Codice Pari Opportunità

CODICE DELLE PARI OPPORTUNITÀ DECRETO LEGISLATIVO 11 APRILE 2006, N. 198
(GU n. 123 del 31 maggio 2006 – SO n. 133. Testo coordinato con le modifiche introdotte dal decreto legislativo 25
gennaio 2010, n. 5, in vigore dal 20 febbraio 2010 (Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle
pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. (GU n. 29 del 5
febbraio 2010) - Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6 della Legge 28 novembre 2005, n.
246.

Il testo del CODICE DELLE PARI OPPORTUNITÀ riportato di seguito è quello che risulta dall’introduzione delle
modifiche apportate all’originario decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198).


Hanno subito modifiche, in particolare:

- Artt. 3-7 – Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna
Abrogati dall’art. 9 del DPR 14 maggio 2007, n. 115 (Regolamento per il riordino della Commissione per le pari opportunità…)
(GU n. 177 del 10 agosto 2007)

- Artt. 8-11 – Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento
Integrati dal DPR 14 maggio 2007, n. 107 (Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero del
lavoro…) (GU n. 271 del 25 luglio 2007)

- Artt. 12-20 – Consigliere e consiglieri di parità
Integrati dal DPR 14 maggio 2007, n. 107 (Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero del
lavoro…) (GU n. 271 del 25 luglio 2007)

- Artt. 21 e 22 - Comitato per l’imprenditoria femminile
Abrogati dall’art. 4 del DPR 14 maggio 2007, n. 101 (Regolamento per il riordino della Commissione [rectius Comitato] per
l’imprenditoria femminile…) (GU n. 167 del 20 luglio 2007)

- Art. 25 – Discriminazione diretta e indiretta
Modificato dall’art. 8quater del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi
comunitari…) ( GU n. 84 del 9 aprile 2008), aggiunto dalla legge di conversione 6 giugno 2008, n. 101 (GU n. 132 del 7 giugno
2008)

- Art. 38 - Provvedimenti avverso le discriminazioni
Modificato dall’art. 8quater del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi
comunitari…) ( GU n. 84 del 9 aprile 2008), aggiunto dalla legge di conversione 6 giugno 2008, n. 101 (GU n. 132 del 7 giugno
2008)

- Libro III, Titolo III (artt. 55bis-55decies)
Titolo aggiunto dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 196 (Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio
della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e loro fornitura) (GU n. 261 del 6
novembre 2007 – SO n. 228).

Le ultime modifiche, introdotte dal decreto legislativo n. 5 del 25 gennaio 2010, evidenziate dal colore blu scuro, sono entrate
in vigore il 20 febbraio 2010.


INDICE

Libro I - DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO
E DONNA
Titolo I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1 - Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne
e uomini , nonché integrazione dell’obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte
le politiche e le attività

Titolo II - ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
Capo I - Politiche di pari opportunità

Art. 2 - Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunità

Capo II - Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna

Art. 3 - Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna
Art. 4 - Durata e composizione della Commissione
Art. 5 - Ufficio di Presidenza della Commissione
Art. 6 - Esperti e consulenti
Art. 7 - Segreteria della Commissione

Capo III - Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento
ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.

Art. 8 - Costituzione e componenti
Art. 9 - Convocazione e funzionamento
Art. 10 - Compiti del Comitato
Art. 11 - Collegio istruttorio e segreteria tecnica

Capo IV - Consigliere e consiglieri di parità

Art. 12 - Nomina
Art. 13 - Requisiti e attribuzioni
Art. 14 - Mandato
Art. 15 - Compiti e funzioni
Art. 16 - Sede e attrezzature
Art. 17 - Permessi
Art. 18 - Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità
Art. 19 - Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità
Art. 20 - Relazione al Parlamento

Capo V - Comitato per l'imprenditoria femminile

Art. 21 - Comitato per l'imprenditoria femminile
Art. 22 - Attività del Comitato per l'imprenditoria femminile

Libro II - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI
Titolo I - RAPPORTI TRA CONIUGI

Art. 23 - Pari opportunità nei rapporti fra coniugi

Titolo II - CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI

Art. 24 - Violenza nelle relazioni familiari

Libro III - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI
Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NEL LAVORO
Capo I - Nozioni di discriminazione

Art. 25 - Discriminazione diretta e indiretta
Art. 26 - Molestie e molestie sessuali

Capo II - Divieti di discriminazione

Art. 27 - Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro
Art. 28 - Divieto di discriminazione retributiva
Art. 29 - Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione
di carriera
Art. 30 - Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali
Art. 30 bis – Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari
e collettive. Differenze di trattamento consentite
Art. 31 - Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici
Art. 32 - Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle Forze armate e nei corpi
speciali
Art. 33 - Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo
della guardia di finanza
Art. 34 - Divieto di discriminazione nelle carriere militari
Art. 35 - Divieto di licenziamento per causa di matrimonio

Capo III - Tutela giudiziaria

Art. 36 - Legittimazione processuale
Art. 37 - Legittimazione processuale a tutela di più soggetti
Art. 38 - Provvedimento avverso le discriminazioni
Art. 39 - Ricorso in via d'urgenza
Art. 40 - Onere della prova
Art. 41 - Adempimenti amministrativi e sanzioni
Art. 41 bis - Vittimizzazione
Capo IV - Promozione delle pari opportunità

Art. 42 - Adozione e finalità delle azioni positive
Art. 43 - Promozione delle azioni positive
Art. 44 - Finanziamento
Art. 45 - Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione
professionale
Art. 46 - Rapporto sulla situazione del personale
Art. 47 - Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive
Art. 48 - Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni
Art. 49 - Azioni positive nel settore radiotelevisivo
Art. 50 - Misure a sostegno della flessibilità di orario
Art. 50 bis – Prevenzione delle discriminazioni
Capo V - Tutela e sostegno della maternità e paternità

Art. 51 - Tutela e sostegno della maternità e paternità

Titolo II - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITÀ D'IMPRESA
Capo I - Azioni positive per l'imprenditoria femminile

Art. 52 - Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile
Art. 53 - Principi in materia di beneficiari delle azioni positive
Art. 54 - Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile
Art. 55 - Relazione al Parlamento

Titolo III - PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE NELL’ACCESSO A BENI
E SERVIZI E LORO FORNITURA

Capo I - Nozioni di discriminazione e pieto di discriminazione.

Art. 55-bis - Nozioni di discriminazione
Art. 55–ter - Divieto di discriminazione
Art. 55–quater - Parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi
e altri servizi finanziari

Capo II - Tutela giudiziaria dei diritti in materia di accesso a beni e servizi e loro
fornitura

Art. 55–quinquies - Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni
di sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura
Art. 55-sexies - Onere della prova
Art. 55–septies - Legittimazione ad agire di associazioni ed enti

Capo III - Promozione della parità di trattamento
Art. 55-octies - Promozione del principio di parità di trattamento nell’accesso a beni
e servizi e loro fornitura
Art. 55–novies - Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell’accesso
a beni e servizi e loro fornitura
Art. 55–decies - Relazione alla Commissione europea

Libro IV - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI
Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE
Capo I - Elezione dei membri del Parlamento europeo

Art. 56 - Pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo
Art. 57 - Disposizioni abrogate
Art. 58 - Disposizioni finanziarie


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'art. 87 della Costituzione;
Visto l'art. 6 della Legge 28 novembre 2005, n. 246 recante delega al Governo per l'emanazione di un Decreto
Legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunità tra uomo e donna, nel quale devono
essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di
discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire
la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dei 24 gennaio 2006;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nella riunione del 27
febbraio 2006;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del Decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Considerato che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non hanno
espresso nei termini di legge il prescritto parere;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006;
Sulla proposta del Ministro per le pari opportunità, di concerto con i Ministri per la Funzione pubblica, del Lavoro e
politiche sociali, della Salute e dello sviluppo economico;

E m a n a il seguente Decreto Legislativo:

Libro I - DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA
Titolo I - DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1 - Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, nonché integrazione
dell'obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte le politiche e attività

1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul
sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o
l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in
ogni altro campo.
2. La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli
dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione.
3. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore
del sesso sottorappresentato.
4. L'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella
formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche
e attività.

Titolo II - ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ
Capo I - Politiche di pari opportunità

Art. 2 - Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunità (D. lgs. 30 luglio 1999, n. 303, art. 5)

1. Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari
opportunità, a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonché a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il
monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.

Capo II - Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna
[Il Capo II è stato abrogato e sostituito dal DPR 14 maggio 2007, n. 115 – COMMISSIONE PER LE PARI OPPORTUNITÀ]

Art. 3 - Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna (D. lgs. 31 luglio 2003, n. 226, art. 1)

Art. 4 - Durata e composizione della Commissione (D. lgs. 31 luglio 2003, n. 226, art. 2)

Art. 5 - Ufficio di Presidenza della Commissione (D. lgs. 31 luglio 2003, n. 226, art. 3)

Art. 6 - Esperti e consulenti (D. lgs. 31 luglio 2003, n. 226, art. 4)

Art. 7 - Segreteria della Commissione (D. lgs. 31 luglio 2003, n. 226, art. 5)

Capo III - Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra
lavoratori e lavoratrici
[Il Capo III è stato integrato dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007 , n. 107 – COMITATO NAZIONALE PER
L’ATTUAZIONE…]

Art. 8 - Costituzione e componenti (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)

1. Il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori
e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della competenza
statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza
fra uomo e donna nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro
compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto
legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
2. Il Comitato è composto da:
a) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di
presidente;
b) sei componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale;
c) sei componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei persi settori economici,
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
d) due componenti designati unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento
cooperativo più rappresentative sul piano nazionale;
e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale
operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro;
f) la consigliera o il consigliere nazionale di parità di cui all'art. 12, comma 2, del presente decreto.
2-bis. Le designazioni di cui al comma 2 sono effettuate entro trenta giorni dalla relativa richiesta. In caso di mancato
tempestivo riscontro, il Comitato può essere costituito sulla base delle designazioni pervenute, fatta salva l'integrazione
quando pervengano le designazioni mancanti.
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro e politiche in
genere;
b) sei rappresentanti, rispettivamente, del Ministero dell'istituzione, dell'università e della ricerca, del Ministero della
giustizia, del Ministero degli affari esteri, del Ministero dello sviluppo economico, del Dipartimento per le politiche
della famiglia e del Dipartimento della funzione pubblica, di cui uno indicato dalle organizzazioni dei dirigenti
comparativamente più rappresentative;
c) cinque dirigenti o funzionari del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in rappresentanza delle Direzioni
generali del mercato del lavoro, della tutela delle condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali, per le politiche per
l'orientamento e la formazione, per l'innovazione tecnologica, di cui uno indicato dalle organizzazioni dei dirigenti
comparativamente più rappresentative;
c-bis) tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le pari opportunità, di cui uno
indicato dalle organizzazioni dei dirigenti comparativamente più rappresentative.
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Per ogni componente effettivo è nominato un supplente. In caso di sostituzione di un componente, il nuovo componente
dura in carica fino alla scadenza del Comitato.
5. Il vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito dei suoi
componenti.

Art. 9 - Convocazione e funzionamento (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 5, commi 5 e 6)

1. Il Comitato è convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano
richiesta metà più uno dei suoi componenti.
2. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello della segreteria tecnica di cui all'art. 11, nonché in
ordine alle relative spese.

Art. 10 - Compiti del Comitato (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 6)

1. Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell'ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalità di cui
all'art. 8, comma 1, ed in particolare:
a) formula proposte sulle questioni generali relative all'attuazione degli obiettivi della parità e delle pari opportunità,
nonché per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di lavoro
delle donne;
b) informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessità di promuovere le pari opportunità per le donne nella
formazione e nella vita lavorativa;
c) formula, entro il 31 maggio di ogni anno, un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti
di azioni positive che intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di valutazione. Il
programma è diffuso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
d) esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di azioni positive e opera il controllo sui progetti in
itinere verificandone la corretta attuazione e l'esito finale, adottando un metodo che garantisca un criterio tecnico
scientifico di valutazione dei progetti;
e) elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parità e ad inpiduare le
manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
f) verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parità;
f-bis) elabora iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere la parità di trattamento,
avvalendosi dei risultati dei monitoraggi effettuati sulle prassi nei luoghi di lavoro, nell'accesso al lavoro, alla
formazione e promozione professionale, nonché sui contratti collettivi, sui codici di comportamento, ricerche o scambi
di esperienze e buone prassi;
g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di progetti di azioni
positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne
in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e
retributive, stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entità del cofinanziamento di una quota dei
costi connessi alla loro attuazione;
g-bis) elabora iniziative per favorire il dialogo con le organizzazioni non governative che hanno un legittimo interesse a
contribuire alla lotta contro le discriminazioni fra donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;
h) può richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla
situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della
promozione professionale;
i) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di
lavoro e formazione professionale.
i-bis) provvede allo scambio di informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti in materia di parità fra
le donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;
i-ter) provvede, anche attraverso la promozione di azioni positive, alla rimozione degli ostacoli che limitino
l'uguaglianza tra uomo e donna nella progressione professionale e di carriera, allo sviluppo di misure per il
reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità, alla più ampia diffusione del part-time e degli altri strumenti di
flessibilità a livello aziendale che consentano una migliore conciliazione tra vita lavorativa e impegni familiari.

Art. 11 - Collegio istruttorio e segreteria tecnica (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 7)

1. Per l'istruzione degli atti relativi alla inpiduazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei
pareri al Comitato di cui all'art. 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parità, è istituito un collegio istruttorio così
composto:
a) il vicepresidente del Comitato di cui all'art. 8, che lo presiede;
b) un magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimità o di merito;
c) un dirigente o un funzionario del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
c-bis) un dirigente o un funzionario del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
c-ter) un dirigente o un funzionario del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei
Ministri;
d) gli esperti di cui all'art. 8, comma 3, lettera a);
e) la consigliera o il consigliere di parità di cui all'art. 12.
2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b), c), c-bis) e c-ter) del comma 1,
su richiesta del Comitato di cui all'art. 8, possono essere elevati a due.
3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio è
istituita la segreteria tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed è composta da
personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinato da un
dirigente generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica è determinata con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato.
4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalità di organizzazione e di funzionamento;
per lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato può deliberare la stipula di
convenzioni, nonché avvalersi di collaborazioni esterne:
a) per l'effettuazione di studi e ricerche;
b) per attività funzionali all'esercizio dei propri compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall'art. 10,
comma 1, lettera d).

Capo IV - Consigliere e consiglieri di parità
[Il Capo IV è stato integrato dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007 , n. 107 – CONSIGLIERA …]

Art. 12 – Nomina (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 1, comma 1; art. 2, comma 1, 3, 4)

1. A livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera o un consigliere di parità. Per ogni
consigliera o consigliere si provvede altresì alla nomina di un supplente che agisce su mandato della consigliera o del
consigliere effettivo ed in sostituzione della medesima o del medesimo.
2. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità.
3. Le consigliere ed i consiglieri di parità regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono nominati, con decreto del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, su designazione delle
regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6
del D. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui all'art.
13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.
4. In caso di mancata designazione dei consiglieri di parità regionali e provinciali entro i sessanta giorni successivi alla
scadenza del mandato, o di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'art. 13, comma 1, il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, provvede direttamente alla nomina
nei trenta giorni successivi, nel rispetto dei requisiti di cui all'art. 13, comma 1 e previo espletamento di una procedura
di valutazione comparativa. A parità di requisiti professionali si procede alla designazione e nomina di una consigliera
di parità.
5. I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

Art. 13 - Requisiti e attribuzioni (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, artt. 1, comma 2, 2, comma 2)

1. Le consigliere e i consiglieri di parità devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in
materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro, comprovati da
idonea documentazione.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo
dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro.
Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parità sono pubblici ufficiali ed hanno
l'obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.

Art. 14 – Mandato (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 2, comma 5)
[Si veda Decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007 , n. 107 – CONSIGLIERA …]

1. Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all'art. 12 ha la durata di quattro anni ed é rinnovabile per non più
di due volte. La procedura di rinnovo si svolge secondo le modalità previste dall'art. 12. Le consigliere ed i consiglieri
di parità continuano a svolgere le loro funzioni fino alle nuove nomine.

Art. 15 - Compiti e funzioni (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 3)

1. Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito delle competenze dello Stato,
ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e
lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le
discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione
professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme
pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252:
b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'inpiduazione delle risorse comunitarie, nazionali e
locali finalizzate allo scopo;
c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi
comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità;
d) sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della
realizzazione di pari opportunità;
e) promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel
mercato del lavoro;
f) collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di inpiduare procedure efficaci di
rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni,
anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui
problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni;
h) verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;
i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parità degli enti locali.
1-bis) La consigliera o il consigliere nazionale di parità, inoltre, svolge inchieste indipendenti in materia di
discriminazioni sul lavoro e pubblica relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul lavoro.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parità nazionale, regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono componenti a tutti
gli effetti, rispettivamente, della commissione centrale per l'impiego ovvero del perso organismo che ne venga a
svolgere, in tutto o in parte, le funzioni a seguito del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e delle commissioni
regionali e provinciali tripartite previste dagli articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del 1997; essi
partecipano altresì ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99,
del Consiglio del 21 giugno 1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali sono inoltre componenti delle
commissioni di parità del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi persamente denominati che svolgono
funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale é componente del Comitato nazionale e del Collegio
istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.
3. Le strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di cui all'art. 4, comma 1, lettera d), del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di parità il supporto tecnico
necessario: alla rilevazione di situazioni di squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla
situazione del personale di cui all'art. 46; alla promozione e alla realizzazione di piani di formazione e riqualificazione
professionale; alla promozione di progetti di azioni positive.
4. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni regionali e provinciali del lavoro territorialmente
competenti acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in
relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di
lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di
rilevazione indicati nella richiesta.
5. Entro il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parità regionali e provinciali presentano un
rapporto sull'attività svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. La consigliera o il
consigliere di parità che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia provveduto con un ritardo
superiore a tre mesi decade dall'ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che ha provveduto alla
designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità.

Art. 16 - Sede e attrezzature (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 5)

1. L'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali é ubicato rispettivamente presso le regioni
e presso le province. L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parità é ubicato presso il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio é funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle
strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari
devono essere prontamente assegnati dagli enti presso cui l'ufficio è ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi
del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, nell'ambito delle
proprie competenze, può predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere ed i consiglieri di
parità convenzioni quadro allo scopo di definire le modalità di organizzazione e di funzionamento dell'ufficio delle
consigliere e dei consiglieri di parità, nonché gli indirizzi generali per l'espletamento dei compiti di cui all'art. 15,
comma 1, lettere b), c), d) ed e), come stipulato con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281.

Art. 17 – Permessi (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 6)

1. Le consigliere ed i consiglieri di parità, nazionale e regionali hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ove si
tratti di lavoratori dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative mensili
medie. Nella medesima ipotesi le consigliere ed i consiglieri provinciali di parità hanno diritto ad assentarsi dal posto di
lavoro per un massimo di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente comma sono retribuiti. Ai
fini dell'esercizio del diritto di assentarsi dal luogo di lavoro di cui al presente comma, le consigliere e i consiglieri di
parità devono darne comunicazioni scritta al datore di lavoro almeno tre giorni prima.
2. Nei limiti della disponibilità del Fondo di cui all'art. 18, alle consigliere e ai consiglieri di parità, sia lavoratori
dipendenti che autonomi o liberi professionisti, é attribuita una indennità mensile, la cui misura, differenziata tra il ruolo
di effettiva e quello di supplente, é fissata annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di
concerto con il Ministro per le pari opportunità e con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui all'art. 18, comma
2. Il riconoscimento della predetta indennità alle consigliere e ai consiglieri di parità supplenti è limitato ai soli periodi
di effettivo esercizio della supplenza.
3. L'onere di rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e
provinciali, lavoratori dipendenti da privati o da amministrazioni pubbliche, è a carico rispettivamente dell'ente
regionale e provinciale. A tal fine si impiegano risorse provenienti dal Fondo di cui all'art. 18. L'ente regionale o
provinciale, su richiesta, è tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto corrisposto per le ore di effettiva assenza.
4. Abrogato.
5. La consigliera o il consigliere nazionale di parità, ove lavoratore dipendente, usufruisce di un numero massimo di
permessi non retribuiti determinato annualmente con il decreto di cui all'art. 18, comma 2, nonché di un'indennità fissata
dallo stesso decreto. In alternativa può richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato,
percependo in tal caso un'indennità complessiva, a carico del Fondo di cui all'art. 18, determinata tenendo conto
dell'esigenza di ristoro della retribuzione perduta e di compenso dell'attività svolta. Ove l'ufficio di consigliera o
consigliere nazionale di parità sia ricoperto da un lavoratore autonomo o da un libero professionista, spetta al medesimo
un'indennità nella misura complessiva annua determinata dal decreto di cui all'art. 18, comma 2.
Art. 18 - Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 9)

1. Il Fondo nazionale per le attività delle consigliere e dei consiglieri di parità è alimentato dalle risorse di cui all'art. 47,
comma 1, lettera d), della L. 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. Il Fondo è destinato a finanziare le
spese relative alle attività della consigliera o del consigliere nazionale di parità e delle consigliere o dei consiglieri
regionali e provinciali di parità, i compensi degli esperti eventualmente nominati ai sensi dell'art. 19, comma 3, nonché
le spese relative alle azioni in giudizio promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia altresì le
spese relative al pagamento di compensi per indennità, rimborsi e remunerazione dei permessi spettanti alle consigliere
ed ai consiglieri di parità, nonché quelle per il funzionamento e le attività della rete di cui all'art. 19 e per gli eventuali
oneri derivanti dalle convenzioni di cui all'art. 16, comma 2, persi da quelli relativi al personale.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità e con
il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, le risorse del Fondo vengono annualmente ripartite tra le perse destinazioni, sulla base dei seguenti
criteri:
a) una quota pari al trenta per cento è riservata all'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parità ed è
destinata a finanziare, oltre alle spese relative alle attività ed ai compensi dello stesso, le spese relative al funzionamento
ed ai programmi di attività della rete delle consigliere e dei consiglieri di parità di cui all'art. 19;
b) la restante quota del settanta per cento è destinata alle regioni e viene sudpisa tra le stesse sulla base di una
proposta di riparto elaborata dalla commissione interministeriale di cui al comma 4.
3. La ripartizione delle risorse è comunque effettuata in base a parametri oggettivi, che tengono conto del numero delle
consigliere o dei consiglieri provinciali e di indicatori che considerano i differenziali demografici ed occupazionali, di
genere e territoriali, nonché in base alla capacità di spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.
4. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la commissione interministeriale per la gestione del
Fondo di cui al comma 1. La commissione è composta dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità o da un
delegato scelto all'interno della rete di cui all'art. 19, dal vicepresidente del Comitato nazionale di cui all'art. 8, da un
rappresentante della Direzione generale del mercato del lavoro, da tre rappresentanti del Dipartimento per le pari
opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle
finanze, da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
nonché da tre rappresentanti della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Essa provvede alla proposta di riparto tra le regioni della quota di risorse del Fondo ad esse assegnata, nonché
all'approvazione dei progetti e dei programmi della rete di cui all'art. 19. L'attività della commissione non comporta
oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
5. Per la gestione del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le norme che disciplinano il Fondo
per l'occupazione.

Art. 19 - Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 4, commi 1, 2, 3, 4 e 5)

1. La rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale
di parità, opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parità, di accrescere l'efficacia della
loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.
2. La rete nazionale si riunisce almeno due volte l'anno su convocazione e sotto la presidenza della consigliera o del
consigliere nazionale; alle riunioni partecipano il vice presidente del Comitato nazionale di parità di cui all'art. 8, e un
rappresentante designato dal Ministro per le pari opportunità.
3. Per l'espletamento dei propri compiti la rete nazionale può avvalersi, oltre che del Collegio istruttorio di cui all'art.
11, anche di esperte o esperti, nei settori di competenza delle consigliere e dei consiglieri di parità, di particolare e
comprovata qualificazione professionale. L'incarico di esperta o esperto viene conferito su indicazione della consigliera
o del consigliere nazionale di parità dalla competente Direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali.
4. L'entità delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e all'espletamento dei relativi compiti, è
determinata con il decreto di cui all'art. 18, comma 2.
5. Entro il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parità elabora, anche sulla base dei rapporti
di cui all'art. 15, comma 5, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per le pari
opportunità sulla propria attività e su quella svolta dalla rete nazionale. Si applica quanto previsto nell'ultimo periodo
del comma 5 dell'art. 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.

Art. 20 - Relazione al Parlamento (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 4, comma 6)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base del rapporto di cui all'art. 19, comma 5, nonché delle
indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parità, presenta in Parlamento, almeno ogni 2 anni, d'intesa con il Ministro
per le pari opportunità, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in
materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.
Capo V - Comitato per l'imprenditoria femminile
[Il Capo V è stato abrogato e sostituito dal DPR 14 maggio 2007, n. 101 – COMITATO PER L’IMPRENDITORIA FEMMINILE]

Art. 21 - Comitato per l'imprenditoria femminile (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 10, commi 1, 2, 3)

Art. 22 - Attività del Comitato per l'imprenditoria femminile (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 10, commi 4 e 5)

Libro II - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI
Titolo I - RAPPORTI TRA CONIUGI

Art. 23 - Pari opportunità nei rapporti fra coniugi

1. La materia delle pari opportunità nei rapporti familiari è disciplinata dal codice civile.

Titolo II - CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI

Art. 24 - Violenza nelle relazioni familiari

1. Per il contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla Legge 4 aprile 2001, n.
154.

Libro III - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI

Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NEL LAVORO
Capo I - Nozioni di discriminazione

Art. 25 - Discriminazione diretta e indiretta (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 1 e 2)

1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o
comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole
discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto
a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto,
un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in
una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo. che riguardino requisiti essenziali
allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento
siano appropriati e necessari.
2-bis) Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato
di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei
relativi diritti».

Art. 26 - Molestie e molestie sessuali (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)

1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per
ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare
un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a
connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di
una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2-bis) Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un
lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti di cui ai comma 1 e 2 o di esservisi sottomessi.
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei
comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai
comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di
lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità
di trattamento tra uomini e donne.

Capo II - Divieti di discriminazione

Art. 27 - Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle
condizioni di lavoro (L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 1, commi 1, 2, 3 e 4; L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, comma 3)
1. È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata,
autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione,
indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della
gerarchia professionale.
2. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche
adottive;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma
pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.
3. Il pieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione,
perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per
quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonché all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o
datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni
erogate da tali organizzazioni.
4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente
pesanti inpiduate attraverso la contrattazione collettiva.
5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche
amministrazioni la prestazione richiesta deve essere accompagnata dalle parole “dell'uno o dell'altro sesso”, fatta
eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della
prestazione.
6. Non costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un determinato sesso l'assunzione in attività della
moda, dell'arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.

Art. 28 - Divieto di discriminazione retributiva (L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 2)

1. É vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle
retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale é attribuito un valore uguale.
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri
comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni.

Art. 29 - Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera (L. 9 dicembre 1977, n. 903,
art. 3)

1. È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle
mansioni e la progressione nella carriera.

Art. 30 - Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali (L. 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)

1. Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il
rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e
contrattuali.
2. Abrogato.
3. Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere
corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il
lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le
maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico devono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.
4. Le prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria, per l'invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la
moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata.
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonché in materia
di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia
ed i superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro
esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
6. Le prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con DPR 30 giugno 1965, n. 1124, e della L. 5 maggio 1976,
n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.

Art.30-bis - Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari e collettive. Differenze di trattamento
consentite

1. Nelle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005 n.252 è vietata
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, specificamente per quanto riguarda:
a) il campo d’applicazione di tali forme pensionistiche e relative condizioni di accesso;
b) l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;
c) il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico,
nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.
2. La fissazione di livelli differenti per le prestazioni è consentita soltanto se necessaria per tener conto di elementi di
calcolo attuariale differenti per i due sessi nel caso di forme pensionistiche a contribuzione definita. Nel caso di forme
pensionistiche a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi possono variare sempreché
l'ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell'utilizzazione di fattori attuariali che variano a
seconda del sesso all'atto dell'attuazione del finanziamento del regime.
3. I dati attuariali che giustificano trattamenti persificati ai sensi del comma 2 devono essere affidabili, pertinenti ed
accurati.
4. La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) esercita i suoi poteri ed effettua le attività necessarie al
fine di garantire l’affidabilità, la pertinenza e l’accuratezza dei dati attuariali che giustificano trattamenti persificati ai
sensi del comma 2, anche allo scopo di evitare discriminazioni. Essa inoltre raccoglie, pubblica e aggiorna i dati relativi
all’utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente al Comitato nazionale di
parità e pari opportunità nel lavoro. Tali attività sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente.

Art. 31 - Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici (L. 9 febbraio 1963, n. 66, art. 1, comma 1; L. 13 dicembre 1986,
n. 874, articoli 1 e 2)

1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza
limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2. L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni e impieghi
pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire
un limite di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i
Ministri interessati, le organizzazioni sindacali più rappresentative e la Commissione per la parità tra uomo e donna,
fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Art. 32 - Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle Forze armate e nei corpi speciali (D. lgs. 31 gennaio 2000, n. 24, art.
1)

1. Le Forze armate ed il Corpo della guardia di finanza si avvalgono, per l'espletamento dei propri compiti, di personale
maschile e femminile.

Art. 33 - Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza (D. lgs. 31
gennaio 2000, n. 24, art. 2)

1. Il reclutamento del personale militare femminile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza è effettuato
su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo. quanto previsto per l'accertamento
dell'idoneità al servizio militare del personale femminile dai decreti di cui all'art. 1, comma 5, della L. 20 ottobre 1999,
n. 380, e salve le aliquote d'ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della
legge medesima.
2. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi
sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del
Corpo della guardia di finanza, nonché il personale femminile volontario di truppa in fase di addestramento e
specializzazione iniziale, è posto in licenza straordinaria per maternità a decorrere dalla presentazione
all'amministrazione della certificazione attestante lo stato di gravidanza, fino all'inizio del periodo di congedo di
maternità di cui all'art. 16 del D. lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo di assenza del servizio trascorso in licenza
straordinaria per maternità non è computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.
3. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi
sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del
Corpo della guardia di finanza, posto in licenza straordinaria per maternità ai sensi del comma 2, può chiedere di
proseguire il periodo formativo con esenzione di qualsiasi attività fisica, fino all'inizio del periodo del congedo di
maternità di cui all'art. 16 del D. Lgs.. 26 marzo 2001, n. 151. L'accoglimento della domanda è disposto dal
Comandante di corpo, in relazione agli obiettivi didattici da conseguire e previo parere del dirigente del servizio
sanitario dell'istituto di formazione.
4. La licenza straordinaria per maternità di cui al comma 3 è assimilata ai casi di estensione del pieto di adibire le
donne al lavoro previsti dall'art. 17, comma 2, lettera c), del D. lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Al personale femminile, nel
predetto periodo di assenza, è attribuito il trattamento economico di cui all'art. 22 del D. lgs. 26 marzo 2001, n. 151,
ovvero, qualora più favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti dall'art. 2, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
5. Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza che,
ai sensi degli articoli 16 e 17 del D. lgs. n. 151 del 2001, non possa frequentare i corsi previsti dalle relative normative
di settore, è rinviato al primo corso utile successivo e, qualora lo superi con esito favorevole, assume l'anzianità relativa
al corso originario di appartenenza.

Art. 34 - Divieto di discriminazione nelle carriere militari (D. lgs. 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)

1. Lo stato giuridico del personale militare femminile è disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare
maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
2. L'avanzamento del personale militare femminile è disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare
maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
3. Le amministrazioni interessate disciplinano gli specifici ordinamenti dei corsi presso le accademie, gli istituti e le
scuole di formazione in relazione all'ammissione ai corsi stessi del personale femminile.

Art. 35 - Divieto di licenziamento per causa di matrimonio (L. 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)

1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti inpiduali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano
comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno
per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal
giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la
celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima
confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al
comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la
scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3, 4 è disposta la corresponsione,
a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in
servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto
per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse
quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore
previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed inpiduali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

Capo III - Tutela giudiziaria

Art. 36 - Legittimazione processuale (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 4 e 5)
1. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei pieti di cui
al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione
professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche
complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252; e non ritiene di avvalersi delle procedure
di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 410 del
codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'art. 66 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera
o il consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente.
2. Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'art. 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parità provinciali e
regionali competenti per territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per
i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega
della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.

Art. 37 - Legittimazione processuale a tutela di più soggetti (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)

1. Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il
consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere
collettivo, in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo o comunque nell'accesso al lavoro, nella
promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni compresa la retribuzione, nella progressione di carriera,
nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.
252, anche quando non siano inpiduabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle
discriminazioni, prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all'autore della
discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a
120 giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali
aziendali ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera
o il consigliere di parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza
di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parità,
qualora non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito
negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale
amministrativo regionale territorialmente competenti.
3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a
provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di
definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le
rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali
di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità regionale
competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche
temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano.
4. Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono
proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo
regionale territorialmente competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie
informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo,
oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina
all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento
idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte
del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro
il decreto è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità
giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
5. L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza pronunciata nel
relativo giudizio di opposizione è punita con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a sei mesi, e comporta altresì
il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al Fondo
di cui all'art. 18 e la revoca dei benefici di cui all'art. 41, comma 1.

Art. 38 - Provvedimento avverso le discriminazioni (L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 15; L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, comma 13)

1. Qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo o di cui
all'art. 11 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o comunque discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella
promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione
alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, su ricorso del
lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali, associazioni e organizzazioni rappresentative del diritto o
dell'interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, il
tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, o il tribunale
amministrativo regionale competente, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se
ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non
patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed
immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
2. L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio
instaurato a norma del comma seguente.
3. Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che
decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di
procedura civile.
4. L'inottemperanza al decreto di cui al I comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punita con
l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a sei mesi.
5. Ove le violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano le norme previste in materia di
sospensione dell'atto dall'art. 21, ultimo comma, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034.
6. Ferma restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione
inpiduale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale,
dalle associazioni e dalle organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, o dalla consigliera o dal
consigliere provinciale o regionale di parità.

Art. 39 - Ricorso in via d'urgenza (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, comma 14)
1. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'art. 410 del codice di procedura civile non
preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.

Art. 40 - Onere della prova (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, comma 6)

1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai
regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai
licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o
comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della
discriminazione.

Art. 41 - Adempimenti amministrativi e sanzioni (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 4, comma 12; L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 16, comma 1)

1. Ogni accertamento di discriminazioni in violazione dei pieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque
discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione
professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme
pensionistiche complementari, collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, poste in essere da soggetti
ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di
appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla
direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la
concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la
revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recipa, possono decidere l'esclusione del responsabile per un
periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da
qualsiasi appalto. Tale disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di
appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione
accertata per l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso sia
raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.
2. L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, è punita
con l'ammenda da 250 euro a 1500 euro.

ART.41-bis - Vittimizzazione

1. La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto
in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una
qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

Capo IV - Promozione delle pari opportunità

Art. 42 - Adozione e finalità delle azioni positive (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 1, commi 1 e 2)

1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione
di pari opportunità, nell'ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzate
l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di
carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la persificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e
professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle
lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti persi, a seconda del sesso, nei
confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero nel
trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono
sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una persa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra
responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;
f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile.

Art. 43 - Promozione delle azioni positive (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 1, comma 3)
1. Le azioni positive di cui all'art. 42 possono essere promosse dal Comitato di cui all'art. 8 e dalle consigliere e dai
consiglieri di parità di cui all'art. 12, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e aziendale,
comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle
organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli
organismi rappresentativi del personale di cui all'art. 42 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 44 – Finanziamento (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 2, commi 1, 2, 4 e 5)

1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori di lavoro pubblici e privati, i centri di
formazione professionale accreditati, le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono
richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri
finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all'art.
10, comma 1, lettera c).
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all'art. 8, ammette i progetti di azioni positive
al beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese. L'attuazione dei progetti di
cui al comma 1, deve comunque avere inizio entro due mesi dal rilascio dell'autorizzazione.
3. I progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul
piano nazionale hanno precedenza nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.
4. L'accesso ai fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad eccezione di
quelli di cui all'art. 45, è subordinato al parere del Comitato di cui all'art. 8.

Art. 45 - Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 3)

1. Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell'obiettivo di cui all'art. 42, comma 1,
autorizzati secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della L. 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal
Fondo sociale europeo, è destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall'art. 25 della stessa legge, determinata
annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo di cui all'art. 42, comma 1, viene
accertata, entro il 31 marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l'impiego.
Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all'art. 8.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è ripartita tra le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei
contributi richiesti per i progetti approvati.

Art. 46 - Rapporto sulla situazione del personale (L. 10 aprile 1991, n. 125, art. 9, commi 1, 2, 3 e 4)

1. Le aziende pubbliche e private che occupano oltre 100 dipendenti sono tenute a redigere un rapporto, almeno ogni
due anni, sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di
assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri
fenomeni di mobilità, dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e
pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
2. Il rapporto di cui al comma 1 e' trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere
regionale di parità, che elaborano i relativi risultati trasmettendoli alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
3. Il rapporto è redatto in conformità alle indicazioni definite nell'ambito delle specificazioni di cui al comma 1 dal
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del
lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro 60 giorni. In caso
di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955,
n. 520. Nei casi più gravi può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti
dall'azienda.

Art. 47 - Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive (D. lgs. 23 maggio
2000, n. 196, art. 10, comma 1)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle pari
opportunità e su indicazione del Comitato di cui all'art. 8, determina, con apposito decreto, eventuali modifiche nelle
modalità di presentazione delle richieste di cui all'art. 45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di
erogazione, nonché nei requisiti di onorabilità che i soggetti richiedenti devono possedere.
2. La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme già riscosse. In
caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui valutazione è effettuata in
base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.
Art. 48 - Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni (D. lgs. 23 maggio 2000, n. 196, art. 7, comma 5)

1. Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non
economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'art. 42 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ovvero, in
mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito inoltre, in
relazione alla sfera operativa della rispettiva attività, il Comitato di cui all'art. 10, e la consigliera o il consigliere
nazionale di parità, ovvero il Comitato per le pari opportunità eventualmente previsto dal contratto collettivo e la
consigliera o il consigliere di parità territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad
assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari
opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle
donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell'art. 42, comma 2, lettera
d), favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un pario
fra generi non inferiore a due terzi.
A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione
professionale tra candidati di sesso perso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile è accompagnata da
un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente art. hanno durata triennale. In caso di mancato
adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
2. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 57 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 49 - Azioni positive nel settore radiotelevisivo (L. 6 agosto 1990, n. 223, art. 11)

1. La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale,
promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparità tra i due sessi in sede di assunzioni,
organizzazione e distribuzione del lavoro, nonché di assegnazione di posti di responsabilità.
2. I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e
femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della
remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna di cui al libro I, titolo
II, capo II.

Art. 50 - Misure a sostegno della flessibilità di orario

1. Le misure a sostegno della flessibilità di orario, finalizzate a promuovere e incentivare forme di articolazione della
prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall'art. 9 della Legge 8 marzo
2000, n. 53.

Art.50-bis - Prevenzione delle discriminazioni

1. I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi,
per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare,le molestie e le molestie sessuali nel luogo del
lavoro, nelle condizioni di lavoro, nonché nella formazione e crescita professionale.

Capo V - Tutela e sostegno della maternità e paternità

Art. 51 - Tutela e sostegno della maternità e paternità

1. La tutela ed il sostegno della maternità e paternità è disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

Titolo II - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITÀ D'IMPRESA
Capo I - Azioni positive per l'imprenditoria femminile

Art. 52 - Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 1, commi 1 e 2)

1. Il presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra uomini
e donne nell'attività economica e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:
a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;
b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici;
c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;
d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;
e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più
innovativi dei persi settori produttivi.
Art. 53 - Principi in materia di beneficiari delle azioni positive (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 2, comma 1)

1. I principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:
a) le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 60 per cento da donne, le società di
capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di
amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, nonché le imprese inpiduali gestite da donne, che
operino nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;
b) le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale anche a capitale misto
pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale
o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a
donne.

Art. 54 - Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 3, comma 1)

1. A valere sulle disponibilità del Fondo, istituito con l'art. 3, comma 1, della L. 25 febbraio 1992, n. 215, con apposito
capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle attività produttive, possono essere concesse ai soggetti
indicati all'art. 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento anche comunitario, le
agevolazioni previste dalla disciplina vigente:
a) per impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attività commerciali e turistiche o di attività nel
settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonché per i progetti aziendali connessi
all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;
b) per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttività, all'innovazione organizzativa, al trasferimento
delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di
produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché per lo sviluppo di sistemi di qualità.
2. Ai soggetti di cui all'art. 53, comma 1, lettera b), possono essere concesse agevolazioni per le spese sostenute per le
attività ivi previste.

Art. 55 - Relazione al Parlamento (L. 25 febbraio 1992, n. 215, art. 11)

1. Il Ministro delle attività produttive verifica lo stato di attuazione dei principi di cui al presente capo, presentando a
tale fine una relazione annuale al Parlamento.

Titolo III - PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE NELL’ACCESSO A BENI E SERVIZI E LORO
FORNITURA.
[Introdotto dal Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 196]

Capo I - Nozioni di discriminazione e pieto di discriminazione.

Art. 55-bis - Nozioni di discriminazione

1. Sussiste discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, quando, a causa del suo sesso, una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga.
2. Sussiste discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, o una prassi
apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio
rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da
una finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
3. Ogni trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternità costituisce
discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo.
4. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie, ovvero quei comportamenti
indesiderati, fondati sul sesso, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona e la creazione
di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
5. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie sessuali, ovvero quei
comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale, aventi come
oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
6. L’ordine di discriminare persone direttamente o indirettamente a motivo del sesso è considerato una discriminazione,
ai sensi del presente titolo.
7. Non costituiscono discriminazione, ai sensi del presente titolo, le differenze di trattamento nella fornitura di beni e
servizi destinati esclusivamente o principalmente a persone di un solo sesso, qualora siano giustificate da finalità
legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari.
Art. 55-ter - Divieto di discriminazione

1. E’ vietata ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura.
2. Il pieto di cui al comma 1 si applica a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che sono a
disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell’area della vita privata e familiare e delle transazioni ivi
effettuate.
3. Sono escluse dall’ambito di applicazione del comma 1 le seguenti aree:a) impiego e occupazione, anche nell’ambito
del lavoro autonomo nella misura in cui sia applicabile una persa disciplina;b) contenuto dei mezzi di comunicazione
e della pubblicità;c) istruzione pubblica e privata.
4. Resta impregiudicata la libertà contrattuale delle parti, nella misura in cui la scelta del contraente non si basa sul
sesso della persona.
5. Sono impregiudicate le disposizioni più favorevoli sulla protezione della donna in relazione alla gravidanza e alla
maternità.
6. Il rifiuto delle molestie e delle molestie sessuali da parte della persona interessata o la sua sottomissione non possono
costituire fondamento per una decisione che interessi la medesima persona.
7. E’ altresì vietato ogni comportamento pregiudizievole posto in essere nei confronti della persona lesa da una
discriminazione diretta o indiretta, o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad
ottenere la parità di trattamento.

Art. 55-quater - Parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi e altri servizi finanziari

1. Nei contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, il fatto di tenere conto del sesso
quale fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non può determinare
differenze nei premi e nelle prestazioni.
2. Sono consentite differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni inpiduali ove il fattore sesso sia
determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati. In ogni caso i costi
inerenti alla gravidanza e alla maternità non possono determinare differenze nei premi o nelle prestazioni inpiduali.
3. L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) esercita i suoi poteri ed effettua
le attività necessarie, al fine di garantire che le differenze nei premi o nelle prestazioni, consentite ai sensi del comma 2,
abbiano a fondamento dati attuariali e statistici affidabili. Il medesimo Istituto provvede a raccogliere, pubblicare ed
aggiornare i dati relativi all’utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente
all’Ufficio di cui all’articolo 55–novies.
4. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 costituisce inosservanza al pieto di cui all’articolo 55-ter.
5. L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo provvede allo svolgimento delle attività
previste al comma 3 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Capo II - Tutela giudiziaria dei diritti in materia di accesso a beni e servizi e loro fornitura

Art. 55-quinquies - Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a beni e
servizi e loro fornitura

1. In caso di violazione ai pieti di cui all’articolo 55–ter, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del
comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli
effetti della discriminazione. Il giudice può ordinare al convenuto di definire un piano di rimozione delle
discriminazioni accertate, sentito il ricorrente nel caso di ricorso presentato ai sensi dell’articolo 55–septies, comma 2.
2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del Tribunale del
luogo di domicilio dell'istante che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. La domanda può
essere proposta anche dopo la cessazione del rapporto nel quale si ritiene si sia verificata la discriminazione, salvi gli
effetti della prescrizione.
3. Il presidente del Tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti,
omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di
istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
4. Il giudice provvede con ordinanza, immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domanda.
5. Nei casi di urgenza il giudice provvede con decreto motivato, immediatamente esecutivo, assunte, ove occorre,
sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro
un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la
notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i
provvedimenti emanati nel decreto.
6. Contro l'ordinanza del giudice è ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale, di cui non può far parte il
giudice che ha emanato il provvedimento, nel termine di quindici giorni dalla notifica dello stesso. Si applicano, in
quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
7. Con la decisione che definisce il giudizio, il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno,
anche non patrimoniale. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno, dei comportamenti di cui all’articolo
55-ter, comma 7.
8. In caso di accertata violazione del pieto di cui all’articolo 55–ter, da parte di soggetti pubblici o privati ai quali
siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle Regioni, ovvero che abbiano stipulato
contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, il giudice dà immediata
comunicazione alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione dei benefici, incluse
le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni o enti revocano i benefici e, nei casi più
gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni
finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
9. Chiunque non ottempera o elude l'esecuzione dei provvedimenti di cui ai commi 4, 5 e 6, è punito con l’ammenda
fino a 50.000 euro o l’arresto fino a tre anni.

Art. 55-sexies - Onere della prova

1. Quando il ricorrente, anche nei casi di cui all’articolo 55–septies, deduce in giudizio elementi di fatto idonei a
presumere la violazione del pieto di cui all’articolo 55–ter, spetta al convenuto l’onere di provare che non vi è stata la
violazione del medesimo pieto.

Art. 55-septies - Legittimazione ad agire di associazioni ed enti

1. Sono legittimati ad agire ai sensi dell’art. 55-quinquies in forza di delega rilasciata, a pena di nullità, per atto
pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le
associazioni e gli enti inseriti in apposito elenco approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o per
sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro per lo Sviluppo economico ed
inpiduati sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell’azione.
2. Qualora il soggetto pubblico o privato ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere
collettivo e non siano inpiduabili in modo immediato e diretto i soggetti lesi dalle discriminazioni, il ricorso può
essere presentato dalle associazioni o gli enti rappresentativi dell’interesse leso di cui al comma 1.

Capo III - Promozione della parità di trattamento

Art. 55-octies - Promozione del principio di parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura

1. Al fine di promuovere il principio della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura, il Ministro
per i diritti e le pari opportunità favorisce il dialogo con le associazioni, gli organismi e gli enti che hanno un legittimo
interesse alla rimozione delle discriminazioni, mediante consultazioni periodiche.

Art.55-novies - Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura

1. I compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro
fornitura, senza discriminazioni fondate sul sesso, sono svolti dall’ Ufficio di livello dirigenziale generale della
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per i diritti e le pari opportunità inpiduato ai sensi del comma 4.
Tale ufficio svolge, in modo autonomo e imparziale, nel predetto ambito, attività di promozione della parità e di
rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso.
2. In particolare, i compiti attribuiti all'Ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:
a) fornire un’assistenza indipendente alle persone lese dalla violazione del pieto di cui all’articolo 55–ter;
b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste indipendenti in materia al
fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;
c) promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli enti di
cui all'articolo 55-septies, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare il prodursi di
discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura;
d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento nell’accesso a beni e servizi e loro
fornitura e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;
e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per ragioni di sesso nell’accesso a
beni e servizi e loro fornitura, nonché proposte di modifica della normativa vigente;
f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento
nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura e sull'efficacia dei meccanismi di tutela e una relazione annuale al
Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attività svolta;
g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e
gli enti di cui all'articolo 55-septies, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti
specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.
3. L'Ufficio ha facoltà di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le informazioni e di
esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità,
da adottarsi entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è inpiduato, nell’ambito di
quelli esistenti, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l’Ufficio di cui al comma 1.
5. L’Ufficio può avvalersi di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, in servizio presso il
Dipartimento, nonché di esperti e consulenti esterni, nominati ai sensi della vigente normativa.
6. Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché
nei settori della lotta alle discriminazioni di genere, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche.

Art. 55-decies - Relazione alla Commissione europea

1. Entro il 21 dicembre 2009 e successivamente ogni cinque anni, la Presidenza del Consiglio-Dipartimento per i diritti
e pari opportunità, trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative
all’applicazione del presente titolo.

Libro IV - PARI OPPORTUNITÀ TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI

Titolo I - PARI OPPORTUNITÀ NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE

Capo I - Elezione dei membri del Parlamento europeo

Art. 56 - Pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo (L. 8 aprile 2004, n. 90, art. 3)

1. Nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del
Parlamento europeo spettanti all'Italia, successive alla data di entrata in vigore della L. 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei
due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le
candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unità prossima.
2. Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al comma 1,
l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla L. 3 giugno 1999, n. 157, è ridotto, fino ad un massimo della
metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito. Sono,
comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di
candidati di entrambi i sessi.
3. La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 è erogata ai partiti o gruppi politici organizzati
che abbiano avuto proclamata eletta, ai sensi dell'art. 22 della L. 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni,
una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita in misura proporzionale ai voti
ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.

Art. 57 - Disposizioni abrogate

1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) la Legge 9 gennaio 1963, n. 7;
b) l'art. 1 della Legge 9 febbraio 1963, n. 66;
c) gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della Legge 9 dicembre 1977, n. 903;
d) gli articoli 1 e 2 della Legge 13 dicembre 1986, n. 874;
e) l'art. 11 della Legge 6 agosto 1990, n. 223;
f) la Legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell'art. 11;
g) la Legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;
h) l'art. 5 del Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
i) il Decreto Legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
l) il Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'art. 10, comma 4;
m) il Decreto Legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;
n) l'art. 3 della Legge 8 aprile 2004, n. 90.

Art. 58 - Disposizioni finanziarie

1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.