere inpiduale non si esaurisce, infatti, con la produzione di ricchezza,
ma interessa sempre più le mutate dinamiche di produzione del valore tipiche dei sistemi economici
contemporanei, in cui la dimensione identitaria e relazionale piene centrale.

Nuovi indicatori di benessere
a. Contesto teorico di riferimento
Per lungo tempo, lo studio delle scienze sociali, ed in particolare dell’economia, ha fatto riferimento a un
concetto di felicità e benessere interamente identificabile e caratterizzabile in termini di aumento della
ricchezza inpiduale. Parallelamente, a livello macro, la “società del benessere” incarnava l’idea per cui
l’aumento della ricchezza economica e dei livelli di consumo si sarebbe tradotto nell’aumento del grado di
felicità degli inpidui e dell’intera società. Dagli anni ‘70, tuttavia, una serie di studi ha evidenziato nelle
economie avanzate una mancanza di appagamento pur nell’abbondanza di beni.
Paradossalmente, l’aumento dei redditi inpiduali che si era registrato in tutte le economie occidentali dal
secondo dopoguerra in poi e la possibilità degli inpidui di soddisfare un sempre maggior numero di bisogni
non si sono tradotti in un aumento della felicità inpiduale.
Questo fenomeno, identificato come “paradosso della felicità”, fu messo in luce per la prima volta nel 1974,
da Richard Easterlin.
Egli documentò come, all’aumentare del reddito, il livello di felicità riportato dagli inpidui aumenti fino a un
certo punto oltre il quale comincia a diminuire. Una serie di studi successivi ha confermato che, oltre una
certa soglia, la felicità delle persone dipende poco da incrementi di reddito mentre appare notevolmente più
legata ad altri fattori come le relazioni personali con familiari e amici, la partecipazione in organizzazioni e
associazioni, le comparazioni relative, etc.
Si sottolinea come la pergenza fra reddito e soddisfazione, che può essere ricondotta al “paradosso di
Easterlin”, evidenzi l’autonomia fra gli indicatori di percezione soggettiva della qualità della vita e le misure
quantitative di reddito e ricchezza.
Accanto al filone di studi sulla felicità, va ricordato il contributo di Amartya Sen che, unendosi alle crescenti
critiche sull’utilizzo del PIL e di altre variabili economiche come unici indicatori del benessere degli inpidui,
ha analizzato i concetti di libertà e di sviluppo definendoli in termini di funzionamenti e capacitazioni
(capabilities). I funzionamenti indicano le esperienze effettive (di essere o di fare) che l'inpiduo ha deciso
liberamente di vivere giacché attribuisce loro valore. Le capacitazioni sono invece le alternative di scelta,
ossia l'insieme dei funzionamenti che un inpiduo può scegliere (Sen, 2000).


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Difatti, una delle dimensioni di particolare interesse quale determinante del benessere nelle società avanzate
è rappresentata dalla qualità delle relazioni. Ciò si spiega in ragione della crescita della c.d. povertà
relazionale, che si affianca alla povertà dovuta alla scarsità di risorse materiali. Diversi autori hanno
evidenziato la tendenza delle società in cui viviamo a sostituire le relazioni interpersonali con in beni
posizionali, legati cioè allo status relativo di chi li possiede (Putnam, 2004). Mentre una relazione richiede un
alto rischio iniziale e “manutenzione”, i beni posizionali rispondono alla necessità di affermare il proprio
status in un gruppo di riferimento aumentando l’isolamento sociale per il fatto di essere posseduti, ma anche
perché richiedono elevati ritmi di lavoro per essere acquistati e – una volta che il loro potenziale gratificatorio
si è esaurito – sostituiti. Il tempo sottratto alle relazioni sociali non fa che isolare l’inpiduo e le conseguenze
estreme di tali dinamiche sono le c.d. “trappole di povertà relazionale”.
Un altro elemento di grande importanza è rappresentato dalla presenza di capitale sociale, la cui definizione
concettuale ha registrato recentemente una rilevante convergenza di sforzi analitici da parte di economisti e
sociologi. Il capitale sociale è identificabile, in prima approssimazione, con il livello di fiducia, l’insieme dei
valori, degli stili di vita, delle norme di comportamento che, in situazioni di non coincidenza tra interesse
privato e interesse collettivo, orientano le scelte inpiduali in direzioni coerenti con la promozione del bene
comune della società o comunque del gruppo sociale di riferimento (Ecchia e Zarri, 2005).
Si evidenzia come il progresso sociale ed economico si configuri, da un lato, come un ‘consumatore’ di
l’esistenza ad un livello sufficientemente elevato), ma, dall’altro, non ‘produttore’ di fiducia (nel senso che
non appare in grado di generare endogenamente lo stock di fiducia di cui necessita costantemente).
Come conpiso ormai da una vasta letteratura delle scienze sociali e dalle principali istituzioni nazionali ed
internazionali, le organizzazioni dell’economia sociale si caratterizzano per la capacità di intervenire
positivamente su tali criticità, tramite la capacità di produrre beni relazionali e di generare capitale sociale,
cioè di far crescere le reti sociali, la fiducia e il senso di appartenenza.
b. Nuovi Indicatori
- Indicatore multidimensionale del capitale sociale
Indice calcolato su partecipazione civica / rete diffusa e di qualità fatta da associazioni,
organizzazioni di volontariato, cooperative sociali e, più in generale, da tutto ciò che va sotto il nome di terzo
settore. Il dato misura il ruolo strategico che le organizzazioni dell’economia sociale svolgono con riguardo
alla capacità di coesione sociale del territorio.
- Cooperative sociali sudpise per tipologia
Numero di cooperative, ricavi e dipendenti. (serie storica, crescita)
Tale crescita riguarda quasi tutti gli ambiti di attività, compreso quello di assistenza sociale non residenziale,
che rappresenta il settore principale
- Cooperative sociali sudpise per settore di attività
Numero di associazioni e soci
- Organizzazioni di volontariato sudpise per attività principale svolta
Numero di associazioni e soci
- Associazioni sudpise per attività principale svolta
Numero di associazioni e soci

L’economia sociale rappresenta uno dei “prodotti” a più alto valore di un territorio. Essa ha svolto e continua
a svolgere un ruolo determinante in termini sia di coesione sociale sia di leva di sviluppo territoriale.
Le organizzazioni dell’economia sociale rappresentano, inoltre, un punto di eccellenza del territorio: la
presenza e l’attività di associazioni, cooperative sociali e organizzazioni di volontariato contribuisce a creare e
consolidare il tessuto sociale ed economico del territorio per coniugare crescita economica e coesione
sociale favorendo lo sviluppo di un sistema di imprese supportate da una diffusa e articolata rete di servizi
alla persona nella realizzazione di un nuovo welfare di comunità: la costruzione di un sistema integrato di
servizi sociali, socio-sanitari e sanitari in modo da rispondere ai mutati e nuovi bisogni delle persone, basato
su una forte presenza di garanzia del “pubblico” e, contemporaneamente, su processi decisionali,
programmatori ed attuativi di servizi ed interventi sociali e sanitari, fortemente partecipati dalle
organizzazioni della società civile, delle parti sociali, del terzo settore e dalle stesse persone e famiglie che
esprimono esigenze di sostegno e cura.
In questi luoghi infatti si sviluppa e si generalizza la fiducia e si costruiscono le reti primarie
della solidarietà.




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3. Caratteristiche e distintività delle organizzazioni dell’economia sociale
Alcune domande preliminari le cui risposte sono utili :
- per mettere in luce il contributo del terzo settore a favore della coesione sociale e del suo impatto in
termini economici,
- per agevolare lo scambio di informazioni e di saperi propri di attori pubblici e del privato sociale,
- per accompagnare e supportare le centrali cooperative ed altri attori dell’economia sociale alla
presentazione di progetti su programmi comunitari,
- per includere il tema dell’economia sociale nel piano territoriale/regionale di valutazione

a) qual è il contributo dell’economia sociale allo sviluppo del territorio espresso in termini di
coesione sociale e innovazione sociale e come si può dare evidenza a tale contributo?
b) quali sono i meccanismi tramite i quali tali organizzazioni sono in grado di dare risposte
rapide, innovative e flessibili alle nuove fasce di bisogno?
c) quali politiche pubbliche possono efficacemente supportare l’innovazione sociale e la
coesione sociale prodotta dalle organizzazioni dell’economia sociale?

Le organizzazioni dell’economia sociale:
- si differenziano dai soggetti pubblici e di mercato for-profit e sono particolarmente adatte a gestire
determinati servizi di pubblica utilità;
- si caratterizzano per:
    • un movente ideale;
    • un orientamento alla mission (mission oriented);
    • una diffusa presenza di relazioni non strumentali (razionalità espressiva);
    • una presenza di persone con forte motivazione intrinseca;
    • una capacità di cogliere bisogni non soddisfatti, di aggregare la domanda e di organizzare risposte
    adeguate.
Ulteriore elemento peculiare è rappresentato dalla capacità di produrre beni relazionali e capitale
sociale.

Con beni relazionali si intendono quei beni la cui utilità per il soggetto che lo consuma dipende, oltre che
dalle sue caratteristiche intrinseche ed oggettive, dalle modalità di fruizione con altri soggetti (Bruni e
Zamagni, 2004). Il bene relazionale è una tipologia di bene con determinate caratteristiche: esso, infatti,
postula la conoscenza dell’identità dell’altro, in cui i soggetti coinvolti si conoscono a fondo; si tratta, inoltre,
di un bene anti-rivale, il cui consumo alimenta il bene stesso, e che richiede un investimento di tempo, non
di mero denaro. Pertanto, la produzione di beni relazionali non può essere lasciata all’agire del mercato in
quanto non può avvenire secondo le regole di produzione dei beni privati, perché nel caso dei beni
relazionali non si pone solo un problema di efficienza, ma anche di efficacia. Al contempo, essa non può
avvenire nemmeno secondo le modalità di fornitura dei beni pubblici da parte dello Stato, anche se i beni
relazionali hanno tratti comuni con i beni pubblici.

Con riguardo al capitale sociale, esso è identificabile, in prima approssimazione, con l’insieme dei valori,
degli stili di vita, delle norme di comportamento che, in situazioni di non coincidenza tra interesse privato e
interesse collettivo, orientano le scelte inpiduali in direzioni coerenti con la promozione del bene comune
della società. Esso può essere utilmente differenziato in capitale sociale di tipo bridging – o capitale
sociale “intergruppo” – quello che, letteralmente, ”crea ponti” tra chi fa parte di un determinato gruppo
sociale e altri inpidui che invece non fanno parte del gruppo di soggetti che ha favorito l’accumulazione di
tale forma di capitale. Al contrario, la produzione di esternalità positive di questo tipo non è ascrivibile al
capitale sociale di tipo bonding – o capitale sociale ‘intragruppo’ –, che si caratterizza per la presenza di una
netta linea di demarcazione tra gli insider e gli outsider, tra chi appartiene al gruppo e chi invece ne è
escluso. Le organizzazioni dell’economia sociale, in quanto soggetti orientati alla mission anziché al profitto,
sono in grado di selezionare e di alimentare nella società motivazioni comportamentali di natura non
strumentale, nonché di contribuire all’accumulazione di fiducia generalizzata. Pertanto, un sistema
economico dotato, al proprio interno, di una quota rilevante di tali organizzazioni sarà potenzialmente in
grado di fronteggiare con successo il problema di un paradossale (e più o meno rapido) crollo del proprio
stock di “capitale fiduciario”. Bruni, L. e Zamagni, S. (2004), Economia Civile. Efficienza, equità, felicità
pubblica, Il Mulino, Bologna.



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4. Distintività dell’economia sociale e trasformazione del sistema di welfare
Una prospettiva è quella che concerne la trasformazione del sistema di welfare, in particolare la transizione
dal welfare state alla welfare society, una transizione epocale che, ancora non molti anni fa, veniva
considerata inconcepibile nel nostro Paese e nella stessa Europa. Tra i tanti problemi che la trasformazione
in atto del welfare va ponendo ve ne è uno che, in un certo senso, sovrasta gli altri: quale e quanto spazio
attribuire al consumatore o fruitore dei servizi sociali, soprattutto dei servizi alla persona.
Tre sono le posizioni teoriche che si distinguono:
 - secondo una prima, che si fonda su un’idea di stato sociale come “stato dei trasferimenti” il
consumatore dei servizi di welfare è un mero utente degli stessi e pertanto un soggetto la cui unica reale
opzione di scelta è quella della protesta (ovvero della “voce” nel senso di Hirschman);
- una seconda posizione è quella del consumatore come cliente: questi è un soggetto che, dotato di
potere d’acquisto, “ha sempre ragione” nel senso che, almeno in un certo ambito, esercita una vera e
propria sovranità, dalla quale discende la sua possibilità di impiego dell’opzione “uscita”;
- la terza posizione di derivazione dalla teoria dei diritti, pensa al consumatore come cittadino, il quale
non si limita a consumare i servizi che preferisce e che altri hanno deciso di produrre, ma “pretende” di
concorrere a definire congiuntamente con i vari soggetti di offerta, le caratteristiche qualitative di quello di
cui ha bisogno.
Non è difficile cogliere le implicazioni delle tre posizioni.
La prima conduce ad un modello statalista di welfare, un modello che distribuisce servizi in risposta ai
bisogni astratti dei soggetti, prescindendo però dalle loro specifiche biografie. È tuttavia noto in letteratura
che, quando si trascendono le specificità proprie dei soggetti beneficiari dei servizi sociali, si ottiene una
lievitazione dei costi e un aumento dei livelli di insoddisfazione.
Nella seconda posizione, gli spazi di scelta del cittadino sono limitati da una domanda di servizi
alla persona che si caratterizza come domanda derivata, soggetta sia “all’effetto disponibilità” (le variazioni
dell’offerta inducono una corrispondente variazione della domanda) sia “all’effetto insieme di scelta” (per
esempio, le opportunità di accesso alle cure sanitarie condizionano le preferenze del paziente).
Infine, la figura del consumatore-cittadino implica che il sistema di welfare riconosca ai soggetti
– inpiduali e collettivi – quella capacità, vale a dire quell’empowerment, che consente loro di
pentare partner attivi nel processo di programmazione degli interventi e nella adozione delle
conseguenti scelte strategiche. Ciò presuppone che la società civile si organizzi in maniera adeguata se
si vuole trovare il modo di convertire i bisogni concreti in un’offerta di prestazioni che sia rispettosa
dell’autonomia personale. Vale a dire, si ha bisogno che si diffonda e si irrobustisca quella classe di
organizzazioni dell’economia sociale la cui caratteristica è quella di rappresentare una pluralità di
stakeholders, cioè una pluralità di portatori di interessi.
La funzione obiettivo di tali organizzazioni, in questa prospettiva teorica, piene quella di servire, in qualche
modo specifico, la comunità in cui opera mediante la produzione di esternalità sociali e la salvaguardia delle
ragioni dell’equità. Tecnicamente, un’esternalità viene a crearsi tutte le volte in cui le azioni di un soggetto
hanno un impatto – positivo o negativo – sul benessere di altri soggetti, un impatto che non risulta mediato
o regolato dal sistema dei prezzi. D’altro canto, un’esternalità è sociale, o collettiva, quando concerne la
comunità nel suo insieme. La salute pubblica è un esempio tipico di esternalità sociale, così come lo è la
coesione sociale, oppure lo sviluppo locale. In presenza di esternalità sociali, i benefici complessivi generati
dall’attività di un soggetto di offerta non sono solamente quelli attribuibili all’output ottenuto, ma anche
quelli collegati al modo – cioè al tipo di processo – in cui quell’output è stato ottenuto e soprattutto al
sistema motivazionale che anima coloro che promuovono quella certa attività.
Le organizzazioni dell’economia sociale intervengono anche sul lato della domanda, consentendo a essa di
strutturarsi e organizzarsi per interloquire in modo autonomo con i soggetti di offerta e ciò allo scopo di
affermare il principio secondo cui le attività prestate nei processi di riproduzione sociale riguardano anche la
produzione di “significati” e non soltanto di output.

5. Il valore aggiunto delle organizzazioni dell’economia sociale
La crescita di rilevanza delle organizzazioni dell’economia sociale ha fatto emergere la necessità di misurare
l’apporto specifico che tali organizzazioni sono in grado di fornire alla comunità in cui esse operano.
Si tratta, in altri termini, di identificare quale sia la qualità specifica (o valore aggiunto) che l’azione di queste
organizzazioni apporta ad un sistema di welfare .
La domanda “qual è il valore aggiunto di un servizio erogato da una organizzazione dell’economia sociale?”
deve essere pertanto ri-specificata in “il servizio è perso da quello di una agenzia pubblica o di una impresa
commerciale?” e in caso affermativo “in che cosa (senso) è perso?” .


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Per dare risposta a questa domanda, si considera in primo luogo il concetto di valore. Tale concetto è
complesso, in quanto presenta una estensione semantica ampia e persificata. Esso infatti contiene in sé
almeno due declinazioni principali: “l’espressione di una qualità positiva ” e di “una unità di misura”.
Va evidenziato che le due dimensioni del concetto, pur rimanendo semanticamente distinte, non indicano
l’impossibilità di misurare quantitativamente un elemento qualitativo. Le sfide di superamento degli attuali
indicatori di benessere, quali il PIL, vanno esattamente in questo senso.
- “In che senso” un valore può dirsi “aggiunto”. Rispetto a questo tema si osserva una contrazione
dell’estensione semantica del significato del termine “aggiunto”, derivante in particolare dall’uso del termine
da parte delle discipline economiche, in quanto lo si è venuto specificando nel senso della crescita,
dell’aumento, del valore di scambio (prezzo) di un determinato bene o servizio, che avviene a seguito di un
processo di “trasformazione” o del “trasferimento” della disponibilità del bene da un attore economico ad un
altro. Tale conflazione del concetto di “aggiunto” con il concetto di “crescita” (incremento quantitativo) ha
avuto ovviamente delle conseguenze dal punto di vista della sua misurazione - cioè della predisposizione di
un sistema complesso ed articolato di rilevazione nel tempo delle variazioni del valore di un bene o servizio -
privilegiando anche in questo caso gli elementi quantitativi a discapito di quelli qualitativi (Stiglitz, Sen,
Fitoussi, 2009).
Per superare i limiti dell’approccio economico è necessario introdurre il concetto che un valore è aggiunto
non solo rispetto a qualcosa (che cosa è che si “aggiunge”) ma anche rispetto a qualcuno (chi giudica
l’incremento di valore). In altre parole è “la rilevazione del processo di trasformazione di una prestazione o
servizio in termini qualitativi, cioè rispetto alla qualità percepita del servizio da parte dell’utilizzatore (fruitore
beneficiario)” (Bassi, 2011).

Ciò che le organizzazioni dell’economia sociale erogano, produce un valore aggiunto se, e solo
se, ha un valore perso per chi ne beneficia (singole persone e comunità), rispetto a quanto
potrebbe accadere se il servizio fosse prodotto da agenzie della pubblica amministrazione o da
imprese a fini di lucro.

Il concetto di valore aggiunto economico, sociale, culturale e istituzionale
L’ipotesi teorica acquisita inpidua, in linea di principio, almeno quattro declinazioni principali del valore
aggiunto (sintetizzate nello schema n.1) che una organizzazione dell’economia sociale può apportare alla
società in generale (livello macro), alla comunità locale di riferimento (livello meso), alle persone che
lavorano in essa o che beneficiano delle sue prestazioni (livello micro).
In primo luogo troviamo il VAE (valore aggiunto economico), esso è dato dall’apporto in termini di
aumento (o non consumo) di ricchezza materiale, economica e finanziaria (investimento, risparmio) che una
organizzazione dell’economia sociale produce attraverso la sua attività specifica. Ad esempio, in termini di
occupazione prodotta, ma anche in questo caso, si noti bene, non meramente nel senso del numero di posti
di lavoro “creati”, ma piuttosto della qualità (dignità) delle posizioni occupazionali: conciliabilità dei tempi di
vita e tempi di lavoro; differenziali salariali presenti (rapporto tra lo stipendio più alto e quello più basso non
superiore a 2 o a 3); formazione offerta alle qualifiche professionali, ecc.
In secondo luogo vi è il VAS (valore aggiunto sociale), ovvero il contributo specifico di una
organizzazione dell’economia sociale in termini di produzione di beni relazionali (dimensione relazionale
interna) e creazione di capitale sociale (dimensione relazionale esterna).
In terzo luogo troviamo il VAC (valore aggiunto culturale), il quale è dato dall’apporto specifico che
un’organizzazione dell’economia sociale contribuisce a creare in termini di diffusione di valori (equità,
tolleranza, solidarietà, mutualità), coerenti con la propria mission, nella comunità circostante. (Valore
aggiunto ambientale => variante/ integrazione)
Infine possiamo inpiduare il VAI (valore aggiunto istituzionale), il quale è dato dalla capacità di una
organizzazione dell’economia sociale (o di una rete, o coordinamento, o rappresentanza) di fornire un
apporto in termini di rafforzamento della sussidiarietà orizzontale, dei rapporti intra-istituzionali e inter-
istituzionali.

IN SINTESI=> Dimensioni del valore “prodotto” da una organizzazione
VALORECONOMICO
VAE (valore aggiunto economico) =>apporto in termini di aumento (o non consumo) di ricchezza
materiale, economica e finanziaria (investimento, risparmio), che una OTS produce attraverso la sua attività
specifica.




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VAS (valore aggiunto sociale)=> contributo specifico in termini di produzione di beni relazionali
(dimensione relazionale interna) e creazione di capitale sociale (dimensione relazionale esterna).
VAC (valore aggiunto culturale )=> apporto specifico in termini di diffusione di valori (equità, tolleranza,
solidarietà, mutualità), coerenti con la propria mission, nella comunità circostante.
VAI (valore aggiunto istituzionale) => apporto in termini di rafforzamento della sussidiarietà
orizzontale, dei rapporti intraistituzionali e inter-istituzionali.

6. Organizzazioni dell’economia sociale e innovazione sociale
Il concetto di innovazione sociale è stato recentemente affrontato da una pluralità di approcci disciplinari, di
linguaggi specialistici e di orientamenti politico-culturali.
Sinteticamente => tre fra le principali definizioni che si riscontrano nella letteratura scientifica di riferimento
( La scelta e l’analisi delle definizioni è stata mutuata dal Position Paper della European School on Social
Economy (ESSE) dell’Università di Bologna, a cura di Andrea Bassi.
La prima definizione: Social innovation is a complex process of introducing new products, processes or
programs that profoundly Nchange the basic routines, resource and authority flows, or beliefs of the social
system in which the innovation occurs. Such successful social innovations have durability and broad
impact. ( Westley Frances and Antadze Nino (2010), “Making a Difference: Strategies for Scaling Social
Innovation for Greater Impact”, The Innovation Journal: The Public Sector Innovation Journal, Vol. 15 , 2).
Questa definizione è quella di più ampio respiro, essa si colloca nell’ambito della disciplina sociologica e
appare l’elaborazione più elevata di quello che si definisce “approccio sistemico”.
I suoi elementi costitutivi (caratterizzanti) sono i seguenti:
- E’ Un processo complesso
- Oggetto dell’innovazione: Prodotti, processi, programmi
- Effetti: Cambiamento profondo
- Oggetto del cambiamento: Routines di base, risorse, flussi di autorità, credenze
- Ambito di riferimento : Sistema sociale
- Proprietà, Durata e ampio impatto
L’’innovazione sociale chiama in causa profondi cambiamenti dei meccanismi di funzionamento di un sistema
sociale (flussi di autorità, credenze), essa prevale nell’ambito delle scienze politiche e della sociologia e
mette in luce l’aspetto “collettivo” del processo di innovazione (che non può mai essere ridotto al contributo
di un singolo inpiduo, per quanto straordinario esso possa essere). È l’approccio più attento alla
dimensione politica del processo di innovazione sociale, alla possibilità che nascano conflitti circa l’esito e le
ricadute dell’innovazione, al fatto che spesso le innovazioni sociali sono promosse da movimenti sociali che
mobilitano ampie fasce della popolazione.
La seconda definizione : Social innovation refers to innovative activities and services that are motivated
by the goal of meeting a social need and that are predominantly diffused through organizations whose
primary purposes are social. (Geoff Mulgan, The Process of Social Innovation, in “Innovations. Technology,
Governance, Globalizations”, Spring 2006, MITpress, Boston, p.146).
Questa definizione è quella più specifica/ristretta, essa si colloca nell’ambito della disciplina economica e
rappresenta la elaborazione più evoluta dell’ “approccio pragmatico”.
I suoi elementi costitutivi (caratterizzanti) sono i seguenti:
- E’ Una attività o un servizio
- Effetti/motivazione: Rispondere ad un bisogno sociale
- Ambito di riferimento Organizzazioni a finalità sociale
Rappresenta una interpretazione dell’innovazione sociale specularmente opposta a quella summenzionata.
Qui viene valorizzato il ruolo del singolo, dell’imprenditore sociale, dell’innovatore (inventore), di chi di fronte
ad un bisogno “sociale” trova nuove modalità di affrontarlo anche attraverso l’utilizzo di forme organizzative
innovative (ibride, che superano i confini del pubblico, del privato e del non-profit).
La terza definizione : A novel solution to a social problem that is more effective, efficient, sustainable, or
just than existing solutions and for which the value created accrues primarily to society as a whole rather
than private inpiduals.
(Phillis James A. Jr., Deiglmeier Kriss, Miller Dale T., Rediscovering Social Innovation, in “Stanford Social
Innovation Review”, Fall 2008, 6, 4, Stanford, p. 36).
Questa definizione si colloca a metà strada tre le due summenzionate, essa è stata sviluppata nell’ambito
delle scienze gestionali e dell’amministrazione, è l’elaborazione più sofisticata dell’ “approccio manageriale”.
I suoi elementi costitutivi (caratterizzanti) sono i seguenti:
- E’ Una soluzione innovativa


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- Effetti/motivazione : Valore creato
- Oggetto del cambiamento: Soluzione di un problema sociale
- Ambito di riferimento :Società
- Proprietà Efficace, efficiente, sostenibile, equa
Rappresenta, per così dire, un approccio intermedio tra i due sopra illustrati. Essa sottolinea l’aspetto
gestionale operativo dell’innovazione sociale, la quale deve essere una “soluzione” che rispetto alle soluzioni
sino a quel momento adottate deve presentare quattro caratteristiche distintive: essere più efficace,
efficiente, sostenibile e giusta.
La definizione prevalente nelle analisi sul TS è la terza, che integra e completa la prima,
introducendo il concetto di “valore” creato, il quale deve avere una dimensione pubblica e non
privata.
A partire da tale definizione, il ruolo delle organizzazioni dell’economia sociale nella produzione di
innovazione sociale non fa specifica menzione alla natura del soggetto che attua l’innovazione.
Secondo tale visione, ogni attore economico e sociale è in grado di innovare: l’accademia, la pubblica
amministrazione, le imprese for profit, i movimenti,… e tali organizzazioni rappresentano un attore, in questo
campo, di tutto rilievo.
In effetti, ciò che attiva l’innovazione in ambito sociale sembra essere la pressione esercitata dalla presenza
di bisogni sociali insoddisfatti, la cui soddisfazione permette di migliorare il livello di qualità della vita delle
persone. L’insoddisfazione sociale è dunque un driver rilevante per l’innovazione sociale: quando il distacco
tra i bisogni sociali e i servizi offerti è troppo profondo si creano degli spazi per l’agire auto-organizzato di
singole persone o loro raggruppamenti più o meno formalizzati, il che rappresenta proprio il principale
processo di genesi delle organizzazioni della società civile e, in particolare, dell’economia sociale.
A partire dalla segnalazione e dalla risposta ai bisogni emergenti realizzata da tali organizzazioni, si
stabiliscono rapporti con la pubblica amministrazione (sotto varie forme, quali il riconoscimento, il
finanziamento, la partnership etc.) che permettono all’innovazione sociale prodotta di estendere i propri
benefici a livello di sistema più ampio.
In particolare, l’approfondimento del lavoro realizzato dagli autori, evidenzia che l’innovazione può derivare
dalle partnership – formali e informali – tra soggetti appartenenti a mondi persi e per questo portatori di
perse esperienze e persi saperi. Molto interessante risulta l’accento dato da questi autori all’ibridazione e
all’incontro di perse realtà e culture organizzative per favorire l’innovazione. L’incapacità di innovare si lega
spesso all’incapacità di adottare una persa prospettiva di analisi dei problemi. In tal senso – facendo
riferimento alla prospettiva di analisi adottata fino a questo momento – è possibile affermare che è
importante che le istituzioni siano in grado di riconoscere il pluralismo non solo all’interno del settore non
profit, riconoscendo le peculiarità dei persi modelli culturali esistenti, ma più in generale, nel sistema
sociale ed economico, riconoscendo le specificità di ogni tipologia organizzativa e favorendo degli ambiti di
interazione tra esse.
Particolare rilevanza ricoprono, sotto questo punto di vista, le partnership fra soggetti pubblici, di mercato e
della economia sociale, capaci di offrire risposte articolate a bisogni sociali complessi, fornendo soluzioni
innovative e interessanti, che volgono la complessità delle relazioni a vantaggio dell’outcome per la
comunità.
L’approccio teorico all’innovazione sociale adottato permette, inoltre, un aggancio rispetto alla prospettiva di
valore aggiunto prodotto dalle organizzazioni dell’economia sociale.
È possibile infatti legare la produzione di valore alla capacità di realizzare innovazione sociale da parte delle
OES: più specificamente è ragionevole supporre che, laddove si riscontri una elevata produzione di valore
aggiunto (sia esso sociale, culturale, economico o istituzionale) si sia in presenza di processi fortemente
innovativi, anche se non è possibile evidenziare uno stretto nesso causale fra i due elementi.

7. Organizzazioni dell’economia sociale e coesione sociale
L’aumento della complessità delle società avanzate contemporanee è frequentemente messo in relazione con
la nascita della cosiddetta “società del rischio”, caratterizzata da una forte integrazione delle economie e
società, dalla flessibilità dei fattori produttivi e dalla perfetta mobilità delle attività finanziarie. In un sistema
così organizzato, i flussi globali di capitali, uomini e informazioni hanno determinato una forte erosione dei
soggetti più tradizionali della coesione sociale nelle società avanzate, in particolare in Europa e Nord
America, quali lo Stato e le macro-organizzazioni politiche rappresentative.
In tale cotesto caratterizzato da significativi e profondi mutamenti sociali, è ormai opinione comune della
comunità scientifica che le organizzazioni dell’economia sociale siano in grado di dare un contributo specifico
all’aumento della coesione sociale. Esso è stato considerato da almeno tre prospettive differenti.


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Nella prima prospettiva, l’economia sociale è vista soprattutto come un produttore di servizi che consente
di introdurre logiche di flessibilità e di concorrenza nel contesto delle politiche di welfare; l’introduzione di
opportune modalità di regolazione (ad esempio strumenti di finanziamento della domanda dentro logiche di
quasi mercato), informate alla logica della sussidiarietà, permettono a tale funzione produttiva di ridurre
complessivamente la spesa sociale, di migliorare la qualità del servizio e di aumentare la libertà di scelta dei
cittadini-utenti.
La seconda prospettiva pone l’enfasi sulla funzione di rendicontazione sociale. L’economia sociale viene
vista come strumento capace di ottenere una maggiore trasparenza e assunzione di responsabilità da parte
della pubblica amministrazione e delle imprese, riguardo agli impatti sociali, politici ed ambientali delle loro
azioni. Nella misura in cui tale azione avrà successo, crescerà proporzionalmente la coesione sociale intesa
come fiducia nelle istituzioni pubbliche e del mercato.
Nella terza prospettiva, le organizzazioni dell’economia sociale sono concepite come centrali in relazione
al forte legame fra coesione sociale e capitale sociale da un lato (inteso come capacità di contribuire in
maniera significativa alla crescita della fiducia e della reciprocità allargata di una comunità) e sviluppo
economico e sociale dall’altro.
L’economia sociale è tale, in primis, perché ha come scopo precipuo la produzione di beni e servizi di utilità
sociale, dal cui godimento potrebbero rimanere esclusi determinati gruppi sociali, o ancora perché la loro
stessa attività è caratterizzata da un elemento di beneficio sociale (per es. l’inserimento lavorativo di soggetti
svantaggiati). Accanto a questo primo significato, però, se ne può rinvenire un secondo relativo al fatto che
tale settore di attività è caratterizzato da un’elevata intensità “relazionale”. Sia per la natura dei beni e dei
servizi prodotti, ma ancora di più per la modalità di svolgimento dell’attività stessa, la nota definitoria
dell’economia sociale può essere ritrovata nella norma della reciprocità (Bruni, Zamagni, 2003; Zamagni,
1997).
Tale norma interviene nelle relazioni sociali regolandole sulla base di un principio che non è, né quello dello
scambio di equivalenti, tipico del Mercato, né quello dell’autorità, che invece è tipico dello Stato.
In questo senso, non esclusivo, si può allora parlare di terzo settore.
L’analisi dell’evoluzione e della dinamica istituzionale che scaturisce tra i tre settori di attività fa rilevare la
possibilità che lo stock di capitale sociale presente in una data comunità possa venire eroso dall’azione
economica dello Stato e del Mercato, dando corpo al rischio di un depauperamento civico e sociale che
finisce con l’influenzare negativamente anche il processo di sviluppo economico.
In quest’ottica si può comprendere più compiutamente il ruolo del terzo settore, quale
reintegratore del capitale sociale dissipato; terzo settore, quindi, capace, non solo di produrre
beni e servizi di utilità sociale, ma anche, di favorire, attraverso l’azione del Mercato e dello
Stato, un processo di sviluppo sociale ed economico autosostenuto.
La socialità (o relazionalità) non è, quindi, solo la precondizione e il modus operandi, dell’economia sociale,
ma costituisce anche l’esito dell’attività delle organizzazioni del terzo settore nel loro insieme. La doppia
valenza sociale delle organizzazioni dell’economia sociale, quali produttrici di beni e servizi di utilità sociale,
da una parte, e di reintegrazione del capitale sociale, dall’altra, fornisce giustificazioni addizionali, rispetto a
quelle tradizionali del fallimento dello Stato e del Mercato, alla necessità che il settore pubblico, promuova e
incentivi lo sviluppo dell’economia sociale.

8. I valori generati
Significato della capacità di produrre un determinato valore=> la “qualità specifica” che le azioni
dei singoli progetti hanno apportato, ovvero la rilevazione del processo di trasformazione di una prestazione
o servizio in termini qualitativi, cioè, rispetto alla qualità percepita del servizio da parte dell’utilizzatore. Ciò
rispetto a quanto può o potrebbe beneficiare se lo stesso servizio fosse prodotto da agenzie della pubblica
amministrazione o private.
Il tema dei valori generati è espressione diretta della manifestazione di quanto possiamo
definire “innovazione sociale”.
Infatti, gli elementi che li costituiscono, siano essi processi relazionali, culturali, istituzionali, o più aggregativi
o operativi, si pongono in discontinuità rispetto a contesti e sistemi di riferimento.
Introducono inoltre sostanziali modifiche non solo nella modalità di lettura dei bisogni, per lo più sommersi o
scarsamente analizzati, o nelle risposte messe a punto, ma nelle dinamiche più generali che modificano le
modalità di costruzione delle risposte e la forma e i contenuti delle stesse. Per usare un riferimento più
generale, potremmo dire che hanno dato luogo a innovazioni sia di processo che di prodotto. Ciò è possibile
anche attraverso un apporto di creatività che consente una persa aggregazione degli elementi già esistenti
e che dà luogo a nuovi comportamenti sia organizzativi che sociali e inpiduali.


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Ricordiamo le dimensioni di valore identificate:
- capacità di produrre valore sociale
- capacità di produrre valore culturale e partecipazione civica
- capacità di produrre valore ambientale
- capacità di produrre valore di rafforzamento istituzionale
- capacità di produrre valore economico
Ma l’insorgenza dell’innovazione ha radici più profonde => muove causalità generativa e cioè quei processi
che danno conto di come si sono generati i valori prodotti dalle organizzazioni dell’economia sociale.
Essi sono stati ricondotti al concetto di “meccanismo generativo”, definito come un processo
causale, molto spesso osservabile, attraverso il quale viene generato un determinato outcome.
In linea di massima ciascun meccanismo generativo implica tre distinte condizioni:
- le condizioni sociali che influenzano la situazione;
- le modalità con cui gli attori in una data situazione agiscono e producono effetti inpiduali e collettivi;
- come l’insieme delle azioni dei singoli soggetti (anche in forma aggregata) si ricompone in un processo più
ampio.
Si può affermare che tali condizioni siano, per la loro specificità e peculiarità, intrinsecamente distintive di
ogni progetto innovativo. Esse sono differenti per loro natura dalle specifiche attività operative che sono
state messe in atto, pur incidendo significativamente sul raggiungimento e permanenza dei risultati/obiettivi
che lo stesso progetto aveva prefissato.
Frutto e interazione di culture inpiduali e collettive, il meccanismo generativo assume, di volta in volta, una
sua valenza territoriale, si esprime nell’aggregazione di più soggetti, permea i processi di cambiamento,
dando impulso agli apprendimenti. Il meccanismo generativo, inoltre, è in grado di ridefinire il senso ultimo
delle attività e legare il progetto a istanze peculiari, producendo risposte a bisogni, radicandolo nel contesto
in cui esso si sviluppa, aggregando soggetti, innescando dinamiche funzionali allo sviluppo delle attività
prefissate.
Va sottolineato che, in ogni progetto, possono essere presenti persi meccanismi generativi tra di essi
correlati e in forte interazione.
Inpiduiamo sei macro meccanismi che ci aiutano a classificare le forme generative specifiche
di un progetto:
1) Identità e motivazione intrinseca
2) Imprenditorialità civile
3) Visioni, saperi e sistemi di apprendimento
4) Approccio di sussidiarietà della pubblica amministrazione
5) Partecipazione e governance
6) Qualità della rete e produzione di beni relazionali

I valori generati dall’ innovazione sociale

- Capacità di produrre valore sociale:
a. Capacità di lettura dei bisogni del territorio.
* L’Inpiduazione dei bisogni emergenti si concretizza non solo nel momento della progettazione, ma anche
durante lo svolgimento delle attività dei singoli progetti, attraverso l’utilizzo di metodologie specifiche e
modalità innovative tendenti a produrre di per sé un risultato di coinvolgimento e di informazione ( ex.
realizzazione di studi di fattibilità, raccolta formale di dati attraverso interviste ai beneficiari, indagini sul
campo con organizzazioni di terzo settore appartenenti alla comunità di riferimento, rendendo in tal modo la
risposta più flessibile rispetto al target e al contesto territoriale,...).
* Interessanti appaiono le modalità con cui si giunge alla lettura dei bisogni. L’origine è spesso legata
all’intuizione, sia inpiduale che di gruppo, che sa poi trasformarsi in percorsi articolati e strutturati. È la
presa di coscienza dell’assenza di un “ponte” adeguato fra beneficiari e bisogno espresso, nella presa di
coscienza della necessità di interventi a domicilio, in altri casi, si parte dall’identificazione di fasce di bisogni
non ancora evidenziati ma intuitivamente messi in relazione ad esperienze realizzate altrove, l’interpretazione
di bisogni emersi è possibile grazie alla costituzione di un Gruppo di coordinamento il cui compito è quello di
monitorare le esigenze e verificare possibili soluzioni al manifestarsi di nuovi bisogni...
* La formalizzazione delle analisi è effettuata sia attraverso modalità più tradizionali di lettura dei dati e
strutturazione degli stessi in forme oggettivabili secondo un’accezione cronologica dello sviluppo del
progetto, sia come modalità di accompagnamento durante tutto il percorso ( redazione di documenti specifici
che riportano gli esiti dell’attività di inpiduazione e interpretazione dei bisogni che via via vengono


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incontrati o attraverso un percorso conpiso tra pubblico e privato sociale di riflessione, formazione,
confronto con altre realtà italiane ed europee, ...)
b. Capacità di rafforzare le relazioni formali
* La presenza di una rete di partner articolata ed eterogenea rappresenta una caratteristica importante dei
progetti. Le partnership vanno costruite includendo via via un numero crescente e vario di soggetti
appartenenti al mondo del terzo settore, del profit e della sfera istituzionale dando luogo a vere e proprie
partnership pubblico/privato. L’espansione del progetto nel territorio di riferimento permette l’ampliamento
della rete di soggetti territoriali coinvolti, rendendo il servizio fruibile a beneficiari delle zone limitrofe con ad
ex. Protocollo d’intesa per lo sviluppo di una rete integrata pubblico/privato.
* La presenza di un clima relazionale fra gli operatori deve essere caratterizzato da conpisione e fiducia
per supportare i processi di sottoscrizione formale delle reti.
* Il mantenimento della relazionalità nel tempo, anche oltre la conclusione del progetto tra i soggetti della
partnership, favorirà l’ avvio di ulteriori iniziative e il consolidamento di un “alone partecipativo” che si
sedimenta sul territorio, garantendo lan sostenibilità futura dei progetti stessi, favorendo il
consolidamento/ampliamento dei rapporti con organizzazioni del terzo settore esterni alla partnership di
progetto, attraverso collaborazioni o tramite la partecipazione ad incontri di coordinamento (ex.tavoli,
consulte). Questo consolidamento/ampliamento dei rapporti istituzionali su più livelli si attua spesso
attraverso la partecipazione a momenti promozionali del progetto, di programmazione o attraverso la
costituzione di cabine territoriali di monitoraggio.
c. Crescita del volontariato
La differenziazione delle attività inizialmente programmate rende possibile l’aumento del numero di volontari
e la qualità del loro coinvolgimento dalla/e organizzazione/i promotrici del progetto. Spesso gli stimoli di
natura culturale impliciti nelle associazioni, il coinvolgimento continuativo nell’ambito delle attività del
progetto stesso e gli esiti dell’impatto di queste ultime sul territorio producono un effetto “contaminazione
positiva” in termini anche di reclutamento di nuove risorse .
d. Capacità di relazione con i beneficiari
* L’ampliamento della tipologia di beneficiari inizialmente prevista avviene sperimentando “spin off”
progettuali rivolti ad altri soggetti includendone di nuovi nei servizi inizialmente previsti per una sola
tipologia di “utenti” , o anche favorendo l’interazione fra i persi beneficiari.
* La continuità di relazione con i beneficiari dopo la conclusione del progetto può portaretalvolta
nell’inclusione degli stessi in qualità di volontari nella realizzazione delle attività, nell’instaurarsi di rapporti di
amicizia con gli operatori dell'organizzazione, o nello svolgere attività di promozione dell’organizzazione
stessa presso terzi.
e. Costruzione di sistemi aperti di governance
I modelli di governance dei progetti dovrebbero consentire un coinvolgimento, nel processo di progettazione
dell'iniziativa, di stakeholders rilevanti rispetto all'ambito di intervento e alla comunità di riferimento
( beneficiari, famiglie, volontari, operatori, altre organizzazioni del terzo settore, enti pubblic,...)i. Il
coinvolgimento di stakeholders rilevanti rispetto all'ambito di intervento e alla comunità di riferimento è
opportuno nel processo di gestione e implementazione dell'iniziativa, o di supporto al progetto per attività
promozionali e di diffusione.

- Capacità di produrre valore culturale
a. Animazione della comunità/Grado di conoscenza del progetto nella comunità di riferimento
* I processi di informazione e sensibilizzazione verso le tematiche specifiche oggetto di intervento, le azioni
messe in essere, i risultati raggiunti sono stati diffusi e gestiti in modo innovativo. Così come l’analisi del
territorio, tali momenti hanno costituito parte integrante degli interventi e sono stati svolti attraverso
specifiche metodologie. Organizzazione di incontri ed eventi di animazione con gli stakeholders principali o
con la comunità di riferimento costituiscono l’esempio ricorrente. Vengono realizzate in persi casi attività
volte a promuovere un dibattito e una riflessione su temi più generali rispetto a quella che risulta essere la
diretta sfera d’azione del progetto, o momenti di intrattenimento come anche esibizioni e incontri formativi.
L’obiettivo, oltre alla sensibilizzazione della comunità è anche quello di favorire lo sviluppo di processi di
partecipazione, affrontando in modo innovativo temi di grande rilievo e attualità. Il senso è quello di
mantenersi il più possibile aperti verso la comunità circostante, favorendo inclusione e partecipazione.
* La realizzazione di attività di comunicazione si deve avvalere di modalità e strumenti aggiornati: eventi di
presentazione del progetto e di diffusione dei risultati, utilizzo di strumenti di comunicazione come siti
internet, piattaforme interattive, social, mediaweb oltre alle tradizionali conferenze stampa e trasmissioni
radiofoniche e i videospot pubblicitari.


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b. Sviluppo di attività di cross fertilization
* Gli approcci culturali a cui i promotori del progetto si spirano dovrebbero essere il risultato di scambi di
esperienze e competenze con organizzazioni perse a livello regionale, nazionale e internazionale ; ciò
determina spesso un impatto sulla cultura organizzativa interna in termini di innovazione e cambiamento. In
alcuni casi si tratta di un vero trasferimento a livello locale di esperienze già sviluppate altrove o all’estero.
* Lo sviluppo di processi di apprendimento interno e di riflessione sulla propria cultura organizzativa va
avviato e reso possibile anche grazie al confronto e alla collaborazione con perse organizzazioni all’interno
della stessa partnership. In alcuni casi, l’incontro di culture organizzative molto differenti produce un
reciproco adattamento di visioni e modalità organizzative.
* I percorsi di apprendimento culturale favoriscono la generazione di nuove competenze, spesso attraverso
la realizzazione di un percorso strutturato e con l’ausilio di metodologie innovative. In alcune situazioni, ad
esempio, la contaminazione fra gli stessi operatori genera nuove professionalità, in altri casi, lo sviluppo di
queste nuove competenze è l’effetto della realizzazione/fruizione di perse formazioni o di un confronto
stabile fra i persi attori coinvolti.
c. Presenza di cultura della valutazione e della trasparenza
* L’evoluzione delle strutture del terzo settore passa sempre più spesso attraverso una migliore dotazione di
ordine metodologico. L’esistenza di strumenti informativi di documentazione dell'attività progettuale, redatti
principalmente al fine di monitorare i risultati, ne sono un esempio. Sono utili attività di monitoraggio o
follow up dell'utenza, attività di valutazione degli esiti, utilizzo delle informazioni a fini valutativi attraverso
momenti periodici di monitoraggio e conpisione dei risultati nell’ottica specifica dell’apprendimento
organizzativo.
* La trasparenza dei risultati è passata attraverso l’utilizzo, da parte dell'organizzazione promotrice del
progetto, di strumenti di rendicontazione sociale, come il Bilancio Sociale o l'elaborazione di carte dei servizi
realizzate attraverso la formalizzazione dei risultati della valutazione .
d. Continuità del progetto
La continuità delle attività progettuali oltre la conclusione del progetto si manifesta in modi articolati e
complementari. L’analisi dei risultati spesso produce attività di riprogettazione/adattamento delle attività
ampliandole ad utenze perse o trasferendole ad altri territori. Il processo di ampliamento dei settori di
intervento o delle utenze ha inoltre comporta una differenziazione, in termini di competenza, dei volontari
coinvolti e la messa a punto di pratiche che facilitano i percorsi di sviluppo degli stessi. L’affiancamento così
come la formazione rappresentano, da una parte, una modalità di garanzia del trasferimento e della
replicabilità delle azioni sperimentate, dall’altra, una modalità di aggregazione delle risorse e di utilizzo delle
loro potenzialità. Ciò soprattutto in riferimento ai processi di rinnovamento dei servizi .

- Capacità di produrre valore ambientale
a. Conservazione del capitale ambientale
L’attivazione di modalità operative volte al risparmio delle risorse ambientali e alla riduzione dell'impatto
ambientale, devei riscontrarsi concretamente (es. attività di recupero di materiali, raccolta differenziata e
installazione di impianti di riscaldamento sostenibili, edificando nel rispetto di standard energetico-ambientali
e di sicurezza, ecc.)

- Capacità di produrre rafforzamento istituzionale
a. Rafforzamento della sussidiarietà orizzontale
* La capacità di influenzamento delle politiche del territorio si riscontra nella diffusione di nuovi modelli di
partnership pubblico/privato; o determinando un forte cambiamento nella cultura istituzionale, oppure
rinsaldando ulteriormente un rapporto di fiducia e collaborazione con le istituzioni già consolidato.
* In alcuni casi si verifica il riconoscimento, su più livelli, del valore del progetto da parte delle istituzioni
locali attraverso l’affermazione di un più alto livello di legittimazione e fiducia nei confronti delle attività e dei
soggetti della partnership presso le istituzioni o di legittimazione verso i temi affrontati. In altri casi si
verifica una vera e propria collaborazione e sinergia positiva con le istituzioni, supportata anche dal
rifinanziamento del progetto stesso o dalla firma di protocolli d’intesa o nell’assunzione dei risultati operativi
conseguiti inserendo il progetto stabilmente nell’offerta territoriale.
* Riproduzione delle attività (o parte di esse) in altre progettualità relative allo stesso ambito di ntervento su
territori limitrofi, attraverso l’estensione del modello ad altre realtà territoriali a seguito di sperimentazione o
dall’attivazione di “spin off” su territori limitrofi .
b. Rafforzamento intra-istituzionale e infra-istituzionale




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Frequente è lo sviluppo di consapevolezza, conoscenza, conpisione di visioni, pratiche di collaborazione
rispetto all'ambito di intervento, all'interno di una singola istituzione o fra differenti istituzioni. In alcuni casi,
nel corso del progetto stesso si erifica una reciproca comprensione di obiettivi e modelli organizzativi ed una
necessaria contaminazione degli stili operativi.

- Capacità di produrre valore economico
a. Promozione di imprenditorialità sociale
Sovente si verifica la costituzione di nuovi soggetti di imprenditorialità sociale o il consolidamento/sviluppo
di attività imprenditoriali già in essere, ad esempio tramite la persificazione delle attività originarie o
l'ampliamento delle risorse umane coinvolte nella/e organizzazione/i o più in generale di un incremento
economico a beneficio dei partner.
b. Attivazione di risorse
* Alcuni progetti sono totalmente autosufficienti rispetto al finanziamento pubblico: persi servizi avviati
competono a mercato, offrendo un livello qualitativo elevato a prezzi concorrenziali. Altri riescono a
strutturarsi, passando da una totale dipendenza dal pubblico a una persificazione delle fonti di
finanziamento o quanto meno un bilanciamento fra finanziamento pubblico e privato Infine alcuni sono
sostenuti da fondi privati, in particolar modo, si segnala il contributo delle fondazioni.
* Attivazione di risorse non-economiche secondo perse modalità, fra cui emerge innanzitutto l’apporto
fondamentale proveniente dai volontari e dalle loro competenze o il lavoro non retribuito per alcuni
dipendenti.
* Un altro aspetto determinante è dato dall'allocazione/acquisizione, gratuita e reciproca, a/da altre
organizzazioni, di risorse quali attrezzature e spazi ( strutture publiche inutilizzate, locali in comodato d’uso o
la messa a disposizione di strutture logistiche ed operative di altri partner del progetto o di soggetti
sostenitori del progetto esterni alla partenrship. Spesso i progetti rappresentano un “prolungamento”
dell’attività ordinariansvolta dai soggetti coinvolti nella partnership, i quali mettono a sistema strutture,
competenze, risorse in gran parte già in loro possesso.
* Molti progetti rappresentano un risparmio per la pubblica amministrazione generato o dall’inserimento
lavorativo di persone “svantaggiate” o dalla potenziale riduzione della spesa per gli enti locali locali che
esternalizzano i servizi.

9. I meccanismi generativi
- Identità e motivazione intrinseca
Nel processo di costituzione dell’identità di un gruppo e della sua cultura i valori, antropologicamente intesi,
rappresentano l’elemento determinante. Ciò risulta ulteriormente significativo per i soggetti che operano nel
sociale: sia per un’organizzazione nel suo insieme sia per i singoli membri che la compongono.
Infatti, tali principi fungono da costante riferimento sia per quanto riguarda i processi decisionali sia per i
comportamenti inpiduali.
Da una parte informano e caratterizzano le azioni concrete e contribuiscono alla definizione dei processi
organizzativi necessari, dall’altra sviluppano senso di appartenenza, attraverso un sistema di definizione e
attribuzione di senso e di significati anche di natura simbolica. Senso e significati che vengono
continuamente ridefiniti e rinforzati dagli scambi tra i soggetti che fanno parte di quell’organismo sociale.
Il sistema dell’associazionismo deve molto ai suoi valori, ai legami sociali, alle reti che connettono gli
inpidui tra loro, alle motivazioni conpise e a quel senso di identità sociale che lo rende capace di
presidiare il territorio valorizzandone le risorse.
I valori orientano e modulano i comportamenti inpiduali rendendoli coerenti con le mission più generali,
contribuiscono a delineare visioni della realtà, costruire soluzioni ai bisogni, diffondere e incrementare la
motivazione delle persone.
In termini generali, tale meccanismo incide sui seguenti elementi dei progetti:
a) Il modo con cui si concepisce l’organizzazione
b) La concezione della persona e del mondo (“weltanschauung”)
c) Il modo in cui i soggetti pervengono alla definizione di ciò che va fatto e di come va fatto
d) La concezione del tempo (presente, passato e futuro)
e) La natura dei rapporti interpersonali e le norme di comportamento fra gli attori
f) La concezione delle relazioni
g) La concezione delle competenze e dei modi di operare




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Più specificatamente:
• Importante è     il ruolo dei singoli membri in termini di capacità di dare, attraverso il proprio
comportamento, esempi concreti di quei valori, di saperli trasferire a membri più giovani e consolidare il
gruppo intorno ai valori di riferimento assicurando così continuità alla propria associazione. È questa
dinamica il lento processo di adattamento esterno e di integrazione interna attraverso lo scambio di quegli
elementi che creano, consolidano o modificano le culture dei gruppi e delle organizzazioni e che al contempo
definiscono le modalità stesse di partecipazione: lettura dei problemi, provenienze e livelli culturali differenti,
visioni inpiduali e collettive della realtà, ecc.
• I valori rappresentano un elemento forte nella messa a punto della risoluzione dei problemi inpiduati o
fatti emergere. Si evince come, valori quali partecipazione, responsabilità, informazione, non solo ne siano
parte costituente, ma anche elementi di facilitazione nell’evoluzione delle strutture. Oltre alla funzione di
definire e orientare la gestione delle organizzazioni, i valori e principi sono soggetti, a loro volta, di evoluzioni
e arricchimenti di significato. Questo sia per un adeguamento al cambiamento del contesto socio-economico
esterno, sia per i cambiamenti normativi che li possono interessare. Definiscono in modo dialettico il
rapporto attori-sistema, sul piano esterno, e quello di distanza-partecipazione su quello interno.
• La rappresentatività dei valori passa, a volte, attraverso il carisma o la capacità personale di un singolo
inpiduo in grado di dare senso ad un’idea progettuale rappresentando attraverso azioni, comportamenti e
scelte, i valori in cui crede.
• La cultura è elemento indispensabile laddove problemi di adattamento esterno o di integrazione interna
impongano un cambiamento di rilievo. Qualunque cambiamento è infatti tanto più facile da realizzare quanto
più in accordo con la cultura di quel gruppo e, viceversa, tanto più difficile da realizzare quanto più in
contrasto con la cultura vigente. La comprensione della propria cultura e di quelle altrui può infatti aprire
orizzonti nuovi per favorire l’innovazione e modificare in parte le proprie visioni anche attraverso
l’inserimento di nuove leve portatrici di competenze e culture esterne.

- Imprenditorialità civile
In senso generale, quando parliamo di imprenditorialità civile facciamo riferimento ad una formula
imprenditoriale innovativa che ha obiettivi principalmente sociali, che non pone in essere una serie di azioni
ed attività per conseguire un profitto, ma per la realizzazione di un miglioramento di un gruppo sociale in
condizioni di svantaggio o per il benessere della sua comunità locale, nazionale o globale. È bene ricordare
che l’imprenditoria civile non rifiuta il profitto, anche se non l’assume né come obiettivo della propria azione,
né come criterio di efficienza.
Si possono menzionare i seguenti requisiti che l’imprenditoria civile deve possedere:
• avere l’intenzione di giocare un ruolo creativo nella soluzione di un problema della comunità;
• riconoscere e intraprendere iniziative audaci per la soluzione di questo problema;
• adottare una strategia che contempli un processo circolare (cumulativo di innovazione, adattamento,
apprendimento);
• agire in ogni momento senza sentirsi limitato dalle risorse disponibili;
• essere in grado di rendere conto in modo trasparente del proprio operato ai persi stakeholders coinvolti.
Ne risulta, dunque, che i modelli gestionali, il ruolo degli imprenditori, i ruoli manageriali sono fortemente
sostenuti da culture orientate alle persone e alle relazioni (es. scopi tipicamente perseguiti dall’imprenditoria
sociale: il miglioramento degli standard di vita; l’invenzione di nuovi prodotti e servizi; la promozione della
partecipazione attiva dei cittadini nei processi decisionali a tutti i livelli; lo sviluppo dei processi democratici;
l’integrazione dei nuovi arrivati, dei gruppi marginali, degli immigrati e dei gruppi più vulnerabili della
popolazione; lo sviluppo della competenza interculturale; la creazione di ricchezza: reinvestimento e
generazione di investimenti; il miglioramento dell’immagine di aree locali, ecc.)
Più specificatamente:
• L’imprenditoria civile esprime una capacità elettiva nell’assunzione del rischio, è sostenuta da slanci ideali,
creativi ed è sostenuta da un sentimento di ottimismo. È in grado di intraprendere nuove strade esplorando
e inpiduando risorse nascoste, realizzando idee innovative e sfruttando la creatività per trovare soluzioni a
persi problemi . Prevalente l’intervento in aree in cui i tradizionali approcci di mercato e le strutture di
supporto di tipo pubblico per lo stanziamento delle risorse e la ripartizione delle responsabilità hanno
esaurito la loro capacità di risposta. Le azioni sono spesso partite da risorse con poteri limitati, sfruttando il
pensiero innovativo, il proprio entusiasmo e la propria passione per raggiungere gli obiettiviprefissi.
• Una delle caratteristiche peculiari della imprenditorialità civile è quella di costruire social networking e
processi di comunicazioni mobili. Ciò dà origine a ruoli e visioni di ruolo fortemente interagenti non solo a




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livello intra-organizzativo ma anche inter-organizzativo, a livello cioè di sistema. Ciò genera maggiore
capacità di governo e presidio del territorio/mercato .

- Visioni, saperi e sistemi di apprendimento
I percorsi di sviluppo delle singoleorganizzazioni comportano l’assunzione di processi di apprendimento
strutturati, finalizzati da una parte allo sviluppo e omogeneizzazione di competenze, dall’altra al
consolidamento dei valori interni in funzione dei cambiamenti maturati dal contesto esterno. L’aumento delle
capacità inpiduali e di gruppo ha una sua funzione nell’innalzamento dei livelli di efficienza dei servizi
erogati. Non di rado, tali percorsi sono accompagnati dalla messa a punto di metodologie coerenti con le
scelte culturali effettuate. Il presidio delle metodologie innovative e l’attenzione ai fenomeni di
apprendimento collettivo, sia di natura formale che informale, sono spesso accompagnate all’utilizzo di
risorse specialistiche che consentono, nel tempo, una gestione dei percorsi progettuali più strutturata e
soggetta in molti casi ad una attenta attività di monitoraggio e valutazione.
Più specificatamente:
• Le metodologie utilizzate sono frutto di approcci teorici che trovano la loro origine nei concetti di
partecipazione, valorizzazione delle risorse presenti, coinvolgimento attivo. Tale matrice culturale tende a
facilitare la definizione di processi evolutivi di competenza sia per gli inpidui sia per i gruppi che
appartengono a un dato contesto, ponendoli direttamente al servizio di quanto è necessario fare per il
raggiungimento di risultati concreti.
• Le competenze, le visioni e gli strumenti, hanno il respiro della cultura delle comunità
che le generano e le usano. Quando si parla di competenze si parla comunque “di dialogo” in cui ciò che è
stabile e riconosciuto lascia il posto a qualcosa di più indefinito, ma che a sua volta genera nuovi saperi e
nuove identità. I percorsi di costruzione delle conoscenze e delle pratiche in uso in una comunità sono
sempre il frutto di differenze che vivono in contiguità sapendosi integrare.
• I nuovi modelli, perché possano produrre ulteriori saperi, devono passare per le pratiche e le riflessioni su
quelle pratiche. È questa circolarità, tra attività e conoscenza, tra lavoro e formazione che emerge quasi
come naturale paradigma derivante dalla dimensione relazionale tra i soggetti, portando all’assunzione di
nuovi ruoli o nuove modalità organizzative.
• L’innovazione si genera anche attraverso i processi di riconoscimento dei saperi e delle pratiche conpise
da una comunità. Lo stesso percorso di riconoscimento, che spesso comporta l’elaborazione di resistenze e
paure, penta valore conpiso.
• La capacità di formarsi contribuisce a formare il proprio contesto. Le attività di formazione fanno
riferimento a due distinti “luoghi sociali”, a due dimensioni tra di loro non disgiungibili. Da una parte
l’attenzione al sé “come Gruppo” e dall’altra l’attenzione al sé “come parte di una comunità territoriale”. È la
capacità potenziale e il sistema sociale di apprendimento del gruppo e non i contenuti disciplinari a costituire
il focus formativo: gli apparati disciplinari, e metodologie, sono al servizio del processo collettivo di scoperta
ed elaborazione tra patrimoni di conoscenza portati da altre persone e squilibri nei propri modi di vedere,
pensare e comportarsi, tra visioni di ruolo e fissità decisionali e l’assunzione del rischio di intraprendere
percorsi di cambiamento.

- Approccio sussidiario della pubblica amministrazione
Il principio di sussidiarietà è espressamente menzionato dalla Costituzione in riferimento alle funzioni
amministrative (art. 118) e all’esercizio del potere sostitutivo statale (art. 120).
Il principio di sussidiarietà può essere visto sotto un duplice aspetto:
a. in senso verticale riguarda la ripartizione di competenze tra centro e periferia e oggi vige la regola di far
operare il soggetto giuridico più vicino all’ambito preso in esame. In sostanza deve agire normalmente il
livello di governo “inferiore”, più vicino ai cittadini, e conseguentemente più prossimo ai bisogni;
b. in senso orizzontale è relativa ai rapporti tra pubblici poteri e organizzazioni sociali. Il cittadino, sia come
singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli
interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime.
In sostanza si stabilisce una “efficace sinergia” tra corpo sociale e Stato: da una parte le comunità locali si
organizzano nel rispetto dei loro modelli culturali e della loro autonomia, dall’altra lo Stato può incidere
sull’innovazione e miglioramento dei servizi grazie ad una più accurata regia che passa attraverso un
maggior radicamento nel territorio delle esperienze fatte, assicurando visibilità, reputazione sociale,
continuità d’azione e valutazione dei risultati raggiunti.
In termini generali, rispetto al meccanismo di sussidiarietà si riscontrano alcuni elementi ricorrenti:



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1. le istituzioni pubbliche hanno un rapporto fiduciario con i soggetti del privato sociale che autonomamente
propongono progetti, in linea con le strategie programmatiche dell’amministrazione pubblica; sostengono le
reti locali coinvolgendo altre organizzazioni in rapporti di partnership virtuosi; sanno interagire e aggregare
differenti risorse umane ed economiche; infine fanno monitoraggio costante dei bisogni, programmano e co-
progettano i loro interventi, valutano l’impatto delle loro attività e dimostrano efficienza e trasparenza nella
gestione delle risorse;
2 i processi decisionali pubblici sono ispirati alla logica e alla cultura della conpisione per garantire un
apporto rispettoso ai bisogni e alle istanze della popolazione.
Più specificatamente:
• Il riconoscimento del ruolo di “advocacy”, di rappresentanza di bisogni e di tutela di beni avviene a livello
locale, da parte del terzo settore. La relativa costruzione e gestione delle risposte viene riconosciuta e
formalizzata dalla pubblica amministrazione attraverso modalità che seguono differenti gradi e livelli di
procedure istituzionali in un crescendo di coinvolgimento diretto. Si va dal modello della delega di gestione
alla partecipazione diretta nei processi di lettura del bisogno e riprogettazione e innovazione delle risposte. Ci
si mette insieme per rappresentare problemi e opinione pubblica con una forte dinamica di collaborazione,
determinando così una sorta di circuito di reciproco rafforzamento tra soggetti sociali ed ente pubblico. L’uno
ha bisogno dell’altro; l’uno non può fare a meno dell’altro.
• La sussidiarietà si esprime in maniera innovativa superando vecchie logiche che contrapponevano spesso in
maniera dicotomica ruoli, responsabilità e deleghe tra i soggetti del privato sociale e le istituzioni.
Sussidiarietà ha significato che anche le convenzioni stipulate con il Pubblico rispettino l’autonomia e la
flessibilità del volontariato e che al principio della delega si sia affiancato quello della co-progettazione.
• La sussidiarietà orizzontale porta con sè una visione della cittadinanza con una forte carica innovativa in
quanto stabilisce che il “potere di iniziativa” sui problemi relativi ai “beni comuni” e quindi nel campo
dell’interesse generale non è più prerogativa esclusiva delle amministrazioni, ma appartiene anche ai
cittadini. Ciò ha rappresentato, innanzi tutto, un patto tra i cittadini sul modello di società, di sviluppo, di
benessere su cui le istituzioni pubbliche hanno assunto la responsabilità di proporre e la disponibilità di
concertare. In questo scenario di sviluppo della sussidiarietà il ruolo del volontariato ne esce rafforzato
soprattutto nella sua valenza educativa, di soggetto che fa mobilitazione delle coscienze, diffonde la
solidarietà, chiama a raccolta i cittadini aiutandoli ad “essere sovrani”, ovvero a partecipare. La sussidiarietà
consente e facilita la contaminazione culturale tra i persi soggetti, influenzando anche scelte organizzative
e gestionali.

- Partecipazione e governance
La partecipazione del cittadino alla vita democratica è un principio che discende direttamente dal diritto di
sovranità popolare e dal diritto di cittadinanza, riaffermato dalle normative nazionale ed europea. Esse
sostengono la partecipazione diretta dei cittadini e la massima trasparenza nelle comunicazioni tra pubblica
amministrazione e cittadini. Partecipare attivamente e responsabilmente alla vita di una comunità significa
far propria una cultura che sappia validare, attribuire valore ed integrare creativamente i persi punti di
vista in virtù della costruzione di una società civile. In quest’ottica la partecipazione attiva implica la capacità
dei singoli inpidui di porsi in relazione con altri, di fare scelte responsabili e di saper gestire il confronto. Il
tema del coinvolgimento dei cittadini nel dialogo con esperti, attori sociali e istituzioni rappresenta uno dei
fronti di maggiore novità per quanto riguarda lo sviluppo di un territorio nel suo complesso.
La maggiore efficacia, sotto il profilo dell’ascolto e del processo decisionale, si ottiene nella fase di
formazione di una politica pubblica, laddove le indicazioni ottenute dai cittadini e i vari attori sociali coinvolti
possono avere un peso considerevole sul processo decisionale in sede politica.
Le pratiche di partecipazione costituiscononmomenti aperti di ascolto e dibattito costruttivo per diffondere e
ottenere informazioni e considerazioni difficilmente ottenibili con altri strumenti.
La progettazione partecipata è una forma di progettazione che implica l’associazione e l’unione di più punti di
vista al fine di creare la migliore soluzione possibile in termini di piani, progetti e strategie; indispensabile
quindi è che essa faccia interagire differenti capacità, competenze ed esperienze. La progettazione
partecipata è anche un processo educativo. Facendo lavorare insieme perse persone si permette la
conoscenza reciproca, si comprendono i problemi degli altri. Tutto concorre alla crescita del senso di
appartenenza, ovvero alla costruzione del concetto di “comunità”.
L’innovazione è sostenuta da nuovi (e più efficienti) modelli di governo e gestione degli interventi ( migliore
adeguatezza rispetto dei bisogni espressi)ed efficacia rispetto dei risultati attesi).
Il concetto di governance implica un nuovo stile di gestione dei sistemi di riferimento caratterizzandosi per
un maggiore grado di cooperazione e di interazione degli attori istituzionali e non, all’interno di reti


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decisionali miste pubblico/private. Tale approccio comporta l’assunzione     di strategie di programmazione,
gestione e valutazione di tipo partecipato.

- Qualità della rete e produzione di beni relazionali
Un bene relazionale è un prodotto reale, inpisibile e non frazionabile. Non è concepibile come somma di
beni inpiduali, bensì consiste in beni e servizi fatti di relazioni sociali umane, che può essere ottenuto e
fruito soltanto assieme da chi vi partecipa. È un “bene” nel senso di una realtà, esterna ai soggetti anche se
generata da essi, che soddisfa esigenze umane primarie e secondarie di tipo relazionale. Come tale,
rappresenta la proprietà emergente e innovativa di contesti sociali basati sul valore della conpisione. In tali
contesti, sia gli elementi di natura strutturale sia i modelli relazionali, operano sinergicamente sulla base del
principio di reciprocità, come principio di coinvolgimento totale del soggetto.
Inoltre un bene relazionale si basa su quel tipo dimrelazioni sociali che sorgono, o vengono sostenute, grazie
a gruppi coesi i cui membri sono legati l’uno all’altro in maniera forte e duratura, ed è quindi prevedibile che
agiscano secondo i principi di solidarietà di gruppo.
La caratteristica fondamentale dei beni relazionali è che essi richiedono una forma di conpisione (sharing)
volontaria come condizione necessaria, anche se non sufficiente, la quale penta sufficiente nella misura in
cui la reciprocità si fa totale. Sono della diffusione del senso di obbligazione verso gli altri, delle opportunità
di accedere a network di socialità, al di fuori dei legami di natura affettiva o legati a specifici ruoli. Ma ciò che
li rende significativi è il fatto di contenere la dimensione oblativa, cioè quella della disponibilità a donare agli
altri.
La relazionalità si alimenta attraverso un aumento del numero dei soggetti interessati a sviluppare reti di
relazioni reciproche e attraverso la crescita dell’intensità della relazione interpersonale.
In questo senso si parla di capitale umano come “una categoria generale all’interno della quale far confluire
forme più specifiche di capitale, come quella intellettuale, culturale e sociale”. Ancora una volta siamo di
fronte a un concetto multidimensionale che include elementi di natura sociologica, di natura economica e
antropologica. Esso si caratterizza per:
• l’impegno civico o civicness, anche a scapito di interessi esclusivamente inpiduali e privati;
• i sentimenti di fiducia che promuovono o favoriscono la coesione sociale, intesa non come assenza di
conflitto, ma come solidarietà basata sul rispetto delle opinioni altrui;
• essere basato su norme comunemente conpise;
• il tessuto associativo, che connette gli inpidui tra loro;
• il concetto di partenariato che esula dalla semplice messa in opera di oggetti/servizi per approdare a
relazioni fondate sulla conpisione e integrazione di valori e culture.
• Il concetto di bene relazionale è un concetto situazionale e dinamico; un concetto non appiattito in rigide
definizioni, ma interpretato, di volta in volta, in relazione agli attori, ai fini che si perseguono e al contesto in
cui agiscono. I beni relazionali sono tanto più veri e soddisfacenti in quanto capaci di portare soluzioni ai
bisogni e nello stesso tempo generare emozioni e calore e garantire una soddisfazione più duratura anche
perché non soggetta a monetizzazione.
• Il capitale sociale si manifesta attraverso una sua particolare forma che la letteratura definisce come
“bridging social capital”, ovvero attraverso la fortificazione di legami orizzontali all’interno di gruppi
eterogenei di persone, che permettono il contatto tra ambienti socioeconomici e culturali persi. Tali contatti
sono spesso caratterizzati dallo scambio di conoscenze, pratiche, motivazioni che inducono al cambiamento
ed all’assunzione di comportamenti nuovi e conpisi.


10. Il ruolo delle imprese nello sviluppo di comunità (Cenni)
- apre alla possibilità di valorizzare l’apporto anche di altre categorie di soggetti presenti sul
territorio che contribuiscono alla creazione di servizi di welfare (per costruire il necessario
riequilibrio dei sistemi di welfare, in una prospettiva ancora universalistica ed inclusiva, è fondamentale
collocare al centro del dibattito e delle azioni da esso derivanti una visione di ben-essere, di co-
protagonismo e mutualità allargata.

La creazione di un nuovo modello di welfare passa necessariamente attraverso il coinvolgimento di più
soggetti territoriali che contribuiscono alla messa a punto di risposte originali rispondenti ai bisogni
emergenti.
ll punto di riferimento teorico è quello di valore conpiso. Questo indica una nuova modalità per perseguire
obiettivi di natura economica mettendo al centro anche quelli di natura sociale. L’impresa che assume alla


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base del suo agire il concetto di valore conpiso, mette in campo le strategie, le tecnologie ed i processi atti
a coinvolgere sistematicamente tutti gli inpidui che compongono il proprio ecosistema (dipendenti, clienti,
partner, fornitori) nella massimizzazione del valore scambiato.
Il concetto di valore conpiso è stato declinato in tre macro dimensioni:
- Il valore sociale comunitario;
- il valore istituzionale;
- il valore economico.

La costruzione di un sistema di welfare fondato sul principio di sussidiarietà circolare orientato alla
produzione del bene comune, in grado di garantire a tutti i cittadini l’accesso ai servizi attraverso la
costruzione di un sistema di offerta plurale.
All’interno di quest’ultimo, l’intervento dello Stato va nella direzione di facilitatore (attraverso misure
legislative e amministrative) dell’offerta delle varie tipologie di servizi daparte di soggetti for profit, non profit
e pubblici .
il ruolo delle imprese viene ad essere fondamentale non soltanto nell’erogazione di servizi di natura
sociale,ma anche nel processo di co-ideazione ex ante.
Parallelamente allo sviluppo di pratiche di responsabilità sociale d’impresa (RSI), si è reso necessario per le
imprese assumere un’altra prospettiva, ovvero dimostrare non più solo di essere in grado di massimizzazione
del profitto, bensì dare anche evidenza di essere in grado di contribuire alla costruzione di un welfare di
comunità attraverso azioni che perseguono l’interesse generale.
Le imprese, quindi, sono chiamate a “creare o rafforzare il legame con il territorio e le comunità che le
circondano, anche promuovendo nuove e più strette forme di collaborazione con gli altri attori del territorio
in modo tale da permettere di incrementare il progresso sociale”
Modalità di azione delle imprese in ambito sociale
L’agire delle imprese negli ambiti sociali non ha natura univoca. Diverse sono, infatti, le strade che le aziende
possono percorrere a tal fine dalle esperienze di filantropia d’impresa a quelle di welfare aziendale.
Esiste, tuttavia, un’ulteriore dimensione, quella dei patti territoriali e della governance conpisa per la
progettazione di interventi di welfare di comunità, che vede l’impresa agire di concerto con la Pubblica
Amministrazione e col Terzo Settore nella costruzione e nell’attuazione delle politiche sociali del territorio in
cui si colloca.
A partire dal legame con il territorio, l’impresa si mette in rete con la comunità, le istituzioni, le imprese
sociali attuando un modello di governance conpisa che porta ai cd. patti territorial
I patti territoriali sono in grado di socializzare risorse e contributi delle imprese, ovvero conpidere a livello
sistemico (tra i persi attori) le risorse messe a disposizione dalle imprese per dare risposta a bisogni di
natura sociale. In secondo luogo, i patti territoriali sono in grado di produrre capitale sociale, inteso come
rete di relazioni, norme e fiducia tra soggetti, attraverso il loro attivo coinvolgimento nella produzione di
servizi di welfare.
Attraverso i patti territoriali, inoltre, si produce innovazione sociale, ovvero “nuove idee (prodotti, servizi e
modelli) che al contempo soddisfano bisogni sociali e creano nuove relazioni sociali e rapporti di
collaborazione.
 Infine, i patti territoriali sono per loro natura “generativi”: generano cioè al contempo sia valore economico
e sociale, che di tipo culturale e ambientale, ovvero quegli elementi di valore che permettono, a loro volta, di
dare una spinta (meccanismo generativo) verso nuovi percorsi di innovazione.
Il valore sociale comunitario: è il contributo specifico di una o più organizzazioni in termini di produzione
di risposte innovative a bisogni emergenti attraverso la creazione di relazioni (dimensione relazionale
interna) e di capitale sociale (dimensione relazionale esterna). È inoltre, l’apporto che un‘organizzazione
contribuisce a creare in termini di diffusione di valori di equità, tolleranza, solidarietà, mutualità aumentando
la coesione sociale, nella comunità circostante.
PERCORSO IN SINTESInsione Criteri Indicatori
    Lettura dei bisogni del territorio e creazione di risposte
    Miglioramento nell’identificazione dei bisogni e nella costruzione di risposte
    Nuove risposte e ampliamento dell’accesso ai servizi
    Creazione di Innovazione sociale
    Inpiduazione di nuove soluzioni a problemi sociali più efficaci, efficienti e sostenibili
    Miglioramento della qualità delle risposte esistenti
    Attivazione di nuovi percorsi di sviluppo locale
    Capacità di rafforzare le relazioni formali


                             19
    Generazione di una rete di partner eterogenea. Eventuale ampliamento della rete di partner prevista
    dal progetto durante il suo svolgimento
    Continuità e sviluppo delle relazioni attivate
    Consolidamento/ampliamento dei rapporti con organizzazioni del Terzo Settore
    Consolidamento/ampliamento dei rapporti istituzionali

La generazione di valore conpiso non contrattualizzato per la realizzazione di attività sociali comunitarie ha
ricadute sia interne (ad esempio in termini di efficientamento, di cultura d’impresa, di crescita delle
competenze del personale dipendente), che esterne all’impresa influendo sul miglioramento della coesione
sociale, sul rapporto con la Pubblica Amministrazione, etc. INFATTI:

- la generazione di valore conpiso in alcuni casi piene parte integrante dell’identità aziendale e, quindi,
elemento reputazionale fondamentale che rende l’impresa riconoscibile e la identifica come organizzazione
che contribuisce al benessere della società nel suo complesso. In questo caso l’impresa considera la
creazione di valore per la comunità in termini strategici come elemento qualificante per la propria
reputazione e il miglioramento della propria immagine;
- la generazione di valore conpiso ha delle ricadute nella cultura d’impresa. La cultura è lo schema di
assunti fondamentali che un’impresa ha sviluppato nell’affrontare i problemi legati al suo adattamento
esterno a alla sua integrazione interna, considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri
come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi . In questo caso avviene
all’interno dell’impresa una trasformazione della cultura aziendale che identifica il rapporto con il territorio e
la creazione di valore per esso come volano economico per l’impresa. I progetti di natura sociale causano
una profonda revisione dei valori aziendali portando
all’interno della cultura d’impresa principi quali il rispetto e l’accoglienza della persità, importanza
dell’ascolto, della comunicazione e dell’empatia. Tale trasformazione ha portato all’alterazione dei processi di
gestione delle relazioni sia interne che esterne all’azienda;
- le attività sociali comunitarie possono accrescere le competenze del personale ed in generale
dell’organizzazione, soprattutto nella dimensione relazionale. Tali attività, sono momenti formativi per tutti i
livelli dell’organizzazione aziendale, possibilità di migliorare le competenze trasversali legate alle relazioni
interpersonali, all’adattabilità in ambiti persi da quello lavorativo tradizionale e il team building migliorando
al contempo il clima aziendale e l’adesione dei propri dipendenti ai valori d’impresa;
- l’impresa genera valore internamente anche in relazione all’efficientamento e al miglioramento dei processi
produttivi ottenendo ritorni economicistici. Tale caratteristica è ad esempio riscontrabile nei casi ricompresi
nell’area denominata di “recupero e redistribuzione di beni”, dove le imprese migliorano la loro efficienza, da
un lato, non provvedendo più allo smaltimento dei beni non commercializzabili e, dall’altro, revisionando le
proprie linee di produzione alla luce dell’evidenza di eccessivi sprechi.

A livello comunitario il valore generato si esprime in perse dimensioni: nel rafforzamento della coesione
sociale, nel rapporto con il territorio e la creazione di valore per esso, nel rapporto con la Pubblica
Amministrazione e nel rispondere alla domanda di servizi.
Il valore più immediato riscontrato a livello comunitario è sicuramente legato agli effetti positivi che le azioni
hanno sui beneficiari, gli utenti, i cittadini e la società in generale. Tuttavia, le attività sociali comunitarie
implementate dalle aziende valorizzano beni che non esauriscono i loro effetti sui soggetti beneficiari, ma
producono esternalità positive sul territorio e per il territorio attraverso la riqualificazione e il recupero di
tradizioni, lo sviluppo dell’imprenditorialità sociale, la costruzione di servizi per rispondere alle esigenze
specifiche di quella comunità, etc. Il valore comunitario piene quindi la valorizzazione del territorio in
un’ottica di sviluppo locale.
Per coesione sociale si intende la presenza di relazioni sociali forti, costruite su appartenenza o solidarietà
territoriale: l’insieme dei comportamenti e dei legami di affinità e solidarietà tra inpidui o comunità, tesi ad
attenuare in senso costruttivo disparità legate a situazioni sociali, economiche, culturali, etniche. Le attività
sociali comunitarie attuate dalle imprese analizzate rafforzano questo legame attraverso la costruzione di
nuove forme di socialità e di collaborazione nel territorio.
Infine, il valore generato dalle attività imprenditoriali influisce in alcuni casi sul rapporto con la Pubblica
Amministrazione. La collaborazione su progetti specifici con Enti Locali o scuole crea valore conpiso nel
miglioramento della qualità dei servizi pubblici, nell’apporto di maggiori risorse e la co-produzione e
coprogettazione di servizi.



                             20
L’emergenza in termini di ripensamento delle politiche sociali è oramai data per assodata. Intervenire in tal
senso non significa certamente solo massimizzare l’efficienza delle azioni messe in campo in ambito sociale,
quando piuttosto percorrere un tentativo che va nella direzione di un cambiamento di prospettiva. Portando
cioè all’interno della costruzione delle politiche sociali un nuovo modus operandi in grado di modificare
profondamente il pensiero che fino ad oggi ha interpretato tutto ciò che ruota intorno al tema del welfare
attraverso una prospettiva meramente redistributiva.
L’attenzione ai bisogni della collettività e la revisione del sistema delle tutele in senso partecipativo e
comunitario implicano, infatti, un’attenta e seria riflessione non solo sul mantenimento dei livelli di equità e
di qualità delle prestazioni, ma anche sul coinvolgimento attivo degli attori che interagiscono con il sistema
pubblico in ottica di sussidiarietà circolare.
All’interno di questo rinnovato scenario, infatti, i piani su cui gli interessi dei singoli attori si posizionano
vengono ad intersecarsi, creando uno spazio in cui si genera valore conpiso.
In tal senso, le molteplici dimensioni (economica, sociale comunitaria ed istituzionale), che convergono nella
produzione di valore conpiso vengono a concorrere congiuntamente per fronteggiare la crescente
diffusione di vulnerabilità delle persone, intesa in particolar modo come carenza in termini di reti relazionali
in cui la persona è inserita. Un welfare che si sostanzia, quindi, nella relazione quale elemento
imprescindibile per lo sviluppo di politiche in ambito sociale che siano quanto più inclusive e in grado di
affrontare il problema delle disuguaglianze e incrementare i livelli di benessere della società.
La capacità di inpiduare ambiti ed iniziative appropriate piene allora uno degli aspetti strategici di rilievo
per l’ innovazione delle politiche. L’approfondimento dei meccanismi generativ si colloca in tale prospettiva.
L’osservazione di iniziative che mostrano la presenza di uno o della combinazione di svariati di tale
meccanismi, può rappresentare un segnale appropriato per il soggetto pubblico in relazione alla
inpiduazione di quelle attività realizzate dai soggetti dell’economia sociale meritevoli di interventi di
facilitazione.
Si tratterebbe in sostanza di passare da un ambito pubblico ove applicare competenze prestabilite ad uno
spazio di ricerca di nuove possibili sinergie, dove i portatori di bisogno, e più in generale la società civile,
sono considerati anche capaci di apportare risorse, in particolare competenze e conoscenze.
La modificazione dell’approccio riguarda in particolare la concezione della funzione dell’economia sociale:
essa non sarebbe meramente additiva, (certamente utile, sotto il profilo funzionale, ma ben al di sotto delle
sue potenzialità), ma piuttosto di tipo emergentista, il che implica che l’entrata in scena delle organizzazione
dell’economia sociale pone in discussione tutte le relazioni preesistenti tra i soggetti della società civile e lo
Stato. Non si tratta cioè di aggiungere relazioni a quelle già in esistenza, ma di mutare la loro natura, in vista
di un più alto livello di democrazia economica.
Uno degli strumenti principali attraverso il quale dare avvio all’implementazione di un sistema orientato verso
un modello di democrazia economica ed istituzionale è quello dei mercati di qualità sociale.
La nozione di servizi di qualità sociale comprende un insieme di beni di welfare relativi alla cura delle
persone, al supporto domestico, alla cultura, all’educazione, alla fruizione del patrimonio ambientale, all’uso
del tempo di non lavoro in generale, alle esigenze di socializzazione.

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Zamagni, S. (2013), Impresa responsabile e mercato civile, Bologna, Il Mulino.

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(* ) Francesca Lazzari svolge attività di con sulente di gestione organizzativa e progettazione per
imprese, associazioni, cooperative, privato sociale e di Counseling pedagogico e motivazionale per giovani e adolescenti.
Competenze
1. Esperta di metodologia disciplinare e di ricerca ( in scienze economiche e sociali, in ambito educativo e didattico e
nel counseling formativo).
2. Progettazione e conduzione di azioni in campo economico e sociale, in gender equity studies, in economia della
cultura e della conoscenza, in campo formativo, pedagogico e interculturale.
3. Approccio integrato pluridisciplinare (pedagogico, sociale ed economico).
Esperienza
1. Lunga esperienza professionale maturata nel campo della docenza, della formazione socio-economica, pedagogica,
educativa, di genere.
2. Collaboratrice e fondatrice della rete tra professionisti “ Network del Fare Sociale” , “PICO: Progetti e Idee per la
Cultura e le Organizzazioni” e dello studio professionale “Stele - formazione e consulenza su tematiche di genere e
progettazione di azioni positive territoriali”.
3. Attività di counseling come libera professionista.
4. Collaborazione a riviste e consulente di alcune case editrici nazionali ed estere.
5. Attività di ricerca (per Università, Istituti di ricerca, Associazioni sindacali e di categoria, Imprese, Enti pubblici,
Associazioni del privato sociale) nelle seguenti aree: Didattica e educativo-pedagogica; Analisi socio-economica dei
territori; Gender equity studies; Economia della cultura e della conoscenza; Diversità sociali e culturali.
6. Esperienze di impegno politico-amministrativo, sociale e civico.
7. Numerose pubblicazioni scientifiche in Italia e all’estero (saggi, articoli, contributi teorici, materiali e manuali scolastici
e universitari, report di ricerca).
Formazione
1. Laurea in Scienze Politiche, indirizzo economico, Università di Padova.
2. Borsa di ricerca internazionale del Ministero degli Affari esteri giapponese e della Japan Foundation, sul sistema
formativo delle discipline giuridico-economiche e sociali.
3. PhD in Scienze della Cognizione e della Formazione, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di Filosofia e
Teoria della Scienza.
4. Master di II livello in Ricerca, Didattica e Counseling formativo, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di
Filosofia e Teoria della Scienza.
5. Formazione continua: frequenza di numerosi corsi di aggiornamento, formazione e specializzazione di livello
universitario, in Italia e all’estero.




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